Vedi Qatar dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
Il Qatar è una delle realtà più dinamiche e in crescita al mondo. Cinquant’anni fa rappresentava un reame piccolo e semi-sconosciuto, considerato il ‘fratello povero’ delle monarchie petrolifere del Golfo. Anche se povero, in realtà, il Qatar non è mai stato: già allora vantava un reddito pro capite superiore ai 35.000 dollari. Non godeva però dello stesso fascino che circondava i sauditi e il paese pareva destinato a rimanere a lungo un satellite di Riyadh. Le cose sono cambiate da quando, poco meno di vent’anni fa, l’ex emiro Hamad Bin Khalifa al-Thani ha deciso di sostenere i progetti volti a sfruttare l’enorme giacimento di gas (risorsa energetica allora ritenuta poco conveniente) posto al largo delle coste qatariane, il più grande del mondo. Nel giro di pochi anni il Qatar è diventato il più grande esportatore al mondo di gas liquido e il suo pil è passato da 8 a 213 miliardi di dollari. Sfruttando le sue ingenti risorse finanziarie, al-Thani ha quindi avviato una trasformazione dell’immagine del paese all’estero che ha progressivamente portato ad associare il nome del Qatar al lusso, alla cultura e allo sport. L’emirato è diventato uno dei più grandi investitori del mondo, con un patrimonio detenuto dal fondo sovrano, la Qatar Investment Authority, stimato tra i 100 e i 200 miliardi di dollari. I fondi sono stati diretti su scelte di alto profi lo, da Barclays a Shell, passando per la nuova city finanziaria di Londra e per marchi come Chanel, Valentino e Porche. Amante dello sport, al-Thani si è anche lanciato in avventure sportive, acquistando le squadre calcistiche del Paris Saint Germain e del Malaga. Doha è anche riuscita a divenir nell’arco di pochi anni uno dei centri artistici più importanti del globo. Un grande ritorno di immagine, come paese promotore delle libertà civili, si è ottenuto con l’apertura del canale satellitare all-news panarabo, al-Jazeera. Dalla sua nascita, nel 1997, l’emittente televisiva ha off erto uno spazio in cui commentatori di tutto il mondo arabo potevano confrontarsi e, soprattutto nel periodo della seconda Intifada (di cui al-Jazeera ha saputo offrire un esemplare servizio di copertura informativa), è diventata il simbolo del Qatar nel mondo. Riprova delle credenziali acquisite da Doha è l’assegnazione al Qatar dell’organizzazione dei Mondiali di calcio del 2022, importante vetrina internazionale. Nel panorama internazionale, il Qatar è anche riuscito ad affermarsi per il suo attivismo diplomatico, talvolta dai contorni ambigui. Negli anni l’emirato ha tentato di fare da mediatore nei più caldi conflitti internazionali, dal Sudan all’Afghanistan passando per la Palestina. Nel 2008, Doha è stata anche sede del più importante vertice per la risoluzione della crisi politica interna al Libano e, successivamente, ha mediato nello scontro interno allo Yemen, tra le fazioni sciite e il governo centrale di Sana’a. La diplomazia qatariana si è spinta fino al continente africano, dove Doha è stata garante dei colloqui per la definizione dei confini tra l’Eritrea e il Gibuti. A fronte dell’attivismo regionale, il Qatar si struttura internamente come una monarchia assoluta, in cui il potere è concentrato nelle mani della famiglia regnante, gli al-Thani. In seguito alle dimissioni di Hamad, evento inedito nella storia delle monarchie del Golfo, dal 25 giugno 2013 è al potere il figlio Tamim bin Hamad bin Khalifa al-Thani, la cui successione era tutt’altro che scontata trattandosi del quarto figlio e non del primogenito. L’emiro esercita le funzioni di capo di stato.
Anche il primo ministro Abdullah bin Nasser al-Thani, appartiene alla famiglia regnante. Nel 2008 è stata adottata una nuova Costituzione che prevede per la prima volta l’elezione popolare di due terzi del parlamento, i cui membri sono oggi nominati dall’emiro. Le elezioni per il rinnovo dell’Assemblea consultiva – che dovrebbe contestualmente passare dagli attuali 35 membri a 45 – non si sono tuttavia ancora tenute e il parlamento continua a esercitare un’influenza del tutto marginale sulla vita del paese.
La popolazione del Qatar è limitata – poco più di due milioni di abitanti – e ha caratteristiche legate al contesto economico. Il Qatar vanta il secondo più alto tasso di crescita della popolazione al mondo (5,6%), ma non per natalità, bensì per il continuo flusso di immigrati che lavorano nei settori dell’industria degli idrocarburi e delle costruzioni. Di conseguenza, solo una minima porzione della popolazione è di nazionalità qatarina (circa il 15%). Inoltre, per effetto dell’immigrazione, che per lo più ha origine nel Sud-Est asiatico (India e Pakistan) ed è composta da lavoratori di sesso maschile, i generi non sono equamente rappresentati: solo il 24% della popolazione è composta da donne. La maggioranza della popolazione, circa il 90%, è musulmana sunnita ed esiste una piccola minoranza sciita.
