ORIENTE, Questione d'
Con questa espressione s'intende l'insieme dei varî problemi politici, etnici, economici, religiosi relativi alle regioni che, dopo essere state parte dell'impero romano d'Oriente e dell'impero bizantino, formarono nel sec. XV e XVI la base territoriale dell'impero ottomano. Entrano quindi nella considerazione di tale problema, in Europa tutta la Penisola Balcanica; in Asia, l'Anatolia, la Siria, la Mesopotamia; in Africa l'Egitto e la costa mediterranea sino a Cartagine (Tunisi).
La questione d'Oriente è legata alla esistenza dell'impero turco ed appare aperta con l'avanzata dei grandi stati d'Europa e con la decadenza e la rovina degli Ottomani dalla seconda metà del secolo XVII al primo ventennio del sec. XX. Soltanto per certi rispetti e per certe analogie si è potuto affermare l'esistenza di tale problema nei tempi antichi e nell'età medievale. In realtà, appena nel sec. XVI si delinea agli occhi dell'Occidente un problema orientale, quando, dopo gli splendori del periodo che va da Maometto II a Solimano II, l'impero turco si presenta come avviato alla rovina (v. ottomano, impero).
Dopo la pace di Passarowitz (Požarevac, in Serbia; 1718), l'impero ottomano ricacciato dall'Ungheria, dal banato di Temesvár (TimiŞoara) dalla stessa Belgrado, è alla mercé delle grandi potenze occidentali, che incominciano a pensare come servirsi di tanti territorî nelle loro contrattazioni. L'Austria, dopo le guerre difensive della fine del sec. XVII, è tratta a espandersi così lungo il corso del Danubio verso il Mar Nero, come verso il Mare Egeo per la Morava. La Russia, dopo la riorganizzazione imposta da Pietro I nel suo bisogno di prendere contatto più immediato con l'occidente europeo, aspira anche ad aprirsi le vie del sud, bloccate dall'impero turco. Fatale è la rivalità austro-russa. Tuttavia, le due potenze firmarono nel 1726 un'alleanza difensiva, con l'impegno di reciproco aiuto nel caso di conflitti con la Turchia. E si ha, così, il primo tentativo d'imporre l'egemonia austro-russa all'impero ottomano. Di fronte a questa azione austro-russa, si affermano le aspirazioni marittime politico-economiche della Francia, che cerca tenere in piedi questo suo antico fondamento di egemonia europeo e il sistema. Perciò nel 1728 il governo francese risponde all'alleanza austro-russa inviando a Costantinopoli l'ambasciatore marchese de Villeneuve, con l'incarico di riaffermare i principî tradizionali della politica francese: alleanza con la Turchia, la Polonia, la Svezia; alleanza fra Turchia e Polonia contro la Russia. Quando poi Russia e Austria sono di nuovo in guerra contro la Turchia e mettono in chiaro il loro vasto programma di acquisti territoriali, la diplomazia francese rinfocola la resistenza turca e costringe l'Austria alla pace di Belgrado (1739) in cui i Turchi riebbero tutti i territorî perduti a sud della Sava e del Danubio nella pace di Passarowitz, dopo di che anche la Russia, rimasta sola, fu a sua volta costretta a fare pace (1741) rinunciando a tutto il suo piano di conquiste. In compenso del suo appoggio la Francia ebbe la riconferma dei privilegi delle capitolazioni (1741), che segnò il predominio morale e commerciale della Francia in tutto il Mediterraneo orientale.
L'impero turco non era però in condizioni tali da potere rialzarsi realmente nella considerazione dei politici europei, e la disgregazione interna appare più grave alla metà del secolo XVIII. Di fronte a tale situazione i politici europei pensavano alle diverse soluzioni possibili, che erano o la spartizione o la creazione di stati cristiani indigeni, per impedire una conquista della Balcania da parte degli Asburgo, considerati i più pericolosi nemici dei Turchi. Nella politica francese, invece, vi era la speranza di poter salvare l'integrità della Turchia rinserrandola nel proprio sistema e appoggiando anzi ad essa le due alleate barcollanti del nord, la Svezia e la Polonia. Ma la crisi diplomatica della guerra dei Sette anni, con il renversement des alliances e l'unione della Francia con l'Austria provocò ad un tempo e il primo smembramento della Polonia e la caduta del prestigio francese in Turchia: non si poteva a Costantinopoli sperare nulla, da una Francia alleatasi con l'Austria.
Il distacco avvenuto dopo la guerra dei Sette anni fra Austria e Russia, alleatasi invece con la Prussia, permise all'imperatrice russa Caterina II la ripresa dei progetti di Pietro I, mentre l'Austria pensava ancora a ricuperare la Slesia e la Francia era presa dal suo conflitto con l'Inghilterra. L'intervento della Turchia in Polonia, in senso ostile alla Russia (1768), determinò l'inizio della politica aggressiva russa, con il programma di conquistare tutte le provincie turche a nord del Mar Nero: il Kuban, la Crimea, la Bessarabia, la Moldavia, la Valacchia. La campagna del 1769 diede IaŞi e Bucarest nelle mani dei Russi; contemporaneamente, una flotta russa, rifornitasi nei porti inglesi, entrava nel Mediterraneo, nonostante la mal celata ostilità francese ad una spedizione che minacciava il suo primato commerciale. Il pericolo di vedere i Russi stabilirsi sul Danubio inferiore commosse gran parte dei governi europei. Così, da parte inglese e da parte austro-prussiana, si offrì la mediazione a Caterina II e al sultano. Dopo lunghe trattative inframezzate da imprese militari, si conchiuse la pace, assai vantaggiosa per la Russia, di Küčük-Kainarge il 21 luglio 1774. La Russia restituì le isole dell'arcipelago greco e il territorio fra il Danubio e il Dnestr ma conservò Azov, Kerč, Senikalé e il territorio fra il Bug e il Dnepr; i Tatari di Crimea e del Kuban furono dichiarati indipendenti; fu accordata ai Russi libera navigazione sul Mar Nero, libero passaggio per gli stretti, limitatamente alle navi commerciali di piccolo tonnellaggio; diritto d'istituire consolati in tutto l'impero turco. La Porta s'impegnava a proteggere costantemente la religione cristiana e le chiese, a non mettere ostacoli al libero esercizio della religione cristiana e a prendere in considerazione le rimostranze che potessero essere fatte dagli ambasciatori russi a favore della chiesa russa e dei Principati Danubiani. Con tali articoli, la Russia poteva atteggiarsi a protettrice dei cristiani sudditi del sultano e intromettersi negli affari interni della Turchia.
