PUNTO
. Nell'uso comune si chiama "punto" (materiale) un corpicciolo di piccole dimensioni, per es. un sassolino o un granello di sabbia. Ma il matematico conferisce alla parola un senso nuovo e in qualche modo paradossale, quando parla del "punto geometrico" privo affatto di dimensioni o di parti. E il fisico, dal canto suo, deve sottomettere la nozione del "punto materiale" a un'analisi approfondita, per rendersi conto delle condizioni più precise che consentono di descrivere il moto di un corpicciolo, subordinandole allo schema matematico del "moto di un punto geometrico".
1. Nella lingua dei geometri greci l'acquisto della nozione matematica del punto è contrassegnato dall'adozione del termine σημεῖον (segno), al posto di στιγμή (puntura), che viene adoperato dai più antichi. Si può ritenere con fondamento che il nuovo concetto del punto (e insieme il concetto razionale della linea "senza larghezza" o della superficie "senza spessore") si affacci attraverso la polemica della scuola d'Elea (Parmenide, Zenone, sec. V a. C.) contro i primi Pitagorici, che ritenevano il punto-monade come una particella elementare della materia, e facevano le linee, le superficie, ecc., composte di punti. Pare che l'errore contenuto in queste dottrine pitagoriche si sia rivelato dapprima, indirettamente, con la scoperta delle grandezze incommensurabili, fatta entro la scuola stessa (v. incommensurabile). Invero, se il punto viene preso, ad es., come elemento della linea, sicché la linea venga pensata come una serie di punti estesi, si cade nella veduta che esso debba essere a un tempo qualcosa di finito e di infinitamente piccolo, o - come si dice nella terminologia moderna risalente ad Aristotele - un infinitesimo attuale. Le conseguenze assurde di questo modo di pensare sono sviluppate nei famosi logoi sul moto, di Zenone di Elea, che - interpretati da P. Tannery - appariscono appunto come riduzioni all'assurdo della tesi pitagorica (v. infinito: L'infinito nella storia della fisica e della matematica).
Che la nuova concezione razionale degli enti geometrici spiegata da Zenone appartenga già al suo maestro Parmenide, viene sostenuto da F. Enriques, il quale ritiene di poter scoprire accenni in questo senso nei frammenti del fondatore della scuola, e d'altra parte richiama l'attenzione sul commento di Proclo alla definizione del punto secondo Euclide ("il punto è ciò che non ha parti": "questa definizione è conforme al criterio di Parmenide, per cui le definizioni negative convengono ai principî").
Comunque, le notizie storiche che precedono indicano che il concetto del punto geometrico fu raggiunto in Grecia attraverso un'evoluzione d'idee che appartiene al sec. V a. C. e che segna l'avvento del razionalismo matematico. In pari tempo esso importa una revisione critica dei principî, che apre la prospettiva dell'infinito (v. infinito).
2. Passiamo ora dalla geometria alla meccanica e alla fisica per chiederci sotto quali condizioni sia lecito di raffigurare e trattare un corpo come un punto materiale. Rileviamo anzitutto che la risposta del senso comune che "si può ritenere come punto ogni corpo di dimensioni sufficientemente piccole", non ha un significato preciso, perché il grande e il piccolo esprimono soltanto qualcosa di relativo. Così accade che nella dinamica celeste sia lecito riguardare come punti il Sole e i pianeti, laddove nello studio di una macchina non si potrebbero assumere senz'altro come punti i pezzi, tanto più piccoli, che la compongono. È chiaro che l'adozione dello schema geometrico del punto per rappresentare un corpo qualsiasi porta sempre un certo errore o, se si vuole, una certa approssimazione e conviene nei singoli casi apprezzare l'errore che si commette in confronto ai dati che costituiscono gli elementi del problema. Nel caso della dinamica celeste le dimensioni del Sole o di un pianeta sono piccole rispetto alle loro mutue distanze e alle orbite dei loro moti; invece un pezzo di una macchina è generalmente assai grande rispetto alla macchina stessa. Ma il giudizio sul piccolo e sul grande non si può fare così ad occhio; e d'altronde non è nemmeno il solo elemento di cui occorra tenere conto quando si voglia assumere il punto come rappresentazione di un corpo. Il primo fondamento di questa rappresentazione è il teorema del moto del baricentro (v. dinamica, n. 16) per cui "per ogni corpo comunque sollecitato da forze, esiste un punto - il suo baricentro - che si muove come se vi fosse concentrata tutta la massa del corpo e su di esso agisse la resultante di tutte le forze esterne".
