QUARTETTO ITALIANO
Il Nuovo Quartetto Italiano debuttò il 12 novembre 1945 nella Sala dei Mori al Castello Comunale di Carpi, ospite della locale, neonata stagione degli Amici della Musica. In programma musiche di Corelli (Sarabanda, Giga e Badinerie, trascrizioni dalle Sonate per violino e basso continuo op. V nn. 7, 9 e 11), il Quartetto di Debussy, il Concertino di Stravinskij, il Quartetto op. 59 n. 1 di Beethoven; fuori programma una Gavotta di Leonardo Vinci. Della formazione facevano parte Paolo Borciani ed Elisa Pegreffi, violini, Lionello Forzanti, viola, e Franco Rossi, violoncello. L’aggettivo ‘nuovo’, che cadde nel 1951, serviva a distinguerli dal Quartetto Italiano di Remy Principe, Ettore Gandini, Giuseppe Matteucci e Luigi Chiarappa, ancora in attività durante la guerra. Due giorni dopo, il 14 novembre, il Nuovo Quartetto diede un secondo concerto alla Società del Casino di Reggio nell’Emilia promosso dall’Organizzazione Giovanile Italiana di Giuseppe Dossetti.
Paolo Borciani era nato il 21 dicembre 1922 a Reggio nell’Emilia da Mario, violinista e insegnante figlio di Alberto (avvocato penalista e deputato socialista che nel 1902 aveva presentato il primo disegno di legge sul divorzio), e Nair Gorisi, possidente. Con il padre aveva cominciato a studiare violino a cinque anni, diplomandosi nel 1942 al Conservatorio di Parma dopo un decennio di lezioni private con Giannino Carpi. Aveva frequentato il liceo classico e, a Bologna, la facoltà di Giurisprudenza abbandonata dopo due esami. Si era perfezionato all’Accademia Chigiana di Siena con Arrigo Serato, allievo di Joseph Joachim.
Elisa Pegreffi era nata a Genova il 10 giugno 1922 da Roberto, violinista, pianista e compositore, e Irene Varriale. A iniziarla alla musica era stato il padre, spalla dei secondi violini al teatro Carlo Felice, dopodiché aveva studiato al Conservatorio della sua città con Antonio Abussi dal 1930 al 1940, anno del diploma. Nell’aprile 1939 aveva vinto a Trieste il concorso di violino ai Littoriali della Cultura: in premio, l’esecuzione del Concerto di Brahms al Foro Italico di Roma davanti a Mussolini. Anche lei si era perfezionata con Serato, dal 1940 al 1943 all’Accademia di Santa Cecilia.
Lionello Forzanti era nato a Venezia il 24 dicembre 1913, minore di tre sorelle, da Alvaro, tabaccaio in Campo S. Barnaba, e Cesira Brunello. Aveva cominciato a studiare la musica grazie al fratello della madre, violinista, che con Alvaro gestiva la tabaccheria in cui anche Lionello ragazzo lavorava. In seguito aveva studiato nell’allora Liceo musicale Benedetto Marcello, diplomandosi in violino, viola e composizione. Nell’estate 1943 aveva frequentato il corso di direzione d’orchestra tenuto alla Chigiana da Antonio Guarnieri. L’anno dopo aveva vinto un concorso nazionale per giovani direttori a Milano (tra i commissari Gian Francesco Malipiero, Gino Marinuzzi, Armando La Rosa Parodi): il premio consisteva in un corso di perfezionamento a Salisburgo con Clemens Krauss e un concerto alla Scala (mai tenuto, per via dei bombardamenti che devastarono il teatro). Fra il 1944 e il 1945 aveva diretto quattro programmi alla Fenice e aveva fondato l’Orchestra d’archi di Venezia.
Franco Rossi era nato a Venezia il 31 marzo 1921 da Marino ed Elvira Danella, sposata in seconde nozze. Al Liceo musicale della sua città era stato allievo di Prospero Montecchi e Luigi Silva, che poi aveva seguito al Conservatorio Luigi Cherubini di Firenze, dove si era diplomato nel 1941 terminando gli studi con Dante Serra; inoltre aveva studiato all’Accademia di Santa Cecilia con Arturo Bonucci. Prima e dopo il diploma aveva fatto esperienza in orchestra: a Torino, alla RAI di Roma, a Santa Cecilia, alla Fenice e nell’orchestra della Chigiana diretta da Antonio Guarnieri, che Rossi venerò sempre come maestro ideale.
