QABBĀLĀH (Cabala [pr. cabàla] o Cabbala)
H Parola ebraica che significa propriamente "ricezione", e che si applica in genere a indicare il ricevimento che una generazione fa della tradizione trasmessa da un'altra. In particolare la parola si usa antonomasticamente per indicare il complesso delle dottrine esoteriche e mistiche ebraiche concernenti Dio e l'universo, dottrine che i loro seguaci affermano essere state rivelate da tempo antichissimo a un ristretto numero di persone e poi tramandate di generazione in generazione nella cerchia degl'iniziati. Il nome qabbālāh in questo senso si usa in ebraico a partire dal 1200 d. C. circa, ed è entrato nell'uso delle varie lingue moderne.
Storia. - È impossibile dire quando la Qabbālāh abbia principio: è probabile che tendenze, dallo sviluppo delle quali hanno origine alcuni degli elementi che concorrono a formarla, si siano manifestate fino dai tempi più antichi, e vi è infatti chi crede trovarne le tracce fino nei testi della letteratura biblica. Accenni più chiari all'esistenza di circoli mistici e a ricerche e a dottrine analoghe a quelle che divennero poi caratteristiche della Qabbālāh si hanno nella letteratura deuterocanonica e apocrifa (specialmente nelle redazioni etiopica e slava del Libro di Enoch, nei Testamenti dei Patriarchi, e in varî testi apocalittici), nonché nelle interpretazioni allegoriche della scuola giudaica alessandrina che fa capo a Filone. Presso le sette giudaiche degli esseni e dei terapeuti, l'esistenza delle quali è documentata per i tempi intorno a quelli dell'origine del cristianesimo, si trovano alcune dottrine e pratiche che presentano qualche analogia con le cabbalistiche. Anche le dottrine gnostiche e neoplatoniche, diffusesi tra gli Ebrei fin dai primi secoli dell'era volgare, contribuirono alla formazione della Qabbālāh.
Ricerche cosmogoniche e mistiche nel senso che divenne poi caratteristico della Qabbālāh sono esplicitamente menzionate nella letteratura talmudica dei primi secoli dell'era volgare, col nome rispettivamente di ma‛ăsēh bĕrēshīt (opera della creazione, cosmogonia) e di ma‛ăsēh merkābāh (opera del carro, interpretazione mistica della visione di Ezechiele); le ricerche su tali argomenti, secondo i maestri dell'età talmudica, non dovevano essere divulgate, ma solo trasmesse come dottrina segreta a pochi eletti forniti di particolari doti morali che li rendessero idonei a ciò. Alcuni dei Tannaiti e degli Amorei, specialmente palestinesi, sono noti come cultori di studî mistici, e qualche saggio di questi studî è fornito dalla letteratura talmudica e midrashica.
In un successivo periodo secoli V-XI) il centro del misticismo ebraico pare spostarsi dalla Palestina alla Babilonia: agl'influssi gnostici e neoplatonici si aggiungono quelli cristiani, islamici, neopitagorici, e l'iniziazione si fa dipendere, oltre che da criterî morali, anche da criterî fisiognomici; comincia ad assumere importanza la preghiera mistica, e in conseguenza di ciò si ha una fioritura di testi liturgici mistici che hanno per centro la qĕdushshāh (trishagion, Isaia, VII, 3). Il primo mistico di questo gruppo di cui è noto il nome è Abū Ahărōn di Baghdād, immigrato in Italia nel sec. IX. La letteratura mistica di questo periodo è per lo più pseudo-epigrafica; come autori o trasmettitori di dottrine appaiono alcuni dei più noti Tannaiti, che sono rappresentati come riceventi la dottrina mistica dagli angeli durante pellegrinaggi delle loro anime attraverso i sette Palazzi (ebr. hēkālōt) che corrispondono ai "sette cieli" o ai "sette pianeti". I trattati composti in questo periodo in Palestina e in Babilonia, di cui un buon numero ci è noto, abbracciano i varî rami delle dottrine cabbalistiche (mistica, cosmogonica, teurgica). Almeno a partire dal secolo IX il movimento mistico si manifesta anche in Italia, in Spagna, in Francia; dall'Italia viene trapiantato in Germania, per opera della famiglia dei Kalonimidi.
