punto e virgola
Il punto e virgola è un segno di interpunzione (➔ punteggiatura) costituito dalla combinazione di un punto in alto e di una virgola ‹;›, che ha due funzioni principali:
(a) demarcativa, intesa come «capacità di indicare un confine linguistico» intermedio tra quello forte, conclusivo, del ➔ punto e quello debole, aperto, della ➔ virgola;
(b) seriale, consistente nel giustapporre i membri di una serie, di solito più articolati rispetto a quelli che basta la sola virgola a scandire (Mortara Garavelli 2003: 56, 67-74).
Nell’antichità classica e tardo-latina, il punto e virgola non esisteva, ma come funzione può essere accostato alla mésē stigmḗ (media distinctio in latino), il punto situato ad altezza mediana rispetto alla riga ‹·› che circoscrive la sezione di discorso detta colon. Un segno interpuntivo dalla forma grafica assimilabile a quella del punto e virgola inizia a fare la sua comparsa durante la seconda metà dell’VIII secolo con il nome di punc-tus versus, usato però per indicare la fine di una sententia contenente un’asserzione (Parkes 1992: 36).
Nella forma in cui noi lo conosciamo e con il valore moderno di mezza pausa, intermedia tra la virgola e gli antichi due punti, il punto e virgola si trova per la prima volta nei testi a stampa italiani, in particolare – per quanto riguarda le opere in latino – nel De Aetna, dialogo giovanile di ➔ Pietro Bembo che Aldo Manuzio (➔ editoria e lingua) diede alle stampe nel febbraio 1496 (1495 stile veneto), e – per quanto riguarda le opere in volgare – nell’edizione delle Cose volgari di messer Francesco Petrarca approntata da Bembo nel 1501.
Aldo Manuzio il giovane, nel suo Interpungendi ratio (Venezia 1566), illustra l’utilità del punto e virgola (all’epoca denominato anche punto coma, punto comato o mezo punto) mettendone in rilievo quella funzione mediana che è all’origine della sua comparsa: «Publica, privata; sacra, profana; tua, aliena. […] quo in exemplo, satis constat, neque unicum sufficere semicirculum, & ea nota, quae gemino puncto discribitur sic : nimium sententiam retardi» (cit. in Parkes 1992: 49).
Ma il punto e virgola, proprio per la sua natura di compromesso, tardò a entrare nell’uso degli stampatori, fino a quando, dagli anni Ottanta del Cinquecento, si fece più netta la responsabilità dei tipografi nell’introdurre marche interpuntive al posto di altre indicate dall’autore. Tale pratica favorì, in particolare, il punto e virgola, usato fino al Settecento anche in luoghi in cui oggi porremmo una virgola o nessun segno, prima di congiunzioni e di relative, come mostrano due esempi tolti dalla seconda edizione delle Prose della volgar lingua del Bembo (Venezia 1540): «è ciò cosa; a cui doverebbono i dotti […] havere inteso»; «in guisa; che, è cagione; che» (cit. in Schiaffini 1935).
Il punto e virgola concorre coi due segni che lo compongono, ma insieme ha una specificità che lo distingue e lo differenzia da essi. Questa che risiede in particolare nelle due principali funzioni:
(a) «manifestare le gerarchie di componenti sintattici»;
(b) «marcare cambiamenti di soggetto o di tema in enunciati contigui o in espressioni disposte in serie».
Si tratta di due prerogative valorizzate «specialmente negli stili di scrittura sorvegliati, ovunque si ponga una cura particolare nel graduare la durata connessa ai valori sintattici delle pause» (Mortara Garavelli 2003: 26-27).
Nei testi di maggiore rigidità formale (ad es., nella Costituzione della Repubblica italiana), la scelta dei segni d’interpunzione, più vincolata, impone l’uso del «punto e virgola seriale tra unità segmentate al loro interno da una o più virgole», per ragioni di «sintassi testuale», allo scopo di rendere evidente la gerarchia vigente tra i membri frasali che esso separa e le ulteriori delimitazioni interne agli stessi (incisi di minor peso), sancite da un segno più debole, la virgola (Mortara Garavelli 2003: 70).
Se nella scrittura pratica informale, in quelle giornalistica, scolastica, del web si è denunciata da più parti la virtuale estinzione del punto e virgola, dovuta proprio alla natura composita di cui si è detto, esso conserva un posto insostituibile non solo nei testi scientifici o tecnici e nei testi giuridici, ma anche in molta saggistica letteraria, nella quale i toni affabili e colloquiali si fondono con una certa accuratezza formale.