Ma nella dinamica celeste si ha anche qualcosa di più. E la cosa è tanto più istruttiva, quanto più lunghe sono state le esitazioni di Newton, che, a quanto pare, appunto per tali difficoltà si è astenuto lunghi anni dal pubblicare la sua scoperta della legge della gravitazione universale (v. gravitazione). Si domandava Newton: se la materia agisce per attrazione a distanza, da particella a particella, sarà lecito ritenere l'attrazione emanante da un qualsiasi corpo celeste, come se provenisse da un punto unico, centro del corpo? E un'analisi approfondita della questione gli ha mostrato che ciò è lecito in un ordine di approssimazione che dipende da due elementi, cioè dal rapporto delle dimensioni del corpo con la distanza dei corpi attratti (quanto più codesto rapporto è piccolo tanto più è lecito prescindere dalla forma della massa attraente ritenendola concentrata in un punto); e dall'avvicinarsi del corpo attraente alla forma sferica (la sfera omogenea, o a strati omogenei, agisce sui punti esterni come se la sua massa fosse condensata nel suo centro).
In modo generale le condizioni perché un corpo qualsiasi, rispetto a un certo ordine di fenomeni fisici, possa essere ritenuto come un "punto materiale" dipendono: a) dalla piccolezza delle sue dimensioni, in confronto con le distanze che entrano in considerazione; b) dalla isotropia dei fenomeni rispetto al corpo-punto; il che vuol dire che le azioni esercitate dal corpo medesimo, o connesse ad esso, debbono essere distribuite nello spazio ambiente, simmetricamente rispetto alle direzioni uscenti dal punto. Così, per esempio, un frammento di specchio, per quanto piccolo, non può mai essere riguardato come un punto, rispetto ai fenomeni luminosi, perché la direzione normale alla superficie dello specchi è privilegiata in ordine alla riflessione della luce.
3. Le considerazioni che precedono valgono nella scala delle grandezze sensibili e anche per quelle che oltrepassano i nostri sensi (grandezze astronomiche). Induttivamente si è portati a pensare che l'approssimazione del corpo col punto debba accostarsi sempre più alla verità per i corpuscoli piccolissimi (salva sempre la condizione di isotropia). Ma la recente evoluzione della fisica dell'atomo ha suscitato, in questo campo, una sorpresa. Per gl'ipotetici corpuscoli elementari di dimensione infraatomica (elettroni, fotoni, ecc.) nascono infatti difficoltà impreviste, quali hanno trovato la loro espressione nel principio d'indeterminazione di W. Heisenberg. Secondo questo principio la determinazione della posizione e della velocità d'un corpuscolo, in un dato istante, non si può fare simultaneamente con esattezza; c'è un errore probabile che ha, per questi due elementi, carattere complementare, in modo che il prodotto degli errori probabili viene misurato dalla nota costante di Planck. Così le determinazioni sperimentali di codesti elementi, lungi dal presentarci una serie di approssimazioni indefinite, incontrano un limite teorico, che non può essere superato.
Questo principio ha dato luogo alle più larghe discussioni filosofiche, essendo interpretato da alcuni come un limite al determinismo che forma il presupposto della scienza razionale. Ma i pensatori che tengono fede al criterio razionalistico interpretano la scoperta di Heisenberg nel senso che viene additato dallo sviluppo della teoria ondulatoria della materia (cui si legano i fenomeni di diffrazione, ecc.): il principio d'indeterminazione segna un limite teorico alla possibilità di rappresentare gli ultimi costituenti della materia siccome punti, o - se si vuole - alla teoria corpuscolare della materia. Così, per esempio, quando parliamo di un elettrone che gira attorno al nucleo di un atomo, evochiamo una rappresentazione imperfetta; in un ordine di determinazioni sperimentali abbastanza approssimato non si può dire che cosa sia precisamente questo elettrone, e ogni tentativo di coglierlo come un punto che occupi una certa posizione e si muova, in ogni istante, con una certa velocità, attorno al nucleo, ci mette davanti a delle impossibilità. Si potrebbe forse ottenere una rappresentazione più adeguata della realtà, figurando l'elettrone stesso come una specie di anello circondante il nucleo, ove abbiano luogo fenomeni ondosi di natura sconosciuta.
Bibl.: Per l'evoluzione storica del concetto del punto nella geometria: F. Enriques, L'evoluzione delle idee geometriche nel pensiero greco: punto, linea e superficie, in Questioni riguardanti le matematiche elementari, I, Bologna 1923. Per il concetto del punto materiale, oltre i trattati citati nelle bibliografie di dinamica; meccanica: F. Enriques, Problemi della scienza, 2ª ed., Bologna 126, capitolo 5°, n. 12. Sulle ultime questioni relative alla possibilità d'una rappresentazione corpuscolare della materia, v. onde.