punteggiatura
La punteggiatura (lat. interpunctio) è un sistema di segni convenzionali impiegato nello scritto per segnalare le relazioni logiche e sintattiche tra le diverse parti della frase, le pause della lettura e rendere più chiaro il significato complessivo del testo.
La denominazione punteggiatura, come del resto la sostanzialmente sinonima interpunzione, risale a un archetipo latino, da cui derivano le voci corrispondenti nella gran parte delle lingue europee: punctuation in inglese; Interpunktion in tedesco; ponctuation in francese; puntuación in spagnolo e galiziano; puntuació in catalano; pontuaçao in portoghese; interpunctie in olandese; interpunktion in svedese e in danese; interpunksjon in norvegese; punktuacija e interpunkcija in russo; interpunktja in polacco; interpunkcija in serbo e sloveno; punctuație in romeno; interpunkce in ceco; punctuacija in bulgaro (Mortara Garavelli 2008b: V-VI).
La rassegna che segue propone una ricognizione della punteggiatura nella storia del pensiero linguistico, dalle prime attestazioni dell’antichità classica fino agli anni più recenti, mentre per la trattazione dei singoli segni si rinvia alle voci rispettive.
Fatto salvo per alcuni esempi di scrittura micenea arcaica, nella Grecia classica i testi erano scritti senza interruzioni o spazi tra le parole (si aveva dunque la cosiddetta scriptio continua), ma non per questo erano del tutto assenti i segni di interpunzione: per es., in iscrizioni anteriori al V secolo a.C. sono attestati il tratto verticale e i tre punti, usati per separare unità di breve estensione, nonché la linea orizzontale posta all’inizio di rigo (parágraphos), impiegata per segnalare l’introduzione di un argomento nuovo.
I filosofi e i retori greci non mostrano tuttavia un’alta considerazione per i segni interpuntivi e invitano a ricorrere, per individuare le pause, piuttosto al metro per la poesia e al ritmo per la prosa (Mortara Garavelli 2003: 118-119). Anche Cicerone (I sec. a.C.), nel De oratore, esprime delle riserve circa l’utilità delle notae librariorum, i segni introdotti dai copisti come ausilio alla lettura (Geymonat 1985: 998).
Nella Tékhnē grammatikḗ «Arte grammaticale» di Dionisio Trace (II-I sec. a.C.), prima opera grammaticale conservata, sono citati gli impieghi di tre segni interpuntivi: punto alto (teléia stigmḗ) ‹·›, usato per indicare il pensiero completo; punto medio (mésē stigmḗ) ‹·›, con la funzione di segnalare il respiro; e punto basso (hypostigmḗ) ‹.›, a indicare il pensiero non completo. Secondo alcuni studiosi il punto medio non sarebbe stato un segno a tutti gli effetti, tanto che non ne reca traccia il trattato sull’interpunzione più completo del mondo antico, il Perì stigmē ̂s tē ̂s kathólou «Sulla punteggiatura in generale» di Nicanore di Alessandria (II sec.), dove sono citati otto segni: punto fermo (teléia stigmḗ), punto basso (hypoteléia), primo punto alto (prṓtē ànō stigmḗ), secondo punto alto (deutéra ànō stigmḗ), terzo punto alto (trítē ànō stigmḗ), primo punto basso (hypostigmḗ enypókritos), secondo punto basso (hypostigmḗ anypókritos) e terzo punto basso (hypodiastolḗ) (Geymonat 2008: 41-43).
Quintiliano (I sec.), nei passi dell’Institutio oratoria dedicati alla pronuntiatio, si sofferma sui segni di interpunzione come mezzi per sostenere e «tenere in sospeso» il discorso; Elio Donato (IV sec.), ripreso da Diomede (IV sec.), Servio (IV sec.) e Cassiodoro (VI sec.), vi si riferisce invece con il termine tecnico di positurae, lo stesso che si trova anche nelle Etymologiae di Isidoro di Siviglia (VII sec.), il testo in lingua latina in cui la descrizione dell’interpunzione è più accurata. Isidoro cita la funzione di chiarire il senso della lettura, suddividendo il testo in cola, commi e periodi e indicando il luogo in cui la voce riposa. Le positurae citate da Donato e Isidoro coincidono con le stigmái elencate da Dionisio Trace: punto in basso, chiamato ora comma o subdistinctio; punto nel mezzo, chiamato colon o media distinctio; e punto in alto, chiamato periodos o distinctio; nelle Etymologiae compare inoltre un dettagliato elenco di figurae accentuum (per es., gravis, circomflexus, brevis) e di notae sententiarum (per es., asteriscus, obelus, paragraphus) (Tognelli 1963: 12-14).