Tra i documenti di questo periodo è da ricordare in modo speciale il Sēfer Yĕṣīrāh (Libro della creazione), attribuito al patriarca Abramo, e composto probabilmente fra il secoli III e VI d. C. Esso espone, in modo assai oscuro, una teoria mistica cosmogonica monoteistica, influenzata da elementi neopitagorici e gnostici, secondo cui il mondo avrebbe origine dalle dieci Sĕfīrōt (numeri; vedi appresso) di emanazione divina e dalle 22 lettere dell'alfabeto. Mentre questo libro non appare informato a principî antirabbinici, altri trattati composti nell'età dei Gĕ'ōnīm, specialmente in Persia e Babilonia, hanno decisamente carattere settario antirabbinico.
Il misticismo, che, come abbiamo visto, venne introdotto nei paesi germanici, esercitò in questi grande influenza sulla vita ebraica. Tra le più notevoli particolarità di questo ramo del misticismo ebraico, che ha carattere eclettico, è da notarsi la formulazione di regole precise e minute per guidare alla penitenza: specialmente notevole in questo campo è l'opera di El‛āsār b. Yĕhūdāh di Worms (m. nel 1238).
Tra i varî documenti di questo misticismo tedesco (o hasidismo, dall'ebr. ḥāsīd "pio") è da ricordare il Sēfer ḥăsīdīm (Libro dei pii), raccolta messa insieme nel sec. XIII e giunta a noi in due redazioni (edizioni Bologna 1538 e Berlino 1891).
Nell'Europa occidentale, dove notevoli centri cabbalistici si formarono in Provenza, Francia e Spagna, ebbero notevole importanza per lo sviluppo della Qabbālāh i filosofi ebrei da Saadyāh in poi, e i pseudoepigrafi neoplatonici di origine araba, che furono assai studiati dai cabbalisti. Nei secoli XII-XIII si ha un'abbondante letteratura di opere sistematiche, commenti, scritti polemici, omiletici, ecc. Tra i principali autori ricorderemo Abrāhām b. Dāwīd di Posquières (m. 1199), suo figlio Isacco detto il Cieco; Mōsheh b. Naḥmān; Shĕlōmōh b. Adret di Barcellona (m. 1310); Abrāhām Abūl-‛Āfiya, suo discepolo, Yōsēf ibn Chiquitilla (2ª metà del sec. XIII); Yisḥāq ibn Lātīf (fine del sec. XIII), che tenta un sistema d'adattamento fra Qabbālāh e filosofia.
Intorno a quest'epoca ebbe probabilmente la sua redazione finale il libro che divenne l'opera classica fondamentale della Qabbālāh, il Sēfer ha-zōhar (Libro dello splendore). Questo, attribuito al Tannaita Shim‛ōn ben Yōḥāy e composto probabilmente intorno alla metà del sec. XIII con utilizzazione di fonti più antiche, espone in forma di commento al Pentateuco, di cui si propone di svelare il senso intimo e recondito, le dottrine cabbalistiche principali intorno alle forze primordiali, da cui trae origine il mondo, e alla sorte e alla funzione dell'uomo. Il libro venne divulgato verso il 1280 da Mōsheh b. Shēm Tōb da León: questi ebbe probabilmente parte alla redazione finale di esso, ma difficilmente ne è l'autore, come alcuni ritengono.
Il sec. XIV è abbondante di produzioni cabbalistiche dovute specialmente alla scuola del Ben Adret e del Naḥmanide: si compongono supercommenti a questo per illustrarne le parti cabbalistiche, opere sistematiche e antologie. In Italia Mĕnaḥem da Recanati scrive un commento cabbalistico al Pentateuco.
Il sec. XV segna un periodo di sosta e di raccoglimento: l'espulsione degli Ebrei dalla penisola iberica alla fine del secolo determina una grande diffusione degli studî cabbalistici nei paesi dove gli espulsi trovarono rifugio. Notevole lo sviluppo del centro palestinese di Ṣafed, esistente fin dalla prima metà del sec. XIV. In alcuni luoghi, specialmente in Palestina e in Italia, il misticismo assume tendenze apocalittiche, con le quali si connettono dei movimenti messianici, quali quelli di Dāwīd Rĕ'ūbēnī e Shĕlōmōh Molko. Notevole il fatto che anche i più notevoli studiosi di hălākāh risentono le influenze cabbalistiche: da ricordarsi fra altri il notissimo Yōsēf Caro.
