QUALITÀ DELLA VITA
Il concetto di q. della v. trae la sua origine e diventa centrale soprattutto in società che non sono afflitte da problemi di sopravvivenza (fame, siccità, guerra, malattie infettive e infantili particolarmente diffuse). Ovviamente, laddove la vita stessa è in pericolo, il problema della sua qualità non si pone neppure. È dunque solamente nelle società industriali (e soprattutto in quelle avanzate) che si discute sul livello di q. della vita.
Occorre distinguere debitamente fra q. della v., livello di vita e stile di vita. La prima indica la percezione che i soggetti hanno della loro possibilità di usare al meglio le disponibilità − sia economiche che culturali in senso lato − presenti nel loro universo di riferimento e di vita quotidiana (sia feriale che festiva, con la punta più avanzata − e privilegiata − che utilizza al meglio la risorsa ''tempo'' senza dover tener conto della differenza fra tempo lavorativo e tempo festivo). Per livello di vita deve, invece, intendersi il dato empiricamente rilevabile delle risorse reali utilizzabili, dunque in una prospettiva che appare essenzialmente quantitativa più che qualitativa (com'è invece nel caso della definizione di q. della v.). Infine, lo stile di vita si riferisce alle modalità con cui si fa ricorso a una serie di beni per servirsene come supporto più o meno essenziale nel corso della propria esistenza.
Se qualche decennio fa si poneva attenzione piuttosto alle variabili quantificabili (status socio-professionale, età, residenza, reddito), ora, invece, si tiene maggiormente conto di elementi più qualitativi (grado di soddisfazione, superamento della privazione relativa e, dunque, accesso alle chances migliori, atteggiamenti, comportamenti). Felicità e benessere sono, del resto, due categorie non facilmente assoggettabili a misurazioni di sorta; esse costituiscono il punto di riferimento essenziale per la q. della v. o meglio ne costituiscono l'obiettivo principale. Ovviamente, anche la soddisfazione (proprio come la privazione) può essere relativa e quindi riduce la q. della v. qualora lo scopo prefissato non venga raggiunto in pieno.
Volendo fornire qualche indicazione empirica desunta da varie ricerche, si può dire che il reddito e l'abitazione sono due elementi di prim'ordine ai fini della valutazione della q. della v., mentre gli ambiti di applicazione investono soprattutto il livello (o tenore) di vita in generale, secondo la definizione fornita sopra, che riguarda il numero e la qualità dei beni posseduti. Abitare in città (e in un quartiere di alto livello) è in genere un indicatore di buona q. della v., se paragonato con le privazioni relative di chi soggiorna in campagna, sebbene in tempi recenti sia emersa una nuova realtà, quella della vita rurale come privilegio ambito e idealizzato, in alternativa alla residenza urbana e anzi in opposizione a essa proprio in chiave di migliore q. della vita. Ma sovente è l'uso del tempo libero a segnare la differenza più notevole fra le diverse possibilità di q. della vita. Per altro verso, lo stretto legame fra qualità del lavoro e q. della v. ha favorito, altresì, prospettive di ricerca che non vedono soluzione di continuità fra i due ambiti. Non a caso è sorta anche la nozione di qualità della vita di lavoro, a sottolineare appunto che l'attività lavorativa è parte rilevante di tutto l'ambito esistenziale, per cui l'accertamento della q. della v. deve passare necessariamente attraverso la percezione della gratificazione nel lavoro svolto.
La centralità del lavoro nelle società industrializzate porta dapprima ad affrontare l'argomento della qualità del lavoro stesso e delle sue condizioni, poi a estendere il discorso al contesto sociale più ampio, sicché si passa dal considerare la q. della v. di lavoro al discutere della q. della v. tout court. Gli sforzi tesi a migliorare la qualità dell'ambiente di lavoro in particolare e di vita in generale hanno come obiettivo l'aumento della cosiddetta ''speranza di vita'' (v. in questa Appendice), che nelle società industriali e post-industriali è già abbastanza consistente (ormai poco al di sotto degli ottant'anni).
