punta
Indica la " parte terminale ", l' " estremità " di un corpo, per esempio della coda di Gerione, la cui punta era munita di una venenosa forca come quella dello scorpione (If XVII 27); o delle lingue delle fiamme che racchiudono i consiglieri frodolenti, e che s'identificano con le lingue stesse dei dannati: dopo che le parole confuse di Guido da Montefeltro ebber colto lor vïaggio / su per la punta, dandole quel guizzo / che dato avea la lingua in lor passaggio, / udimmo dire (XXVIII 17; cfr. anche il v. 59). Nella descrizione della pena dei simoniaci le punte sono l'estremità anteriore della pianta del piede, contrapposta ai calcagni (XIX 30).
Ancora come " estremità " il sostantivo è usato là dove D. parla dell'Orsa minore, quel corno / che si comincia in punta de lo stelo / a cui la prima rota va dintorno, Pd XIII 11; la p. indica la " stella polare, che è insieme una delle estremità dell'asse celeste... intorno a cui si aggira... il primo moto dei cieli " (Scartazzini-Vandelli).
Per estensione, p. indica " l'orlo superiore di quella costa franata " (Chimenz) dove giace il Minotauro, disteso 'n su la punta de la rotta lacca (" super caccumine istius montuosi loci ", Graziolo: cfr. If XII 11); e ancora, in un'analoga situazione topografica: venimmo... in su la punta / onde l'ultima pietra si scoscende (XXIV 41), " ad extremitatem huius pontis " (Benvenuto), il ponte franato che avrebbe dovuto scavalcare la sesta bolgia.
Quando indica l'" estremità " di un oggetto acuminato e tagliente, come il coltello, o le spade affocate degli angeli (Cv IV XXVII 5, Pg VIII 27), può accadere che il sostantivo sia considerato essenzialmente in funzione di quelle caratteristiche dell'oggetto: con il punton de la spada l'angelo guardiano incide i sette P sulla fronte di D. (Pg IX 113: il termine non ha il valore accrescitivo che il suffisso -one generalmente conferisce); si aggiunga l'uso metaforico della locuzione per punta (XXXI 2) contrapposta a per taglio, a indicare che Beatrice si rivolgeva a D. " per diritto, parlandomi in seconda persona u' e prima avea parlato di me in tersa persona " (Buti).
È su questa linea semantica che il sostantivo arriva a identificarsi con gli effetti stessi da quell'oggetto prodotti: sicché Manfredi può dire di aver avuta rotta la persona / di due punte mortali (Pg III 119), di due " ferite ", due " colpi ", come intendono i commentatori antichi e moderni (" colpo di punta ", Tommaseo, Dizionario; lo stesso Tommaseo ricorda nel suo commento Lucan. VI 723 " ruptas letali vulnere fibras ").
Parecchi commentatori, fra cui il Torraca, accostano a questo passo quello di If XIII 137 (a uno degli spiriti dei suicidi ‛ incarcerati ' nei cespugli Virgilio chiede: Chi fosti, che per tante punte / soffi con sangue doloroso sermo?), aderendo all'interpretazione di Benvenuto: " per tot puncturas dentium caninorum et rupturas ", cioè per tante " ferite ". Tale interpretazione è suffragata dal parallelismo di questo passo e i vv. 131-132 (menommi al cespuglio che piangea / per le rotture sanguinenti), e dal fatto che la visione del sangue che sgorga dai ramoscelli spezzati e l'identificazione del cespuglio con il corpo del suicida richiama inevitabilmente alla fantasia di D. - e alla nostra - l'immagine delle ferite; ma essa presuppone un valore autonomo di p. come " ferita ", che non risulterebbe documentato ai tempo di D. (nel caso di Pg III 119 si tratta in sostanza di una metonimia). È possibile però anche un'altra interpretazione, proposta dal Buti: " tante punte: quante erano quelle rotte e strappate dalle cagne ": a questa aderisce il Barbi (che confuta il Torraca, recensendone il commento, in Problemi I 208: " poiché si tratta d'un cespuglio, più naturale intendere le cime rotte dalle cagne "), mentre il Sapegno e il Chimenz, pur ricordandola, le preferiscono quella di Benvenuto.
Nell'uso figurato il termine è inteso ora come " parte estrema, terminale " - lodare sé stessi è loda ne la punta de le parole [" cioè, nel primo, esterior senso delle parole ", Busnelli-Vandelli], è vituperio chi cerca loro nel ventre, Cv I II 7 -, ora come " cosa appuntita ", penetrante, quindi " che punge ": è la punta del disio (Pd XXII 26), per cui opportunamente il Mattalia ricorda l'acume, ancora riferito a disio (I 84).
Non più figurato, con altri valori: la punta de la pupilla è la " parte centrale " di essa; e l'immagine che vi giunge per retta linea... quella veramente si vede ... però che 'l nervo per lo quale corre lo spirito visivo, è diritto a quella parte (Cv II IX 4). Alla figura di una piramide - il cui " vertice " D. definisce punta - è paragonata la massa dei ‛ desiderabili ', che si dispongono per modo quasi piramidale, che 'l minimo li cuopre tutti, ed è quasi punta de l'ultimo desiderabile, che è Dio, quasi base di tutti (IV XII 17).