Quanto all'Austria, nel 1771 essa aveva concluso con la Porta un trattato segreto in cui il sultano cedeva la Bucovina. Nel 1774 il governo di Vienna occupò militarmente la regione, appena fu sgombrata dai Russi, e la Porta si rassegnò a cedere il territorio con regolare trattato (1775). Ma dopo il trattato di Teschen (1779), che costrinse l'Austria a rinunciare ad ogni ampliamento in Germania, il governo di Vienna ritornò a pensare ad un compenso sul Danubio e offrì la sua collaborazione alla politica balcanica di Caterina II. Questa, dopo il trionfo della pace di Küčük-Kainarge, credeva possibile l'espulsione dei Turchi dall'Europa, e progettava di ricreare a Costantinopoli l'antico impero bizantino per il nipote suo, Costantino, mentre la Russia si sarebbe assicurata tutta la costa del Mar Nero e i Principati Danubiani avrebbero formato un regno di Dacia per il suo favorito, G. A. Potemkin. Le trattative, svolte direttamente da Giuseppe II d'Austria e da Caterina II, approdarono a un accordo nel 1781, fondato sul principio della perfetta reciprocità nella ripartizione dei profitti di guerra. Ma la ripartizione non fu facile. Le discussioni fecero rinviare il progetto, e Caterina II ne approfittò per occupare la Crimea ed il Kuban, costringendo la Turchia a riconoscere il fatto compiuto (1784). Le potenze europee intervennero a Costantinopoli, per impedire lo scoppio d'una guerra sul Danubio che, impegnando Russia e Austria, avrebbe permesso alla Prussia di svolgere i suoi piani in Polonia. Ma la pace durò poco; e nel 1787 la Turchia attaccò la Russia per riconquistare la Crimea, senza attendere che Caterina II riprendesse l'azione conquistatrice. Giuseppe II d'Austria, sebbene avesse cercato d'impedire il conflitto, decise di parteciparvi, con la speranza di guadagnare o i Principati Danubiani o la Serbia. Anche la repubblica veneta fu invitata a unirsi nella lotta contro i Turchi, ma rifiutò. La guerra si svolse sul Danubio con varia fortuna: nel 1789 le potenze europee neutrali accennarono a intervenire come mediatrici. Dirigeva l'azione diplomatica la Prussia, il cui ministro E. W. v. Hertzberg voleva che la Turchia cedesse all'Austria i principati e alla Russia la Bessarabia, perché i due stati cedessero alla Prussia in Polonia. Di fronte a queste ambizioni prussiane, l'Austria, sotto il nuovo imperatore Leopoldo II, diventò paladina dello statu quo balcanico (convenzione di Reichenbach, 27 luglio 1790) e concluse pace con la Turchia a Sistova (Svištov, in Bulgaria; 4 agosto 1791) assicurandosi segretamente una correzione di confine a Orsova. La Russia invece, rifiutato l'invito delle potenze per una pace sulla base dello statu quo, attese alla guerra con maggiore energia finché s'indusse alla pace di IaŞi (9 gennaio 1792), che le assicurò il confine del Dnestr, mentre i principati valacco e moldavo furono riconfermati nella loro posizione privilegiata sotto la protezione russa.
Solo dopo il 1796, scomparsa Caterina II, e stabilitisi i Francesi in Italia, la questione turca riattirò l'attenzione degli stati europei. Il governo francese, per combattere l'Austria e l'Inghilterra, si fece riconfermare le capitolazioni e aiutò la Turchia a riorganizzarsi militarmente. Ma poi decise l'occupazione dell'Egitto, e il sultano allora si alleò con la Russia e con l'Inghilterra, calcolando che le due alleanze dovessero neutralizzarsi a vicenda e assicurare l'integrità dell'Impero ottomano. Così entrò a far parte della grande coalizione antifrancese del 1799. La Francia napoleonica si accorse allora dell'errore compiuto con la spedizione in Egitto e con la rottura dei buoni rapporti con la Turchia; e si affrettò a riprendere la vecchia politica di protezione dei Turchi, aizzandoli contro i Russi e gl'Inglesi. Nel 1801 il primo console concluse la pace con il sultano; nel 1802, la Turchia aderì alla pace di Amiens. Però vi erano delle questioni aperte (l'occupazione inglese di Malta, un corpo di spedizione inglese in Egitto): e la Turchia, sebbene fosse in pace con tutte le potenze, era, dopo il trattato di Amiens, al centro delle competizioni europee. La Turchia giocava d'equilibrio; ma quando, nel 1804, Inghilterra, Russia e Austria si collegarono contro Buonaparte, allora, in un primo momento la pressione anglo-russa e la vittoria inglese di Trafalgar spinsero i Turchi a rompere anche essi con la Francia, rinnovando l'alleanza russa; poi la vittoria napoleonica di Austerlitz e la pace di Presburgo (Bratislava) con lo stabilirsi dei Francesi nella Dalmazia, spinsero il sultano a riprendere le buone relazioni con Napoleone, nonostante le proteste e le minacce anglo-russe.
Di fronte alla necessità di continuare il conflitto con la Russia e l'Inghilterra, Napoleone I fu costretto a dare grande importanza, nella sua scacchiera militare-diplomatica, alla Turchia. All'islamismo fece quindi ricorso per impedire nel Mediterraneo, attraverso la Turchia, il rinsaldarsi dell'alleanza anglo-russa. Nel 1806 riuscì a provocare la rottura dei trattati della Turchia con la Russia e l'Inghilterra. I Russi occuparono allora i Principati Danubiani e la flotta-inglese forzò i Dardanelli; ma dovette ritirarsi presto dal Mar di Marmara. Napoleone intanto vinceva a Friedland lo zar Alessandro e lo costringeva agli accordi di Tilsit (7 luglio 1807). Molto si fantasticò sui segreti progetti dei due imperatori, riconciliatisi, si disse, ai danni dell'Inghilterra e della Turchia. In realtà, Napoleone intendeva conservare l'impero turco a protezione del suo fianco destro. Soltanto la crisi spagnola costrinse l'imperatore francese, nel convegno di Erfurt, a riconoscere allo zar il possesso dei principari. Allora la Turchia, delusa dall'atteggiamento di Napoleone, si riaccostò all'Inghilterra, con il trattato dei Dardanelli del 1809, e alla Russia, con il trattato di Bucarest del 1812. La Russia, minacciata dal grande attacco napoleonico, acconsentì a restituire al sultano i principati, conservando solo i territorî della Bessarabia sino alla linea del Prut e del basso Danubio.
La pace generale di Vienna del 1815 riconobbe nell'Oriente mediterraneo la situazione di fatto creata dalle guerre napoleoniche: i Russi, stabiliti sul basso Danubio, in contatto con la Penisola Balcanica; gli Inglesi, padroni di Malta e delle Isole Ionie. In apparenza, lo stato turco aveva attraversato la grande crisi rivoluzionaria senza soggiacere a quelle spartizioni spesso discusse e contrattate fra le varie potenze. Ma le forze di disgregazione avevano nel frattempo continuato ad agire nell'intimo dell'impero turco, e i tentativi di rinnovamento fatti da qualche sultano, appunto in quegli anni, erano falliti. Debole l'autorità del sultano nelle provincie; i governatori, in Asia ed Europa, quasi signori indipendenti; dovunque, piccoli principati autonomi, slavi, greci, armeni, arabi, tollerati dal governo. Nella zona serba le cose erano giunte a tal punto che il sultano, per timore d'un intervento russo, si indusse ad accordare al paese privilegi religiosi e finanziarî che furono la base di una vera autonomia serba (1815). Contemporaneamente, moto d'indipendenza fra i Greci, anche sotto l'influsso della propaganda russa e della cultura francese. Progetti di ricostituzione del vecchio impero greco-bizantino, nel senso delle eterie, fondate nelle colonie greche commerciali dei porti mediterranei. Il 12 gennaio 1822, ad Epidauro, un'assemblea di capi greci proclama l'indipendenza della Grecia.
Gli avvenimenti dei Balcani diventarono da questo momento il principale problema politico europeo. La Russia ritornando alla politica di protezione dei cristiani secondo le disposizioni di Küčük-Kainarge e di IaŞi, ruppe le relazioni diplomatiche con la Porta turca e incoraggiò i rivoluzionarî greci. I governi europei si preoccuparono allora di conciliare Russia e Turchia, per impedire lo scoppio d'un conflitto e l'avanzata russa nei Balcani. Dirigeva questa politica, naturalmente, il governo di Vienna, cioè Metternich: il che richiamò lo zar Alessandro alla politica della Santa Alleanza, da lui ideata. Il governo di Pietroburgo dovette aderire a questo punto di vista per quanto riguardava la Grecia; ma riuscì a salvaguardare i suoi diritti, per quanto riguardava i Principati Danubiani, costringendo la Turchia a sgombrarli in rispetto dei trattati precedenti. Ma i progressi del movimento greco costrinsero i governi a rivedere il loro atteggiamento. L'Inghilterra riconobbe i Greci come belligeranti e parlò dell'esistenza di fatto d'uno stato greco. La Russia cercò di avviare il movimento greco nell'orbita dei suoi interessi e propose la costituzione di provincie greche autonome, sotto la sovranità del sultano, e la protezione russa secondo i principî della pace di Küčük-Kainarge. Protestarono i Greci. Intervenne nel 1826 il governo di Londra presso il nuovo zar Nicola I: e un protocollo anglo-russo stabilì che la Grecia dovesse essere autonoma e che ambo le potenze si disinteressassero di qualsiasi propria espansione. La Francia aderì all'accordo; e così si costituì nel 1827 la Triplice di Londra, mentre l'Austria rimaneva ostile a tale politica d'intervento, sperando che la Turchia, con l'aiuto del viceré d'Egitto, riuscisse a reprimere l'insurrezione greca.