Nel sec. XVI due importantissimi autori diedero nuovo impulso e impronte profonde agli studî cabbalistici: Mōsheh Cordovero (1522-1570) e Yiṣḥāq Luria (1534-1572). Il primo è notevole per avere trattato sistematicamente molti argomenti cabbalistici. Il secondo è anche autore di nuove concezioni mistiche, di una nuova terminologia e di nuovi simbolismi. La concezione mistica del Luria, assai ricca di elementi messianici, ebbe grande diffusione, e ad essa si ispirarono alcune grandi opere divenute popolari, fra cui le Shĕnē lūḥōt ha-bĕrīt (Le due tavole del patto) di Y. Horowitz (m. 1630) e la Ḥemdat Yāmīm di autore anonimo vissuto a Gerusalemme verso la fine del sec. XVII. Le influenze della Qabbālāh secondo le concezioni del Luria si sentirono anche nella liturgia. Non mancarono però coloro che cercarono di opporsi all'invadenza cabbalistica. Tra gli oppositori è da ricordarsi in Italia Leon Modena.
Anche il movimento messianico di Shabbĕtāy Ṣĕwī è in parte sotto l'influenza delle concezioni mistiche del Luria: il passaggio di Shabbĕtāy all'islamismo e il conseguente formarsi di sette mistiche che escono fuori dal giudaismo ufficiale, avvicinandosi al cristianesimo e all'islamismo, contribuirono a far perdere terreno al misticismo cabbalistico.
Come più recente propaggine del misticismo cabbalistico può considerarsi il movimento hasidico (misticismo popolare), sorto in Polonia verso la metà del sec. XVIII e tuttora vivo.
In genere si può dire che il movimento cabbalistico ha agito sul giudaismo rabbinico, spingendolo verso una concezione più intima e profonda dell'insegnamento tradizionale, con la tendenza a fare della Tōrāh la legge dell'universo, e di Dio il regolatore della creazione e dell'universo.
Dottrina. - La Qabbālāh è un complesso di dottrine mistiche cosmologiche angelologiche e magiche. Fin dal sec. XIII si distingue una Qabbālāh teorica o speculativa da una pratica e teurgica.
Non mancano però insigni cabbalisti che considerano la Qabbālāh pratica e la magia cabbalistica come estranee alla vera Qabbālāh. In particolare, certe forme di magia sono per lo più dichiarate in teoria proibite dai cabbalisti; ma il divieto non fu sempre osservato, e specialmente nelle forme popolari della Qabbālāh non sono rare la necromanzia, l'esorcizzazione, la composizione di amuleti, come pure la chiromanzia e l'alchimia. Si tratta però in genere, più che di vere e proprie manifestazioni cabbalistiche, di adattamenti alla Qabbālāh di elementi estranei.
Dio. - La dottrina cabbalistica concepisce la divinità in due modi distinti: di per sé stessa o in rapporto con la creazione. Quanto alla divinità per sé stessa, che viene spesso designata come Ēn-Sōf (l'infinito) o Sĕtīmā' dī-kol sĕtīmīn (il mistero dei misteri), la Qabbālāh professa in genere un completo agnosticismo, ammettendo che essa è inaccessibile allo spirito umano e non può essere oggetto di meditazione: solo dal carattere finito e limitato degli esseri esistenti e dai fenomeni si deduce la causa prima infinita. È invece accessibile allo spirito umano la manifestazione della divinità nel creato. Il processo con cui questa manifestazione si svolge è in teoria concepito da un punto di vista soggettivo, cioè come esso appare alle creature; come oggettivamente si sia svolto il passaggio dall'infinito al finito, mentre l'infinito mantiene la sua perfetta unità, sfugge alla mente umana. In pratica però i cabbalisti appaiono spesso descrivere, parlando della creazione, una realtà oggettiva.
