Abstract
Intorno alle figure contrassegnate dalle locuzioni “questioni preliminari” e “questioni pregiudiziali” ruotano diversi e importanti istituti del sistema processuale positivo. In mancanza di definizioni nel testo di legge, questo richiede all’interprete uno sforzo ricostruttivo teso ad una precisa regolamentazione di confini tra le due nozioni, in sé e nelle loro declinazioni di specie in rito e nel merito. È alla tracciatura di questi confini che la presente voce è essenzialmente preordinata.
La presente voce non aspira ad esaurire l’argomento in epigrafe. Essa intende misurarsi con il tormentato nodo della distinctio tra le contigue figure delle questioni pregiudiziali e preliminari e della definizione dei rapporti tra le stesse intercorrenti, per quanto ciò possa interessare non soltanto sul piano classificatorio ma anche applicativo. Il regime positivo di dette questioni, specialmente per quel che attiene ai vincoli preclusivi o d’accertamento che abbiano a promanare dalla relativa soluzione giudiziale ovvero all’attitudine di tale soluzione a lasciarsi apprezzare alla stregua di autonomo capo o parte di sentenza, presenta però significativi profili d’intersezione con alcune tematiche fondamentali dell’ordinamento processuale civile, come quella degli accertamenti incidentali ex art. 34 c.p.c. o dei limiti oggettivi così del giudicato come delle impugnazioni: ed inevitabile è pertanto, a questi fini, il rinvio alle distinte voci di questa Enciclopedia che a quelle tematiche risultino dedicate ex professo o ne prevedano un’apposita trattazione.
A differenza, come poi si vedrà, delle pregiudiziali, assai ridotti sono i riferimenti normativi operati alla figura delle questioni preliminari. Essi si compendiano, infatti, nella duplice previsione, di cui, rispettivamente, all’art. 187, co. 2, e 279, co. 1, n. 2, c.p.c., per cui il giudice istruttore «può rimettere le parti al collegio affinché sia decisa separatamente una questione di merito avente carattere preliminare, solo quando la decisione di essa può definire il giudizio» e il collegio pronuncia sentenza «quando definisce il giudizio, decidendo questioni pregiudiziali attinenti al processo o questioni preliminari di merito».
In mancanza, nel sistema di legge, di un’espressa disposizione a carattere definitorio, è da questi precetti – nonché da quello ex art. 279, co. 2, n. 4, nel rinvio effettuato alle questioni di cui al precedente n. 2 quale possibile oggetto di sentenza non definitiva – che l’interprete deve ricavare la nozione in parola.
Il primo dato che emerge è l’atteggiarsi della preliminarietà ad attributo proprio ed esclusivo di questioni che siano appartenenti al merito della causa, così da designare un particolare sottoinsieme di questa categoria e non del più generale insieme delle questioni, di merito come di rito, che il giudice è chiamato ad affrontare e risolvere per adempiere al proprio ufficio decisorio della controversia.
Ciò posto, e in disparte ogni dubbio circa l’opportunità di quella scelta lessicale (v. infra, § 3.3), occorre allora stabilire che cosa sia effettivamente richiesto perché una questione attinente al merito della causa possa vedersi riconosciuta la qualifica di preliminare. L’aggettivo evoca direttamente l’idea di una antecedenza logica o giuridica della questione rispetto ad una o più altre. E poiché, valutando le cose secondo criteri ancorati al diritto sostanziale, gli estremi di tale antecedenza paiono ravvisabili solamente a fronte di nessi di pregiudizialità-dipendenza intercorrenti tra distinti rapporti giuridici, così da metter capo alla differente species delle questioni pregiudiziali (v. infra, § 3), d’obbligo risulta intendere quella antecedenza nel senso fatto palese dall’autonoma ipotesi di rimessione della causa al collegio (ovvero in decisione) che l’art. 187, co. 2, c.p.c. vi ricollega, vale a dire nel senso della capacità della questione di assorbire e rendere superfluo l’esame delle altre questioni di merito, in quanto idonea, ove risolta in un certo modo, a consentire l’immediata definizione nel merito della controversia, senza per l’appunto bisogno di trascorrere alla disamina delle altre questioni pur rilevanti a quel fine (in luogo di ogni altro, Dalfino, D., Questioni di diritto e giudicato, Torino, 2008, 67 ss.).