L’origine del Quartetto Italiano risale all’estate 1942, quando all’Accademia Chigiana i quattro giovani strumentisti frequentavano il corso di musica da camera tenuto da Bonucci, che li volle mettere assieme per suonare Debussy al saggio finale. Borciani, Pegreffi e Rossi si erano conosciuti nell’aprile di due anni prima a La Spezia, dove avevano partecipato a un concorso organizzato dall’Opera Nazionale Dopolavoro, nel quale i due ragazzi avevano vinto il primo premio e Pegreffi si era piazzata seconda. Le prove di Debussy si trasformarono in evento per gli altri studenti che di sera, alla Casa dello studente, si radunavano in buon numero attorno ai quattro e ne seguivano le discussioni appassionate su ogni battuta, cosicché l’ascolto si tramutava in lezione di stile e di pratica interpretativa. Eseguito Debussy il 9 settembre, il gruppo si sciolse a causa della guerra. Forzanti e Rossi avevano da lavorare in orchestra. Borciani dovette partire militare, ma disertò dopo l’8 settembre: dapprima si rifugiò nella sua casa di campagna, presso Reggio, con il fratello Guido Alberto, pianista e futuro ingegnere, poi si unì ai partigiani cattolici di Giuseppe Dossetti, che al termine del conflitto l’avrebbe voluto questore della città. Pegreffi e i suoi si sottrassero ai bombardamenti di Genova trovando rifugio nella Bassa Padana, a Novellara, da parenti. All’indomani della Liberazione i quattro si riunirono di nuovo con l’intento di creare un quartetto stabile: il primo della storia con una donna. A fine agosto cominciarono le prove a Reggio. La sera, per guadagnare qualche soldo, sovente si univano ad altri strumentisti e cantanti battendo la provincia con spettacoli a base di arie d’opera. Le tante ore al giorno di studio comune consentirono loro di assimilare a tal punto le composizioni da eseguirle in concerto a memoria, il che era inusuale per un quartetto, dunque fece sensazione. La scelta di suonare senza parti – osservata finché il repertorio non diventò troppo esteso e gli impegni innumerevoli – non fu fatta per esibizionismo, venne naturale poiché sembrava favorire un dialogo musicale più fluido, libero, comunicativo.
Il terzo concerto, il 13 dicembre 1945 al Castello Sforzesco di Milano per la Camerata musicale, segnò il vero inizio della lunga parabola artistica del Quartetto, che nel frattempo si era legato all’agenzia di Ada Finzi, destinata a diventare la più influente d’Italia. Malgrado la sala gelata e il pubblico scarso, le recensioni furono favorevoli. L’articolo che più contribuì a promuovere il nome dei quattro fu quello di Giulio Confalonieri su Oggi del 1° gennaio 1946. L’autorevole critico li aveva ascoltati in quel recital al Castello Sforzesco e, pochi giorni dopo, in un salotto milanese, presenti anche Massimo Bontempelli, Riccardo Bacchelli e il compositore Arthur Honegger. «Che quattro giovani, che quattro giovanissimi abbiano vinto lo splendente egoismo della loro età gagliarda è già, per se stessa, una cosa ammirabile. Ma che, poi, questa decisione e questo impegno si accompagnino a tanta semplicità, rinuncino a sottolinearsi, si ristorino in una sorridente franchezza è quasi, ai giorni nostri, un prodigio», scrisse. «Percorrendo la via della scrittura, approfondendo l’intimità della materia sonora, i quattro ragazzi pervenivano a resuscitare le anime dei creatori e a far sì che, sotto i nostri occhi, rinascesse l’eternità della loro storia umana, quell’atto di liberazione suprema ch’è il dar vita a un’immagine pura». E Borciani gli pareva «un Peter Pan appena appena baffuto, orgoglioso di far strada ai compagni verso l’impero delle fate» (Borciani, 2002, pp. 138 s.). Cominciò così la fortunata parabola professionale del Quartetto Italiano, durata trentacinque anni.
Nel 1946 i quattro tennero quasi cinquanta concerti, a partire da Brescia il 27 gennaio; per la prima volta anche oltralpe, alla Radio di Lugano (25 maggio) e alla Tonhalle di Zurigo. L’8 marzo suonarono a Roma, da vincitori del Concorso per concertisti bandito dall’Accademia di Santa Cecilia: tra i giurati, anche Alfredo Casella, Goffredo Petrassi, Franco Ferrara, Gioconda De Vito, Guido Agosti, Renato Fasano, Massimo Amfiteatrof. Il 9 giugno inaugurarono il primo cartellone degli Amici della musica di Perugia. Quell’anno parteciparono pure al Concorso internazionale di Ginevra, ma furono costretti a ritirarsi prima della finale poiché Forzanti venne preso da una forte febbre; vinse il Quartetto Végh. Inoltre, a Milano, lavorarono sulla loro prima registrazione discografica: quattro 78 giri Durium con il Quartetto di Debussy e la Gavotta di Vinci.
A fine 1946 Forzanti decise di abbandonare i compagni per dedicarsi al sogno a lungo accarezzato di dirigere. Perciò si trasferì in America Latina, dove per un errore di trascrizione fu chiamato Forzante. Vi lavorò per oltre un decennio: direttore stabile al Teatro Argentino de La Plata, dell’Orchestra sinfonica di Córdoba e di quella da camera di Radio PRA-2 a Rio de Janeiro, prima viola dell’Orchestra Sinfonica Nazionale di Buenos Aires, dell’Orchestra Sinfonica Brasiliana e del Teatro Municipal di Rio (dove costituì anche il Quarteto do Teatro Municipal, primo violino Mariuccia Iacovino), in Messico dell’Orchestra Sinfonica di Xalapa e dell’Orchestra National; nel 1962 diede vita per breve tempo al Trio Italiano de México con Renato Biffoli, violino, e Paolo Salvi, violoncello. Negli Stati Uniti fu prima viola nelle orchestre di New Orleans, Cincinnati, Hartford e Dallas (dove fu anche direttore assistente), membro dello Hartt String Quartet e del Chamber Piano Quartet of Cincinnati. E sempre insegnò in università e conservatori. Nel 1979 fu scritturato per dirigere alla Fenice un concerto con Giuliano Carmignola violino solista. Si sposò due volte: nel 1950 con Licia Trost, da cui ebbe Rossana e Adriana, nel 1971 con Odina Spanio, da cui l’anno prima aveva avuto Flavio. Morì a Manhattan Beach, California, il 6 dicembre 2009: dieci anni prima aveva deciso di abbandonare il lavoro, ma nel 2004 aveva ripreso a suonare nelle file della Beach Cities Symphony Orchestra.
