quaderno
Ricorre solo due volte nella Commedia. In Pg XII 105 il quaderno e la doga, il termine allude a una frode commessa in Firenze ai tempi di D. e che ci viene raccontata da Dino Compagni (I 19); a un'altra frode allude la doga.
Scrive il Compagni che nel 1299 il trevigiano Monfiorito da Coderta, deposto dall'ufficio di podestà di Firenze per essersi lasciato indurre dai " pessimi cittadini " ad atti palesemente illegali, e messo a tortura, confessò, fra le altre sue colpe, di avere accolta una testimonianza falsa in favore di messer Niccola Acciaioli, che pertanto non era stato condannato; del che fu presa nota. Sentendo il fatto, " messer Niccola ebbe paura non si palesasse più; èbbene consiglio con messer Baldo Aguglioni, giudice sagacissimo e suo avvocato, il quale diè modo di aver gli atti dal notaio per vederli, e rasene quella parte venìa contro a messer Niccola. E dubitando il notaio degli atti avea prestati se erano tocchi, trovò il raso fatto e accusòlli ". Stando a questo racconto, confermato dai documenti (cfr. I. Del Lungo, Dino Compagni e la sua Cronica, Firenze 1879-87, II 80-81), il quaderno indicherebbe gli " atti del notaio ", da cui sarebbe stata cancellata la testimonianza riguardante l'Acciaioli; e così il termine è inteso, in genere, dagl'interpreti moderni. Dei commentatori antichi, l'Ottimo riferisce la frode dell'Acciaioli e dell'Aguglione in una versione sostanzialmente identica a quella datane dal Compagni, parafrasando il quaderno come " 'l quaderno del libro della Camera del Comune di Firenze, il qual ne trassero messer Niccola Acciaiuoli e messer Baldo d'Aguglione "; allo stesso modo spiega l'Anonimo, seguito, insieme con l'Ottimo, dal Landino, Vellutello, Venturi, Lombardi, Tommaseo e Andreoli. Diversamente, il Buti parla di un quaderno manomesso " in un libro o di mercanzia o di notaria ", mentre Benvenuto intende " quaternus... rationum ", dal quale " nondum mercatores coeperant lacerare cartam... et cancellare postam, sicut saepe fit hodie ", ma accenna anche a un " registro del comune ", da cui " fuit laceratum folium tempore autoris ". Il sostanziale accordo fra gl'interpreti più antichi, la loro versione del fatto quasi identica a quella datane dal Compagni, la presenza dei documenti che lo comprovano, ci rendono certi che D. alludesse proprio a tale registro, e che, come in altri luoghi della Commedia, si servisse di un'espressione fortemente brachilogica, perché, trattandosi di un episodio notissimo per lo scalpore che aveva suscitato, e abbastanza recente, bastava una sola parola a richiamarlo immediatamente alla memoria del lettore.
In senso figurato il termine compare in Pd XVII 37 La contingenza, che fuor del quaderno / de la vostra matera non si stende, / tutta è dipinta nel cospetto etterno: metafora da ricondurre a quel ‛ simbolismo del libro ' ampiamente documentato nella Commedia, di cui si è occupato specificamente E.R. Curtius (La Littérature européenne et le Moyen Age latin, trad. fr. Parigi 1956, 399-408).
Il significato dei vv. 37-38 ci è dato con chiarezza già dal Buti: " l'evenimento delle cose non necessitato da cagioni naturali... che non è se non nelle cose materiali: imperò che nelle formali non è contingenzia; ma necessità ". Quanto alla giustificazione della metafora, l'esegesi antica non ci dice molto, tant'è vero che il Venturi chiosava: " Non può negarsi la compassione ai commentatori, se qui o cascano o inciampano o saltano ", attribuendo questi silenzi o cadute al carattere che a lui appariva " assai stravagante ", dell'immagine usata da Dante. E, indubbiamente, il Vellutello, che, per tenersi più stretto allo spessore metaforico della frase, aveva tentato una parafrasi diversa da quella del Buti e, in genere, degli altri interpreti precedenti, era uscito completamente fuori strada: " la mente infusa nel nostro corpo ". Sarà, invece, il Cesari a illuminarci con una sua glossa, ripresa, fra i moderni, dal Vandelli: " Nomina quaderno la materia o le cose mondane, perché, a modo de' fogli di un libro, si séguitano l'una all'altra, dove in Dio non è successione, essendo egli un ‛ punto ' a cui tutti li tempi son presenti ": interpretazione che trova una sufficiente conferma nel si squaderna di Pd XXXIII 87. Anche il Torraca trova l'immagine " conveniente alle cose create, essendo Dio stesso paragonato a ‛ magno volume ' " (cfr. Pd XV 50); mentre, secondo il Porena, " l'immagine del quaderno è probabilmente suggerita dal pensiero che Dio legge nel futuro ".