PYTHON
2°. - Ceramografo pestano la cui firma è conosciuta da un solo vaso, un cratere a campana trovato nel 1793 a Sant'Agata, ora al British Museum. Su un lato è rappresentata una scena dionisiaca, del tipo consueto (cioè divisa in due registri) e frequentissima sia in P. che in Assteas (v.). Il soggetto raffigurato sulla faccia principale del vaso è invece molto raro nella ceramica: si trova un'altra volta solo su un'anfora campana. Il mito è quello noto di Alcmena che invoca Zeus perché la salvi dall'ira di Anfitrione; e Zeus, dopo aver scosso la terra col tuono, invia le Iadi, cariche di pioggia, a spegnere il fuoco del rogo su cui sta per essere bruciata Alcmena. Il difficile problema del rendimento grafico della scena è stato risolto da P. dando alle Iadi l'aspetto di due fanciulle che versano l'acqua da due grosse idrie, mentre uno sfolgorante arcobaleno appare sullo sfondo. I varî momenti del dramma sono stati riassunti e compressi, per necessità figurative, in una sola scena: cosicché appaiono le Iadi che versano l'acqua sul rogo prima che il fuoco sia stato acceso.
Fra gli altri numerosisimi vasi non firmati attribuiti a P., si possono ricordare; fra i pezzi più notevoli: 1) una idria del British Museum, vicinissima per stile al cratere di Alcmena e certo opera della stessa mano e dello stesso periodo, che presenta una scena di interpretazione difficile e assai discussa, riferibile però, data l'iscrizione del nome Agrios, ad un episodio del mito di Oineus (v.) e Agrios. 2) Il cratere del British Museum con Oreste a Delfi, uno dei vasi più celebri di tutta la produzione pestana. La scena presenta: al centro il tripode delfico; di fronte l'omphalòs, su cui è inginocchiato Oreste, con una spada nella destra e due giavellotti nella sinistra. A sinistra Atena; a destra Apollo con la lyra, accanto ad un albero di alloro ai cui rami sono appese bende e tavolette votive. Due Furie alate affiancano Oreste. L'intera figurazione sembra essere nettamente sotto l'influenza del dramma, benché non possa essere riferita a nessuna scena specifica dell'Oresteia. 3) Cratere del Vaticano con simposio e scena dionisiaca, di particolare importanza, perché illustra un certo numero delle caratteristiche tipiche di tutto il più tardo repertorio di P. (la maschera fliacica, il tipo della menade ecc.). 4) Il cosiddetto vaso di Cadmo, al Louvre, che è certo opera di P., ma si rivela come uno dei più vicini alla maniera di Assteas. La collaborazione fra i due ceramografi risulta strettissima; l'identità di forma dei vasi e le forti somiglianze di stile, rendono talvolta ardua la distinzione, e non soltanto nella produzione meno significativa: per esempio il famoso cratere di Oreste (n. 1, 2), anche se dai più è considerato opera di P., da non pochi studiosi è stato attribuito ad Assteas. I due artisti adottano analoghi schemi compositivi, e talvolta anche soggetti molto simili. Più accentuata è forse in P. la predilezione per le scene dionisiache, soprattutto quelle con gruppi di due sole figure, sui vasi minori. Caratteristica distintiva di P. è l'uso, come motivo decorativo, di un tralcio bianco di edera, spesso intervallato da nastri rossi. Il rendimento del drappeggio, pesante come in Assteas, risulta in P. anche più elaborato. Nel disegno vero e proprio, invece, gli elementi di differenziazione sono maggiori, soprattutto nel rendimento delle teste. Le somiglianze diventeranno poi così accentuate negli allievi, che non sarà più possibile distinguere una mano dall'altra e individuare l'influenza dell'uno o dell'altro dei due maestri.
La massa della produzione più corrente di P. è costituita quasi esclusivamente da crateri a calice, con gruppi di due personaggi; si tratta di figurazioni sempre uguali, con tipi standardizzati, suscettibili perciò di una organica classificazione in cinque gruppi: 1) gruppo del sileno; 2) del papposileno; 3) dei vasi fliacici; 4) gruppo della menade; 5) gruppo del giovane Dioniso.
L'opera di P., come quella di Assteas, si può dividere in due periodi, uno di formazione, durante il quale l'artista produce i suoi vasi migliori, e un secondo periodo, nel quale si nota un rapido declino nella qualità artistica della pittura, poca originalità nel disegno e scarsa fantasia compositiva. Durante il primo periodo l'influenza di Assteas è assai forte; via via essa diminuisce e P. resta con un numero di "tipi" di sua creazione, che ripete con una monotonia esasperante su un vaso dopo l'altro.
La produzione di P. appartiene nella maggior parte ai primi anni dell'ultimo terzo del IV sec. a. C. L'assenza di mutamenti indicativi nel suo stile suggerisce un periodo di attività piuttosto limitato: iniziata non molto dopo il 340 non dovrebbe essersi protratta che fino al 320 o poco dopo, dal momento che non c'è traccia nella sua produzione dell'influenza del largo cratere àpulo a volute, che diveniva molto popolare ed imitato proprio in quegli anni.
Bibl.: L. Séchan, Études sur la tragédie grecque dans ses rapports avec la céramique, Parigi 1926, pp. 100, n. 3; 242; 536; 572, n. 6; 574; 605; 606; A. D. Trendall, Paestan Pottery, Londra 1936, pp. 56 ss.; 119 ss., tavv. XV-XXIV; J. D. Beazley, A Paestan Vase, in Am. Journ. Arch., XLVIII, 1944, p. 357 ss.; A. D. Trendall, Paestan Pottery - A Supplement, in Pap. Brit. School Rome, XX, 1952, p. i ss.; A. Rumpf, Mal. u. Zeich., Handb. d. Archaeologie, VI, Monaco 1953, p. 140; A. D. Trendall, Vasi antichi dipinti del Vaticano, I, Roma 1953, p. 24 s.
(S. De Marinis)