Al posto di Forzanti, nel Quartetto entrò Piero Farulli, che già avrebbe dovuto occupare quel leggio; solo che all’atto della fondazione gli amici non l’avevano potuto rintracciare dato che non era ancora tornato a casa dalla guerra. Farulli era nato a Firenze il 13 gennaio 1920 da Lioniero, ciabattino, e Marietta Innocenti, bidella, che avevano avuto altri sei figli, tra cui il pittore Fernando (Firenze, 5 luglio 1923 - 7 febbraio 1997). Ebbe la possibilità di studiare la musica grazie alla generosità di Ida Beni, proprietaria di un emporio in viale Don Minzoni, dove faceva il ragazzo di bottega. A quindici anni fu ammesso, da violinista, al Conservatorio Cherubini nella classe di Gioacchino Maglioni, di scuola belga, la cui impostazione dell’arco Farulli tramandò ai propri allievi. Suoi compagni di studi erano stati Piero Bellugi, Roberto Michelucci e Sylvano Bussotti. Come maestro di pianoforte complementare aveva avuto Luigi Dallapiccola, di musica da camera Dante Serra. Nel 1940 si era diplomato in violino, l’anno dopo in viola, ed era stato subito assunto dal teatro Comunale come viola di fila. Chiamato sotto le armi nel febbraio 1942, venne spedito in Sicilia, trovando sistemazione nell’orchestra del teatro Massimo. La notte tra il 9 e il 10 luglio 1943 aveva assistito allo sbarco degli Alleati legato dai superiori a un palo in aperta campagna, per punizione. Risalendo l’Italia con la sua compagnia, aveva poi trovato impiego al Petruzzelli di Bari, dove gli occupanti inglesi avevano messo su un’orchestra: vi aveva conosciuto la violinista Antonia Parisi, che il 5 settembre 1945 divenne sua moglie. Tornato a Firenze, al principio del 1946 era di nuovo in servizio al Comunale, da cui si dimise l’anno successivo.
Il Quartetto Italiano, nella formazione con Farulli, cominciò a studiare dai primi giorni del 1947. Il debutto avvenne l’8 febbraio a Mantova con l’op. 59 n. 3 di Beethoven, l’op. 64 n. 6 di Haydn e il Quartetto n. 6 di Bartók. Alla preparazione dei programmi, ore e ore di prove intransigenti e talvolta burrascose, Borciani e Pegreffi si avvicinavano con intelligenza musicale puntigliosa, limpida, mentre Farulli e Rossi tendevano a un approccio più istintivo, sanguigno (ciò che poi caratterizzò anche la loro attività didattica). «Noi avevamo delle abitudini un poco dispendiose, perché, molte volte, su due battute restavamo a discutere per delle ore. Qualche volta ci sembrava di perdere del tempo, ma poi ritrovavamo questa tensione intellettuale nelle nostre esecuzioni: forse, era proprio questo il segreto di certe profondità interpretative», dichiarò in seguito la Pegreffi (Courir, 1990, pp. 42 s.). A guidarne le letture era una concezione del far musica come missione, la scultorea campitura formale, la nobiltà del cantabile, l’incalzante tensione ritmica sostenuta dal virtuosismo dei singoli e dalla salda omogeneità dell’insieme. Farulli: «Eravamo attenti alla lezione di Toscanini, allora: rigore, essenzialità, rispetto assoluto del segno scritto, tempi velocissimi. Per noi la precisione esecutiva aveva una grandissima importanza. L’intonazione era una religione» (Gasponi, 1999, p. 28). E questo, senza che i quattro imbracciassero strumenti dal nome altisonante: Borciani si servì, nel tempo, di diversi violini, tra cui un Gioffredo Cappa di fine Seicento, un Gabrielli, settecentesco, e un Vuillaume della seconda metà dell’Ottocento; Pegreffi suonava un De Comble, fiammingo, datato 1756, Farulli una viola moderna creata a Firenze da Igino Sderci, Rossi dapprima un Capicchioni donatogli dal conte Guido Chigi Saracini, poi, a lungo, un Rocca, e negli ultimi tempi di attività del Quartetto il presunto Maggini in seguito divenuto proprietà di Mario Brunello.
