QUERENGHI, Flavio.
– Nacque a Padova nel 1581, figlio di Marco, di professione notaio.
Alla morte del padre, avvenuta nel 1590, fu avviato agli studi dallo zio Antonio Querenghi, fine letterato e umanista, tra i fondatori dell’Accademia dei Ricovrati.
Dopo aver soggiornato tra Roma e Padova, fu mandato, intorno al 1599, alla corte del duca Ranuccio Farnese a Parma, città nella quale ebbe modo di seguire le lezioni di Filippo Fabri, seguace di Giovanni Duns Scoto, di conoscere Pomponio Torelli e di entrare a far parte dell’Accademia degli Innominati.
Dal 1607 canonico coadiutore dello zio, fece ritorno a Padova, dove si inserì a pieno titolo nell’ambiente letterario, divenendo membro dell’Accademia dei Ricovrati. Conseguita nel 1619 la carica di camerlengo, nel 1622 ricevette il titolo di cameriere segreto del papa e l’anno successivo gli fu offerto l’episcopato di Veglia, in Dalmazia, carica alla quale, però, volle o dovette rinunciare.
Decise dunque di dedicarsi all’insegnamento e nel 1624 ottenne la cattedra di filosofia morale – che prevedeva lettura ed esegesi dell’Etica Nicomachea –, che mantenne fino alla morte. Dal 1633, inoltre, poté fregiarsi – tramite il fratello Marcello, che aveva ereditato il titolo dal suocero – dell’onorificenza di conte di Poiago.
Fu proprio nel periodo dell’insegnamento padovano che Querenghi si dedicò alla stesura degli opuscoli latini e dei Discorsi morali politici et naturali.
Dei primi, tematicamente connessi alla sua attività di insegnante, esistono due edizioni: la prima, in due libri, – Unus, Institutionum moralium epitome. Alter, De genere dicendi Philosophorum; seu, De sapientiae et eloquentiae divortio, stampati a Leida nel 1639 ex officina Ioannis Marie –, e una seconda edizione più ampia, pubblicata a Parigi nel 1643 (Institutionim moralium Epitome. De sapientiae & eloquentiae divortio, apud viduam Mathurini Dupuis, via Iacobea, sub signo Coronae), contenente anche gli opuscoli De consiliario. De honore. De numero virtutum moralium e Introductio in philosophiam moralem Aristotelis. Di notevole interesse, in quanto testimonianza dell’influente rete di amicizie di Querenghi, sono alcuni versi di elogio in appendice al volume, a opera di Gabriel Naudé – che deve aver conosciuto l'autore durante il suo soggiorno patavino (Mirandola, 1967) –, nei quali Flavio Querenghi viene presentato come il continuatore dell’opera letteraria dello zio Antonio.
I Discorsi morali politici et naturali, editi a Padova per i tipi di Giulio Crivellari nel 1643, sono la sua opera più originale: scritti di carattere vario – si spazia dal Ragionamento dello Studio di Padova nella partenza dell’Illustriss. sig. podestà Ottaviano Bon pronunciato nel 1622 a un Trattato della poesia a un Encomio della Comedia di Dante –, si propongono di lasciare ai posteri un ‘ritratto’ della realtà, su ispirazione degli Essais di Montaigne.
Fin dal titolo, che ricorda quello della traduzione degli Essais a opera di Girolamo Naselli (Discorsi morali, politici, et militari, editi a Ferrara nel 1590 per i tipi di Benedetto Mamarello), affiora con chiarezza la presenza del filosofo francese, ma è soprattutto nel più famoso dei discorsi, l’Alchimia delle passioni dell’animo, overo Modo di convertire i nostri dispiaceri in diletti, che essa assume una valenza teorica forte. Concetti montaigneani fondamentali, come quello di natura, vengono infatti qui rielaborati in un’ottica differente, alla luce di un ordine oggettivo e provvidenziale del mondo lontano dal relativismo del filosofo francese. Il ‘ritratto’ del reale di Querenghi, dunque, si configura come descrizione veritiera – e ‘statica’ – di un ordine universale e assoluto, non come ricerca continuamente in fieri, destinata a non pervenire mai a risultati definitivi.
A emergere dalle opere di Querenghi è un’amplissima erudizione, testimoniata anche dall’inventario della sua biblioteca personale: mentre con un atto ufficiale redatto il 28 gennaio 1641, egli donò al convento domenicano di S. Agostino, a Padova, la maggior parte dei suoi libri, mantenne con sé fino alla morte i testi per lui più importanti, che lasciò in eredità alla Certosa di Padova e dei quali è pervenuto un attento inventario. Oltre ai commenti all’Etica di Aristotele, compaiono classici latini e greci, oltre ad autori quali Franesco Bacone, Giusti Lipsio, Giovanni Battista Della Porta, Sperone Speroni e, ovviamente, Montaigne.
Morì a Padova il 25 gennaio 1647 e fu sepolto nella Certosa di Vigodarzere.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Padova, Archivio civico antico, Estimo 1518, 234, cc. 192rv, 194rv; Certosa di Padova, b. II, I, f. B, cc. 14r-18v, II, I, f. allegato.
L. Pignoria, Origini di Padova, Patavii 1625, pp. 143-144; I. Ph. Tomasini, Petrarcha redivivus, Patavii 1635, pp. 126-127; H.C. Davila - A. Cardellinus, in Nuova raccolta Calogeriana d’opuscoli scientifici e filologici, XII, Venezia 1764, pp. 345 s.; G. Mirandola, Naudé a Padova. Contributo allo studio del mito italiano nel secolo XVII, in Lettere italiane, XIX (1967), pp. 239-247; E. Veronese Caseracciu, La Biblioteca di F. Q., professore di filosofia morale (1624-1647) nello Studio di Padova, in Quaderni per la Storia dell’Università di Padova, IX-X (1976-1977), pp. 185-213; L. Stecca, Montaigne e F. Q., in Montaigne e l’Italia. Atti del Congresso Internazionale… Milano-Lecco…1988, Genève 1991, pp. 83-101.