Ma appunto questa eventualità, che dispiaceva per motivi opposti a Londra e a Pietroburgo, decise la Triplice a intervenire, per costringere il sultano a un armistizio e, quindi, al riconoscimento dell'autonomia greca nelle forme e nei limiti che erano ancora da studiare. Si ebbe allora, ad insaputa dei governi, la battaglia navale di Navarino, con la distruzione della flotta turco-egiziana (20 settembre 1827). Seguì lo scioglimento della Triplice. Ma la Russia finì col dichiarare guerra al sultano, con il pretesto d'imporgli con le armi il programma greco della Triplice. Il governo di Londra, per togliere alla Russia ogni giustificazione di guerra e insieme ogni giustificazione d'intervento militare francese, intervenne a Costantinopoli e ad Alessandria, per ottenere il ritiro delle forze armate turco-egiziane. Incominciarono subito le discussioni per l'assetto da darsi alla Grecia autonoma, mentre sul Danubio e sul Caucaso si svolgeva la guerra turco-russa, vittoriosa per i Russi. Temendosi che lo zar volesse distruggere la Turchia, le flotte francese e inglese si concentrarono ai Dardanelli, e a Parigi si discusse per un programma di spartizione della Turchia, che permettesse alla Francia di risolvere il problema del Reno e dei Paesi Bassi. In realtà, lo zar Nicola I desiderava di evitare spartizioni o conquiste che autorizzassero le altre potenze a chiedere compensi; desiderava piuttosto di avviare la Turchia a un regime di subordinazione alla Russia e di vago protettorato. Perciò, al trattato di pace di Adrianopoli (14 settembre 1829), acconsentì a sgombrare tutti i territorî conquistati, imponendo alla Porta soltanto il riconoscimento dell'organizzazione autonoma dei Principati Danubiani, della Serbia, della Grecia. Seguì una discussione sui confini del nuovo stato. Risultò una Grecia indipendente, sotto una dinastia non legata alle grandi dinastie europee, con la linea Volo-Arta a nord e, in più, l'isola di Eubea e le Cicladi (3 febbraio 1830).
L'impero ottomano uscì dalla crisi greca spossato e umiliato. La rivoluzione greca gli aveva tolto il vecchio sistema di organizzazione militare; la guerra russa aveva mostrato tutta l'insufficienza dei nuovi sistemi di armamento introdotti all'uso europeo. I paesi danubiani, per la convenzione di Akkerman (Cetatea Albă, in Bessarabia) e la pace di Adrianopoli, erano governati da ospodari a vita, dipendenti in teoria dal sultano, in pratica dallo zar. La Serbia nel 1830 ebbe un principe ereditario, legato alla Porta dal tributo annuo e dai presidî turchi nelle principali città; la Grecia, del tutto indipendente; il Montenegro, indipendente non di diritto ma di fatto. Ma la conseguenza più grave della crisi greca fu l'atteggiamento indipendente del pascià d'Egitto, Moḥammed ‛Alī. Mirabile organizzatore dell'Egitto, dopo avere messo il suo esercito a disposizione del sultano contro i Greci, si era proposto d'unire all'Egitto anche la Siria che gli pareva naturale integrazione del suo possesso. Ne seguì una guerra (vittoriosa per l'Egitto) e complicazioni diplomatiche per l'interferenza degl'interessi francesi e russi. Ora l'Egitto, con la pace di Kutaia (Kütahya), otteneva la cessione della Siria e di Adana (8 aprile 1833). La Turchia firmò allora un trattato di alleanza con la Russia (Unkiar Skelessi [Hünkār Iskelesi, nei Dardanelli], 8 luglio 1833), con cui lo zar s'impegnava ad aiutare il sultano in ogni eventualità, ottenendone il divieto d'entrata negli stretti a navi da guerra europee. Dunque, protettorato della Russia, che si garantiva l'invulnerabilità contro qualsiasi attacco da sud. Così la grave crisi incominciata con la ribellione greca pareva terminare con il vantaggio della Francia e della Russia: la prima, protettrice dell'impero arabo di Moḥammed ‛Alī; la seconda, protettrice dell'impero turco di Costantinopoli. All'Inghilterra rimaneva solo la magra consolazione di dominare la Grecia. Anche l'Austria e la Prussia, con il rinnovamento della Santa Alleanza a Münchengrätz (Mnichovo Hradiště, in Boemia; 18 settembre 1833), riconoscevano lo statu quo del trattato di Unkiar Skelessi.
Il governo di Londra non era però rassegnato ad abbandonare Costantinopoli alla Russia e il Delta alla Francia. La nuova politica inaugurata da Palmerston mirò a riprendere nei mari di Levante, nell'interesse dell'industria e del commercio inglesi, le posizioni perdute. La Turchia fu invasa dai mercanti inglesi che, appoggiati dai consoli, fecero di Costantinopoli il centro dei loro affari. Nel 1838 l'Inghilterra comprò dal sultano il porto di Aden. E poiché lo stato egizio-siriaco di Moḥammed ‛Alī, che aveva creato in questo vasto territorio un rigido sistema di protezionismo e di monopolio statale, era il maggiore ostacolo a questa politica espansiva inglese, l'Inghilterra fece di tutto per aizzare il sultano di Costantinopoli contro il viceré egiziano e provocare ribellioni e agitazioni in Siria. L'esercito del sultano fu distrutto nella battaglia di Nezīb (Nizip) sull'Eufrate. Ma Palmerston, sfruttando l'antagonismo franco-russo e la dichiarazione delle potenze del 27 luglio 1839, precisò che l'Europa assumeva la protezione e la difesa della Turchia, e sarebbe intervenuta come mediatrice e arbitra fra il sultano e il viceré d'Egitto. Così, al protettorato dello zar sulla Turchia si sostituiva quello collettivo delle grandi potenze. E quanto alla Francia, che, per mantenere il suo predominio mediterraneo, cercava di accordare Egitto e Turchia, sulla base della cessione definitiva della Siria, l'Inghilterra seppe guadagnare tutte le altre potenze alla convenzione di Londra (15 luglio 1840) che garantiva l'integrità della Turchia, a cui Moḥammed ‛Alī avrebbe dovuto restituire l'isola di Candia, Adana, e la Siria, esclusa la provincia d'Acri. Protestò la Francia: e, per un momento, parve possibile la guerra. Ma, appena comparve la flotta inglese in Siria e le popolazioni siriache si ribellarono costringendo Moḥammed ‛Alī a sottomettersi, la Francia dichiarò eseguita la convenzione di Londra. Il trattato di Unkiar Skelessi fu dichiarato abrogato; gli Stretti furono collocati sotto la salvaguardia delle potenze e stabilito il principio dell'inviolabilità loro da parte delle navi da guerra delle potenze (convenzione degli Stretti, 15 luglio 1841). L'Inghilterra trionfava: scomparsa la protezione russa sulla Turchia; scomparso il predominio russo sugli Stretti; distrutto l'impero siro-egiziano sotto la protezione francese. Turchia ed Egitto erano sotto la protezione dell'Inghilterra che aveva speciosamente saputo creare un interesse europeo nella conservazione della Turchia, così utile per la sua politica asiatica.