La speranza di vita, d'altro canto, è strettamente collegata alle condizioni socio-ambientali che la favoriscono. È per questo che agli studi relativi alle relazioni industriali e all'ambiente di lavoro si sono affiancati quelli relativi al cosiddetto ''impatto ambientale'', alle categorie di età considerate marginali (bambini, giovani e anziani), alle differenze di sesso e a quelle di status socio-professionale, alle variabili strutturali tipiche di ogni stato nazionale, ai modelli di percezione dei diversi livelli di soddisfazione nella vita (life satisfaction), agli stili di vita (ways of life) e, infine, alle politiche sociali che hanno il fine di migliorare la q. della vita.
In via approssimativa si può sostenere che a fronte di un PIL abbastanza elevato altrettanto lo sarà il livello di q. della v., con stili e comportamenti adeguati alle disponibilità finanziarie presenti in un dato ambito sociale. È vero che la giustizia distributiva non viene sempre applicata in toto e dunque si possono registrare differenze anche notevoli fra appartenenti a un medesimo gruppo sociale, ma questo è un problema relativo alla democrazia reale e alla gestione politica delle risorse. Anzi, proprio le richieste di miglioramento delle condizioni esistenti si fondano sulla necessità di una diversa e più fruibile q. della v., il che non è solo prerogativa dei movimenti sindacali operanti nei paesi capitalisti, ma è diventata iniziativa cosciente anche nei paesi dell'Est europeo, come pure dell'Africa, dell'Asia, del Centro e Sud America.
In effetti, una volta superata la cosiddetta linea della povertà e il livello della mera sopravvivenza (v. povertà, in questa Appendice), si affaccia il desiderio di acquisire e consumare beni già disponibili agli altri, che diventano, dunque, termine di confronto per la propria q. della vita. Si opera, così, una sorta di autocollocazione nella scala sociale basandosi sulle risorse economiche e di conseguenza sugli oggetti posseduti, sulle proprietà gestite, sul livello di vita raggiunto in termini di prodotti superflui, di lusso ostentato, di tempo libero a disposizione, di residenze secondarie, di vacanze in paesi lontani, ecc. Anche l'appartenenza a una classe sociale gioca evidentemente in chiave di differenziazione della q. della vita. In linea di massima è scontato che alle classi più privilegiate è dato usufruire di un livello di q. della v. superiore a quello goduto dalle cosiddette classi medie.
In conclusione, si può dire che la q. della v. è per un verso dipendente dalla quota di reddito che viene investita per beni non indispensabili e per un altro dalla parte di tempo a disposizione per attività non lavorative. Reddito e tempo sono dunque due fonti di q. della v.: il loro esaurirsi per sopperire a necessità impellenti impedisce di fatto la consapevolezza e la praticabilità della q. della vita.
Indicatori empirici. - Il problema della definizione degli indicatori empirici è molto importante in quanto è attraverso questi che risulta possibile valutare, in riferimento a un periodo di tempo determinato e a variabili definite, la q. della vita. Da un punto di vista generale, gli indicatori che ci dicono di più relativamente al benessere individuale e sociale sono il reddito e il tempo, nella particolare accezione di ''reddito sociale'' e ''tempo sociale''. Secondo questa prospettiva la q. della v. corrisponde alla somma tra il reddito speso per cause non necessitanti e il tempo impiegato in attività non necessitanti.
