questione (quistione)
Il vocabolo trae dall'etimologia (latino quaero) il valore fondamentale di " interrogazione ", " domanda ": io, che la ragione aperta e piana / sovra le mie questioni avea ricolta... (Pg XVIII 86: cfr. i vv. 5-6 Forse / lo troppo dimandar ch'io fo li grava). Nel portato semantico del termine è sempre implicita però l'idea di un dubbio dell'intelletto (si ricordi la definizione boeziana: " quaestio est dubitabilis propositio ", In Topica Ciceronis Comm., Patrol, Lat. LXIV 1048d). La q. si muove sul piano astratto della dottrina e della scienza; perciò le domande di D. a Virgilio sull'origine dei fiumi infernali, che puntualizzano e fanno procedere la spiegazione secondo il ritmo caratteristico del dialogo tra maestro e discepolo (If XIV 85-138), sono q.: In tutte tue question certo mi piaci (v. 133). Il puro, incontrovertibile dato di fatto, che è l'oggetto di una semplice domanda, non costituisce propriamente il terreno della q.: Sì mi prescrisser le parole sue, / ch'io lasciai la quistione, e mi ritrassi / a dimandarla umilmente chi fue (Pd XXI 104). È vero che Giustiniano si riferisce con questo termine proprio a una simile domanda fattuale (ma non so chi tu se', V 127; Or qui a la question prima s'appunta / la mia risposta, VI 28), ma ciò precisamente nel momento in cui la risposta passa e s'innalza (ma sua condizione / mi stringe a seguitare alcuna giunta, vv. 29-30) dal dato biografico (vv. 1-27) alla considerazione complessiva della storia dell'Impero nel suo fine provvidenziale (vv. 28-111). E D. dà il nome di q. alla domanda rivolta a Virgilio sulla soglia della città di Dite: " In questo fondo de la trista conca / discende mai alcun del primo grado, / che sol per pena ha la speranza cionca? ". / Questa question fec'io (If IX 19); la domanda ha origine in verità solo dal terrore ma si presenta in forma indiretta, quasi mossa da curiosità distaccata e teorica, appunto ironicamente suggerita e ribadita dal vocabolo scelto a qualificare l'interrogazione.
Una q. è costituita da un enunciato e da un'interrogazione; essa esprime cioè da una parte l'oggetto del dubbio - la verità cui si tende-, dall'altra la ricerca o la richiesta di essa (cfr. Pd IV 25). Nel contesto dantesco, l'intensità e il valore dell'interrogazione dipende dalla posizione del querente rispetto alla verità ‛ in questione '. Sul piano dell'indagine filosofica la q. apparecchia una ricerca razionale, secondo il procedimento dialettico del metodo scolastico, ma di fronte ai beati, nell'ascesa della mente alla visione di Dio, essa si risolve in preghiera d'illuminazione.
Secondo la teoria della conoscenza di D. (cfr. B. Nardi, D. e la cultura medievale, Bari 1949², 192-200) l'Amore della Sapienza ha origine e termine divini: è il rampollo che nasce de la divina bontade, in noi seminata e infusa dal principio de la nostra generazione (Cv IV XXII 4), è comune all'umanità intera e a essa connaturato (I I 1-2), per esso l'anima naturalmente disia e vuole essere a Dio unita (III II 7), in esso riluce il raggio della divina virtù (XIV 9). Nel dubbio, dal quale ogni q. ha origine, si manifesta il disegno provvidenziale che sprona l'intelletto umano indirizzandolo al suo fine: Nasce per quello, a guisa di rampollo, / a piè del vero il dubbio; ed è natura / ch'al sommo pinge noi di collo in collo (Pd IV 130-132). La salita avviene per gradi, da una verità inferiore a una superiore e il possesso di ciascuna costituisce già di per sé un termine, una perfezione, per l'intelletto che si eleva, sempre più accrescendo il desiderio per il termine ultimo, di perfezione in perfezione maggiore (Cv IV XIII 1-2).