La questione orientale parve per alcuni anni sopita. A Costantinopoli, sotto la spinta inglese parve che il governo turco tendesse a un sistema di riforme (Tanẓīmāt). Le riforme tentate in Turchia dopo il 1840 mirarono in realtà a rafforzare l'autorità e la potenza del sultano; e le popolazioni cristiane, così in Asia come in Europa, continuarono ad allontanarsi dall'organizzazione turca. L'indipendenza della Grecia, come attirava gli elementi greci sudditi della Turchia, sognanti una grande Grecia, così diventava il modello dell'indipendenza desiderata da Serbi, da Romeni, da Bulgari, da Maroniti.
Nel 1844, Russia e Inghilterra conclusero un accordo, rimasto verbale, per impegnarsi a rispettare l'integrità della Turchia e chiedere il reciproco consenso in caso di mutazioni da portare allo statu quo. Ma gli interessi politici ed economici delle due potenze erano troppo contraddittorî. Nel 1849, la minaccia dell'avanzata russa nei Balcani provocò l'immediata comparsa nei Dardanelli della flotta inglese. Ciò nonostante, lo zar Nicola I credette di poter contare sull'intesa inglese del 1844, quando la politica francese, per opera di Napoleone III, cercò di riaffermarsi in Turchia e in Siria. Propose allora all'Inghilterra un nuovo e più positivo accordo, cioè mutuo rispetto dei diritti e degl'interessi delle due parti in Turchia e spartizione dei territorî ottomani in due sfere di influenza, russa e inglese, con esclusione d'ogni pretesa francese o di altra potenza; l'Austria avrebbe partecipato dell'accordo per quanto riguardava l'Illirico. Ma il governo inglese riaffermò il principio dell'integrità dell'impero ottomano e della necessità che la questione orientale venisse discussa solo nel concerto europeo. E trovò consenziente la Francia. Le trattative per un'intesa si fecero difficili quando la Russia, nel luglio del 1853, ebbe occupato i Principati Danubiani, in base al trattato russo-turco di Balta Liman (1849), come garanzia territoriale dei suoi diritti, e l'Inghilterra rispose inviando la flotta nei Dardanelli. Napoleone III, desideroso di arrivare alla guerra, spinse il sultano a rompere con la Russia, sperando in una coalizione europea antirussa. Infatti l'Inghilterra aspirava fortemente a togliere alla Russia i privilegi datile dai varî trattati con la Turchia e a rinsaldare il predominio inglese nel Mediterraneo orientale. Così Francia e Inghilterra dichiararono la guerra alla Russia il 27 marzo 1854 e inviarono un corpo di spedizione a Varna, sulla costa bulgara, per impedire l'avanzata russa nei Balcani. L'Austria rifiutò di entrare nella coalizione e si accontentò di costringere lo zar a sgombrare i Principati Danubiani, per poi occuparli militarmente come depositaria in nome della Turchia, ma sperando conservarli per sé. I governi di Londra e di Parigi proclamarono l'intenzione di assicurare la Turchia dalle ambizioni russe per l'avvenire, e assediarono Sebastopoli, base navale russa nel Mar Nero. Fu assedio gravoso e lungo. Tanto che, mentre l'Austria seguitava a rimanersene neutrale, Vittorio Emanuele II re di Sardegna, che perseguiva una politica di avvicinamento con le due potenze occidentali in vista di possibili sviluppi della questione italiana, approfittò del bisogno inglese di avere truppe di ricambio e, stretta alleanza con le due potenze, inviò un corpo di 15.000 uomini in Crimea. Dopo la caduta di Sebastopoli, fra le due alleate vi fu grande divergenza, desiderando la Francia di concludere la pace e l'Inghilterra di proseguire la guerra. L'Austria intervenne a favore delle proposte francesi e, minacciando guerra, costrinse la Russia ad accettare le richieste franco-inglesi: neutralizzazione del Mar Nero, rinuncia ad ogni diritto sui principati e ad ogni protezione sui cristiani sudditi della Turchia, cessione della striscia del territorio bessarabo lungo il Danubio. La pace definitiva fu firmata al congresso di Parigi (30 marzo 1856). Sebbene la Turchia fosse dichiarata del tutto indipendente verso le potenze europee e sebbene queste s'impegnassero a non ledere la sua integrità, tuttavia, dopo la guerra di Crimea, Francia e Inghilterra esercitarono un'alta protezione sulla Turchia e tutto il bacino orientale del Mediterraneo.
Condominio morale e politico pieno, però, di contrasti e di reciproche opposizioni. Napoleone III per alcuni anni s'illuse di poter scalzare completamente la posizione inglese: così la Turchia, per un nuovo tentativo di trasformazione economica, dovette rivolgersi al capitale francese; in Egitto, la compagnia del Canale di Suez organizzata da F. de Lesseps, con l'appoggio del governo francese, rappresentò quasi l'ipoteca della Francia sull'Egitto intero; la Grecia, delusa durante la guerra di Crimea nelle sue speranze di acquisti territoriali, si rivolse nuovamente a Parigi; sotto l'influsso francese, i due principati valacchi si riunivano in uno stato solo di Romania, ed ebbero un principe che era favorito da Napoleone III; in Siria, il massacro dei Maroniti per opera dei Drusi nel 1860 portò a un intervento militare francese mal tollerato dall'Inghilterra. La quale tuttavia non mancò di riaffermarsi lentamente in Oriente, quando il prestigio francese volse a declino: e si ebbe, dopo la rivoluzione greca del 1862, l'elezione del candidato inglese Giorgio di Danimarca a nuovo re dell'Ellade; la cessione delle Isole Ionie alla Grecia, che ritornò in tal modo nella clientela inglese. Più a nord, si esplicava di nuovo l'influsso russo, ravvivato dal programma morale e intellettuale del panslavismo: Montenegro e Bulgaria furono i centri di propaganda russa, mentre la Serbia era sotto l'influsso austriaco.
La caduta dell'impero napoleonico, nel 1870, segnò per molti anni la scomparsa dell'influsso francese; la Russia, con l'appoggio del nuovo impero tedesco, poté imporre all'Europa la revisione del trattato di Parigi e l'abolizione della neutralizzazione del Mar Nero (conferenza di Londra del 1871). Ma, riprendendo la politica di penetrazione nell'impero turco, la Russia non tardò a trovare di fronte la vecchia rivale, l'Austria, la quale, respinta dall'Italia e dalla Germania, ritornava a quella marcia nei Balcani che la rivoluzione francese aveva fermato. Sebbene i due imperi, collegandosi con la Germania nella Lega dei tre imperatori, cercassero di delineare le sfere speciali d'influenza, in realtà non potevano non obbedire a una politica totalitaria di predominio balcanico.
