Pulsione
In ambito psicologico il termine pulsione (dal latino pulsio, derivato da pellere, "spingere, scacciare") sta a indicare la spinta che deriva da un qualsiasi fenomeno o meccanismo psichico; in psicoanalisi il vocabolo traduce il tedesco Trieb, che venne utilizzato da S. Freud per definire un processo che spinge l'individuo verso il raggiungimento di uno scopo.
Spesso confusa, erroneamente, con l'istinto, la pulsione va intesa come un processo dinamico, caratterizzato da una spinta che si presenta sotto forma di carica energetica; questa orienta l'organismo umano verso una meta che rappresenta l'azione di scarica o di soddisfazione della tensione. Ha la sua origine in uno stato di eccitazione interno all'organismo, denominato fonte, e ha l'obiettivo di sopprimere tale tensione cercando il suo soddisfacimento attraverso un oggetto, cosa oppure persona, che è da considerarsi il bersaglio di tale azione. La pulsione sarebbe la rappresentazione psichica di stimoli che sorgono all'interno del corpo, attraverso i sensi e i bisogni fisiologici, e che pervengono alla sfera psichica provocando una situazione di tensione che richiede un immediato soddisfacimento. In questo tentativo, tuttavia, secondo S. Freud, l'organismo trova ostacoli e contrapposizioni che, in termini psicologici, possono essere spiegati come controforze che impediscono lo scaricarsi delle tensioni. Mentre gli impulsi avrebbero un'origine biologica, interna all'organismo, le forze che li contrastano originerebbero da influenze esterne. Freud intese le pulsioni come una linea di confine tra lo psichico e il somatico, considerando quindi, nella loro elaborazione, sia la componente legata alla manifestazione fisica, in termini di energia che proviene dal corpo, sia la relazione con i fenomeni psicologici che ne risultano. È infatti importante precisare che i primi teorici della psicoanalisi ebbero un approccio ancorato ai principi e ai concetti propri delle scienze naturali, cercando così di spiegare la vita mentale come il risultato di processi fisiologici. Quando Freud parla di pulsione, non vuole tanto riferirsi alla risposta motoria (che è invece fondamentale e implicita nel concetto di istinto), ma allo stato di eccitazione a livello mentale che si instaura in seguito a una stimolazione. La risposta motoria che è conseguente allo stato di tensione non è immediata e immodificabile, ma deve venire a patti con una componente della mente umana, l'Io, la quale consente di modificare l'impulso a seconda delle esigenze della realtà esterna e dell'importanza che rappresenta per l'individuo (Brenner 1957). Freud arrivò a parlare di pulsioni quando capì, attraverso la sua esperienza clinica, che la maggior parte della vita psichica dell'uomo non avviene a livello di coscienza, bensì a livello di interrelazione tra gli aspetti di consapevolezza e ciò che caratterizza il mondo inconscio, sede appunto dall'azione pulsionale.
