PYTHAGORAS (Pitagora Reggino)
Scultore greco, nativo di Samo, ma vissuto a Reggio (Rhègion), in Magna Grecia, tanto che gli antichi lo chiamarono "Reggino": sopra una base di statua, trovata a Olimpia, egli indicò la sua patria d'origine. Si può credere che avesse circa trent'anni verso il 480 a. C., data dell'opera più antica che di lui si ricordi: profughi samî giunsero in Italia nel 496, accolti da Anassilao tiranno di Reggio, e tra essi doveva essere Pitagora. Plinio (Nat. Hist., XXXIV, 59), tratto in inganno dalla duplicità dell'etnico, credette all'esistenza di due artisti omonimi: quello "di Samo" avrebbe cominciato come pittore, e nello stesso errore cadde Diogene Laerzio (VIII, 46). A Reggio P. imparò la scultura da Clearco. Conosciamo le sue opere solamente attraverso la tradizione scritta: tutte quelle ricordate erano in bronzo. La celebrità del maestro si può intendere dalle commissioni ch'egli ricevette, per il santuario d'Olimpia, da vincitori dei giuocni panellenici di regioni molto lontane: Pausania ricorda Sicelioti, Italioti, Cirenei, Arcadi e Tebani. E con le date degli atleti olimpionici si stabilisce la cronologia dell'artista.
Astilo da Crotone vinse allo stadio e alla "doppia corsa" per quattro olimpiadi di seguito, 488, 84, 80, 76: la statua (Paus., VI, 13, 1; base firmata rinvenuta in luogo) fu dedicata dopo la terza vittoria. Di Eutimo da Locri d'Italia, pugilatore (Paus., VI, 6, 4; Plinio, Nat. Hist., VII, 152), risultano vittorie negli anni 484,76, 72. Mnasea di Cirene (Paus., VI, 13, 7) vinse alla corsa armata nel 456: è probabilmente il "Libio adolescente" menzionato da Plinio (Nat. Hist., XXXIV, 59). Leontisco da Messana (Paus., VI, 4, 3) ebbe il premio nella lotta nel 456 e nel 452. Per il figlio di Mnasea, Cratistene, P. eseguì una quadriga (Paus., VI, 18, 1): sul carro, accanto alla figura del vincitore, era quella di Nike; si crede che la gara ippica sia del 448. Contemporanea si può credere la statua d'un pancraziasta collocata a Delfi, che, come opera d'arte, avrebbe superato quella di Leontisco, secondo l'affermazione riferita da Plinio (Nat. Hist., XXXV, 59). Ignoriamo le date per altre figure di olimpionici: Protolao da Mantinea, vincitore del pugilato dei fanciulli, e Dromeo da Stinfalo (Paus., VI, 7, 10) due volte premiato alla corsa. Un'altra statua iconica era quella del cantore Cleone figlio di Pitea, effigiato come citaredo, a Tebe.
Si ricordano di P. parecchie statue di eroi, ma senza notizie circa le circostanze della dedicazione. A Taranto, la famosa Europa sul toro esisteva ai tempi di Cicerone (In Verrem, IV, 60, 135; Varr., De lingua latina, V, 31; Taziano, Contra Graecos, 53). Filottete si può credere che fosse il "ferito zoppicante", il quale, secondo Plinio, si vedeva a Siracusa. Non sappiamo dove sia stato posto un Perseo, ricordato retoricamente da Dione Crisostomo (Orat., XVII, 10), e il gruppo di Eteocle e Polinice, rappresentati nel mortale duello, che Taziano cita come "monumento di malvagità". Qualcuno ha voluto ricollegare al ciclo tebano i "sette nudi" che Plinio (Nat. Hist., XXXIV, 59), attribuendoli al secondo P., ricorda come esistenti nel tempio della "Fortuna di questo giorno", insieme con una statua di vecchio, ma la cosa è incerta. Un "altro nudo che reca delle mele", ricordato dal medesimo autore, potrebbe essere stato Milanione o Ippomene.
L'unico simulacro divino di P. è quello di Apollo che uccide il Pitone, secondo la leggenda delfica: Plinio lo menziona senza dire ove fosse. Sopra monete crotoniati, circa del 400 a. C., si vedono le due figure ai lati del tripode: può darsi che l'opera fosse colà.
Apprezzamenti della critica greca sull'arte di P. son riferiti da Plinio: egli sarebbe stato il primo a curare con realismo certi particolari anatomici, "nervi e vene", e, nel modellare le chiome, avrebbe superato Mirone, che ripeteva convenzioni arcaiche, come l'avrebbe superato con la figura del pancraziasta di Delfi. Secondo Diogene Laerzio, P. avrebbe per il primo ricercato il ritmo e le proporzioni delle parti in rapporto all'insieme: giudizio, questo, molto indeterninato e discutibile, perché tali elementi si riscontrano già nell'arte greca anteriore al maestro. Per quanto possiamo intravedere nella tradizione, P. fu uno dei poderosi novatori che avviarono la scultura alla soluzione dei problemi di forma, per raggiungere il "grande stile" del sec. V: egli realizzò nelle statue temi di movimento e d'espressione (Fratelli tebani, Filottete), quali nell'età arcaica solamente la pittura o il rilievo avevano tentato. Gli studiosi moderni hanno cercato d'identificare opere del maestro in copie marmoree d'età romana, costruendo parecchie ipotesi ingegnose, ma senza raggiungere risultati attendibili. L'attribuzione a P. dell'"auriga" di Delfi è pure assai opinabile. E. Langlotz ha preso come termine di riferimento una figurina d'atleta, trovata presso Adernò, ben rispondente per cronologia, e ha raggruppato una piccola serie con criterio stilistico e geografico: scuola di Pitagora. Tale probabilità non è da spregiare.
Bibl.: M. Bieber, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, XXVII, Lipsia 1933, p. 481 segg.