Nel medioevo, in corrispondenza dell’introduzione nella scrittura del carattere minuscolo, compare per la prima volta il segno della virgola sotto forma di apice sovrastante un punto ‹.’› (Mortara Garavelli 2003: 121). La virgola viene impiegata anche nel sistema interpuntivo eleborato da alcuni maestri di ars dictandi intorno alla fine del XIII secolo, dove i segni sono distinti in «sostanziali» (virghula, coma, colo, periodo) e «accidentali» (punto legittimo ovvero doppio, semipunto e interrogativo) (Tognelli 1963: 18). Lo stesso tipo di segni con l’aggiunta del punto esclamativo (detto ammirativo o enfatico) si ritrova nell’Ars punctandi un tempo attribuita a ➔ Petrarca (Mortara Garavelli 2003: 122-123; Coluccia 2008: 96), mentre nel Doctrina punctandi di Gasparino Barzizza (1360-1431) è introdotto per la prima volta il segno di ➔ parentesi (virgula convexa) (Tognelli 1963: 19; Cignetti 2001: 74). Sia il ➔ punto esclamativo (exclamativus o admirativus) sia la parentesi (detta ora parenthesis) compaiono inoltre nei Rudimenta grammatices (1473-1474) di Niccolò Perotti.
Nella generale rivoluzione grafica e ortografica che si realizza in Occidente con l’invenzione della stampa, la svolta decisiva nelle convenzioni interpuntive avviene all’ombra del sodalizio tra Aldo Manuzio e ➔ Pietro Bembo (➔ editoria e lingua). In particolare inizia in questo periodo la reale sostituzione del modo interpuntivo antico, costruito sulla diversa disposizione del punto sul rigo, con metodi di notazione innovativi che ricorrono a più segni (Trovato 1992: 89).
L’opera a stampa in cui per la prima volta viene adottato un sistema interpuntivo di tipo moderno è l’edizione aldina del De Aetna (1496) di Bembo, dove sono introdotti la ➔ virgola di forma attuale ‹,›, il ➔ punto e virgola ‹;›, l’➔apostrofo ‹’› e gli accenti grafici (Castellani 1995; Lepschy & Lepschy 2008: 12; ➔ accento grafico). L’impiego di tali segni però non corrisponde sempre a quello odierno: per es. nell’edizione aldina della Commedia (1502) il punto e virgola è impiegato per introdurre il ➔ discorso diretto (Lepschy & Lepschy 2008: 12) e in altri testi è posto prima della proposizione relativa (Migliorini 19613: 385 e Mortara Garavelli 2003: 125). Nel Cinquecento le riflessioni sul sistema interpuntivo si collocano nell’ambito del più ampio dibattito sulla definizione del modello linguistico e a occuparsi di punteggiatura sono spesso gli intellettuali più noti, come Lodovico Dolce, Pier Francesco Giambullari, Orazio Lombardelli, Rinaldo Corso (Chiantera 1992: 191). Circa le funzioni dell’interpunzione si affermano due visioni contrapposte: una prima, contenuta nelle Osservationi della volgar lingua (1550) di Lodovico Dolce e negli Avvertimenti della lingua sopra ’l Decamerone (1585-1586) di ➔ Lionardo Salviati, ne ritiene l’impiego finalizzato alla chiarezza e alla salvaguardia della «costruzione» e del «senso» (Chiantera 1992: 198; Mortara Garavelli 2003: 126); una seconda e più tradizionale, presente nell’Arte di puntar gli scritti (1585) di Orazio Lombardelli, pone in primo piano il rapporto con il parlato, indicando sia le pause con valore respiratorio sia quelle semanticamente rilevanti (Maraschio 1992: 217).