Freud introdusse il concetto di pulsione quando tentò di descrivere il funzionamento della sessualità umana. Occupandosi dello sviluppo sessuale infantile e delle perversioni, aveva riscontrato che l'oggetto e la meta della pulsione sessuale, da lui denominata libido, che secondo i canoni della normalità adulta sono specifici e relativi all'apparato genitale e al rapporto con un altro essere umano di sesso opposto, si trovano invece a essere variabili e molteplici, acquisendo una forma definitiva solo sulla base della storia di ogni singolo individuo. Il bambino, infatti, prima di pervenire all'età adulta, attraversa una serie di fasi in cui la pulsione sessuale si rivolge a mete e oggetti diversi. Freud osservò che i bambini sono capaci di attività erotica sin dalla nascita, ma le manifestazioni di tale sessualità inizialmente sono rivolte verso il proprio corpo e strettamente associate alle funzioni corporee come l'alimentazione e l'attività intestinale, mentre solo nell'età adulta hanno una precisa localizzazione e uno specifico oggetto. Individuò così tre stadi di evoluzione psicosessuale, che denominò orale, anale e fallico, a seconda di quale fosse l'attività erotica dominante e la zona corporea, che denominò zona erogena, in cui si esplicava tale attività. Nel primo stadio è la bocca a rappresentare la zona erogena e l'attività di soddisfacimento si esplica con la suzione; nello stadio anale la zona corporea privilegiata è l'ano e il piacere si realizza con la ritenzione o l'espulsione delle feci; nel terzo stadio, infine, i genitali rappresentano il luogo di soddisfacimento che si realizza nella masturbazione. Nel corso dello sviluppo, tali pulsioni non trovano sempre un terreno adeguato e la possibilità di esprimersi liberamente, ma sono sottoposte a repressione ed entrano in conflitto con le esigenze della realtà esterna. Può così succedere che lo sviluppo sessuale non sia completo, se non ha potuto esprimersi in modo adeguato per repressioni o distorsioni, o ha viceversa avuto incontrollata espressione, originando così i sintomi nevrotici e le perversioni. Secondo la psicoanalisi, la possibilità di uno sviluppo più o meno normale sarebbe da ricondursi alla storia dell'individuo e alle relazioni con l'ambiente familiare, in primis con la madre, che è il primo oggetto di amore. Lo sviluppo sessuale della persona adulta è il risultato delle tappe su esposte e se si verifica un blocco in questo ambito, invece di un funzionamento sessuale maturo e armonico, si avrà un funzionamento ancora infantile, inadeguato a sostenere la relazione con un altro. Sulla base di queste considerazioni Freud aveva riscontrato nella sua esperienza clinica che le nevrosi erano sempre il risultato di meccanismi di repressione delle pulsioni sessuali. Queste infatti risultavano contrastate dai sensi di colpa, dall'angoscia e dalla pressione delle norme morali che non ne consentivano l'accettazione.
Freud (1923) ipotizzò una prima classificazione individuando le pulsioni dell'Io, o di autoconservazione, rappresentate dalle necessità fisiche primarie, come la fame, la sete, il sonno, che richiedono una soddisfazione quasi immediata e di vitale importanza per preservare l'individuo e garantirne la sopravvivenza, contrapposte alle pulsioni sessuali, che creano una situazione di conflitto quando l'individuo umano deve fare i conti con le esigenze, le norme e le richieste della realtà esterna. Egli contrappose un principio di piacere, caratterizzato dall'urgenza della richiesta pulsionale e dal desiderio di soddisfacimento, a un principio di realtà, che agisce da moderatore, permettendo la soddisfazione e la gratificazione dei bisogni, solo se essi non sono in antitesi con ciò che richiede la realtà esterna. Nei bambini molto piccoli agisce principalmente il principio del piacere, in quanto il soggetto è volto al soddisfacimento dei bisogni e non è in grado di tenere in considerazione i vincoli e le pressioni esterne; nel corso della crescita aumentano il contatto con l'esterno e la consapevolezza e prende man mano il sopravvento il principio di realtà che porterà a soddisfare alcune richieste, a evitarne altre, a tenere in primo piano non più le esigenze individuali, ma il rapporto tra l'individuo stesso e l'ambiente in cui è inserito. Attualmente, in ambito psicoanalitico l'impostazione freudiana è definita 'teoria del conflitto' per indicare la dinamica caratterizzante, da un lato, le richieste pulsionali che fanno parte del mondo inconscio, e, dall'altro, la presenza di ostacoli che possono provenire o dall'individuo stesso, sotto l'azione dei processi razionali, o da norme morali sentite dall'individuo come impositive ed esigenti, o ancora da precise richieste della realtà esterna (Gabbard 1990). In un secondo tempo, Freud riconsiderò la prima classificazione e arrivò a includere la pulsione sessuale all'interno delle pulsioni dell'Io, con la specifica finalità di far evolvere e crescere l'individuo, contrapponendola a una pulsione aggressiva, che mira invece alla distruzione e alla disaggregazione dell'individuo stesso. Definì così le pulsioni di vita e le pulsioni di morte. Le prime, che chiamò Eros, comprendono tutte le forme volte alla conservazione e al progredire dell'individuo, includendo in esse anche la pulsione sessuale; le seconde, Thanatos, rappresentano la tendenza di ogni organismo vivente a tornare all'inorganico e quindi alla morte. Quando Freud arrivò a postulare l'esistenza di una pulsione aggressiva, innata e indipendente, cercò di esprimere a livello psicologico ciò che in ambito organico corrisponde alla tendenza della materia vivente alla disorganizzazione e alla disintegrazione, recuperando il principio di costanza formulato da G.T. Fechner (1873) che ipotizzava il ritorno di tutti i processi vitali verso l'inorganico. Questo orientamento, presente nella stessa natura, avrebbe lo scopo di eliminare gli stati di tensione. Le tendenze aggressive sarebbero così dei tentativi di distruzione rivolti verso l'esterno, che si scontrano con le tendenze che lottano per la vita, in particolare quelle sessuali, creando così un processo dinamico in cui le due forze si bilanciano, si contrastano, si neutralizzano.
