qi
Termine cinese solitamente tradotto «energia o forza vitale», oppure «energia o forza materiale» e persino pneuma. Può essere invisibile, sebbene sia esperibile solo fisicamente e nell’ambito del mutamento e del movimento del mondo reale. Ogni trasformazione e moto del corpo umano, per es., fosse anche una semplice sensazione, rivela l’azione del qi, che da forza invisibile si manifesta nella realtà della sua natura: così nel respiro o nella circolazione di qualsivoglia sostanza vitale (sangue, linfa seminale, ecc.). Il qi esprime il potere del cosmo (e pertanto di qualsiasi rappresentazione cosmologica), la forza generativa della creazione, della formazione, della trasformazione e della rigenerazione, ossia, in altri termini, di tutto ciò che esiste e vive nelle forme e negli stati visibili e invisibili. Nella sua estrema sottigliezza è lo spirito, anche umano, e quindi il divino, la cui efficacissima azione si percepisce e si avverte ovunque. Il qi è un’idea fondamentale della filosofia cinese, come è attestato sin dall’antichità. Lo Zuo zhuan («Commentario di Zuo Qiuming»), opera composta fra i secc. 5°-4° a.C. e uno dei tre commentari del Chunqiu («Annali delle Primavere e Autunni»), ha accolto e tramandato la dottrina dei sei qi, vale a dire yin, yang, vento, pioggia, oscurità e luce, che sono visibili nel succedersi delle quattro stagioni. In questo caso i qi sono poteri cosmici, ma possono anche essere forze naturali, generate dal Cielo e dalla Terra e che si manifestano come wu xing («cinque fasi»), cioè legno, fuoco, terra, metallo e acqua; come i cinque sapori, i cinque colori, i cinque suoni, ecc. Così il qi è onnipervadente e onnipresente: è, infatti, nei processi del cosmo, nei fenomeni della natura e negli stati anche più impercettibili del corpo umano. L’uomo, secondo Mencio, può applicarsi al nutrimento del qi (yangqi) e dominarlo con la volontà, orientando così la propria condotta verso la rettitudine, che è comunque un’innata disposizione morale della natura umana. Altrettanta risonanza si riscontra nello Huainanzi («Libro del maestro di Huainan», ➔), opera composta prima del 139 a.C., dove il qi è considerato l’origine del cosmo e la forza inesauribile e inesausta di ogni sorta di mutamento e di trasformazione. Tutto nella natura non è altro che la materializzazione del qi, come – d’altra parte – ogni mutamento inerisce in ultimo alla profonda natura mutevole dello stesso qi. Zhang Zai, pensatore confuciano dell’11° sec., eleva il qi a sommo principio cosmico, che, derivato dalla suprema vacuità (taixu), in modo alterno si addensa nei fenomeni percepibili e si disintegra invisibilmente. Nella stessa epoca alcuni altri pensatori della rinascenza confuciana, e in ispecie Cheng Yi e Zhu Xi, giunsero a un’idea del qi intimamente connessa e non separabile da quella del li («principio»), sebbene considerassero il qi una forza produttiva che il li (e solo esso) dirige verso l’ordine e la forma. Pur affermando il li come assoluto principio metafisico, Lu Xiangshan (1139-93) e Wang Yangming (➔) ne sostennero l’immanenza, nel senso che esso esiste nel qi, la cui origine non è altra da quella del li.