Nell'ambito e nei limiti della ricerca della verità che l'uomo conduce secondo ragione naturale, il dubbio promuove una inquisitio (" dubitando enim ad inquisitionem venimus; inquirendo veritatem percipimus ", Abelardo Sic et Non, prologo, in Patrol. Lat. CLXXVIII col. 1349) che ha il punto di partenza in una quaestio: tria maxime dubitantur et dubitata quaeruntur circa Monarchiam temporalem... et de hiis... propositum est... inquisitionem facere... Itaque prima quaestio sit; utrum ad bene esse mundi Monarchia temporalis necessaria sit (Mn I V 1-2). La via è quella indicata dal maestro de l'umana ragione, Aristotile, che sempre prima combatteo con li avversari de la veritade e poi, quelli convinti, la veritade mostroe (Cv IV II 16).
Il metodo proprio della q. si era formalizzato nella disputa scolastica. Provare la validità di una tesi significa contrapporle la sua contraddittoria e prendere in esame gli argomenti a favore dell'una e dell'altra per eliminare gli assunti falsi e le inferenze erronee. La sillogistica aristotelica, e le regole dell'arte dialettica derivate dai Topici e dagli Elenchi Sofistici, forniscono lo schema formale del procedimento (Mn III IV 4-5, V 3-5, VI 7, VII 3, VIII 3-5, XI 3, XIV 9); la polarizzazione dialettica s'incarna in un dibattito, tra il difensore della tesi proposta e l'avversario o gli avversari di essa; così in Cv IV XII Veramente qui sorge in dubbio una questione... Potrebbe dire alcuno calunniatore de la veritade [§ 11]... A questa questione brievemente è da rispondere [§ 13]... se l'avversario vuol dire... rispondo che non è vero [XIII 3]... Ben puote ancora calunniare l'avversario dicendo... Ancora qui si risponde [§§ 6, 7].. il termine ricorre ancora in XII 13 [seconda occorrenza] e 20 [due volte], XIII 1, 5 [prima occorrenza]; per un analogo procedimento cfr. IV XXIX 2, 3, 4 e anche II VIII 5, IV VII 6). La distruzione dell'alternativa operata dalla risposta alla fine della disputa fa emergere la verità, e il dubbio scompare: Sì che la questione è soluta, e non ha luogo (Cv IV XIII 5, v. anche II VIII 6, IV XXIX 7, 8, 11). Il senso di q. in quest'ambito è del tutto metodico: qui surge in dubbio una questione, da non trapassare santa farla e rispondere a quella (IV XII 11, cfr. anche Rime LXXXVI 10) e l'interrogazione ha il valore artificioso di promuovere una trattazione di questo tipo, in forma di quaestio disputato (le parole, che sottilmente argomentando e disputando procedono, Cv IV II 13). Procedono così, infatti, il IV trattato del Convivio con tutte le sue incidentali (cfr. B. Nardi, La filosofia di D., in Grande antologia filosofica IV, Milano 1954, 1155-1156), i tre libri della Monarchia, in particolare il III (cfr. B. Nardi, Dal " Convivio " alla " Commedia ", Roma 1960, 272 ss.) e la Quaestio che vuole riprodurre una solenne disputa realmente avvenuta (existente me Mantuae, quaestio quaedam exorta est, Quaestio 2; v. DISPUTAZIONE, e cfr. S. Vanni-Rovighi, Le " disputazioni de li filosofanti ", pp. 181-184). Il termine q., di conseguenza, può anche stare semplicemente per " disputa, discussione, litigio " dialettici: per che, vitando aver con voi quistione, I com so rispondo a le parole ornate (Rime XL 3-4). Senza rilevanti connotazioni il termine ricorre anche in Fiore VIII 6, CLXXXI 9.
