MEZZOGIORNO, Questione del
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Economia. - La disparità di condizioni tra il Nord e il Sud del paese, caratteristica ''critica'' del modello economico italiano fin dall'Unità d'Italia, si manifesta ancora oggi nel M. nell'inferiore livello di sviluppo, nella differente struttura del sistema produttivo e nella minore dotazione e qualità di infrastrutture e servizi. L'economia del M. evidenzia attualmente tassi di crescita più bassi e livelli di reddito pro capite intorno ai 2/3 dei valori nazionali. Il tasso di accumulazione è insufficiente, mentre i consumi, sostenuti anche da una politica di sviluppo sociale, assorbono quote del prodotto più elevate rispetto a quelle del Centro-Nord, accentuando così il tasso di dipendenza dall'esterno. Tale situazione produce da sempre una differente reattività del M. alla congiuntura economica rispetto al resto del paese, il che approfondisce ulteriormente il divario esistente. Anche negli anni Ottanta il M. ha partecipato in modo limitato e con notevole ritardo alla sensibile crescita produttiva verificatasi nel nostro paese. Infatti, pur registrando tassi medi annui di variazione del Prodotto Interno Lordo (PIL) a prezzi costanti superiori a quelli del resto del paese, il M. non è riuscito a recuperare il divario di prodotto pro capite, che è ulteriormente diminuito, rispetto al Centro-Nord, dal 59% al 57%.
Il permanente divario tra M. e Centro-Nord trova nei processi di accumulazione ulteriore conferma. Negli anni Ottanta, gli investimenti fissi lordi nel M., pur registrando una crescita non troppo distante (20,5% del Centro-Nord contro il 16,5% del M.), sono stati tuttavia insufficienti a innescare processi di sviluppo adeguati all'obiettivo del riequilibrio. Gli squilibri e le tensioni nel M., soprattutto di questi anni, sono ulteriormente aggravati dalla situazione del mercato del lavoro, a causa della persistente pressione demografica, dell'insufficiente domanda di lavoro e dell'annullamento dei flussi migratori. Nel 1992 la disoccupazione nel M. è stata più del triplo (20,4%) che nel Centro-Nord (5,9%); mentre eccezionale è divenuto il numero delle persone in cerca di occupazione (nel luglio 1992 erano 1.578.000 unità, il 59% circa del totale nazionale), fra cui particolarmente consistente è il numero dei giovani in cerca di prima occupazione. Solo recentemente il M. ha mostrato alcune positive tendenze all'incremento del numero di occupati, grazie ad alcune modificazioni della base produttiva non più essenzialmente sostitutive, ma anche innovative e aggiuntive rispetto alle produzioni tradizionali.
Nel corso degli ultimi quarant'anni il M. è passato da un'economia agricola a una maggiormente industriale e, in seguito, terziaria, anche se in termini ridotti rispetto a quanto verificatosi nel Centro-Nord, come evidenziato soprattutto dagli squilibri dell'indice d'industrializzazione (addetti all'industria ogni 1000 ab.), che ancora nel luglio 1992 risultava nel M. pari a 54, contro 167 (Nord-Ovest), 153 (Nord-Est) e 109 (Italia centrale), e dall'inferiore produttività per addetto. In questi stessi anni è stato meno efficace di quanto atteso il ruolo dell'imprenditoria privata meridionale, che non è ancora riuscita a esprimere una forza sufficiente a promuovere un'integrazione attiva del M., basata sulla valorizzazione delle risorse locali. Su questo aspetto pesa senza dubbio lo squilibrio tra M. e Centro-Nord in termini di capacità d'offerta di economie esterne, quali per es. le infrastrutture. La dotazione infrastrutturale rilevata nel M. nella prima metà degli anni Ottanta è infatti ancora pari al 60-70% di quella nazionale.