Per quanto riguarda le voci per indicare i singoli segni, ancora alla fine del secolo si può registrare una certa euforia nomenclatoria: per es. Jacopo Vittori da Spello nel Modo di puntare le scritture volgari (1598) elenca: coma, virgola, semicircolo (‹,›); puntocoma, virgola col punto, sospensivo (‹;›); duepunti, geminopunto, bipuncta (‹:›); puntosemplice, colon (‹.›); puntofermo, finale, periodo (‹.›); interrogativo (‹?›); ammirativo, esclamativo, affettuoso, patetico (‹!›); parentesi, interposizione, interclusio, con i rispettivi segni detti verghette, mezzi cerchi (‹( )›); accento, suono, tuono grave (‹`›); acuto (‹´›); apostrofo, rivolto, sinalefa, elisio (‹’›); circonflesso, cappelletto, campanello (‹^›); divisioni (‹- ,›) (Mortara Garavelli 2003: 127).
Nella letteratura normativa del Seicento l’interpunzione è scarsamente considerata, tanto che non ne fanno menzione opere grammaticali di primo piano come il Della lingua toscana (1643) di Benedetto Buommattei o le Osservazioni della lingua italiana (1644) del Cinonio (Marazzini 2008: 138).
L’uso dei segni interpuntivi non è vincolato a prescrizioni rigide ma appare piuttosto materia di studio empirico, e per questo trova posto nella trattatistica di carattere pratico: utili considerazioni sono rintracciabili, per es., in testi rivolti ai segretari come L’idea di varie lettere (poi Nova idea di varie lettere missive) di Benedetto Pucci (Marazzini 2008: 139).
Nella più importante opera sull’ortografia del Seicento, il Trattato dell’ortografia italiana (1670), Daniello Bartoli (➔ età barocca, lingua dell’) precisa che l’interpunzione sfugge a principi normativi rigidi e che, ancor più di altre parti dell’ortografia, è legata al gusto individuale. Bartoli individua il principio di selezione nella chiarezza e la funzione nell’evitare gli errori di comprensione, distinguendo e separando le parti del testo (Marazzini 2008: 143). Quanto all’elenco dei singoli segni, non sono in genere presi in considerazione il punto esclamativo e il punto interrogativo e cadono anche le distinzioni tra i diversi tipi di punto, che nel Cinquecento poteva essere fermo, trafermo, fermissimo e trafermissimo. Rispetto all’ipertrofia di segni del secolo precedente si assiste ora a una razionalizzazione teorica e nomenclatoria, che porta la maggior parte degli autori a ritenere fondamentali i soli quattro segni con valore demarcativo (punto semplice, due punti, punto e virgola e virgola) (Marazzini 2008: 148-149).
Nel corso del Settecento (➔ Settecento, lingua del) le sezioni dedicate all’interpunzione vengono gradualmente accolte nelle grammatiche più importanti, anche se la riflessione teorica non è mai approfondita e a prevalere sono le osservazioni di carattere pratico. Si afferma la tendenza a privilegiare l’analisi degli aspetti intonativi rispetto a quelli sintattici: di carattere essenzialmente prosodico sono, per es., le considerazioni nei Rudimenti della lingua italiana (1756) di Pier Domenico Soresi, legate ai modi di riproduzione sulla pagina scritta delle pause di lettura (Fornara 2008: 159-164). Non mancano tuttavia analisi di tipo misto: nelle Regole ed osservazioni della lingua toscana ridotte a metodo (1745), Salvatore Corticelli attribuisce a punto, punto interrogativo e punto ammirativo un valore sintattico-semantico, mentre gli altri segni sono definiti sulla base della lunghezza della pausa introdotta: media il mezzo punto; inferiore il punto e virgola; minima la virgola (Fornara 2008: 161). Gli stessi segni sono elencati anche da Francesco Soave nella Gramatica ragionata (1771), accompagnati da interessanti osservazioni sull’impiego della virgola: per es. viene attestata l’espansione dell’uso, contrario alla prassi del tempo, di omettere il segno prima delle congiunzioni e del pronome relativo (Fornara 2008: 166).
Al di fuori dell’Italia è di rilievo la voce Ponctuation, redatta per l’Encyclopédie (1765) da Nicolas Beauzée, dove sono elencate tre funzioni dell’interpunzione: una prima di carattere ritmico-prosodico (besoin de respirer), una seconda di rispetto delle unità di senso (sens partiels) e una terza di segnalazione delle gerarchie strutturali (degrés de subordination) (Colombo 2008: 276).
Nell’Ottocento le riflessioni dei trattatisti italiani non si distinguono per originalità: alcune varianti d’impiego sono riportate nella Lessicografia italiana o sia maniera di scrivere le parole italiane … (1883) di Giovanni Gherardini, come l’esclamativo triplicato ‹!!!› o l’interrogativo e esclamativo congiunto ‹?!› (Mortara Garavelli 2003: 131; ➔ Ottocento, lingua dell’).