Quando però la creatura drizza lo sguardo alla fonte di ogni verità, prende coscienza dei limiti e della precarietà delle proprie facoltà conoscitive (Pd II 52-57) e, oppressa dal peso del dubbio (Pg XVIII 84), menomata nell'intelletto dalla nebbia dell'ignoranza (XXVIII 81, 90), chiede soccorso. Allora l'interrogazione nella q. acquista l'intensità propria della richiesta e della preghiera per una verità da ricevere gratuitamente dall'altrui libero volere (darotti un corollario ancor per grazia, Pg XXVIII 136; v. anche COROLLARIO). Già la rimozione dell'errore, che è momento essenziale della rivelazione della verità (Pd III 1-3), in quanto prepara l'intelletto all'illuminazione divina (II 106-111), eccede le forze dell'uomo lasciato a sé stesso (IV 91-93). Misericordia e carità muovono l'aiuto dall'alto che, invocato, si offre a sciogliere il dubbio: Deh, bella donna, che a' raggi d'amore / ti scaldi... E tu che se' dinanzi e mi pregasti, / dì s'altro vuoli udir; ch'i' venni presta / ad ogne tua question tanto che basti (Pg XXVIII 43, e 82-84).
Approssimando il suo fine ultimo, il desiderio della verità si fa sempre più vivo (Pg XVIII 4, Pd IV 9-10; V 90 al mio cupido ingegno, / che già nuove questioni avea davante) ed esalta nell'interrogazione il tono di appassionata implorazione: " O perpetüi fiori / ... solvetemi, spirando, il gran digiuno / che lungamente m'ha tenuto in fame, / non trovandoli in terra cibo alcuno / ... Sapete come attento io m'apparecchio / ad ascoltar; sapete qual è quello / dubbio che m'è digiun cotando vecchio " / ... Assai t'è mo aperta la latebra / che I'ascondeva la giustizia viva, / di che facei question cotanto crebra (XIX 22-69).
L'appello al desiderio infatti è intrinsecamente legato alla q., quasi richiamo di quella somma perfezione che l'istilla e l'accresce: la divina virtù che raggia santa mezzo nell'amore per la Sapienza (Cv III XIV 4-9) è quella stessa divina provedenza e alta carità che informa e guida il libero amore del beato (Pd XXI 43-105, in particolare vv. 70-75), sicché al fervore di chi chiede (Solvi il tuo caldo disio, v. 51; io lasciai la quistione, v. 104) risponde l'ardore di carità (Io veggio ben l'amor che tu m'accenne, v. 45) di chi, penetrato dalla luce divina (vv. 84-85), dona la verità: Giù per li gradi de la scala santa / discesi tanto sol per farti festa / col dire e con la luce che mi ammanta (vv. 64-66).
Una similitudine che evoca la solennità della seduta universitaria in occasione della disputa, cui tutti i maestri della facoltà erano tenuti a intervenire sospendendo le proprie lezioni, introduce l'esame di D. sulla Fede: Sì come il baccialier s'arma e non parla / fin che 'l maestro la question propone, / per approvarla, non per terminarla, / così m'armava io d'ogne ragione / mentre ch'ella dicea, per esser presto / a tal querente e a tal professione (Pd XXIV 45-51). Ma nelle domande e risposte che seguono non c'è posto per la inquisitio attraverso la disputatio: esaminante ed esaminato sono sul piano della certezza, del godimento comune della verità rivelata. Se mai è la più antica e veneranda tradizione catechistica ad affiorare (come accenna il Sapegno), che fissa nell'immutabile precisione ortodossa gli elementi fondamentali della dottrina cristiana e vuole dalla risposta insieme menzione fedele, intelligenza e totale adesione a essi, in altre parole una professione.