Le prospettive del M. sono, quindi, particolarmente incerte. Se a ciò si aggiungono le tendenze che caratterizzano la crescita produttiva a livello nazionale e internazionale, il rischio che il dualismo tra Centro-Nord e M. si approfondisca ulteriormente è assai elevato. Infatti, i vincoli alle potenzialità di crescita del sistema economico nazionale (squilibrio della bilancia dei pagamenti, deficit della finanza pubblica, livelli d'inflazione elevati) e le esigenze di confronto competitivo sui mercati internazionali (per effetto dell'unificazione economica e monetaria tra i paesi CEE) possono determinare difficoltà rilevanti nei livelli e nella qualità della crescita del paese e, quindi, comportare ulteriori battute d'arresto dello sviluppo del Mezzogiorno. L'impulso alla crescita dovrebbe dunque provenire in maggior misura dall'esterno: da un'accentuazione del saggio di accumulazione dovuto alla localizzazione di risorse esterne; dalla continuazione di una politica di trasferimenti pubblici indirizzati alla creazione di una classe imprenditoriale e di nuove iniziative produttive; dagli investimenti in opere pubbliche; dalla creazione di impianti realizzati da grandi imprese del Nord. In questo contesto l'''intervento straordinario'' ha mantenuto un ruolo centrale sino al 1993, anno terminale della l. 1° marzo 1986 n. 64, che lo ha per l'ultima volta rilanciato.
La l. 64/86 ha fondato la politica di sviluppo sulla programmazione unitaria delle risorse nelle diverse articolazioni, straordinarie e ordinarie, nazionali e comunitarie, centrali e locali, senza tralasciare le occasioni di più ampio coinvolgimento dell'iniziativa privata. Recentemente l'azione della l. 64/86 ha ricevuto, col Programma triennale 1990-92, nuovi indirizzi d'intervento, volti a favorire la creazione di iniziative produttive (attraverso gli strumenti dell'incentivazione finanziaria e fiscale), lo sviluppo dell'innovazione e della ricerca (attraverso contratti di programma con grandi imprese e consorzi di piccole e medie imprese), la qualificazione e la formazione professionale e infine l'ampliamento della dotazione infrastrutturale. La struttura della programmazione è stata rimodulata per consentire la partecipazione delle Regioni, alle quali è stato affidato un ruolo primario di proposta e di gestione diretta degli interventi afferenti la propria competenza. Nel quadro istituzionale dell'intervento speciale nel M., l'intervento ''centrale'' è stato quindi finalizzato al conseguimento di specifici obiettivi, soprattutto in campo infrastrutturale, con l'istituzione dei ''Progetti strategici'' in particolari settori d'interesse sovraregionale. Uno spazio rilevante è stato dato ai settori dell'innovazione e della formazione, essenziali per recuperare competitività nel Mezzogiorno.
Con la l. 19 dicembre 1992 n. 488 e un successivo decreto del marzo 1993 l'intervento speciale è stato definitivamente soppresso per tener conto della volontà delle forze politiche e dell'opinione pubblica di affidare il nuovo intervento a sostegno delle aree deboli del paese (anche del Centro-Nord) a procedure, finanziamenti e soggetti ''ordinari''. La transizione dovrà assicurare il compimento del disegno di sviluppo così impostato, i cui esiti finali si preannunciano non marginali per contribuire al riequilibrio sociale ed economico del nostro paese. Priorità nel nuovo intervento di politica regionale nel M. restano l'industrializzazione e, più in generale, la creazione di posti di lavoro in attività di mercato, la realizzazione di infrastrutture funzionali alla crescita civile ed economica, la qualificazione delle professionalità locali, specie della Pubblica amministrazione. Esigenze di contenimento della spesa pubblica e di tutela della concorrenza impongono, in conformità alle direttive comunitarie, una riduzione degli incentivi finanziari e, per contro, un maggiore ricorso a incentivi indiretti e ad agevolazioni fiscali, anche per favorire una più diffusa partecipazione al capitale di rischio delle imprese industriali, nonché il coinvolgimento del capitale privato nella realizzazione e gestione delle infrastrutture.
Diritto. - L'intero sistema legislativo dell'intervento nel M. è stato coordinato nel T.U. 6 marzo 1978 n. 218, che rappresenta il secondo tentativo, dopo quello realizzato col T.U. 30 giugno 1967 n. 1523, di dare ordine e sistematicità al complesso normativo. Tali tentativi, però, sono stati entrambi vanificati dalla circostanza che le leggi predisposte sono state rapidamente superate dalle continue modifiche e integrazioni delle norme in esse contenute. La fase di transizione verso la disciplina dell'intervento straordinario ha comportato infatti, tra il 1981 e il 1986, un succedersi di leggi e leggine nelle quali si rifletteva una pesante conflittualità politica e l'incapacità di adottare nuovi e seri strumenti legislativi. L'incertezza derivante da questa disordinata produzione legislativa è culminata nel provvedimento di liquidazione della Cassa per il M., le cui peculiari caratteristiche hanno avuto un loro quasi naturale sbocco nella l. 17 novembre 1984 n. 775, che ha consentito la prosecuzione dell'intervento straordinario raccordandolo con la legislazione precedente, in particolare con la l. 1° dicembre 1983 n. 651, la cosiddetta ''legge ponte'', concernente disposizioni per il finanziamento triennale degli interventi straordinari nel Mezzogiorno.