Così, mentre da circa un secolo si celebra il lungo «addio» al punto e virgola (da Malagoli 1905 a Maraschio 1993) e si constata l’«assassinio» perpetrato ai suoi danni nelle pratiche di scrittura corrente (dagli articoli apparsi su «Il Lavoro» di Genova e su «Circoli» fin dal 1934, che davano il segno per spacciato, «“sul letto d’agonia”, nell’atto di raccomandarsi alla virgola, la quale, però, non aspetterebbe nemmeno l’eredità, essendo già “entrata in possesso”» [Schiaffini 1935], ai più recenti interventi sulle pagine di «La Repubblica»: Bartezzaghi 2008; Citati 2008), la narrativa contemporanea sembra essere stata toccata solo marginalmente da questa tendenza. In larga parte di essa, infatti, l’uso del segno in questione «è tutt’altro che moribondo» (come ha rilevato Serianni), ma anzi abilmente sfruttato per essere adibito alle seguenti funzioni principali: «la segnalazione del cambiamento di soggetto o di tema in una frase giustapposta o coordinata», «la posizione “davanti a un connettivo ‘forte’ per rango argomentativo e sintattico”», oppure «in costruzioni che la retorica classica ha classificato come anadiplosi» (Serianni 2001). Tale resistenza si accentua nelle scritture più sorvegliate, dove un’interpunzione media, standard, senza scarti né forme marcate, rispecchia una calibrata «costruzione del testo» (Mortara Garavelli 1996):
Ha domandato se avevo capito. Ho detto «Sì», però nell’ultima parte mi sono distratto; guardavo lui fermo tra i binari, e gli ero grato.
Scavalchiamo gli ultimi scambi, scegliamo una pensilina centrale. Ho immaginato spesso queste visite e probabilmente ogni cosa sarà diversa; forse lo è già nell’essere arrivato a Trieste come se fossi il treno (Daniele Del Giudice, Lo stadio di Wimbledon, Torino, Einaudi, 1983, pp. 5-6).
Il punto e virgola, dunque, non è semplicemente il segno intermedio tra la virgola e il punto. Non lo è stato più da quando la punteggiatura, con l’invenzione della stampa, ha progressivamente cessato di essere commisurata alle pause respiratorie e ha cominciato ad essere percepita come un confine sintattico. Ma, al contempo, neppure risponde alla neutra applicazione di una gerarchia logico-sintattica, ma anzi si rivela – in ➔ Italo Calvino come in Daniele Del Giudice, in Gesualdo Bufalino come in Sandro Veronesi, in Vincenzo Consolo come in Andrea De Carlo – uno strumento stilistico, capace di inscriversi, con cadenza discreta quanto insolita, all’interno di una gradazione dei segni demarcativi che sembra rincorrere una scala di pause, di silenzi.
Bartezzaghi, Stefano (2008), Addio al punto e virgola. Punto e virgola il segno “inutile” sotto accusa, «La Repubblica», 5 aprile.
Citati, Pietro (2008), Non uccidete l’eleganza del punto e virgola, «La Repubblica», 7 aprile.
Malagoli, Giuseppe (1905), Ortoepia e ortografia italiana moderna, Milano, Hoepli.
Maraschio, Nicoletta (1993), Grafia e ortografia, in Storia della lingua italiana, a cura di L. Serianni & P. Trifone, Torino, Einaudi, 3 voll., vol. 1° (I luoghi della codificazione), pp. 139-227.
Mortara Garavelli, Bice (1996), L’interpunzione nella costruzione del testo, in La costruzione del testo in italiano: sistemi costruttivi e testi costruiti. Atti del seminario internazionale di Barcellona (24-29 aprile 1995), a cura di M. de las Nieves Muñiz & F. Amella, Barcelona, Universitat de Barcelona; Firenze, Cesati, pp. 93-112.
Mortara Garavelli, Bice (2003), Prontuario di punteggiatura, Roma - Bari, Laterza.
Parkes, Malcolm B. (1992), Pause and effect. An introduction to the history of punctuation in the West, Aldershot, Scholar Press.
Schiaffini, Alfredo (1935), Punteggiatura, in Enciclopedia Italiana di scienze, lettere, ed arti, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1929-1937, 35 voll., vol. 28º, ad vocem.
Serianni, Luca (2001), Sul punto e virgola nell’italiano contemporaneo, «Studi linguistici italiani» 27, 2, pp. 248-255.