PURO
. Aggettivo largamente usato nella terminologia filosofica, specie dall'età di Kant in poi. Già nel sec. XVII il termine era stato usato dagli gnoseologi per designare l'attività di una funzione conoscitiva, in quanto si presentava del tutto indipendente dalle altre: così Cartesio aveva parlato di pura mathesis, Leibniz di pure raison, Wolff di reiner Verstand ("intelletto puro" in quanto immune da conoscenza sensibile), Hume di pure experience (esperienza libera da presupposti intellettualistici). Kant diede al concetto un contenuto assai più profondo, designando col termine di "puro" ciò che altrimenti determinò anche come "apriori" o come "trascendentale", e cioè le condizioni universali e necessarie di ogni attività conoscitiva, in contrasto col contingente contenuto empirico di essa. "Intuizione pura" fu quindi la forma trascendentale (spazio e tempo) di ogni intuizione empirica; "concetto puro dell'intelletto" la categoria operante la sintesi delle intuizioni nel giudizio; "ragion pura" il sistema universale dello spirito (tanto come "ragion pura teoretica" o "ragion pura" quanto come "ragion pura pratica" o "ragion pratica") considerato come forma necessaria di ogni sua possibile concreta esperienza, conoscitiva e attiva. Che Kant desse all'apriori anche il nome di "puro" era del resto facilmente comprensibile, in quanto pensava che le forme trascendentali si fondessero poi, nella sintesi, col materiale empirico proveniente dalla cosa in sé. Nell'idealismo postkantiano, il termine "puro" ha serbato in genere il significato alludente al carattere di universalità e necessità del trascendentale.