Il governo del Qatar ha prestato grande attenzione allo sviluppo del sistema educativo e al miglioramento degli standard di vita e del benessere sociale. Nel 2013, il paese ha speso per il settore educativo circa il 4,1% del pil, il tasso più alto della regione, e il tasso di alfabetizzazione, che raggiunge il 96,6%, è notevolmente più alto della media regionale. Inoltre, attraverso la Qatar Foundation, guidata dalla seconda moglie dell’ex emiro, Mozah bint Nasser al-Missned, considerata tra le donne più potenti al mondo, il governo qatarino promuove diversi programmi che mirano allo sviluppo sociale, della ricerca e dell’istruzione. Il paese risulta, insieme agli Emirati Arabi Uniti, il meno corrotto in tutta l’area mediorientale, ma è sul fronte delle libertà civili e politiche che non raggiunge standard adeguati. L’assenza di un sistema di partiti rende di fatto assenti le forme di opposizione politica organizzata. Anche le libertà di stampa e di opinione risultano limitate, sebbene il Qatar ospiti e finanzi l’emittente satellitare al-Jazeera, nota in tutto il mondo per il livello di imparzialità garantito dalle sue informazioni.
Una categoria scarsamente tutelata dal diritto e quindi più a rischio è quella dei lavoratori, in particolare gli operai. La questione è stata sollevata in seguito a un articolo del quotidiano britannico The Guardian che ha riportato la notizia della morte di 44 operai nepalesi sul posto di lavoro tra il 4 giugno e l’8 agosto 2013. Molti immigrati vengono impiegati nelle grandi opere infrastrutturali, come quelle progettate in vista del mondiali del 2022. La consapevolezza del controllo cui sarà soggetto da parte dei media internazionali, ha spinto il governo a modificare alcune norme di diritto del lavoro e ad aumentare il numero degli ispettori. È prevista anche una fase di monitoraggio da parte delle Nazioni Unite.
Secondo i dati del 2014 del Fondo monetario internazionale il Qatar è il paese con il più alto pil pro capite al mondo.
L’economia del Qatar è basata sulle immense risorse petrolifere e di gas presenti nel sottosuolo. Il paese detiene le terze riserve al mondo di gas naturale dopo Russia e Iran, con una quantità stimata in circa 890.000 miliardi di metri cubi, pari a quasi il 15% di tutte le riserve mondiali. Il giacimento di North Field, in particolare, è il più grande singolo giacimento di gas naturale al mondo. La produzione di gas naturale ammonta a 159 miliardi di metri cubi l’anno, di cui 125 miliardi vengono esportati. Doha detiene inoltre riserve di petrolio per più di 25 miliardi di barili e produce 1,3 milioni di barili al giorno – di cui più di un milione è destinato all’esportazione. Si stima che, agli attuali livelli di produzione, il Qatar possa continuare a sfruttare le proprie risorse di gas per altri 300 anni e quelle di petrolio per più di 80 anni. L’industria degli idrocarburi è controllata da aziende governative: la Qatar Petroleum ha ereditato il controllo della produzione petrolifera dalla British Petroleum nel 1976 e, per ciò che concerne le risorse off-shore, dall’anglo-olandese Shell nel 1992.
Oltre a possedere tali risorse naturali, il paese ha saputo mettere in atto politiche innovative e di lungo periodo, che ne hanno determinato uno sviluppo economico costante. In particolare, il governo qatariano ha puntato molto sulla più costosa tecnologia del gas naturale liquefatto (gnl), divenendo l’attore più importante al mondo in tale campo. Più del 70% di tutte le esportazioni di gas naturale sono esportate sotto forma di gnl e ciò permette al paese di dipendere solo in piccola parte dai gasdotti.
I rapporti commerciali del Qatar si concentrano essenzialmente nell’area asiatica, soprattutto per ciò che riguarda le esportazioni (in gran parte, petrolio e gas naturale), prevalentemente dirette verso Giappone e Corea del Sud seguiti da India e Cina. Le importazioni risultano più differenziate dal punto di vista geografico, con gli Emirati Arabi Uniti e gli Stati Uniti in testa seguiti da Arabia Saudita e Regno Unito. La bilancia commerciale di Doha, per effetto delle esportazioni di idrocarburi, risulta essere costantemente in positivo e ciò permette al piccolo emirato di accumulare notevoli riserve da utilizzare nell’acquisto di asset internazionali.