Freud non fu il primo a ipotizzare l'esistenza di una pulsione aggressiva, anzi mutuò tale idea, dopo averla in un primo tempo rifiutata, da un suo discepolo, A. Adler (1927). Quest'ultimo aveva postulato l'esistenza di una pulsione aggressiva, per spiegare la posizione del bambino molto piccolo di fronte a un ambiente percepito come ostile. Il bambino, infatti, si trova alla nascita in una condizione di inferiorità rispetto alla realtà esterna ed è costretto a lottare per ottenere il proprio soddisfacimento. La pulsione aggressiva si attiverebbe quando l'individuo entra in rapporto con le richieste dell'ambiente. Adler considerò in un primo momento l'aggressività un elemento fondamentale per spiegare i comportamenti anormali e arrivò a dare significato ai sintomi psicologici, leggendoli come atti di aggressività verso sé stessi, verso un avversario o la società. In una seconda formulazione considerò l'aggressività non più come autonoma e indipendente, ma come uno degli elementi che rappresentano la lotta dell'individuo umano verso la superiorità, manifestandosi in modo anormale solo quando manca nell'individuo l'interesse sociale. Nell'ottica adleriana, si avrebbero cioè comportamenti aggressivi, in senso patologico, solo quando la lotta che l'individuo intraprende per affermarsi non tiene adeguatamente conto della società e degli altri individui. In questo caso, il comportamento aggressivo entra in contrasto con il naturale bisogno di ogni essere umano di ottenere gratificazione affettiva e di entrare in relazione con gli altri. Attualmente, le correnti psicoanalitiche non accettano tanto l'idea di pulsioni di vita contrapposte a quelle di morte, ma piuttosto concordano sul fatto che in tutte le manifestazioni di comportamento si possono rintracciare sia la pulsione sessuale sia quella aggressiva, che in qualche modo operano insieme anche se bilanciate in modo diverso e se non è possibile vederle agire in modo isolato. Non è tanto la tendenza alla morte contrapposta alla lotta per la vita che permette di spiegare i fenomeni clinici, bensì la pulsione sessuale e quella aggressiva che interagiscono e si combinano tra loro. Lo studio delle pulsioni assume un'importanza fondamentale per comprendere la complessità della condizione umana e del comportamento individuale e sociale, tenendo egualmente presenti gli aspetti della realtà esterna e le componenti individuali che caratterizzano ciascun individuo e lo rendono libero, entro certi limiti, di gestire la propria vita. Il modo infatti in cui è avvenuto lo sviluppo sin dall'infanzia, il tipo di realizzazione che hanno avuto le pulsioni e i conflitti che si sono generati, le modalità di relazione che si sono strutturate, la volontà, le motivazioni dei singoli e le potenzialità individuali, ci aiutano complessivamente a comprendere il significato di gesti e comportamenti, così unici e irripetibili per ciascun individuo.
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