La nozione di quaestio nella cultura medievale. - La ‛ questione ' (lat. quaestio) come genere letterario in senso lato abbraccia una tradizione che risale all'antichità classica. In senso tecnico riferito al metodo scolastico medievale indica uno schema di trattazione che è divenuto (in connessione all'esercizio della disputa, cfr. DISPUTAZIONE) di uso pressoché universale nel sec. XIII. In questo senso la forma canonica della q. può esser ricondotta alle seguenti linee: posizione (l'enunciato introdotto da utrum, an o altre particelle interrogative), serie di argomenti a favore della tesi che sarà respinta, argomenti a favore della tesi opposta (sed contra), soluzione dell'autore (che può articolarsi in divisioni e distinzioni, ciascuna coi suoi argomenti), refutazione degli argomenti a favore della tesi respinta.
Nella letteratura classica, l'artificio retorico di enucleare e isolare in una domanda la difficoltà cui si vuol dare puntuale e appropriata trattazione, si muove su di un'area vastissima, in una varietà di forme e di nomi: ζητήματα, ἀπορίαι, προβλήματα, e, nella terminologia dei grammatici bizantini, ἐρωταποκρίσεις. Esso trova applicazione nella critica e nel commento testuale (cfr. gli Ὁμηρικά ζητήματα, da Duride di Samo e Aristotele fino a Porfirio), dando origine a una tradizione che si accosterà al genere degli scolii e delle glosse; nell'indagine filosofico-scientifica, per affrontare difficoltà incidentali e minori ai margini di una più ampia dottrina (cfr. i προβλήματα di Aristotele e Alessandro d'Afrodisia, le ἀπορίαι di argomento fisico ed etico dello stesso Alessandro, gli ζητήματα in materia morale degli stoici); nella propedeutica, dove l'alternanza sistematica di domanda e risposta compendia in modo più incisivo per l'intelletto e la memoria, un insegnamento, una dottrina o un testo (cfr. il De Partitione oratoria di Cicerone, lo Εἰς τὰς Ἀριστοτέλους κατεγορίας κατὰ πεῦσιν καὶ ἀπόκρισιν di Porfirio ecc.). In quest'ultima forma troverà appunto utile modello la catechistica cristiana. Nella letteratura ermetica infine, domande e risposte che conservano un valore oracolare, mediano la rivelazione della vera scienza, così come nella letteratura cristiana, specialmente monastica, la carità ispirata dell'uomo di Dio media nella risposta l'accesso alla verità rivelata.
Le Quaestiones in Genesim et Exodum di Filone Alessandrino segnano il passaggio del genere letterario all'esegesi biblica. Esso si prolunga così in campo cristiano: tra gli gnostici, in funzione polemica e con pronunciato carattere dialettico, a sottolineare il disaccordo tra Nuovo e Vecchio Testamento (cfr. le Antitesi di Marcione, i Syllogismi di Apelle, i προβλήματα di Taziano); per appianare le difficoltà delle apparenti contraddizioni interne tra gli ortodossi: " dum non permittimur credere contrarietatem latentem cogimur quaerere veritatem ", Ambrosiaster, in Patrol. Lat. XVII 1011). Il Περὶ τῶν ἐν εὐαγγελίοις ζητημάτων καὶ λύσεων di Eusebio di Cesrea è volto a commentare ed elucidare il testo, così come i Συμμίκτων ζητημάτων sex del discepolo e successore Acacio. Le Quaestiones hebraicae in Genesim di Gerolamo hanno quasi il valore di scolii, in quanto si tratta di chiarimenti alla lettera e non di risposte a obiezioni; mentre è nelle lettere (XXXV, XXXVI, CVI, CXX, CXXI) che Gerolamo affronta q. sorte da difficoltà reali. L'indeterminatezza del genere nel periodo patristico è illustrata nelle numerose raccolte di q. di Agostino (cfr. G. Bardy, in " Revue Biblique " XLI [1932] 515 ss.) che vanno dal repertorio delle difficoltà che può sollevare lo studio e l'interpretazione della Scrittura (avvicinandosi in ciò al genere del commento) al casuale raggrupparsi