L'insurrezione della Bosnia ed Erzegovina nel 1875 e, subito dopo, quella della Bulgaria (1876), riportarono la questione orientale al centro della politica europea. Ufficialmente i governi protestarono di voler salvaguardare l'integrità dell'impero turco e studiarono piani di riforme civili e amministrative per pacificare le popolazioni cristiane e salvare economicamente la Turchia che nel 1875 aveva dichiarato l'impossibilità di fare fronte agli obblighi del debito pubblico. Ma i progetti di riforme erano diretti solo a mascherare le vere ambizioni e i progetti dei governi. Lo zar Alessandro II, spinto dal panslavismo, avrebbe desiderato una azione vivace per organizzare in stato amico e protetto le popolazioni bulgare, ma temeva che un conflitto con la Turchia non portasse da ultimo la rottura con l'Austria. Cercò dapprima di assicurarsi la neutralità della Germania, per l'eventualità di una guerra con l'Austria; gli fu rifiutata. E allora cercò di assicurarsi il consenso tedesco e austriaco a una sua azione militare verso la Turchia, riconoscendo le pretese austriache sulla Bosnia ed Erzegovina, mentre per sé chiedeva solo, oltre alla organizzazione dello stato bulgaro, la Bessarabia ceduta alla Romania nel 1856. Si sperava a Pietroburgo che l'Inghilterra si accontentasse del predominio assicuratosi in Egitto con l'acquisto di un'ingente quantità di azioni del Canale di Suez: in realtà, a Londra si voleva il dominio non solo dell'Egitto, ma di tutta l'Asia turca. Quando la Russia, dopo il rifiuto del sultano di accettare il piano di riforme preparato alla conferenza di Costantinopoli (dicembre 1876), dichiarò la guerra alla Turchia (24 aprile 1877), le potenze europee, pur dichiarandosi neutrali, si prepararono a intervenire nel conflitto. Con l'azione militare s'intrecciò un'intensa attività diplomatica mentre le potenze cercavano, con mezzi diplomatici, di fermare la Russia. Ma i tentativi dell'Inghilterra di creare una coalizione antirussa fallirono, per l'atteggiamento di aspettativa dei governi di Berlino e di Vienna. Così la Russia impose alla Turchia i preliminari. di pace di Adrianopoli e poi il trattato di Santo Stefano (3 marzo 1878), col quale otteneva per sé solo la Bessarabia danubiana e una parte dell'Armenia turca, ma otteneva anche l'indipendenza della Serbia, del Montenegro, con vasti ingrandimenti nel sangiaccato di Novi Pazar, e l'indipendenza della Romania con la Dobrugia bulgara in cambio della Bessarabia. La Bulgaria veniva organizzata in uno stato abbracciante non solo il territorio fra il Danubio e i Balcani, ma anche la Rumelia, gran parte della Tracia e la Macedonia sino ai laghi occidentali e alle porte di Salonicco, toccando ampiamente la costa del Mar Egeo. Così la Russia aveva il dominio di tutta la Penisola Balcanica e si apriva la strada verso le vallate del Tigri e dell'Eufrate.
Contro questa grave minaccia, Austria e Inghilterra insorsero e, spalleggiate dalla Germania, costrinsero la Russia a portare tutto il problema balcanico al congresso di Berlino (13 giugno-13 luglio 1878). Ivi alla Russia fu permesso di riprendersi la desiderata Bessarabia; ma, in Armenia, ebbe solo il porto di Batum e la città di Kars, mentre la Bulgaria fu organizzata in un piccolo stato fra il Danubio e i Balcani, vassallo della Turchia; la Rumelia Orientale rimase provincia turca amministrata in modo autonomo da un governatore cristiano; l'Austria fu autorizzata dal congresso a occupare e amministrare la Bosnia-Erzegovina, a occupare militarmente anche il sangiaccato di Novi Pazar. Così la politica balcanica dell'Austria, che intendeva organizzare gli Slavi sotto il governo di Vienna e di penetrare con ferrovie e commerci sino a Salonicco, venne riconosciuta dall'Europa, in opposizione a ogni predominio balcanico della Russia. Per sé, l'Inghilterra, pur proclamando di volere l'integrità della Turchia, si era fatto concedere dal sultano il diritto di occupare l'isola di Cipro, utile a sorvegliare l'azione russa in Asia (4 giugno 1878).
La crisi balcanica del 1875-78 si chiuse, dunque, a favore dell'Austria, fattasi baluardo dell'Europa contro il panslavismo, e a favore dell'Inghilterra che divenne predominante nel Mediterraneo. Dal congresso di Berlino, invece, uscirono malcontente, insieme con la Russia, la Francia e l'Italia: l'Italia, perché l'Austria si era rafforzata sulla costa orientale dell'Adriatico senza nessun compenso per essa; la Francia perché l'occupazione inglese di Cipro e il passaggio del Canale di Suez sotto il controllo inglese pregiudicavano le sue aspirazioni sulla Siria e sull'Egitto. In cambio, il governo inglese aveva dato, al congresso di Berlino, assicurazioni circa un'occupazione francese della Tunisia. Contando su tali malcontenti, la Russia cercò presto di sollevare un'opposizione alla Germania e all'Austria; ma queste due potenze si premunirono con un trattato di mutua assicurazione contro Russia e Francia, mentre anche l'Inghilterra frapponeva ostacoli. Il governo di Pietroburgo dovette così rinunciare al suo programma bellicoso e chiedere di entrare in una nuova Lega dei tre imperatori. Dovette per questo riconoscere la nuova posizione predominante dell'Austria nei Balcani e acconsentirle un'eventuale annessione della Bosnia-Erzegovina ottenendo in cambio il riconoscimento del carattere internazionale della chiusura degli Stretti e il consenso dell'unione della Bulgaria e della Rumelia, quando gli eventi l'avessero permesso (trattato di Berlino del 18 giugno 1881). L'alleanza dei tre imperatori si disinteressava completamente della situazione mediterranea, desiderando il governo di Berlino solo di conservare la pace. Così Inghilterra e Francia, nonostante i contrasti, s'intesero, e la Francia poté nel 1881 occupare Tunisi, e l'Inghilterra nel 1882 poté sbarcare e iniziare l'occupazione dell'Egitto, ambedue danneggiando gravemente l'Italia nei suoi interessi economici e rinchiudendola in un pericoloso cerchio.
Allora l'Italia fu costretta ad abbandonare la politica oscillante degli ultimi anni, causa del suo isolamento e dei suoi insuccessi, e nel 1882 firmò a Vienna il primo trattato della Triplice Alleanza che le dava la sicurezza verso la Francia, ma la costringeva a riconoscere l'Austria come potenza balcanica ed a difenderla in caso di conflitto con la Russia. Contemporaneamente, Vienna si premuniva contro la Russia, facendo nel 1881 segreta alleanza con la Serbia, che diventava quasi un suo stato vassallo e nel 1883 alleanza con la Romania, a cui accedettero prima la Germania e poi anche l'Italia. La politica austriaca, diretta a Salonicco, vi si preparava pure con la costruzione di ferrovie di carattere strategico-commerciale. Inoltre anche i Bulgari, osteggiati dalla Russia nelle loro tendenze unitarie e offesi dal contegno dei generali e funzionarî russi rimasti in Bulgaria dopo il 1878, abbandonarono l'amicizia russa per quella austriaca. Anzi, quando nel 1885 il principe di Bulgaria, Alessandro di Battenberg, già candidato e protetto dello zar, fu, dopo avere occupata Filippopoli e proclamata l'unione dei due paesi bulgari, costretto dallo zar ad abdicare, la Bulgaria proclamò principe un candidato austriaco, Ferdinando di Sassonia-Coburgo e passò al vassallaggio austriaco: i Balcani parvero chiusi alla Russia. Cercò Bismarck, impressionato della crisi boulangista in Francia e d'un possibile riavvicinamento franco-russo, di assicurare la Triplice e salvare l'alleanza austro-russa. E l'Italia nel 1887 acconsentì al rinnovamento della Triplice, a condizione di esser assicurata del rispetto dello statu quo balcanico e, in caso di disgregazione dell'impero ottomano, di poter partecipare alla regolarizzazione territoriale, sul principio del reciproco compenso, diventando così un elemento attivo della Triplice e assicurando il rispetto dei suoi interessi nella Penisola Balcanica. Ma più difficile fu risolvere la controversia austro-russa: ché l'Austria non intendeva disinteressarsi della Bulgaria. Bismarek offrì allora allo zar di riconoscere la Bulgaria come sfera d'influenza russa e di serbare la neutralità benevola nella questione degli Stretti. Alessandro III accettò e firmò il 18 giugno 1887 il trattato di contro-assicurazione in cui la Germania riconosceva i diritti storicamente acquisiti dalla Russia nella Penisola Balcanica e la legittimità della sua influenza preponderante e decisiva nella Bulgaria; e le due potenze s'impegnavano ad impedire qualsiasi tentativo di modificare lo statu quo balcanico senza il loro consenso. La Russia, per conto suo, prendeva impegni per il caso di conflitto franco-tedesco. Così Bismarck sperò di avere di nuovo fermato tanto l'Austria quanto la Russia nei Balcani e di avere garantito la pace europea. Nello stesso anno, l'Italia si accordava con l'Inghilterra per conservare lo statu quo nel Mediterraneo, con l'impegno di appoggio reciproco, all'Inghilterra in Egitto, all'Italia in Tripolitania. Analoghi accordi per lo statu quo mediterraneo furono firmati fra l'Italia e la Spagna, fra l'Austria e l'Inghilterra.
