QĀNŪN (al plur. qawānīn; nelle trascrizioni francesi qanoun, kanoun, canoun)
Parola usata, fra l'altro, come nome berbero e arabo di raccolte di diritto consuetudinario, esistenti presso varie popolazioni berbere, specialmente dell'Algeria e del Marocco e costituenti piccoli codici di leggi penali, conservati e trasmessi per lo più oralmente, e qualcuno anche scritto in arabo. L'origine del nome è dal greco κανών, che, passato in latino e, dal significato di "regola", applicato in epoca tarda a indicare imposte e prestazioni, penetrò nei linguaggi berberi e fu adoperato per designare le multe che s'infliggono a chi trasgredisce determinate prescrizioni della collettività e infine le norme stesse nel loro complesso o una singola norma. Sono stati pubblicati e tradotti varî saggi di qānūn, come quelli della Cabilia, del Mzāb, e di molte popolazioni del Marocco, presso le quali ultime però il termine generalmente in uso per indicare le prescrizioni consuetudinarie è azref o izref, che significa "argento" e sembra quindi riferirsi anch'esso all'idea di pagamento. Tra i qānūn di gruppi etnici pur lontani fra di loro si nota una certa uniformità per quanto riguarda il contenuto: per lo più si tratta di pene da applicarsi ai reati contro il corpo e la vita, per il furto, per offese alla donna, per mancanza di solidarietà tra i membri di una data collettività, ecc.; ma nello stesso tempo si notano differenze nella prevalenza di questo o quel tipo di norme e nell'entità della pena, che riflettono varietà di ambiente fisico o sociale, come quello dei sedentarî agricoltori, quello di nomadi pastori, di eretici con tendenze puritane, ecc.
I qānūn rappresentano pertanto presso i Berberi "formulazione del diritto consuetudinario" e più precisamente di quella parte di esso che si ritiene necessario di fissare ed esprimere in forma di articoli; mentre molte altre disposizioni, pur esistendo e venendo tradizionalmente applicate, non entrano a far parte di questi minuscoli codici. Circa il valore storico e sociale del diritto consuetudinario berbero, è da ricordare che le popolazioni presso le quali esso è in vigore sono da gran tempo islamizzate e quindi a priori soggette alla legge canonica musulmana (la sharī‛ah) rappresentata e applicata da appositi magistrati, cioè dai cadi (qādī), e che è considerata dai credenti come di origine divina e quindi assoluta e immutabile. Per l'ortodossia musulmana la consuetudine locale può pertanto attuarsi solo in quanto non contraddice al Corano o a un ḥadīth (v.) autentico. Molti dei Berberi invece mostrano, attraverso i loro qānūn, un'organizzazione giuridica e un diritto indipendenti dalla legge canonica e talvolta diversi da essa, e di più capaci di essere modificati e di evolversi parallelamente al progredire della coscienza giuridica. Si potrebbe vedere, inoltre, nei casi in cui il qānūn, formulato in una serie di articoli, è approvato dall'assemblea del paese o del gruppo di popolazione (la famosa gemā‛ah berbera), un principio di funzione legislativa: mentre cioè in un primo stadio le varie disposizioni si formano quasi inconsciamente col ripetersi dei casi, a un certo momento si ha, sebbene in forma rudimentale, quell'atto riflesso e cosciente che caratterizza la legge e la distingue dal semplice diritto consuetudinario.
L'amministrazione francese del Marocco riconobbe, fin dal 1914 accanto alle popolazioni sottoposte alla sharī‛ah, l'esistenza di altre rette dal diritto nazionale, dette "tribus de coutume berbère".
Bibl.: E. Masqueray, Formation des cités chez les populations sédentaires de l'Algérie, Parigi 1886, pp. 50-79, 263-324; A. Hanoteau e A. Letourneux, La Kabylie et les coutumes kabiles, Parigi 1893, II, p. 138; III, pp. 327-443; M. Morand, Les Kanouns du Mzab, in Études de droit musulman algérien, Algeri 1910, pp. 419-453; Nehlil, L'azref des tribus et qsour berbères du Haut-Guir, in Archives Berbères, I (1915), fasc. 1°, pp. 77-89; fasc. 2°, pp. 88-103; fasc. 3°, pp. 107-134; Bruno, Notes sur le statut coutumier des Berbères Marocaines, in Archives Berbères, I, fasc. 3°, pp. 135-151; H. Basset, Essai sur la littérature des Berbères, Algeri 1920, pp. 83-100; H. Bruno, La justice berbère au Maroc central, in Hespéris, 1922, pp. 185-191; L. Milliot, Le Qânoûn des Mâtqâ, ibid., 1922, pp. 193-208; id., Les nouveaux Qânôun, ibid., 1926, pp. 365-418; G. Surdon, Esquisses de droit coutumier berbère marocain, Rabat 1928.