di specifici e reali problemi incontrati dall'autore o dai corrispondenti (e si perde così l'artificiosità, che era caratteristica delle ἀπορίαι). L'argomento della q. è estremamente variabile: esso va dall'esegesi alla dogmatica, dalla teologia alla filosofia e alla morale. L'elasticità della tradizione permette all'autore di usare la q. per le esigenze scientifiche, pastorali o apologetiche del suo magistero. Dal V secolo in poi, le collezioni di q. assumono un carattere manualistico e catechistico (cfr. le Quaestiones difficiles Veteris et Novi Testamenti di Eucherio di Lione e quelle del figlio Solonio di Vienna). Poiché si tratta soprattutto di tramandare gli elementi essenziali dell'esegesi precedente, esse si riducono a florilegi (Isidoro di Siviglia) a compilazioni pure e semplici (Beda, Alcuino, Claudio di Torino). Pure in epoca carolingia la corruzione della tradizione testuale della Vulgata dà origine a un molteplice lavorio di revisione ed emendazione che solleva, anche se a livello elementare, problemi filologici. D'altra parte, anche la semplice compilazione di estratti dai padri (spesso di terza o quarta mano) che costituirà un commento continuo, più o meno composito, chiamato Expositor, non manca, talvolta, di mettere in luce la discrepanza tra le autorità dando origine a occasionali questioni (cfr. i frammenti del commento al quarto Vangelo di Scoto Eriugena; i commenti scritturali, più modesti, forse di Haimo di Auxerre e gli Scolia Quaestionum raccolti dall'allievo Eirico; v. B. Smalley, The study of the Bible, pp. 37 ss.). La q. dunque, sia per la sua natura originaria di domanda spontanea sorta da una difficoltà incontrata nella lettura, sia per la. tradizione letteraria, è radicata nello sforzo d'intelligenza della Scrittura, ai tre livelli di littera, sensus, sententia, e come tale dalla fine del secolo XI in poi (con Anselmo di Laon e la sua scuola) viene a inserirsi nella Glossa Ordinaria biblica.
L'intellectus fidei nel secolo XII va spostandosi dalla sacra pagina alla Theologia (la paternità del termine, nel senso specifico, spetta ad Abelardo) che si organizza progressivamente in Sacra dottrina. Nel processo, del quale è strumento non trascurabile, la q. assume quel preciso carattere sistematico e metodico che la caratterizza nell'insegnamento del sec. XIII (cfr. M.-D. Chenu, La théologie corame science..., pp. 22-26; La théologie au douzième siècle, pp. 337-343). Nel commento al testo sacro essa occupa dapprima sempre maggior spazio, fino a far scomparire del tutto il momento espositivo (cfr. le Quaestiones de Epistolis Pauli di Roberto di Melun), e prescinde poi anche dal diretto riferimento testuale (cfr. le Quaestiones de Divina Pagina del medesimo). Alla collezione casuale delle q. (cfr. le Sententiae Anselmi e le Sententiae divinae paginae, della scuola di Laon) si presenta come alternativa l'inserimento e l'organizzazione in un piano dottrinale (cfr. la Summa Sententiarum, i Libri Quattuor Sententiarum di Pietro Lombardo; la Summa Theologica di Prevostino da Cremona). All'interno della q., la semplice bipartizione, normale alle origini, in posizione e soluzione si evolve in uno schema più complesso: la menzione delle opinioni reciprocamente contrastanti, a seguito della posizione, in precedenza !solo elemento occasionale, diventa conscio procedimento metodico (cfr. il Sic et Non di Abelardo) e la dicotomia dialettica si moltiplica in obiezioni e risposte, sia alle autorità allegate sia alla soluzione (cfr. la complessità di alcune questioni delle Sententiae divinitatis della scuola di Gilberto Porretano, ediz. B. Geyer, pp.157-158 e 161, analizzate da E. Bertola, La Quaestio... pp. 73-74). Sul piano