Mentre cercavano di assicurare la pace nei Balcani e nel Mediterraneo con questa rete di accordi, le potenze si dedicarono ad un'intensa attività e propaganda di carattere economico in tutti i territorî turchi. L'Austria perseverò nella sua politica ferroviaria nei Balcani; la Francia prestò denari alla Turchia, in cambio di monopolî e di costruzioni portuarie; l'Inghilterra, dall'Egitto, avviò lo sfruttamento dell'Asia turca. Anche la Germania intraprese una sua penetrazione in Turchia, sopra tutto dei paesi asiatici; ottenuta nel 1888 la prima concessione ferroviaria in Anatolia, presto incominciò la costruzione della grande linea della ferrovia di Baghdād. Guglielmo II, nel 1889, si recò a Costantinopoli e l'ambasciata tedesca diventò il sostegno degl'industriali e dei commercianti tedeschi, mentre generali e finanzieri tedeschi attendevano a una riorganizzazione dell'esercito e dell'amministrazione ottomana, sì da impedire gli attentati di altre potenze. Per essere libera in questo campo, la Germania incoraggiò la Russia verso l'Estremo Oriente e la Francia alle grandi colonizzazioni africane e asiatiche, mentre abbandonava all'Inghilterra l'Africa orientale. È vero però che la ferrovia di Baghdād con la sua diramazione alla Mecca, doveva inquietare la Russia che sorvegliava dall'Armenia, e l'Inghilterra che guardava dal Golfo Persico e da Suez.
Ma tutta questa attività economiea delle grandi potenze desiderose di materie prime e di nuovi sbocchi, non si estese alla cosa più importante, la riorganizzazione dei paesi turchi. I piani di riforme rimasero sempre sulla carta. Maturò così lentamente una nuova crisi interna. Dal 1894 al 1896, massacri armeni: e solo l'Inghilterra dimostrò di volersi interessare seriamente della situazione di quel paese, per togliere motivo a un'eventuale azione russa. Ma la Russia, che allora era tutta presa dall'Estremo Oriente, era turcofila sul Mar Nero e non desiderava un'azione delle potenze diretta a creare un'Armenia indipendente o autonoma capace di attirare a sé le provincie armene soggette alla Russia. La Francia seguì la politica di astensione desiderata a Pietroburgo. Per motivi diversi, la Germania e l'Austria si disinteressarono dell'Armenia per non urtare il sultano alleato. Intanto, caduto Bismarck, non rinnovato il trattato di contro-assicurazione, rinnovata invece la Triplice (1891) a cui pareva aderire l'Inghilterra, la Russia accettò, come aveva previsto il Bismarck, le profferte francesi e strinse con la Francia un primo legame difensivo, sviluppatosi a passo a passo nella vera alleanza della Duplice. Allora, l'Inghilterra rimase paralizzata nel Mediterraneo orientale, per la minaccia di un'azione parallela delle due flotte francese e russa contro gli Stretti; e alla Germania fu necessario assicurarsi con ogni sforzo la fedeltà del sultano, per avere il dominio degli Stretti stessi.
Svanita la crisi armena, senza l'intervento delle potenze, si aprì la questione cretese. I Greci avevano ottenuto con gravi sforzi una rettifica del confine in Tessaglia. Ma nel 1885, durante la crisi bulgara, accennando essi ad intervenire con le armi in difesa del loro programma di espansione, furono fermati dalle potenze con il blocco marittimo. Nel 1896 si ribellarono i Cretesi, protestando perché non erano state mai applicate le riforme proclamate nel 1868. Il loro moto, prima autonomista, presto si fece annessionista al regno greco; e anzi, poiché le magre riforme del sultano non li soddisfecero, essi proclamarono l'annessione alla Grecia che mandò truppe in soccorso. Seguì la rottura fra la Grecia e la Turchia, che ben preparata dagli ufficiali tedeschi, rapidamente sconfisse l'avversaria che dovette pagare indennità di guerra e subire il controllo finanziario europeo. Ma le potenze intanto avevano bloccato Creta e sbarcatevi truppe, imponendo al sultano un governatore cristiano, Giorgio di Greeia. Era una vittoria della Duplice sulla Triplice, perché anche l'Italia e l'Inghilterra avevano accettata questa soluzione greca. L'agitazione si era però propagata nei Balcani, specie in Macedonia, dove cozzavano i varî popoli che avevano acquistato la coscienza nazionale. Falliti i piani di riforme nuovamente patrocinati dal governo di Londra, intensificatasi l'agitazione e formatesi bande d'insorti macedoni, Austria e Russia, per evitare un grave conflitto, si ravvicinarono: e si ebbe il viaggio di Francesco Giuseppe a Pietroburgo, dove i due imperatori convennero d'invitare collettivamente gli staterelli balcanici a non turbare la pace con le bande rivoluzionarie. Qualora lo statu quo balcanico fosse stato impossibile, le due potenze sarebbero intervenute, dichiarando libera l'Albania e dividendo la Macedonia fra gli stati limitrofi. La Triplice Alleanza, per il dissidio di interessi fra l'Italia e l'Austria, era costretta a riconoscere alla Russia una parità di interessi. Le agitazioni nella Penisola Balcanica continuarono, ad opera del comitato rivoluzionario bulgaro, fondatosi a Sofia con il programma dell'annessione della Macedonia alla Bulgaria e dell'altro comitato macedone creato a Salonicco dai macedoni autonomisti. Le violente repressioni turche aggravarono la situazione, tanto più che il governo bulgaro prese apertamente la protezione dei ribelli. Il problema macedone fu posto ufficialmente dalla Bulgaria nel 1899, con un memorandum alla Turchia: autonomia alla Macedonia, sotto governatore bulgaro, con capitale Salonicco. In tutto questo, la Russia aveva appoggiato la Bulgaria. Ma quando si profilò in Estremo Oriente il pericolo del conflitto con il Giappone, essa ristabilì il pieno accordo con l'Austria (convegno dei due ministri degli Esteri a Vienna nel 1902, e convegno dei due imperatori a Mürzsteg), per una cooperazione pacifica nelle riforme di Macedonia. In realtà la Russia dovette disinteressarsi dei Balcani, che rimasero sotto il dominio del governo austriaco.