Il reddito sociale definisce la quota parte del reddito globale di un individuo, ovvero di un nucleo familiare, che rimane dalla sottrazione delle spese di prima necessità (cibo, abbigliamento, abitazione) più le spese per il riequilibrio della salute fisica; ciò che viene speso al di là di questo può essere considerato reddito sociale, vale a dire reddito speso per migliorare il proprio tenore di vita. In modo analogo il tempo sociale consiste nella quota parte del tempo globale che un individuo spende al di là del tempo impiegato per le soddisfazioni di prima necessità, vale a dire per la soddisfazione di attività fisiologiche, di lavoro, di soddisfacimento di esigenze primarie, quale cibo e abbigliamento, nonché del tempo occorrente per il riequilibrio dell'efficienza e della salute fisiche.
Accanto a questi due indicatori, fondamentali ma nondimeno generici, cioè attenti alla definizione del genere piuttosto che dei tipi di vita individuale e sociale, la ricerca sociologica contemporanea sembra più orientata alla costruzione e all'impiego di indicatori più specifici, più orientati alla rilevazione di singoli aspetti esistenziali e sociali. Da questo punto di vista, che potremmo definire microsociologico, si possono distinguere quattro grandi categorie di indicatori della q. della v.: a) indicatori economici; b) indicatori sociali; c) indicatori culturali; d) indicatori sanitari. Tra gli indicatori economici possiamo, inoltre, distinguere indicatori propriamente finanziari (per es. i depositi bancari e postali, gli sportelli bancari) e indicatori attinenti all'economia reale, quali il reddito pro capite, i consumi di benzina e gasolio per motori, le autovetture circolanti, il numero di stanze in abitazioni occupate, i consumi di energia elettrica a uso domestico, l'indice di diffusione del commercio alimentare, il numero degli apparecchi televisivi e telefonici posseduti, la lunghezza delle reti ferroviarie e autostradali, gli impieghi del prodotto interno lordo, i consumi finali delle famiglie, e così via. Per quanto importanti, ovvero strutturali, gli indicatori economici non danno un quadro sufficientemente vasto e articolato della q. della v. nelle società industrialmente avanzate. Il benessere materiale, oggi, dipende molto meno che nel passato dai redditi di mercato, dalle remunerazioni del lavoro e dalla proprietà del processo produttivo, ovvero da altre forme di acquisizione di redditi. Il welfare state, attraverso l'insieme delle sue articolate e complesse politiche sociali, ha frantumato l'equivalenza fra la situazione economica e la q. della v., la quale, pertanto, non risulta direttamente subordinata alla struttura dei redditi, non discende, in sostanza, dalle condizioni economiche, bensì da un'articolata e composita costellazione di opportunità socio-economiche che risultano disancorate, in parte, dalla mera sfera economica.
Si spiega così la necessità, da parte della ricerca sociologica, d'impiegare indicatori socio-culturali, quali per es. la diffusione dei settimanali politici, la partecipazione a spettacoli teatrali, il numero degli impianti sportivi, la disponibilità di posti in asili nido (fino a tre anni) e gli iscritti alla scuola materna (da tre a cinque anni); ovvero, come sotto-categoria dei primi, indicatori rivelatori della sicurezza socio-sanitaria, quali per es. i delitti contro la persona e il patrimonio, il numero dei posti letto in istituti di cura pubblici e privati, il numero dei medici e dei farmacisti, il numero dei morti al primo anno di vita, le principali malattie infettive, nonché il numero medio annuo dei suicidi. Vi sono, infine, indicatori generali non direttamente assimilabili a un contesto (economico, culturale, sociale, sanitario) piuttosto che a un altro, ma nondimeno rilevanti per la caratterizzazione della q. della vita. Si tratta, principalmente, di indicatori di prestazioni di lavoro e di indicatori di consumo, per es. di carni bovine e di cereali.
È evidente che appare difficile che la ricerca sociologica possa prefigurare uno studio e un modello della q. della v. fondati sul raffronto di un numero così articolato di indicatori. La scarsità dei dati e la difficoltà di reperimento, nonché, elemento non secondario, l'aggiornamento di questi, rendono ardua un'analisi della q. della v. al di là di contesti limitati, urbani e regionali.Sandro Bernardini
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