Crebbe il numero dei concerti, in sedi sempre più illustri e con lunghe tournée all’estero. Furono 58 date nel 1947, 63 nel 1948, 105 nel 1949 (tappe più significative: BBC in Gran Bretagna, Wiener Konzerthaus-Gesellschaft, Salle Gaveau di Parigi con quattordici chiamate alla ribalta e tre bis, Concertgebouw ad Amsterdam, Spagna, Danimarca, Norvegia, Svezia, Cecoslovacchia, Egitto, Germania) e attorno al centinaio restarono per molte stagioni. Nel 1947 il Quartetto sottoscrisse un contratto con Decca, cui rimase fedele fin quando, nel 1952, i tecnici della casa discografica non montarono per errore un ritornello di troppo nel Minuetto dell’op. 59 n. 3 di Beethoven. Nel 1953 passarono alla Columbia e, dopo un quinquennio senza più incidere, nel 1965 a Concert Hall e, immediatamente poi, a Philips. Sempre nel 1947 eseguirono alle Engadiner Konzertwochen, d’estate, il Quintetto K 581 di Mozart (con il clarinettista Antoine de Bavier), che poi portarono a lungo in giro per l’Europa. In dicembre, ad ascoltarne l’op. 130 di Beethoven alla Filarmonica romana (serata radiotrasmessa in diretta), c’era Otto Klemperer che alcuni giorni dopo, dirigendo a Genova, pregò l’orchestra di fare sforzati esattamente uguali a quelli del Quartetto Italiano. Il 1948 fu l’anno in cui Borciani fu scritturato per un recital mozartiano con la pianista Clara Haskil al festival di Aix-en-Provence, mentre da Stoccolma giunse al Quartetto l’invito a tenere un corso – il primo dei tanti che i quattro, insieme o singolarmente, tennero in diverse nazioni negli anni a venire.
I concerti del 1951 al festival di Salisburgo (Sala Grande del Mozarteum, 9 agosto) e a New York (Town Hall, 4 novembre: una delle ventisette tappe del loro tour in Nord America, cui ne seguirono altri undici fino al 1977) segnarono la definitiva consacrazione internazionale del Quartetto. A Salisburgo suonarono con Bavier, grazie al quale conobbero il direttore d’orchestra Wilhelm Furtwängler che, il giorno dopo averli ascoltati in concerto, li invitò nel suo albergo per far musica assieme. Con lui al pianoforte lessero per due volte di seguito il Quintetto op. 34 di Brahms e ragionarono sui Quartetti di Beethoven. Ne ebbero una folgorazione interpretativa che li frastornò per quasi un anno, aprendo una crepa profonda nel loro credo toscaniniano. Così l’ha raccontata Farulli: «I ripensamenti che Furtwängler causò nella nostra visione dell’interpretazione ci costrinsero a rimettere in discussione molte delle nostre idee. Prima, non badavamo a null’altro che al rispetto della partitura. Ma non c’è niente da fare, nell’interpretazione ci sono ragioni umane che prescindono dalle indicazioni metronomiche. […] E così abbiamo cominciato ad acquisire certe sonorità spaziose, certi grandi respiri» (Gasponi, 1999, pp. 32 s.). Del concerto newyorchese i quattro suonarono la seconda parte, due Quartetti di Beethoven, poiché la prima prevedeva un omaggio alla memoria del pianista Arthur Schnabel, scomparso un paio di mesi prima, riservatogli dal collega Mieczysław Horszowski in duo con il violinista Joseph Szigeti. L’indomani il New York Herald Tribune pubblicò la recensione dal compositore Virgil Thomson, che scriveva: «Perfection is the only word to describe this playing, perfection of a kind and degree that no quartet lover living, and no quartet player, has heard before» (Borciani, 2002, p. 140; ‘Perfezione è la sola parola che possa descrivere il loro giuoco, perfezione di un genere e di un livello tale che nessuno, tra gli odierni amanti del quartetto, né tra i quartettisti, ne ha mai sentito l’eguale prima d’ora’).
Nel 1952 il Quartetto Italiano avrebbe dovuto tornare negli Stati Uniti per una sessantina di concerti. Ma in agosto Borciani ebbe un tracollo nervoso dovuto allo stress per l’imminente tournée, che perciò fu cancellata, sebbene la loro agente avesse proposto di sostituire il violinista con Giorgio Ciompi, un fiorentino che suonava nell’orchestra della NBC di Arturo Toscanini. L’attività concertistica riprese il 22 dicembre all’Auditorium Pedrotti di Pesaro. A gennaio del 1953 Borciani e Pegreffi si sposarono, a maggio nacque il figlio Mario, destinato a diventare pianista, compositore e docente di Conservatorio. Tempo prima anche Rossi si era sposato: con Giuliana De Dominicis, da cui nacque Elvira (detta Marina), futura pianista e insegnante.
A fine 1953 ebbe luogo la seconda tournée americana, 59 date dal 20 settembre al 15 dicembre. A New York i quattro riuscirono a incontrare Toscanini, che li invitò in camerino alla Carnegie Hall dopo una sua prova, congratulandosi per il loro modo di suonare. Nel frattempo avevano cominciato a incidere per la Columbia: fra le prime registrazioni, il Quartetto n. 12 di Darius Milhaud, «un disque parfait» a detta del compositore. Nel 1954, nel corso della terza tournée statunitense, alcune date dovettero essere cancellate perché Rossi fu operato d’urgenza di peritonite a Dallas.
Tra il 1954 e il 1956 Borciani, Farulli e Rossi cominciarono a insegnare nei Conservatori: occupazione che, pur togliendo tempo al Quartetto, era intesa a garantire a tutti una certa stabilità professionale ed economica nel caso che, per qualche ragione, l’attività concertistica si fosse dovuta sospendere o addirittura interrompere. I tre peregrinarono fra diverse sedi. Borciani fu docente di musica da camera, quartetto e violino a Bolzano, Parma, Venezia e Milano (dal 1960 alla morte), revisore di opere didattiche per violino e autore di metodi e manuali (come Il quartetto, Milano, 1973); Farulli insegnò musica da camera e quartetto a Bolzano e Perugia, violino e viola a Firenze (1958-1977); Rossi musica da camera a Venezia (1956-1962), violoncello a Bari (1962-1965), musica da camera e poi violoncello a Firenze dal 1965 alla pensione.