Circa le modalità d’uso, i grammatici si esprimono in termini generali, limitandosi spesso ad affermare che l’impiego corretto si può apprendere con la pratica: questa è, per es., la soluzione proposta da Carlo Collodi nella fortunata Grammatica di Giannettino (1884) (Antonelli 2008: 179). Di maggiore interesse sono le annotazioni dei principali autori del secolo: ➔ Giacomo Leopardi si pronuncia contro l’impiego eccessivo di segni interpuntivi, allora tanto diffuso da fargli paventare un ritorno alla «scrittura geroglifica» (Mortara Garavelli 2003: 131); mentre di ➔ Alessandro Manzoni vanno ricordate le modifiche alla seconda edizione dei Promessi sposi (1840), dove mirati interventi di carattere interpuntivo migliorano la scansione ritmica e logica del testo (Mortara Garavelli 2003: 132).
Intorno alla metà del secolo si pubblicano in Francia le prime opere di carattere monografico, come il Traité pratique de la ponctuation (1859) di Auguste Tassis e il Traité de la ponc-tuation (1873) di Léon Ricquier, con posizioni a favore della priorità della funzione sintattico-semantica rispetto a quella prosodica (Colombo 2008: 286-287). Momenti notevoli della letteratura italiana del Novecento sono caratterizzati ora dall’eccesso ora dall’assenza programmatica di segni di interpunzione (Mortara Garavelli 2003: 134): esemplare di quest’ultimo orientamento è il Manifesto tecnico della letteratura futurista (1912) di Filippo Tommaso Marinetti, dove si predica l’abolizione totale della punteggiatura (Mengaldo 1994: 207).
Per quanto riguarda la trattatistica, una tra le prime opere monografiche in Italia è l’Introduzione all’ars punctandi (1963) di Iole Tognelli; più recenti e di carattere divulgativo sono Punteggiatura (2001) a cura di Alessandro Baricco et al., e Prontuario di punteggiatura (2003) di Bice Mortara Garavelli. Accanto ai saggi raccolti in Cresti, Maraschio & Toschi 1992, l’opera di carattere storico di riferimento è senza dubbio Storia della punteggiatura in Europa (2008) a cura di Bice Mortara Garavelli; mentre la ricerca di ambito sincronico si è soffermata piuttosto sullo studio dei singoli segni (Conte & Parisi 1979; Simone 1991; Ferrari 1997; Serianni 2001; Cignetti 2001, 2003 e 2004; Lala 2004), su specifici impieghi nella lingua letteraria (Antonelli 1999; Tonani 2008) e più di recente anche su questioni legate alla didattica dell’italiano (Fornara 2010).
Negli ultimi anni la riflessione teorica tende sempre meno a collegare i segni di interpunzione a fenomeni di carattere prosodico, cui sarebbero rapportabili solo in modo parziale e sommario (Lepschy & Lepschy 2008: 4), orientandosi piuttosto a coglierne l’incidenza sui nessi logici, strutturanti e in ultima analisi testuali specifici della varietà scritta (Ferrari 2003: 55-144; Antonelli 2008: 181).
Antonelli, Giuseppe (1999), Sintassi e stile della narrativa italiana dagli anni Sessanta a oggi, in Storia generale della letteratura italiana, a cura di N. Borsellino & W. Pedullà, Milano, Motta, 16 voll., vol. 12° (Il Novecento. Sperimentalismo e tradizione del nuovo), pp. 682-711.
Antonelli, Giuseppe (2008), Dall’Ottocento a oggi, in Mortara Garavelli 2008a, pp. 178-210.
Baricco, Alessandro et al. (a cura di) (2001), Punteggiatura, Milano, Rizzoli, 2 voll. (vol. 1º, I segni; vol. 2º, Storia, regole, eccezioni).
Castellani, Arrigo (1995), Sulla formazione del sistema paragrafematico moderno, «Studi linguistici italiani» 21, pp. 3-47.
Chiantera, Angela (1992), Le regole interpuntive nella trattatistica cinquecentesca, in Cresti, Maraschio & Toschi 1992, pp. 191-203.
Cignetti, Luca (2001), La [pro]posizione parentetica: criteri di riconoscimento e proprietà retorico-testuali, «Studi di grammatica italiana» 20, pp. 69-125.
