purusartha
Termine sanscr. («scopo dell’uomo») che indica gli obiettivi o valori della vita umana. Nell’ortodossia brahmanica generalmente si considera che tali obiettivi siano quattro: moralità (dharma), prosperità materiale (artha), gratificazione o soddisfazione di un desiderio (kāma) e salvezza (mokṣa). I quattro p. sono generalmente organizzati concettualmente in un gruppo di tre (trivarga) con la salvezza classificata e discussa separatamente da questi e talvolta, in opere più antiche, omessa del tutto. Lo schema del trivarga è ricorrente, per es., nell’epica del Mahābhārata. A ognuno di questi tre p. viene generalmente collegato un genere letterario; le opere più note sono l’Arthaśāstra di Kauṭilya, il Kāmasūtra di Vātsyāyana e il Manavadharmaśāstra attribuito al saggio Manu. Per quanto riguarda la salvezza sono rilevanti tutte le parti soteriologiche di opere filosofiche e teologiche. Il dharma indica, in quanto p., gli obblighi relativi a un dato periodo di vita di un individuo in quanto membro della comunità nell’ambito della sua classe e stato sociale. Ognuno di questi stati e classi ha un suo caratteristico dharma, codificato in testi come il Manavadharmaśāstra. Il dharma è solitamente inteso come regola di condotta anche nella ricerca di artha e kāma. Il secondo p., artha, è riferito in principio a ogni tipo di possesso materiale o successo mondano, a prescindere dall’uso morale o immorale che se ne possa fare, anche se in testi a orientamento religioso è circoscritto ai mezzi necessari alla pratica di doveri religiosi, sociali e morali. Kāma è la soddisfazione del desiderio edonistico, in particolare amoroso, o il piacere derivante da tale soddisfazione. Se il desiderio per la salvezza possa essere rubricato come kāma è oggetto di discussione da parte di alcune tradizioni. Per quanto riguarda la salvezza, infatti, è importante il concetto di azione senza desiderio che per molti autori e in testi trasversalmente riconosciuti come la Bhagavadgītā viene indicata come l’unico tipo di azione con efficacia soteriologica. Il desiderio è necessario per intraprendere l’azione, ma è indispensabile che tale azione sia priva di desiderio per condurre alla salvezza. L’apparente paradosso è generalmente risolto distinguendo il desiderio per la salvezza dal desiderio per dharma, artha e kāma. Ma il desiderio per la salvezza è secondo alcuni autori teisti ugualmente un ostacolo, perché intrinsecamente egoista e quindi sostanzialmente non distinguibile da altri desideri pur apparentemente più bassi. La salvezza, infatti, è un’interruzione del ciclo di azioni e reazioni, mentre un’azione scaturita da un desiderio è destinata ad avere una reazione. La questione non è meramente dottrinale, ma ha invece una ricaduta sulla prassi in quanto detta l’attitudine meditativa dell’adepto. Sureśvara, un diretto discepolo di Śaṅkara, nella sua Naiṣkarmyasiddhi («Prova dell’assenza di azione»), esamina alcune possibili soluzioni pratiche, tra cui la ricerca della pura conoscenza della realtà ultima e la ricerca della conoscenza combinata all’attività rituale e morale come alternative all’azione e al desiderio che la muove. In chiave prettamente teistica, Rāmānuja considera il summum bonum come l’attitudine di servizio nei confronti di Dio, provocata unicamente da abbandono a Lui. Nella tradizione di Caitanya, in particolare negli scritti di Jīva Gosvāmin (➔ Vedānta), un totalmente altruistico amore per Dio è definito come «quinto p.» ed è considerato l’unico genuino obiettivo spirituale della vita umana. Secondo B.K. Matilal, un aspetto significativo dello schema dei quattro p. è la giustapposizione su un medesimo livello di dharma, artha, kāma e mokṣa, che ridimensiona in qualche modo l’aura di religiosità e misticismo con cui viene spesso avvolto lo stereotipo odierno dell’induismo.