Data al 1956 la prima composizione scritta per il gruppo: il Quartetto di Valentino Bucchi, che debuttò a Firenze il 17 novembre. Seguirono il Quartetto n. 2 di Giorgio Federico Ghedini (1960) e I semi di Gramsci di Sylvano Bussotti nella versione con orchestra (RAI di Roma, direttore Giampiero Taverna, 1972) e per quartetto solo (1974). Dal 1957 il gruppo smise di suonare a memoria. La decisione, presa alla vigilia di un’altra tournée negli Stati Uniti, fu di fatto imposta a Borciani dai medici che gli prescrissero di evitare fatiche psicologiche eccessive dopo un ennesimo suo malore. Ciò determinò l’ampliamento cospicuo del repertorio del Quartetto, poiché così si riduceva drasticamente il tempo necessario a montare pezzi nuovi.
I traguardi musicali e professionali più significativi degli anni Sessanta – quando, rammenta Farulli, «qualcosa di sacerdotale l’avevamo, ci sentivamo davvero dei paladini della musica e perciò è possibile che umorismo o ironia suonassero molto controllati nelle nostre esecuzioni» (Gasponi, 1999, p. 68) – furono la frequente inclusione di Anton Webern nei programmi, i tours in Jugoslavia (1961) e Sud America (1968), il debutto con l’orchestra (per il Concerto di Bohuslav Martinů alla Scala, direttore Hermann Scherchen, il 7 settembre 1962), l’inizio della prima integrale discografica, i Quartetti di Mozart, che dal 1966 li occupò per sei anni, mentre l’integrale beethoveniana partì l’anno dopo, il 18 agosto 1967, con l’op. 132, e terminò nel luglio 1975 con l’op. 18 n. 2 e n. 4. Avendoli ascoltati nel settembre 1971 a Mamiano, vicino Parma, nella villa del critico e scrittore Luigi Magnani, che li volle in concerto per salutare una Madonna di Dürer in partenza dalla sua collezione privata verso una mostra, Riccardo Bacchelli scrisse sul Corriere della sera che il loro modo «di concertare le parti e di accordare le loro caratteristiche individuabili nell’inserto contrappuntistico conferisce alle loro esecuzioni e al loro arco un piglio […] animoso e, per quanto studiato, spontaneo: un piglio ch’è italiano, della grande tradizione italiana» (Gasponi, 1999, p. 101). Quella tradizione, appunto, che il Quartetto si sentì sempre investito del compito di rappresentare nel mondo.
In quel periodo, intanto, Farulli intraprese una carriera parallela di organizzatore musicale nutrita da un’impetuosa idealità politica e civile. Dal 1962 prese le redini dell’Estate fiesolana, festival che indirizzò alla multidisciplinarità artistica (musica, pittura, danza, teatro e cinema): da lì scaturì il suo progetto di un ‘Comitato permanente Musica e Cultura’ formato da musicisti e intellettuali – in prima linea Dallapiccola e Massimo Mila – che, con una serie di convegni a Fiesole e tramite la pressione esercitata sull’opinione pubblica e sulla classe dirigente, puntava a riportare la musica, da intendersi non soltanto come pratica strumentale o canora, a una degna collocazione nel discorso culturale nazionale e a inserirne lo studio nella scuola pubblica; attivo fino al 1973, il Comitato si sciolse infine a motivo di banali frizioni politiche e personali. Da tali premesse, nel 1974 ebbe origine la Scuola di musica di Fiesole: un luogo, secondo il desiderio del fondatore, per consentire ai bambini di «apprendere cose che avrebbero permesso a tutti loro o di continuare in maniera professionale oppure di praticare la musica per diletto e cultura. Una scuola, insomma, attraverso cui la musica potesse diventare parte della vita di ognuno» (Gasponi, 1999, p. 109). Inoltre alla Normale di Pisa, esortato dall’allora direttore Gilberto Bernardini, Farulli creò una stagione concertistica da lui gestita fin dal 1967, per un ventennio, e contribuì alla formazione di un’orchestra e di un coro con docenti e studenti. Nel 1980 istituì a Fiesole i corsi di qualificazione professionale per orchestra finanziati dalla Regione Toscana e dal Fondo Sociale Europeo, da cui si sviluppò l’Orchestra Giovanile Italiana.
