purità (puritade)
Ricorre solo nel Convivio e designa la ‛ perfezione ' di una realtà in rapporto al grado di ‛ attuazione ' della sua forma o essenza.
Il concetto di p. si collega così a quello di diafano (v.), o di trasparenza, cioè della proprietà passiva o potenziale dei corpi di essere diversamente penetrabili alla luce, che quella potenza realizza in atto. Con quest'accezione dottrinaria, D., attingendo o traducendo da Alberto Magno (Intell. et intellig. II III 2), usa p. in Cv III VII, allorquando chiarisce in che modo gli esseri partecipano in vario grado alla bontà che discende da Dio, mediante l'esempio dei corpi che sono più o meno visibili perché sono più o meno diafani: certi [corpi] sono tanto vincenti ne la purità del diafano, che divengono sì raggianti, che vincono l'armonia de l'occhio, e non si lasciano vedere sanza fatica del viso, sì come sono li specchi (§ 4). Sia in D. sia nella sua fonte (" Quaedam autem sunt ita vincentia in puritate diaphani... quod vincunt harmoniam oculi, et videri sine magna difficultate non possunt "), p. indica ‛ l'ottima disposizione ' (in quanto attua ‛ perfettamente ' la sua natura di diafano) degli specchi a ricevere la luce. Valore filosofico il termine ha anche al § 5, dove - sempre nell'ambito del paragone già ricordato - viene adoperato con riferimento alla ‛ perfezione ' delle Intelligenze celesti, in quanto sostanze separate dalla materia: la bontà di Dio è ricevuta altrimenti da le sustanze separate, cioè da li Angeli, che sono sanza grossezza di materia, quasi diafani per la purità de la loro forma, e altrimenti da l'anima umana.
Gli altri due esempi ricorrono in IV XXI, in connessione con l'enunciazione della dottrina della generazione umana e dell'origine dell'intelletto possibile. Poiché il processo generativo avviene per l'azione concomitante della virtù dell'anima del generante, o virtù formativa, dell'influsso celeste e dell'unione tra i quattro elementi, e poiché la complessione del seme può essere più o meno buona, e così la disposizione del seminante e quella del cielo, incontra che de l'umano seme e di queste vertudi più pura [e men pura] anima si produce; e, secondo la sua puritade, discende in essa la vertude intellettuale possibile che detta è [§ 7] ... E s'elli avviene che, per la puritade de l'anima ricevente, la intellettuale vertude sia bene astratta e assoluta da ogni ombra corporea, la divina bontade in lei multiplica (§ 8). Anche in questi esempi p. indica il grado di ‛ perfezione ' o ‛ attazione ' dell'anima sensitiva (cfr. B. Nardi, L'origine dell'anima umana secondo D., in Studi di filosofia medievale, Roma 1960, 43); la maggiore o minore p. di essa fa sì che l'intelletto partecipi in maggiore o minore misura della bontà divina che in esso imprime i germi del sapere.