La Russia, fiaccata in Oriente, non avrebbe potuto più opporsi all'avanzata austriaca. Dovette anche nei riguardi dell'Inghilterra abbandonare l'idea di stabilirsi in Persia e di ottenere una soluzione favorevole della questione degli Stretti. Il governo di Vienna desiderava sfruttare gli accordi di Mürzsteg, prima che la Russia potesse riarmarsi e imporre le sue condizioni. A Vienna si era preoccupati dell'atteggiamento energico assunto dalle popolazioni slave di Serbia, di Bosnia, di Croazia; a Fiume, nel 1905, i deputati slavi di Dalmazia e di Croazia, capitanati da A. Trumbić, sindaco di Spalato, avevano affermato la loro volontà di ricostituire il regno di Croazia e Slavonia rifacendo l'unità sud-slava. Perciò, mentre i politici austriaci pensavano a una rapida penetrazione nella Penisola Balcanica, i militari progettavano un attacco contro il regno di Serbia. per annetterlo e inquadrarlo nell'organizzazione austro-ungarica, tagliando il capo al panserbismo. Occorreva un'azione preventiva, per impedire ehe avvenisse in Serbia quello che era successo in Italia e in Germania. Qualcuno, come F. Conrad v. Hötzendorf, capo di Stato maggiore, pensava a una guerra con l'Italia per costringerla a riconoscere il primato balcanico dell'Austria, mentre si era disposti a fare qualche concessione alla Russia, specie per gli Stretti. Questa era appunto una questione su cui la Russia trovava ostile l'Italia che, per le altre questioni balcaniche, era pronta a aderire a un'azione che imponesse all'alleata Austria lo statu quo, diventato anche clausola della Triplice Alleanza. L'Italia sorvegliava, dopo gli accordi di Mürzsteg, le ambizioni austriache. Aveva, sì, dovuto concedere all'Austria libertà d'azione nella Bosnia e nel sangiaccato, ma aveva anche ottenuto l'impegno che non facesse politica aggressiva nei Balcani. Qui, il programma italiano era: incolumità della Serbia e del Montenegro, libero sviluppo dell'Albania, nonché arresto della discesa dell'Austria a Salonicco.
Nel 1907 si venne a un accordo fra Duplice e Italia, sul progetto inglese di riforme definitive da imporre in Macedonia. L'Austria, appoggiata dalla Germania, si oppose e decise l'annessione della Bosnia. Il movimento dei Giovani Turchi, che tendevano a conservare la dominazione ottomana nei Balcani, precipitò l'annessione (5 ottobre 1908). Contemporaneamente, Ferdinando di Bulgaria, tornato alla clientela austriaca, mentre il re di Serbia Pietro Karagjorgjević ripassava alla protezione russa, si proclamava re indipendente. La Russia protestò violentemente contro la mossa austriaca, ma, di fronte al reciso appoggio tedesco all'Austria, trovandosi disarmata e agitata, si rassegnò a riconoscere l'annessione. L'Italia pure protestò, ma senza rompere l'alleanza austriaca e ottenendo dal governo di Vienna la rinuncia all'articolo 29 del trattato di Berlino, che vincolava all'Austria il Montenegro. Nicola di Montenegro si proclamò allora re; la Grecia, dal canto suo, dichiarò l'annessione di Creta. I Giovani Turchi deposero il vecchio sultano ‛Abd ul-Ḥamīd, tedescofilo; ma ritornarono subito all'amicizia della Germania che appariva pur sempre la migliore garanzia contro il pericolo russo e inglese.
Contro la minaccia d'un nuovo balzo in avanti dell'Austria, l'Italia appoggiata dal governo di Berlino che temeva di vederla allontanarsi dall'alleanza, costrinse il conte A. v. Aerenthal ministro degli Esteri austro-ungarico a firmare l'impegno di non accordarsi con altra potenza e di non fare occupazioni nella Penisola Balcanica senza previa intesa con l'Italia; poi, venuto lo zar Nicola II a Racconigi (1909) presso Vittorio Emanuele III, T. Tittoni firmò con il ministro russo A. P. Izvol′skij, l'impegno di conservare lo statu quo nei Balcani, a benefizio delle nazionalità indigene, contro possibili azioni di altri stati. A Racconigi l'Italia dovette però fare promesse alla Russia per gli Stretti, ottenendo in cambio libertà d'azione in Tripolitania. Così l'Italia si era garantita tanto a Vienna quanto a Pietroburgo. Riapertasi nel 1911 la questione marocchina tra Francia e Germania, il governo di Roma si affrettò a occupare e annettere la Libia; però, con i tentativi di forzare gli Stretti, compiendo azioni militari a Prevesa in Albania e occupando Rodi e il Dodecaneso affermava i suoi interessi e le sue pretese di grande potenza nei Balcani e nell'Anatolia.
La crisi italo-turca diede la spinta all'azione russa nei Balcani contro l'Austria. Seguendo i consigli della sua diplomazia, Atene, Belgrado e Sofia combinarono un'intesa e una alleanza contro la Turchia: 13 marzo 1912, alleanza serbo-bulgara; 29 maggio, alleanza greco-bulgara; 9 agosto, alleanza bulgaro-montenegrina. Si procedette alla ripartizione delle eventuali conquiste: per la Macedonia centrale, pomo della discordia, arbitrato dello zar, supremo protettore delle popolazioni balcaniche. Fallita una fiacca azione francese per la pace, l'8 ottobre 1912 il Montenegro aprì le ostilità e il 13 anche gli altri stati entrarono in guerra. I Turchi furono dovunque sconfitti: i Greci occuparono Salonicco, i Serbi Monastir (Bitoli), i Bulgari assediarono Adrianopoli, i Montenegrini Scutari. La Russia mise però il veto all'avanzata bulgara su Costantinopoli e a Ciatalgia (Catalca) fu firmato un armistizio (3 dicembre). A Londra, si aprì una duplice conferenza, quella balcanica e quella europea; ma le trattative vennero interrotte già il 30 gennaio 1913. Adrianopoli cadde il 24 marzo, Scutari il 22 aprile, Giannina il 5 marzo.
L'Austria, sorpresa per tali vittorie, aveva mobilitato e minacciava di entrare in Serbia, vietando la discesa dei Serbi all'Adriatico. L'Italia aderì a questo programma e accettò il rinnovamento della Triplice per impedire all'Austria di avanzarsi in Albania e in Macedonia, pur servendosi del governo di Vienna per fermare l'altro pericolo serbo. Infatti il governo austriaco cercò di annullare le conseguenze perniciose della guerra balcanica. Spinse la Romania contro la Bulgaria, promettendole un ampliamento in Dobrugia; spinse la Bulgaria contro la Serbia, promettendole la Macedonia e Salonicco. Intanto si accordava con l'Italia per una spartizione dell'Albania in due sfere d'influenza; al Montenegro vietava di tenere Scutari; alla Grecia, d'accordo con l'Italia, vietava di occupare terre albanesi, per creare un regno di Albania indipendente.
La Bulgaria, allora, ruppe con la Serbia e la Grecia e le attaccò violentemente, ma fu sconfitta, mentre alle spalle i Turchi ricuperavano Adrianopoli e la Romania affermava le sue pretese in Dobrugia. Il trionfo serbo-greco decise l'Austria ad affrontare la guerra. Ma si fermò, per il rifiuto dell'Italia a riconoscere negli avvenimenti il casus foederis preteso dal governo di Vienna. La Russia avrebbe voluto intervenire, per imporre all'Austria il riconoscimento del trionfo serbo; ma ne fu distolta dalla insufficienza dei suoi preparativi militari. La pace fu firmata a Bucarest il 10 agosto 1913 e segnò l'esclusione della Bulgaria dalla Macedonia, divisa fra Serbi e Greci; la Turchia ritornò ad Adrianopoli e nella Tracia orientale; la Romania rettificò il confine dobrugiano. L'Albania intanto, nella conferenza di Londra veniva eretta a regno, sotto la protezione austro-italiana. Così, l'Austria riuscì a impedire alla Serbia la discesa all'Adriatico; l'Italia ebbe dall'Austria e dalla Germania un valido appoggio contro la Duplice e l'Inghilterra, desiderose di toglierle Rodi e il Dodecaneso, rimasti ad essa per la pace di Losanna non adempiuta dalla Turchia.