Un paio di volte, negli anni Settanta, il Quartetto nato dalla Resistenza (mai, dopo, Farulli e Rossi fecero mistero di parteggiare per il PCI) sentì la necessità di esporsi pubblicamente su una questione geopolitica scottante, la guerra del Vietnam. La prima occasione fu a sostegno di Maurizio Pollini, che il 19 dicembre 1972 era stato fischiato alla Società del Quartetto di Milano dopo aver letto un documento di protesta contro i bombardamenti compiuti dagli USA. Dal gesto del pianista si dissociarono anche gli organizzatori del recital inviando una lettera agli abbonati nella quale si sosteneva che nell’ambito di un concerto soltanto l’espressione musicale è ammessa. A una tale presa di posizione, il 12 gennaio 1973 ribatté un documento sottoscritto dal Quartetto assieme ai maggiori musicisti italiani, tra cui Claudio Abbado, Luciano Berio, Gianandrea Gavazzeni, Luigi Nono, Goffredo Petrassi e Roman Vlad, che difendeva il diritto degli artisti a dire la loro in situazioni gravissime per l’umanità. E il 16 giugno, a Bologna, il Quartetto partecipò, con il duo pianistico Sergio Gorini - Gino Lorenzi e il Trio di Trieste, a un concerto a sostegno della mobilitazione internazionale per chiedere la liberazione dei prigionieri politici del Vietnam del Sud detenuti nelle carceri di Saigon. Il 1973 fu anche l’anno della tournée nell’Europa dell’Est, URSS compresa, organizzata dell’agenzia di Stato sovietica Goskonzert, e di quella in Giappone. Nel 1974 ebbe inizio la collaborazione con Pollini per il Quintetto op. 34 di Brahms, debuttato il 14 maggio al teatro Verdi di Pisa, nella stagione della Normale. Invece non andò in porto il progetto con Luchino Visconti di un film ricavato dal romanzo Il nipote di Beethoven di Luigi Magnani, per la cui colonna sonora il Quartetto avrebbe dovuto suonare La morte e la fanciulla di Schubert. Mentre è priva di fondamento la notizia che nel 1977 la NASA abbia inviato nel cosmo sulla sonda Voyager, fra le testimonianze della civiltà umana dirette a eventuali alieni, la loro registrazione della Cavatina dal Quartetto op. 130 di Beethoven: benché i quattro la dessero per certa (Borciani, 2002, pp. 38 s.), il sito dell’ente statunitense attribuisce l’esecuzione al Quartetto di Budapest; invece nello spazio è stata mandata una foto del Quartetto Italiano (cfr. C. Sagan, Murmurs of Earth. The Voyager interstellar record, New York, 1979, p. 121).
Il 14 dicembre 1977, all’indomani di un recital al Centro Culturale Olivetti di Ivrea, Farulli fu ricoverato a Torino per ischemia coronarica. Tutti gli impegni del Quartetto dovettero essere cancellati fino a nuovo ordine. La convalescenza si protrasse a lungo: i cardiologi prevedevano che il violista potesse riprendere a dare concerti non prima del settembre successivo. Gli altri membri cominciarono a scalpitare e nel febbraio 1978 stabilirono di trovargli un sostituto. A Farulli lo comunicarono per lettera il 28 febbraio. Lui rispose rammentando loro come nel 1952 il Quartetto avesse addirittura annullato una tournée di 74 concerti per l’indisposizione di Borciani, mentre adesso avrebbero dovuti perderne solo una decina. Stupisce constatare, scrisse, «che a soli due mesi dal mio incidente vi siate potuti dimenticare di quello che abbiamo sempre comunemente inteso per ben 30 anni come serietà professionale e artistica… per tacere poi dell’aspetto umano e morale del vostro comportamento che non mi convince e che tutto sembra, men che amichevole». E proseguiva: «A tutela del nome prestigioso, che dite di voler salvaguardare, e dell’unità artistica del complesso, ritengo equivoca una ripresa dell’attività artistica del Quartetto in una formazione diversa dall’abituale […]. Se è vero, come è vero, che nel Quartetto Italiano nessuno è sostituibile, voi siete liberi di sciogliere il nostro più che trentennale sodalizio e di costituire altri complessi, ma a tutto questo deve rimanere estraneo qualsiasi riferimento al Quartetto Italiano» (Gasponi, 1999, pp. 129 s.).
Al posto di Farulli fu chiamato Edoardo (detto Dino) Asciolla, nato a Roma il 9 giugno 1920 da Giuseppe, sarto, e Sofia Buasini. Aveva studiato violino al Conservatorio di Santa Cecilia con Remy Principe e si era perfezionato all’Accademia di Santa Cecilia e alla Chigiana di Siena con Arrigo Serato. Aveva partecipato a diversi concorsi internazionali, tra cui quello di Ginevra nel 1947, che gli avevano aperto la strada per la carriera da solista. Aveva suonato nell’Orchestra Scarlatti di Napoli e, come spalla, al Mozarteum di Salisburgo, nei Virtuosi di Roma (dove, per salvare una tournée in Nord America, a trentasette anni aveva cominciato a imbracciare la viola in sostituzione di un collega ammalato) e nei Musici. Abbandonato il violino per la viola (ne possedeva una di Giovanni Paolo Maggini, del 1600, e pure alcune moderne di Ansaldo Poggi), contribuì ad ampliarne il repertorio: per lui scrissero Lino Liviabella, Firminio Sifonia, Domenico Guaccero ed Ennio Morricone. Suonò in diversi gruppi da camera, partecipò alla registrazione di colonne sonore cinematografiche (tra cui Nel nome del padre di Marco Bellocchio, 1971, Una breve vacanza di Vittorio de Sica, 1973, Gruppo di famiglia in un interno e L’innocente di Visconti, rispettivamente 1974 e 1976, il Marco Polo televisivo di Giuliano Montaldo, 1982), a dischi jazz e di musica leggera (principalmente a Non al denaro non all’amore né al cielo di Fabrizio De André, 1971). Nel 1961 aveva sposato la violinista Rita Palomby, da cui aveva avuto i figli Alessandro, futuro violinista e docente di conservatorio, ed Emanuela. Nel 1975 si era unito in seconde nozze con il soprano Valeria Mariconda.
