PURGATORIO
Il concetto di p. quale 'luogo intermedio dell'aldilà' costituisce il punto di arrivo di un lungo processo di sviluppo delle idee, delle credenze e delle pratiche relative alla sorte dell'anima immediatamente dopo la morte.È un concetto per il quale, benché sia privo di base scritturale, si fa appello ad alcuni passi biblici (2 Mac. 12, 39-46; Mt. 12, 31; 1 Cor. 3, 11-15), nonché alla consuetudine di pregare per i morti al fine di alleviarne la condizione nell'oltretomba. Alcuni Padri della Chiesa ritengono che tra il giudizio particolare e il giudizio universale esista la possibilità per alcuni peccatori di essere salvati grazie a una purificazione attraverso il fuoco e all'ausilio dei suffragi dei viventi.La 'nascita' del p. quale luogo di espiazione nell'aldilà venne preceduta dalla comparsa di una categoria di peccatori 'medi' (mediocres), che non sono destinati all'inferno, ma che non sono nemmeno degni del paradiso, come pure dall'affermarsi del concetto di peccati leggeri o minori, che condusse alla categoria dei peccati veniali (dal lat. venia 'perdono') o degni di perdono.È probabile che l'idea di p. trovasse la sua definizione negli ultimi decenni del sec. 12° a Parigi, a contatto della nascente Scolastica e del pensiero cistercense (Le Goff, 1981). Uno dei primi a utilizzare il termine purgatorium per designare un luogo dell'aldilà dove gli eletti sono mondati dai peccati minori, prima di entrare in paradiso, fu verosimilmente Pietro Comestore (m. nel 1179), cancelliere della Chiesa di Parigi (Sermones, LXXXV; PL, CLXXI, coll. 739-741; Schneyer, 1972, p. 641; Le Goff, 1981, pp. 210-213). Le prime definizioni pontificie del p. comparvero all'epoca delle controversie con la Chiesa greca, come attestano una lettera indirizzata nel 1254 da papa Innocenzo IV (1243-1254) al cardinale Oddone di Châteauroux, nella quale chiedeva l'approvazione dei Greci alla sua definizione del p., e una lettera di papa Gregorio X (1271-1276), ripresa come professione di fede dall'imperatore d'Oriente Michele VIII Paleologo (1258-1282) in vista dell'unione tra Latini e Greci, pubblicata come allegato alla costituzione Cum sacrosanta del secondo concilio di Lione (1274; Michel, 1936, coll. 1248-1250; Le Goff, 1981, pp. 379-383).Il passaggio attraverso il fuoco, presente nei Salmi - in particolare Sal. 17 (16), 3, e Sal. 66 (65), 10-12 -, e la sua esegesi, in cui il fuoco viene menzionato quale strumento di prova e/o come mezzo di purificazione, poterono costituire uno dei punti di partenza per l'elaborazione di un'immagine del purgatorio. In particolare, la duplice purificazione attraverso il fuoco e l'acqua di Sal. 66 (65), in relazione alla liturgia funeraria, costituì un tema portante per gli inizi di questa immagine, come mostrano alcune miniature anteriori al 1050 nel Salterio di Bury St Edmunds (Roma, BAV, Reg. lat. 12, cc. 71v72r; Harris, 1960) e prima del 1123 nel Salterio di St Albans (Hildesheim, St. Godehardskirche, 1169, c. 195r; Pächt, Dodwell, Wormald, 1960).Le prime immagini del p. propriamente detto sembrano comparire nella seconda metà del sec. 13° nell'illustrazione di manoscritti liturgici e di connessi testi devozionali: per es. gli Angeli che liberano le anime in una iniziale di un Liber de igne purgatorii attribuito a s. Agostino, testo inserito di seguito a un salterio in un codice del 1250-1255 ca. (Londra, BL, Add. Ms 15749, c. 34v; Morgan, 1988). L'iconografia del p. era tuttavia piuttosto incerta e per molto tempo la duplice purificazione occupò un ruolo di rilievo, come mostrano le immagini del Salterio Cuerden, del 1270 