La pace non portò la tranquillità né nei Balcani né in Europa. Fra i governi delle grandi come delle piccole potenze continuarono le discussioni e i contrasti. L'azione vivace dell'Austria, per costringere i Serbi a sgombrare l'Albania, provocò una ripresa della propaganda unitaria iugoslava. Si cercò di creare l'unione serbo-montenegrina; ma essa, favorita dall'Austria che voleva occupare a titolo di compenso i porti montenegrini, era osteggiata dall'Italia, che voleva salvaguardare l'Albania indipendente. Nell'inverno del 1913-14 i due governi di Vienna e di Berlino incominciarono a prepararsi per un'azione militare contro la Serbia, il cui ingrandimento cominciava ad apparire pericoloso. Trattarono con la Romania perché essa non si opponesse a un attacco della Bulgaria contro la Serbia, d'accordo con l'esercito austriaco. Queste trattative non erano ancora terminate, quando il 28 giugno 1914 avvenne a Sarajevo l'uccisione dell'erede al trono austro-ungarico. Seguì l'ultimatum austriaco e poi la dichiarazione di guerra alla Serbia, con il successivo intervento della Russia, della Germania, della Francia, dell'Inghilterra (v. guerra mondiale). Attraverso la lotta di tutta l'Europa, dal 1914 al 1918, si delineano chiaramente le direttive tradizionali della questione d'Oriente. L'Austria, prima respinta dalla Serbia, riprende l'attacco nel 1915, quando la Bulgaria muove contro la Serbia da oriente dopo essersi alleata con la Germania e la Turchia, per impadronirsi con il loro consenso della Macedonia orientale. Intanto, l'Austria s'impadronisce della Serbia e del Montenegro. L'azione balcanica dell'Austria determina allora l'intervento dell'Italia, che si premunisce occupando Valona in Albania. La Romania, minacciata dai progetti d'una grande Bulgaria, attacca l'Austria, ma viene sconfitta e costretta a fare una pace umiliante. Le potenze centrali pensavano a salvare la Turchia per averla di nuovo come territorio da colonizzare industrialmente; e la Bulgaria mirava a eliminare Serbia e Grecia dalla Macedonia e dalla Tracia. Invece, la Serbia progettava l'unione di tutti gli Slavi del sud sulle rovine dell'Austria; e la Grecia era incerta, non avendo voluto tenere fede al trattato di alleanza con la Serbia ed essendo stata impedita dalle potenze mediterranee di unirsi alla Bulgaria contro la Serbia. Le potenze dell'Intesa erano discordi per quanto riguardava l'Oriente balcanico e turco: le pretese della Russia d'installarsi a Costantmopoli e sugli Stretti avevano l'opposizione dell'Inghilterra; ma questa, per salvare l'alleanza, dovette cedere in un accordo segreto del 1915, pur cercando d'installarsi essa stessa negli Stretti con il tentato forzamento a favore della Russia. Durante la guerra, poi, nel 1916 e 1917, le tre potenze dell'Intesa, all'insaputa dell'Italia, discussero accordi di spartizione dei territorî turchi; nel 1917, nche l'Italia fu ammessa a partecipare alla spartizione con gli accordi di San Giovanni di Moriana.
La soluzione dei varî problemi dell'Oriente balcanico venne ad essere affidata all'esito della guerra mondiale. Perciò, quando nel 1918 anche nel settore balcanico e in quello turco la resistenza del blocco germanico-bulgaro-turco venne meno, l'Intesa poté pensare a svolgere il suo programma di spartizione. Tuttavia, essendosi la Russia ritirata dal conflitto con la pace di Brest Litowsk, l'Inghilterra, appoggiandosi agli Stati Uniti ultimi entrati nella guerra, cercò di liberarsi dagl'impegni presi con l'Italia e con la Francia, per risolvere tutta la questione orientale secondo i suoi interessi mediterranei e asiatici. Con l'armistizio di Mudros (30 ottobre 1918), l'Inghilterra si fece concedere dai Turchi il diritto di stabilirsi a Costantinopoli e negli Stretti, completando così il possesso del Mediterraneo. Nella Penisola Balcanica si volle dalle tre potenze egemoniche, Inghilterra, Stati Uniti e Francia, creare un assetto che garantisse la stabilità, autorizzando la Serbia a unificare tutti i popoli slavi in uno stato solo, detto poi Iugoslavia, che dovette regolare i confini con l'Austria (trattato di Saint-Germain, 10 settembre 1919), con l'Ungheria (trattato del Trianon, 4 giugno 1920), con l'Italia (trattato di Rapallo, 12 novembre 1920, e trattato di Roma, 27 gennaio 1924). La Iugoslavia doveva impedire la ripresa della politica balcanica così della Germania come dell'Italia, la quale poté a stento, per l'opposizione delle alleate, conservare l'Istria, Fiume, Zara nella Dalmazia e alcune isole dalmate d'importanza strategica, mentre fu costretta a sgombrare l'Albania (trattato di Tirana, 3 agosto 1920). Contro la possibilità d'una politica balcanica russa, si rafforzò la Romania, dandole la Bessarabia e la Transilvania. La Bulgaria, vinta, fu ristretta al puro territorio bulgaro (trattato di Neuilly, 27 novembre 1919). Inglesi e Francesi favorirono invece grandemente la Grecia, dandole la Tracia, tutte le isole egee e buona parte dell'Anatolia occidentale con Smirne (14 marzo 1919), allo scopo di creare un baluardo in Europa contro i Bulgari, in Anatolia contro i Turchi, ai quali si era permesso di continuare ad avere la piattaforma anatolica con Costantinopoli (trattato di Sèvres, 10 agosto 1920). La Turchia però, riorganizzatasi con governo repubblicano dittatoriale ad Angora (Ankara) costrinse con una fortunata guerra la Grecia allo sgombro dei territorî anatolici e riebbe pure la Tracia orientale (trattato di Losanna, 24 luglio 1923). L'espulsiohe in massa dei Greci dal territorio turco permise di dare al nuovo stato un carattere nettamente nazionale.
Tutti i territorî arabi furono dalla Turchia abbandonati col trattato di Sèvres alle potenze vincitrici, perché vi organizzassero degli stati indipendenti sotto la protezione e la guida di potenze mandatarie. La Società delle nazioni, infatti, assegnò la Siria settentrionale alla Francia, la Siria meridionale, l'‛Irāq e l'Arabia all'Inghilterra. Tali decisioni soltanto parzialmente soddisfecero i desiderî degli Arabi, tendenti alla creazione d'un impero arabo con tutti i paesi arabi asiatici dal Mediterraneo al Mare di ‛Omān, dal Tigri al Canale di Suez. Contro il panarabismo, le potenze sostennero le tendenze dirette a creare stati locali che permettessero il predominio europeo e lo sfruttamento delle ricchezze naturali. Così il Ḥigiāz fu dichiarato stato indipendente, pur essendo controllato dal governo britannico per la politica estera. L'‛Irāq, diventato anch'esso regno arabo, dopo un periodo di mandato inglese, fu riconosciuto stato indipendente, legato però all'Inghilterra da un trattato d'alleanza che sancisce l'influsso inglese. In Palestina, il governo inglese creò il così detto "foyer national" israelitico sionista, dove i contrasti derivatine fra Arabi, Ebrei, cristiani rendono difficile la posizione della potenza mandataria, costretta tuttavia ad occupare militarmente il paese, come centro di tutti i suoi interessi nella zona araba. Ugualmente, nella Siria settentrionale, la Francia non è ancora riuscita a risolvere il problema dell'organizzazione e dell'amministrazione, nonostante i varî esperimenti. L'influsso italiano in Oriente ha, come base, Rodi e il Dodecaneso conservato nonostante le opposizioni e le ostilità delle varie potenze. La questione degli Stretti col trattato di Sèvres e poi con quello di Losanna fu risolta sulla base dell'assoluta libertà di navigazione, così marittima come aerea; soluzione ispirata all'interesse inglese contro le tendenze russe desiderose pur sempre di fare del Mar Nero un lago del tutto russo, con la Turchia come guardiana.
La soluzione data dopo la guerra mondiale ai varî problemi della questione d'Oriente, essendo ispirata dagl'interessi di alcune potenze a danno degl'interessi di altre potenze, è naturalmente provvisoria e legata solo alla conservazione delle egemonie stabilitesi in Europa dopo il crollo dei tre grandi imperi d'Austria, di Germania e di Russia.
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