Il Quartetto Italiano con Asciolla alla viola esordì a Carpi il 1° aprile 1978, dopo quattro settimane di prove. Il 21 maggio 1978, da Parigi, Luciano Berio scrisse a Borciani, Pegreffi e Rossi di aver provato una stretta forte al cuore nell’apprendere «che avete sostituito Farulli, ancora in ospedale, senza neanche prevenirlo, dopo trent’anni di lavoro assieme: cioè in una maniera così estranea al vostro modo di far musica. Vi domanderete cosa c’entro io dal momento che, sul piano personale, conosco a malapena sia voi che Farulli. Il fatto è che siete anche una cosa pubblica, un bene nazionale, qualcosa di cui essere fieri, qualcosa, infine, che anche Farulli ha contribuito a costruire» (Gasponi, 1999, p. 132). E dopo che Farulli ebbe mandato ai giornali una lettera aperta per spiegare il suo punto di vista sull’azione dei colleghi, loro gli fecero comunicare dall’avvocato l’intenzione di escluderlo dal Quartetto. Una frattura insanabile. Né Asciolla riuscì a reggere a lungo gli impegni fitti, le logoranti tournées.
Nel pomeriggio del 23 febbraio 1980, mentre il Quartetto stava provando in vista di una registrazione televisiva pubblica per la Radio Télévision Suisse Romande da tenersi la sera a Les Diablerets, nel canton Vaud, il violista abbandonò d’improvviso il gruppo dopo aver espresso il proprio disagio per i ritmi di lavoro, a suo dire inumani. Fu la fine del Quartetto Italiano, il cui ultimo concerto data dunque al 17 febbraio nella città tedesca di Leer. Perciò non poterono realizzarsi la tournée negli Stati Uniti fissata tra aprile e maggio, la prima in Australia e Nuova Zelanda, settembre 1980, la seconda in Giappone, novembre 1981, e i tanti appuntamenti europei, compresi i concerti programmati a Parigi nella stagione 1982-83 e quello con Pollini alle Wiener Festwochen. A niente portarono i tentativi di ricomporne la formazione storica condotti da Pollini e dal critico musicale Duilio Courir: ottennero il riavvicinamento di Farulli a Borciani e Pegreffi ma non a Rossi, che rifiutò di riunirsi agli altri quando il sindaco di Bologna, Renato Zangheri, a seguito della strage del 2 agosto 1980, propose loro un concerto commemorativo per le vittime. La riappacificazione pubblica tra Rossi e Farulli avvenne il 21 settembre 2004, presente pure la Pegreffi, con una stretta di mano nel Saloncino della Pergola di Firenze durante una manifestazione in ricordo del Quartetto Italiano.
Dopo lo scioglimento del gruppo, fra fine 1984 e inizio 1985 Pegreffi e Borciani, già segnato da un tumore, tornarono a suonare in quartetto con Tommaso Poggi, viola, e Luca Simoncini, violoncello, allievi rispettivamente di Farulli e Rossi, per presentare su diversi palcoscenici italiani, compresa la Scala, L’arte della fuga di Bach nella versione di Scherchen. Borciani morì a Milano il 5 luglio 1985. Per onorarne la memoria, nel 1987 è stato istituito a Reggio Emilia un concorso triennale per quartetto d’archi a suo nome.
Pegreffi, che insegnò quartetto al Conservatorio di Parma dal 1987 al 1992, morì a Milano il 14 gennaio 2016 dopo aver trascorso gli ultimi anni alla Casa Verdi.
Asciolla portò avanti la carriera di solista e di docente al Conservatorio di Santa Cecilia (in passato aveva insegnato a Bari, Frosinone, L’Aquila) e in corsi di perfezionamento internazionali. Morì a Siena il 9 settembre 1994.
Farulli, oltre a promuovere la crescita di prestigio internazionale della Scuola di Fiesole (ne cedette la direzione artistica al pianista Andrea Lucchesini nel 2008), continuò a prendersi cura della sezione musicale dell’Estate fiesolana fino ai primi anni Ottanta, tenne corsi di quartetto d’archi alla Chigiana (1979-2004) e di viola al Mozarteum di Salisburgo (1980-83), e fondò nel 1992 la classe di quartetto alla Escuela de Música Reina Sofía di Madrid, restandovi per tre anni. Collaborò con il Trio di Trieste (dal 1978), con i Quartetti Amadeus (1980) e Melos, con il quale registrò i Quintetti K 593 e K 614 di Mozart per Deutsche Grammophon (1990). Nel 1983 costituì il Nuovo Quartetto, attivo soltanto per qualche stagione, con Carlo Chiarappa e Andrea Tacchi, violini, e Andrea Nannoni, violoncellista, suo nipote, figlio della sorella Dina. Morta la moglie Antonia nel 2004, l’anno successivo sposò Adriana Verchiani, allora sessantunenne, suo braccio destro alla Scuola di Fiesole fin dal primo giorno. Morì a Londa, presso Firenze, il 2 settembre 2012.