ca. (New York, Pierp. Morgan Lib., M.756, c. 132r; Morgan, 1988), di un graduale del 1290 ca. (Gubbio, Arch. di Stato, Fondo S. Domenico C, c. 104v; Castelfranco, 1928-1929) e i bassorilievi della cappella assiale di Notre-Dame de Bethléem nella cattedrale di Narbona, del 1360 ca. (Le grand retable de Narbonne, 1990).Questa iconografia però, erede di una rappresentazione arcaica delle pene, se non addirittura di alcuni racconti di visioni o di viaggi nell'aldilà, tese a contrarsi mano a mano che il fuoco divenne l'elemento dominante di un p. più chiaramente definito. Nei manoscritti reali francesi della fine del sec. 13° e del 14° il p. è un luogo di fuoco, come nel Breviario di Filippo il Bello, precedente al 1296 (Parigi, BN, lat. 1023, cc. 49r, 474r; Leroquais, 1934), oppure è incluso tra due ordini di fiamme, come nel Libro d'ore di Bianca di Borgogna, del secondo quarto del sec. 14° (New Haven, Yale Univ., Beinecke Lib., 390, c. 25v; Wieck, 1988; Hamel, 1989), o è rappresentato come il cratere di un vulcano, come nel Breviario di Carlo V, del 1364-1370 ca. (Parigi, BN, lat. 1052, c. 556r; Leroquais, 1934; Avril, 1981).A partire dalla fine del sec. 13° cominciarono a precisarsi i principali contesti dell'immagine del p.: quando questa non era connessa all'illustrazione dei Salmi, serviva da introduzione alla commemorazione generale dei defunti - come attestano il graduale del 1290, il Breviario di Filippo il Bello e il Breviario di Carlo V - o 'alla memoria in favore delle anime' nei suffragi, per es. nel Libro d'ore di Bianca di Borgogna; essa veniva inserita tra le immagini di preghiera, come nel Salterio Cuerden (cc. 25v, 132r), o di celebrazione della messa, per es. nel graduale del 1290 e nel Breviario di Filippo il Bello (c. 474r).Il p. compare anche puntualmente nell'illustrazione di testi visionari che narrano di viaggi nell'aldilà. Il famoso Purgatorium sancti Patricii è talvolta introdotto da una miniatura in cui è raffigurato l'ingresso del pozzo, come per es. in un'immagine contenuta in un codice trecentesco della Legenda aurea di Jacopo da Varazze (Parigi, BN, fr. 183, c. 242v). A partire dalla seconda metà del sec. 14° e durante il successivo il p. venne incluso in cicli narrativi, più o meno ampi, che illustravano la Divina Commedia di Dante (Brieger, Meiss, Singleton, 1969): l'immagine del p. in questi manoscritti è solitamente semplice e riprende elementi iconografici tradizionali; quando l'illustrazione accompagna il testo cantica per cantica, non descrive il luogo, ma si limita a tracciare un quadro sommario per ciascun episodio. La stessa montagna del p., nei casi in cui sia presente nell'immagine, è rappresentata come un grande masso scosceso, come in un codice del 1335-1345 ca. (Firenze, Laur., Stroz. 152, c. 34r), con caverne fiammeggianti, come in un'altra Divina Commedia, del 1345 ca. (Parma, Bibl. Palatina, 3285, c. 31r), solo talvolta sistemata a gironi, come per es. in due codici, l'uno del 1400 ca. (Firenze, Bibl. Naz., B.R. 39, c. 182v) e l'altro del 1420-1430 ca. (Firenze, Laur., conv. soppr. 