Il mondo. - Il mondo è creato dal "nulla": questo però non è indipendente da Dio creatore; ma è la sua prima estrinsecazione. Dio si manifesta come creatore per mezzo delle Sĕfīrōt, che appaiono come delle forze che sono manifestazioni ed emanazioni di Dio. Nello sviluppo più tardo della Qabbālāh le Sĕfīrōt sono concepite come intermediarie fra Dio e il creato: in origine esse sono forze divine, in cui l'assoluto si manifesta e si estrinseca. Esse non sono pensate come costituenti una gerarchia, in modo che l'una derivi dall'altra, ma come tutte ugualmente vicine alla loro fonte primitiva, e congiungentisi fra di loro in mistici connubî, concepiti talvolta come rapporti sessuali.
Varie e spesso contrastanti sono le idee dei cabbalisti quanto alla natura delle Sĕfīrōt e alla questione della loro identità con Dio. Presso i più antichi cabbalisti prevale l'idea che esse siano sostanzialmente identiche con la Divinità e ne siano come degli aspetti e degli attributi; secondo altri esse sono organi dell'attività divina, emanati da questa, mezzi di cui si serve la divinità; mentre alcuni stabiliscono una grandissima distanza fra l'Ēn-Sōf e la prima Sĕfīrāh, altri identificano questa con quello.
Il processo dell'emanazione delle Sĕfīrōt è in genere concepito come fuori del tempo, e come tale da non produrre alcuna modificazione in Dio, che rimane sempre identico a sé stesso: l'emanazione delle Sĕfīrōt è come l'attuazione della potenza creativa di Dio, che rimane quella che è, indipendentemente dallo sviluppo di questa attuazione.
Le Sĕfīrōt sono: 1. Keter (corona); 2. Ḥokmāh (sapienza); 3. Bīnāh (intelligenza); 4. Ḥesed (bontà) o Gĕdullāh (grandezza); 5. Gĕbūrāh (forza) o Dīn (diritto); 6. Tif'eret (gloria) o Raḥămīm (misericordia); 7. Neṣaḥ (vittoria o eternità); 8. Hōd (decoro); 9. Ṣedeq (giustizia) o Yĕsōd [‛Aṭōlām] (base [del mondo]); 10. Malkūt (regno) o ‛Aṭeret (corona). A ciascuna di esse si fa corrispondere un nome o un attributo divino, e i rapporti fra di loro sono spesso rappresentati graficamente, attribuendo al complesso figura umana o di albero.
Secondo una concezione cabbalistica abbastanza diffusa, la vita del mondo è divisa in periodi di 7000 anni ciascuno: nei primi 6 millennî di ogni periodo (Shĕmiṭṭāh, plur. Shemiṭṭōt) il mondo è sotto il dominio di una delle 7 ultime Sĕfīrōt; nel 7° millennio esso torna al caos; le forze attive non agiscono, e il mondo si rinnova poi sotto il dominio della Sĕfīrāh successiva a quella che aveva dominato nel periodo precedente e così di seguito. Dopo 7 Shĕmiṭṭōt (49.000 anni) si ha il giubileo del mondo: questo ritorna al nulla, poi segue una nuova creazione e così di seguito. Il processo però non dura all'infinito: dopo un certo numero di giubilei il mondo ha termine. In generale si ritiene che l'attuale periodo sia sotto la 5ª Sĕfīrāh, o che sia l'ultima Shĕmiṭṭāh di un periodo giubilare. Chi vive in una Shĕmiṭṭāh non può sapere nulla di ciò che avviene nelle altre. La rivelazione divina è uguale in tutti i cicli, ma diverso è il modo come le creature la concepiscono.
Il problema del male. - Le teorie cabbalistiche si occupano anche del problema del male: secondo alcuni, questo non ha una realtà obiettiva. ma consiste nella deficienza con cui le creature ricevono l'influsso delle forze provenienti dalle Sĕfīrōt. Secondo altri il male è dovuto a un eccesso della forza giudicatrice e punitrice (Middat ha-dīn) sicché essa viene ad essere priva della necessaria connessione con la grazia (Middat hāraḥămīm). Altri ancora pensano che il male sia il prodotto di residui di materia di mondi preesistenti o da involucri materiali (Qĕlippōt) privi del loro contenuto spirituale e divino.