Rossi proseguì l’attività di insegnante, anche in corsi di perfezionamento tenuti al Festival delle Nazioni di Città di Castello e alla Scuola di musica di Sesto Fiorentino. Da camerista suonò assieme alla pianista Laura De Fusco, al flautista Mario Ancillotti, ai suoi allievi del Quartetto Foné, fece parte dei Quartetti con pianoforte Artis e Bartholdy: con quest’ultimo ha registrato le opp. 1-3 di Mendelssohn per Naxos (1994). Accostò la carriera solistica suonando il Concerto di Schumann (per esempio nel 1982 con l’Orchestra Alessandro Scarlatti della RAI di Napoli, direttore Yan Pascal Tortelier). Nell’ottobre 1999 Alberto Batisti, direttore artistico della Camerata strumentale ‘Città di Prato’, lo invitò a concertare dal podio le rielaborazioni per orchestra d’archi dovute a Gustav Mahler del Quartetto op. 95 di Beethoven e della Morte e la fanciulla di Schubert. Da allora Rossi si appassionò alla direzione di pagine quartettistiche trascritte per orchestra d’archi: ancora a Prato, con l’Orchestra d’archi italiana di Brunello e la ‘Bruno Maderna’ di Forlì, con la quale nel marzo 2004 tenne il suo ultimo concerto offrendo una lettura commovente di Metamorphosen di Strauss, partitura che a lungo aveva sognato di poter eseguire. Morì a Firenze il 28 novembre 2006.
Nel 2007 è stato realizzato il film-documentario Il Quartetto Italiano, scritto e diretto da Nino Criscenti.
Durium-Telefunken: C. Debussy, Quartetto op. 10; Vinci-Guerrini, Gavotta dalla Sonata n. 2 in Sol per flauto e continuo (1946). Decca: L. Boccherini, Quartetto op. 8 n. 1 G. 165 [sulla copertina indicato come op. 6 n. 1]; F.J. Haydn, Quartetto op. 64 n. 6 (1948); L. van Beethoven, Quartetto op. 59 n. 3; F. Schubert, Quartetto D. 703 «Quartettsatz» (1949); R. Schumann, Quartetto op. 41 n. 2; G. Verdi, Quartetto (1950); L. van Beethoven, Quartetti op. 18 n. 6 e op. 59 n. 1; F.J. Haydn, Quartetto op. 77 n. 1; W.A. Mozart, Quartetti K 155, K 465 e K. 590, Adagio e Fuga K 546, Quintetto K 581, clarinettista Antoine de Bavier; F. Schubert, Quartetti D 112 e D 804 (1952). Columbia: L. van Beethoven, Quartetto op. 130; L. Boccherini, Quartetti op. 39 G. 213 [sulla copertina indicato come op. 39 n. 3] e op. 58 n. 2 G. 243; W.A. Mozart; Quartetti K 387 e K 421 (1953); C. Debussy, Quartetto op. 10; D. Milhaud, Quartetto n. 12 (1954); J. Brahms, Quartetto op. 67; F.J. Haydn, Quartetti op. 3 n. 5, op. 76 n. 2; G.F. Malipiero, Quartetto n. 4; S. Prokof’ev, Quartetto op. 92 (1955); L. van Beethoven, Quartetto op. 74; F.J. Haydn, Quartetti op. 33 n. 3 e op. 76 n. 4; W.A. Mozart, Quartetto K 458; F. Schubert, Quartetto D 32 (1956); L. Boccherini, Quartetto op. 44 n. 4 G. 223; G. Cambini, Quartetto in sol; G. Gabrieli, Canzon I «La spiritata» e Canzon IV a quattro; B. Galuppi, Concerto a 4 in sol; B. Marini, Balletto; M. Neri, Sonata a quattro; A. Scarlatti, Sonata a quattro; G.B. Vitali, Capriccio a quattro; A. Vivaldi, Sonata a quattro «al Santo Sepolcro» (1957); W.A. Mozart, Quartetto K 156; M. Ravel, Quartetto in fa; R. Schumann, Quartetto op. 41 n. 3; I. Stravinskij, Tre pezzi (1959). Concert Hall: F.J. Haydn, Quartetti op. 33 n. 2 e op. 76 n. 3; F. Schubert, Quartetti D 87e D 804 (1965). Philips: F.J. Haydn, Quartetti op. 3 n. 5, op. 64 n. 5, op. 76 n. 2 (1965); C. Debussy, Quartetto op. 10; M. Ravel, Quartetto in fa; F. Schubert, Quartetti D 703 «Quartettsatz» e D 810 (1965); W.A. Mozart, integrale (1966-72); L. van Beethoven, integrale (1967-75); J. Brahms, integrale (1967-71); R. Schumann, integrale (1967-70); A. Borodin, Quartetto n. 2; A. Dvořák, Quartetto op. 96 (1968); A. Webern, integrale (1970); L. Boccherini, Quartetti op. 8 n. 1 G. 165, op. 8 n. 3 G. 167 e op. 58 n. 2 G. 243 [sulla copertina indicati come op. 6 n. 1 e n. 3, op. 58 n. 2]; F.J. Haydn, Quartetti op. 76 n. 3 e n. 4; F. Schubert, Quartetti D 87e D 804 (1976); F. Schubert, Quartetto D 887 (1977); F. Schubert, Quartetto D 703 «Quartettsatz» e D 810 (1979). Deutsche Grammophon: J. Brahms, Quintetto op. 34, pianoforte Maurizio Pollini (1979).
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Foto: per cortesia Universalmusic