Evento di rilievo nell'ambito del descritto processo legislativo è stato l'adozione di una nuova disciplina organica dell'intervento straordinario dettata dalla legge 1° marzo 1986 n. 64, la quale, innovando radicalmente rispetto al passato con la soppressione della Cassa per il M. e l'istituzione, al suo posto ma con un ruolo e un ordinamento radicalmente diversi, dell'Agenzia per lo sviluppo del M., ha proceduto a una diversa configurazione del meccanismo e dell'azione di supporto dello stato a favore del M., a una diversa tipologia degli interventi, esaltando il ruolo delle autonomie locali.
Il reale punto di novità della l. 64/86 consiste nell'accentuare la distribuzione su più strutture delle funzioni prima accorpate nella Cassa; il che ha portato, da una parte, a collocare entro le istituzioni politico-governative, centrali e locali, i poteri di scelta degli interventi (pianificazione e programmazione) e, dall'altra, a una riqualificazione dell'azione delle amministrazioni ordinarie centrali e locali, chiamate a forme di maggior autonomia e a un sostanziale recupero d'iniziativa nella progettazione ed esecuzione degli interventi stessi. Mentre, infatti, l'originaria concezione dell'intervento straordinario nel M. era caratterizzata dalla presenza di un meccanismo operativo unitario costituito dalla Cassa per il M. e dagli ''enti collegati'', con la nuova disciplina è venuto meno tale meccanismo e al suo posto, sulla base di una sostanziale visione decentralizzata, sono emersi molteplici soggetti legittimati a ottenere il finanziamento di interventi e di attività rientranti nella loro competenza (purché previsti dal Programma triennale di sviluppo e purché inseriti nei Piani annuali dopo il vaglio tecnico-economico effettuato dal Dipartimento per il M., organo della programmazione istituito nell'ambito della Presidenza del Consiglio), e a provvedere alla loro attuazione secondo le procedure previste dai rispettivi ordinamenti. In tale nuova concezione, a quest'assunzione al rango di protagonisti dell'intervento straordinario di una molteplicità di soggetti, faceva riscontro una dilatazione notevole della categoria degli interventi finanziabili o comunque agevolabili. Il decentramento delle decisioni, il ruolo accentuato di protagonisti dell'intervento straordinario assegnato dalla l. 64/86 agli Enti locali, d'altra parte, potevano creare problemi non solo di coordinamento e di omogeneità nell'uso delle risorse, bensì anche di efficacia e di effettivo aumento della spesa pubblica, soggetta al duplice rischio di disperdersi in una miriade di microprogetti d'interesse locale e di concentrarsi, di converso, in filoni d'intervento propri dell'amministrazione centrale.
Per le suddette ragioni e, più in generale, per il venir meno dei presupposti di una diversificazione tra intervento ordinario e intervento straordinario che oggi si ritiene, da più parti, fonte di diseconomie piuttosto che di vantaggi, è successivamente intervenuta l'approvazione di più atti normativi (in particolare il D. L. 22 ottobre 1992 n. 415 convertito in l. 19 dicembre 1992 n. 488 e il D.L. 3 aprile 1993 n. 96) che hanno evitato l'espletamento del referendum abrogativo proposto per il 18 aprile 1993, ponendo fine all'intervento straordinario e individuando le amministrazioni ordinarie dello stato cui trasferire le competenze del completamento e anche dell'attuazione del nuovo intervento regionale. Per quest'ultimo, esteso alle aree del Centro-Nord economicamente depresse, la sede del coordinamento, della programmazione e della vigilanza viene individuata nel ministero del Bilancio, che vede così integrate le proprie competenze in materia di programmazione economica. Strumenti del nuovo intervento regionale restano gli incentivi all'industria, sia finanziari (anche se limitati negli importi e nel tempo secondo gli orientamenti CEE) sia fiscali, le infrastrutture d'interesse interregionale o nazionale, gli investimenti in capitale umano e in servizi alla produzione.
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