dell'insegnamento, infine, l'uso della q. nell'ambito della lectio (cfr. R. Martin, LesQuaestiones de divina pagina..., pp. XLIII ss.) dà origine a un particolare esercizio scolastico: la disputatio. Il tipo , originario (prima dell'istituzionalizzazione dei ruoli di opponens e respondens) è la quaestio in scholis, nella quale il maestro pone le q. e lo studente - o gli studenti - rispondono, e viceversa. Parimenti avviene nelle scuole di diritto a Bologna: la q. disputata compare, sia pure in forma rudimentale, alla scuola del discepolo di Irnerio, Bulgaro (che insegnò dal 1120 circa al 1166) ed evolve con i glossatori posteriori: Piacentino, Giovanni Bassiano, Pillio, Azzone, Ugolino. Secondo il Kantorowicz (The Quaestiones disputatae... pp. 51-59) l'origine della q. disputata legale è indipendente dall'influenza (da non escludere però, in linea generale, negli sviluppi successivi) della q. teologica: Bulgaro nell'elaborare questo metodo d'insegnamento si sarebbe ispirato alla fonte classica delle quaestiones, disputationes, e responso, che si trovano nel Digesto e nelle Costituzioni di Giustiniano.
Il testo delle quaestiones disputatae pervenuteci, riproduce solo in modo mediato lo svolgimento della disputa, che nel secolo XIII è ormai un esercizio autonomo regolato nella molteplicità delle forme e delle occasioni (q. ordinaria, de quolibet, Vesperiae, Inceptio ecc.) dalle consuetudini e dagli Statuti universitari, e non solo ha luogo in ogni facoltà, ma talvolta travalica perfino i limiti dell'ambiente universitario. La reportatio (appunti presi da segretari o da studenti, di propria iniziativa o per incarico del maestro, la cui attendibilità e fedeltà dipende ovviamente dalla personalità del reportator) può riflettere o la discussio, cioè la disputa vera e propria nella quale in genere il susseguirsi delle obiezioni e delle risposte si presenta in ordine più libero e variabile, oppure la determinatio magistralis successiva alla disputa, atto solenne (che però non sempre ha luogo) del maestro nella sua scuola; con la determinatio egli riprende e riordina secondo il proprio criterio gli argomenti e le risposte della seduta precedente e definisce la propria posizione. In qualche raro caso, ci sono giunte reportationes sia della disputatio che della determinatio. La redactio è la forma normale delle q. editae dall'autore, costituisce una rielaborazione ulteriore rispetto alla reportatio, è più sistematica e didattica nell'ordine, più curata nella precisione del linguaggio e della forma letteraria; l'autore ne assume piena paternità. Naturalmente si possono avere più redactiones successive.
La disputa, col suo carattere strettamente dialettico, ha avuto per tutto il periodo scolastico un'influenza determinante sulla struttura della q., anche quando questa non si ricollega a un dibattito realmente avvenuto, ma è usata come strumento universale e metodico nella trattazione sistematica (un esempio capitale è la Summa theologiae di s. Tommaso), nelle lezioni e nei commenti (commenti alle Sentenze e, nella facoltà delle Arti,, i commenti per modum quaestionis alle opere aristoteliche). Quel valore d'interrogazione spontanea di fronte a una difficoltà sentita come reale, presente - pur nei limiti artificiali del genere letterario - nella q. esegetica e patristica, scompare del tutto. La q. scolastica non chiede la verità, ma istruisce un procedimento atto a provarla: " Circa essentiam vero divinam, primo considerandum est an Deus sit... Circa primum quaeruntur tria... sic proceditur: videtur quod Deus non sit... Respondeo: dicendum quod Deum esse quinque viis probari potest " (Tommaso Sum. theol. I 2).
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