Angeli. - L'esistenza di esseri intermedî fra Dio e l'uomo è ammessa in genere dai cabbalisti. Tra questi esseri occupa un posto preminente Mĕṭaṭrōn, detto anche Sar ha-pānīm (principe della presenza) o Sar hā‛ōlām (principe del mondo). Egli è come il luogotenente di Dio, del quale rappresenta l'aspetto che si manifesta attivamente nell'universo. Esiste fin dai primordî del mondo ed è talvolta identificato con Enoch rapito in cielo (Genesi, V, 24).
Altro intermediario è la Sapienza, identificata col verbo divino (Logos): è lo strumento di cui si serve Dio, l'energia divina che opera nel mondo.
I cabbalisti conoscono poi una quantità di angeli, ciascuno dei quali ha un nome particolare, generalmente composto con -El (Dio). Così Mīkā'ēl, Gabrī'el, Rāzī'ēl, ecc., a ciascuno dei quali sono assegnate particolari funzioni. Gli angeli rappresentano spesso ipostasi di attributi divini.
La divinità è non di rado descritta dai cabbalisti antropomorficamente; le varie parti del corpo attribuito alla divinità corrispondono spesso anch'esse ad attributi divini.
Shĕkīnāh è la divinità immanente, in quanto risiede fra gli uomini, in opposizione alla divinità trascendente, fuori del mondo. Essa risiede in mezzo ad Israele, e solo il peccato può allontanarla: l'opera di uomini particolarmente degni contribuisce a farla stare fra gli uomini e ricondurla fra questi dopo che se ne sia allontanata.
Panteismo. - La concezione cabbalistica dei rapporti fra Dio e mondo appare, presso alcuni dei suoi espositori, come una concezione panteistica; altri sono in opposizione a questa concezione, in quanto pensano l'emanazione come di forza e non di sostanza, e si figurano quindi Dio come anima dell'universo, ma non identico con questo, o, se pure ammettono che Dio risieda nelle sue creature, non pensano che esso non si trovi fuori di esse: Dio abbraccia in sé il creato, ma non si esaurisce in questo.
L'uomo. - L'uomo è la più perfetta delle creature, e domina il creato, come Dio domina l'universo. Egli costituisce un mondo intero (microcosmo) ed è il regolatore dell'organismo universale: le sue azioni si ripercuotono su tutto il creato e determinano il mantenimento o la distruzione dell'unità cosmica.
Prima del peccato, Adamo non aveva un corpo materiale, ma solo un involucro di luce; le conseguenze del peccato non si sentono solo in lui, ma in tutto il mondo, che ne viene corrotto. Il peccato causa separazione di quello che dovrebbe essere unito, perché turba i rapporti fra uomo e Dio, fra le Sĕfīrōt tra di loro, e fra queste e la Shĕkīnāh. Il mondo sarà poi liberato dagli effetti del peccato per opera del Messia. Vi è qui qualche analogia col dogma cristiano del peccato originale, con la differenza però che secondo i cabbalisti non vi è mezzo di redenzione per uomini singoli prima della redenzione messianica collettiva.
L'anima. - L'anima in genere ha tre gradi: nefesh (forza vitale, anima vegetativa e animale); rūaḥ (principio spirituale, sede della capacità di distinguere fra il bene e il male); nĕshāmāh (sostanza immortale, capace solo del bene); nelle concezioni più tarde appaiono altri due gradi superiori: ḥayyāh e yĕḥīdāh. Le anime sono in genere concepite come emanazioni dall'una o dall'altra delle Sĕfīrōt. Ciascuna di esse è costituita da un elemento maschile e da uno femminile: i due elementi si congiungono sì da costituire un'unità per mezzo del matrimonio. Alcune anime sono costituite da elementi di santità, altre da elementi impuri: le prime si trovano in Israele, sicché la comunità di Israele costituisce il complesso delle anime sante. Le anime hanno, nelle sfere superiori, una esistenza reale prima della nascita dell'uomo, nel corpo del quale ciascuna di esse avrà sede; dopo la morte di esso, giungono, attraverso una specie di purgatorio, in un paradiso terreno e poi nel paradiso superiore. La resurrezione, i suoi modi, il giudizio delle anime, la loro condizione dopo la morte sono presentati in modi assai diversi dai diversi autori e dalle diverse scuole. Alcune di queste appaiono fortemente influenzate anche da idee cristiane e islamiche.