Il settore industriale è cresciuto in maniera esponenziale negli ultimi anni e conta per più del 70% del pil totale, mentre i servizi si basano soprattutto sul sistema bancario. Recentemente si è registrato anche un boom nel settore delle costruzioni, in cui è impiegato circa il 40% di tutta la forza lavoro immigrata.
Il Qatar, più di altri paesi del Golfo, risulta stabile e al sicuro da minacce esterne. Date le limitate dimensioni del proprio esercito (peraltro composto per circa il 70% da immigrati), la sua sicurezza è garantita in particolar modo dalle potenze straniere, primi tra tutte gli Stati Uniti, seguiti da Regno Unito e Francia. Inoltre, a differenza di altri attori del Golfo, il Qatar non investe grandi risorse nella difesa e la sua spesa militare è la più bassa di tutta l’area.
Gli Stati Uniti hanno importanti basi militari sul territorio qatariano, come quella aerea di al-Udeid che offre la più lunga pista di cui le forze armate di Washington possano usufruire in Medio Oriente. Doha ha inoltre concesso agli Stati Uniti il permesso di utilizzare le proprie infrastrutture militari come basi logistiche per la guerra in Iraq del 2003. Il sostegno alla politica militare statunitense mette potenzialmente a rischio la sicurezza qatariana nei confronti di forze radicali islamiche, le quali tuttavia non sembrano essere attive in Qatar. L’unico evento a tale proposito è costituito da un attentato suicida avvenuto nella capitale Doha nel 2005, che provocò una vittima. Da quel momento il governo ha ulteriormente rafforzato le misure antiterroristiche e di controllo. A testimonianza dell’impegno nella risoluzione delle controversie regionali, infine, il Qatar è l’unico paese arabo ad aver inviato in Libano un contingente, sebbene simbolico, nella missione sotto l’egida delle Nazioni Unite Unifil e ha partecipato con l’invio di alcuni caccia all’intervento Nato in Libia del 2011.
Grazie alla credibilità conquistata con al-Jazeera e all’immagine di piccolo stato dall’apparenza innocua, il Qatar, sotto la guida di Hamad bin Khalifa, ha iniziato a ritagliarsi un proprio ruolo nella regione, intrecciando una fitta rete di contatti e alleanze internazionali, spesso anche in apparente contraddizione tra loro. Pur essendo un paese arabo a maggioranza sunnita, con un posto di primo piano all’interno del Consiglio di cooperazione del Golfo (Gcc), il Qatar intrattiene rapporti d’affari (finalizzati alla spartizione delle risorse energetiche in comune) con lo stato sciita dell’Iran, ultimamente ridotti per il sostegno offerto da Teheran al regime di Bashar al-Assad in Siria. Allo stesso tempo – e nonostante il congelamento delle relazioni successivo all’operazione ‘Piombo fuso’ condotta nella Striscia di Gaza – il Qatar è l’unico paese del Golfo ad aver cautamente aperto allo stato di Israele, ospitando sul proprio territorio una delegazione commerciale israeliana. Benché appena fuori dalla capitale sorga un’importante base militare per i caccia statunitensi, il Qatar ospita una delle pochissime rappresentanze diplomatiche dei talebani afghani. Con l’inizio delle Primavere arabe, il Qatar ha intensificato la sua attività diplomatica, cogliendo l’occasione per conquistarsi una posizione internazionale di maggiore rilievo. Oltre ad avere sostenuto l’intervento Nato a favore dei ribelli in Libia con l’invio di proprie forze speciali e caccia, Doha ha versato miliardi di dollari nelle casse dei gruppi politici rivoluzionari vicini alla Fratellanza musulmana in Tunisia e in Egitto ponendosi come grande sostenitore dei Fratelli musulmani in tutto il mondo arabo. In Siria ha sostenuto i gruppi a essi legati diventando, fino al 2013, il principale sponsor della ribellione contro il regime di Bashar al-Assad e lanciando una sfida diretta all’Arabia Saudita per la leadership regionale e in particolare del mondo sunnita. La caduta del presidente Morsi in Egitto ha però ribaltato la situazione permettendo a Arabia Saudita e Uae di riprendere le redini della leadership regionale attraverso il sostegno all’attuale presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi e sottraendo al Qatar la leadership dell’opposizione siriana. Nei mesi seguenti la tensione tra Doha e gli altri membri del Gcc – in primis l’Arabia Saudita – è arrivata a livelli molto alti, in particolare con il temporaneo ritiro degli ambasciatori di Arabia Saudita, Uae e Bahrain dalla capitale qatarina nel marzo 2014. Il Qatar si è attualmente attestato su una politica più moderata e meno in aperta sfida verso le altre tradizionali potenze regionali, pur conservando in gran parte l’indipendenza e l’attivismo che l’hanno caratterizzato negli ultimi decenni.