204, c. 95v). Un altro testo narrativo contenente immagini del p. è il Pèlerinage de l'âme, redatto nel 1355-1358, seconda parte della trilogia di Guillaume de Digulleville (Camille, 1996). L'illustrazione segue lo svolgersi della narrazione, ma l'immagine del p. è sommaria, nella maggior parte dei casi ridotta alla presenza delle fiamme, come in un codice della seconda metà del sec. 14° (Parigi, BN, fr. 12465), o, più raramente, presentata in forma di schema, per es. in un manoscritto della stessa epoca (Parigi, BN, fr. 376, c. 113r).A partire dalla metà del Trecento l'immagine del p. assunse connotazioni infernali. Si trattò di un più ampio fenomeno di 'infernalizzazione' del p., sviluppatosi principalmente nella predicazione, che si proponeva di incutere timore ai fedeli, spingendoli alla penitenza (Le Goff, 1981). Il p. come 'luogo dell'inferno' si incontra soprattutto nella letteratura didattica illustrata, in particolare nello Speculum humanae salvationis (Lutz, Perdrizet, 1907; Wilson, Wilson, 1984), come pure nel Breviaire d'amour (Fournié, 1991). Il p. veniva inserito in rappresentazioni a più registri, tra i 'quattro luoghi chiamati inferno': dei dannati, dei bambini morti senza battesimo, di coloro che subiscono le pene del p. e dei patriarchi. Rappresentato sotto forma di fiamme, gola, calderone, il p. non si differenziava molto dagli altri luoghi infernali, se non per i gesti delle anime, in particolare quello di preghiera.L'immagine di un p. simile all'inferno appare anche in alcune delle sue prime rappresentazioni monumentali: simile a un 'inferno superiore' nell'affresco del 1330 in S. Lorenzo de Arari a Orvieto (Todini, 1989), il p. assunse la forma di una montagna con sette caverne raffigurante il 'p. di s. Patrizio' in un affresco del coro dei monaci del convento di S. Marco a Todi, del 1346 (Dal Purgatorio, 1985); è uno dei settori dell'inferno nel Giudizio universale della cattedrale della Madonna della Bruna e di S. Eustachio a Matera (Muscolino, 1985), risalente alla seconda metà del sec. 14°, ed è composto da quattro luoghi, nei quali i demoni tormentano le anime, nei bassorilievi della cattedrale di Narbona.D'altra parte, l''immagine pubblica' del p. - affresco o pala che fosse - gravitava intorno al principio della mediazione a favore delle anime attraverso l'intercessione dei santi. Molto rara nel sec. 13° - come mostra un pannello dedicato a s. Michele Arcangelo, eseguito dal Maestro di Soriguerola e risalente al 1275 ca. (Vic, Mus. Arqueologic-Artistic Episcopal; Gudiol, Alcolea i Blanch, 1986) -, divenne più frequente nel Trecento, soprattutto in Italia, dove a volte appare in regioni nelle quali particolarmente attiva era la predicazione degli Ordini mendicanti. Negli affreschi italiani l'immagine del p. sembra utilizzata al fine di promuovere il culto di nuovi santi, ai quali erano attribuiti miracoli relativi alla liberazione delle anime, come il beato Filippo Benizi, nella chiesa dei Servi a Todi (1346), e s. Nicola da Tolentino, negli affreschi del 1340 ca. del Cappellone della omonima chiesa (Boskovits, 1987). L'immagine del p. serviva anche a riaffermare il culto dei santi intercessori tradizionali: la Vergine, s. Michele Arcangelo, per es. nelle pitture del 1368 della parrocchiale di S. Michele Arcangelo a Paganico (prov. Siena; Freuler, 1986), o nella chiesa di S. Maria dei Servi a Siena, alla metà del 14° secolo. S. Gregorio Magno, uno dei 'padri' del p., ne divenne naturalmente uno dei santi protettori, al pari di s. Lorenzo martire, arso su una graticola, come mostrano l'affresco di S. Lorenzo de Arari e la predella di un dossale del 1343 (Gubbio, coll. privata; Todini, 1989); talvolta i due santi sono uniti nella stessa rappresentazione, come nell'affresco del 1410 ca. di S. Lorenzo in Ponte a San Gimignano (Boskovits, 1975).Alla fine del Medioevo, quando il p. divenne delicato tema di controversie tra cattolici e protestanti, il suo immaginario assunse in ambedue i campi una connotazione polemica, riferita alla dottrina dell'intercessione e al 'potere delle chiavi'.
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