Cignetti, Luca (2003), Parentesi “endolessematiche” ed “endosintagmatiche”, «Studi italiani di linguistica teorica e applicata» 22, 2, pp. 273-285.
Cignetti, Luca (2004), Le parentesi tonde: un segno pragmatico di eterogeneità enunciativa, «Supplemento al bollettino dell’ALI» 9, pp. 165-189.
Colombo, Maria (2008), La punteggiatura in Francia. Dal XIV secolo a oggi, in Mortara Garavelli 2008a, pp. 233-293.
Coluccia, Rosario (2008), Teorie e pratiche interpuntive nei volgari d’Italia dalle origini alla metà del Quattrocento, in Mortara Garavelli 2008a, pp. 65-98.
Conte, Rosaria & Parisi, Domenico (1979), Per un’analisi di segni di punteggiatura con particolare riferimento alla virgola, in Per un’educazione linguistica razionale, a cura di D. Parisi, Bologna, il Mulino, pp. 363-385.
Cresti, Emanuela, Maraschio, Nicoletta & Toschi, Luca (a cura di) (1992), Storia e teoria dell’interpunzione. Atti del Convegno internazionale di studi (Firenze 19-21 maggio 1988), Roma, Bulzoni.
Ferrari, Angela (1997), Quando il punto spezza la sintassi, «Nuova secondaria» 15, 1, pp. 47-56.
Ferrari, Angela (2003), Le ragioni del testo. Aspetti morfosintattici e interpuntivi nell’italiano contemporaneo, Firenze, Accademia della Crusca.
Fornara, Simone (2008), Il Settecento, in Mortara Garavelli 2008a, pp. 159-177.
Fornara, Simone (2010), La punteggiatura, Roma, Carocci.
Geymonat, Mario (1985), Interpunzione, in Enciclopedia virgiliana, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1984-1991, 5 voll., vol. 2º, ad vocem.
Geymonat, Mario (2008), Grafia e interpunzione nell’antichità greca e latina, nella cultura bizantina e nella latinità medievale, in Mortara Garavelli 2008a, pp. 25-62.
Lala, Letizia (2004), I due punti e l’organizzazione logico-argomentativa del testo, «Supplemento al bollettino dell’ALI» 9, pp. 143-164.
Lepschy, Anna Laura & Lepschy, Giulio C. (2008), Punteggiatura e linguaggio, in Mortara Garavelli 2008a, pp. 3-24.
Maraschio, Nicoletta (1992), «L’arte del puntar gli scritti» di Orazio Lombardelli, in Cresti, Maraschio & Toschi 1992, pp. 139-227.
Marazzini, Claudio (2008), Il Seicento, in Mortara Garavelli 2008a, pp. 138-158.
Mengaldo, Pier Vincenzo (1994), Il Novecento, in Storia della lingua italiana, a cura di F. Bruni, Bologna, il Mulino.
Migliorini Bruno (19613), Storia della lingua italiana, Firenze, Sansoni (1a ed. 1960).
Mortara Garavelli, Bice (2003), Prontuario di punteggiatura, Roma - Bari, Laterza.
Mortara Garavelli, Bice (a cura di) (2008a), Storia della punteggiatura in Europa, Roma - Bari, Laterza.
Mortara Garavelli, Bice (2008b), Preliminari, in Ead. 2008a, pp. V-XIX.
Serianni, Luca (2001), Sul punto e virgola nell’italiano contemporaneo, «Studi linguistici italiani» 27, 2, pp. 248-255.
Simone, Raffaele (1991), Riflessioni sulla virgola, in La costruzione del testo scritto nei bambini, a cura di M. Orsolini & C. Pontecorvo, Firenze, La Nuova Italia, pp. 219-231.
Tognelli, Jole (1963), Introduzione all’«Ars punctandi», Roma, Edizioni dell’Ateneo.
Tonani, Elisa (2008), Lo stile in un punto. Tendenze tipografiche e interpuntive della narrativa italiana contemporanea, in Ead. (a cura di), Lessico, punteggiatura, testi. Ricerche di storia della lingua italiana, Alessandria, Edizioni dell’Orso, pp. 25-71.
Trovato, Paolo (1992), Serie di caratteri, formato e sistemi di interpunzione nella stampa dei testi in volgare (1501-1550), in Cresti, Maraschio & Toschi 1992, pp. 89-110.