Metempsicosi. - I cabbalisti ammettono, in genere, la metempsicosi. Talvolta questa appare come la forma normale per la punizione e la purificazione delle anime dei peccatori, altre volte come punizione per certi speciali peccati (specialmente per quelli contro la morale sessuale); altre volte rappresenta lo stato dell'anima prima di quello dell'espiazione e delle pene infernali. Non mancano opinioni secondo le quali la trasmigrazione di anime umane può aver luogo in quelle di animali o di esseri demoniaci. Si parla anche di anime risultanti dalla fusione di due o più anime, ciascuna delle quali aveva già avuto una vita precedente.
Tra le varie teorie cabbalistiche riguardanti la metempsicosi è particolarmente degna di menzione una, assai complicata, secondo la quale le anime di tutti gli uomini, di tutte le età, si sarebbero trovate in Adamo, che avrebbe pure possedute delle altre anime cadute in seguito al peccato. Le anime rimaste sono suddivise in 613 gruppi (secondo il numero dei precetti della Legge divina), ciascuno di questi in altri 613, e ciascuno di questi in un certo numero di "scintille"; ogni scintilla ha 5 anime (nefesh, rūaḥ, nĕshāmāh, ḥayyāh, yĕḥīdāh). Ogni anima individuale è costituita da una di queste 5 0 da una scintilla: scopo della vita è contribuire a ricostituire l'unità dell'anima dell'uomo primordiale nelle sue 613 parti, il che si ottiene con l'obbedienza ai 613 precetti divini. Quello che non si raggiunge in una vita, va raggiunto in una successiva, e così la trasmigrazione dell'anima dura fino a che il processo non sia compiuto. Per punizione l'anima può venire abbassata fino a dover risiedere in corpi appartenenti al regno minerale; il processo di trasmigrazione viene allora interrotto e l'anima finisce per andare nel Gēhinnōm (Geenna).
Anche la resurrezione dell'età messianica è, secondo alcune teorie, messa in rapporto con la metempsicosi; le anime ritornano in corpi puri che riacquistano la loro primitiva costituzione immateriale; in tutto il creato avviene un processo di spiritualizzazione analogo a quello che si manifesta nell'uomo.
Preghiera. - I cabbalisti, come tutti i mistici, dànno grande importanza alla preghiera come mezzo di elevazione e di avvicinamento dell'uomo a Dio. Il problema teologico intorno alla modificazione che la preghiera è capace di produrre nella volontà divina è dai cabbalisti risolto con la teoria della kawwānāh (intenzione). La preghiera, mediante il nome di Dio, pronunziato con le kawwānōt (intenzioni) dovute, ha l'effetto magico di restaurare l'ordine cosmico sconvolto, e viene quindi a modificare in bene il corso degli avvenimenti.
Posizione del cabbalismo nel giudaismo. - I seguaci delle dottrine e delle pratiche cabbalistiche costituiscono un gruppo in seno al giudaismo ufficiale, il quale - nonostante l'opposizione di molti suoi rappresentanti alla Qabbālāh - non li considera affatto come eretici, né comunque fuori iella comunità giudaica. D'altro canto, la Qabbālāh non ha esercitato alcuna influenza notevole sulla teologia e la pratica del giudaismo generale: tentativi isolati tendenti a far decidere quesiti rituali in base a criterî mistici andarono completamente falliti. La Qabbālāh esercitò invece grande influenza sulla liturgia ebraica e sugli usi popolari degli Ebrei.
Bibl.: G. Scholem, art. Kabbala, in Encyclopaedia Judaica, IX, Berlino 1932, coll. 630-732; J. Abelson, Il misticismo ebraico (La Kabbala), trad. V. Vezzani, Torino 1929. Dello Zōhar si ha una traduzione completa (ma assai imprecisa), in francese, di J. de Pauly, Parigi 1906-11. Del Sēfer Yĕṣīrāh si ha anche una traduzione italiana, di S. Savini, Lanciano s. a.