Avverso questa corrente ricostruzione del concetto di preliminarietà, si potrebbe obiettare che, se la legge subordina la possibilità di rimettere anticipatamente la causa al collegio per la decisione di una questione preliminare di merito al fatto che questa si profili idonea a produrre l’immediata definizione del giudizio, tale idoneità non può che rilevare come una circostanza puramente eventuale o accidentale e sarebbe pertanto da escludere che sia dato cogliere in essa il quid proprium del concetto ora in rassegna (cfr. Carbonara, F., Questioni di merito e idoneità al giudicato, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2003, 683, nt. 21, ad avviso del quale, a volersi risolvere il carattere preliminare della questione nella sua autonoma idoneità a definire il giudizio, la disposizione del predetto art. 187, co. 2, c.p.c. risulterebbe irrimediabilmente pleonastica). Agevole è, però, ribattere che ciò che consente, nel disegno normativo, di contrassegnare la questione come preliminare è la meramente “astratta” potenzialità di definire il giudizio, quale determinata dall’oggetto sostanziale della questione, vale a dire dalla sua inerenza ad un elemento della fattispecie costitutiva del diritto soggettivo fatto valere con la domanda oppure ad un fatto estintivo o impeditivo ex adverso dedotto a titolo di eccezione; laddove la circostanza accidentale cui ha riferimento l’art. 187, co. 2, c.p.c. come ragione giustificativa dell’anticipata rimessione della causa in decisione, è data da una situazione di “concreta e attuale” potenzialità di definizione del giudizio, legata al convincimento, che il giudice abbia maturato nell’occasione, che la questione vada effettivamente risolta in senso definitivo della controversia, per la reputata insussistenza o esistenza, rispettivamente, del fatto costitutivo ovvero estintivo/impeditivo su cui la stessa verte (sulla cruciale distinctio tra astratta e concreta idoneità della questione a definire il giudizio, v., per ogni altro, Luiso, F.P., Diritto processuale civile, II, VII ed., Milano, 2013, 62; Dalfino, D., op. cit., 77 s.).
Contro il rilievo che, giusta la communis opinio, la potenziale definitività del giudizio verrebbe a rivestire ai fini della qualificazione di una data questione di merito come preliminare, si è addotto altresì il fatto che questioni la cui natura preliminare è pacifica e conclamata, come la prescrizione, non sempre, in realtà, evidenziano quell’attitudine, come nei casi in cui detta prescrizione sia invocata contro alcuni soltanto dei crediti dedotti in giudizio o allo scopo di sottrarre il debitore al pagamento di alcune delle rate in cui il credito azionato abbia a scomporsi (così, ancora, Carbonara, F., op. loc. citt.).
È indubbio che, se una certa questione si connota come preliminare in ragione della astratta decisività del fatto che ne costituisce l’oggetto, allora non sempre tale questione potrà connotarsi in quel modo, poiché non sempre il fatto che ne è oggetto può esibire la stessa decisività (pensiamo ai fatti estintivi delle obbligazioni, come pagamento, remissione di debito o, se si vuole, la stessa prescrizione, laddove non incidenti sull’obbligazione nel suo intero ammontare). Vero è anche, però, che non sta scritto da nessuna parte che la preliminarietà debba appartenere al novero degli essentialia della questione, sì che questa debba predicarsi come tale (leggi: preliminare di merito) ogniqualvolta si affacci sulla scena processuale: pretendere, su questa base, di mettere in discussione l’ancoraggio di quell’attributo al requisito, legato giocoforza agli accidentalia del processo, della potenziale definitività di lite, si palesa chiaramente, allora, come il frutto di un’autentica petizione di principio.
Relativamente alle ipotesi di processo cumulativo, si è affermato che l’idoneità della questione a definire il giudizio andrebbe valutata con riferimento a ciascuna delle domande congiuntamente trattate (Turroni, D., La sentenza civile sul processo, Torino, 2006, 11 s.). Per l’ammissibilità, che ne discende, di una deroga praeter legem al principio ex art. 277 c.p.c. di unità della decisione nel processo cumulativo (v. infra, § 3.2), l’enunciato non può essere accolto senza riserva alcuna.
È opinione comunemente ricevuta che, ai fini dell’inquadramento di una data questione di merito come preliminare, la potenziale definitività della lite non basti ma debbano altresì ricorrere gli estremi di una particolare situazione processuale: una situazione, per l’esattezza, caratterizzata da un diverso grado di maturità istruttoria delle plurime questioni rilevanti per la decisione della controversia, così che grazie alla soluzione anticipata di quella tra esse che non postuli a detto scopo l’acquisizione di alcun mezzo di prova, si finisca per dispensare il giudice dalle attività istruttorie occorrenti per la soluzione delle altre. Per potersi catalogare come preliminare, insomma, non basta che la questione sia idonea a mettere in condizione il giudice di definire la controversia senza bisogno di conoscere delle altre questioni ma occorre pure che queste ultime richiedano, ai fini della loro soluzione, lo spiegamento di un’apposita attività istruttoria, in modo che all’atto di rendere inutile l’esame delle medesime, sia reso automaticamente inutile e possa dunque essere evitato lo spiegamento di quella attività (Attardi, A., In tema di questioni pregiudiziali e giudicato, in Studi in memoria di Enrico Guicciardi, Padova, 1973, 194 s.; Garbagnati, E., Questioni pregiudiziali - dir. proc. civ., in Enc. dir., XXXVIII, Milano, 1987, 75; Carbonara, F., op. cit., 683 s.).
La rilevanza di questo profilo, e delle ragioni di economia processuale che vi sono sottese, è indiscutibile. Lecito è, però, chiedersi se tale rilevanza sia effettivamente destinata a manifestarsi, come preteso dalla dottrina appena richiamata, sul piano classificatorio o non piuttosto – acquisita a monte la nozione di questione preliminare in relazione alla sua mera idoneità in astratto a consentire l’immediata definizione del giudizio – su quello del regime processuale della medesima, quale, per l’esattezza, condizione richiesta ai fini della rimessione anticipata della causa in decisione ai sensi dell’art. 187, co. 2, c.p.c.
È vero che la norma non fa menzione di quel requisito. Ma voler opinare diversamente e, così, ritenere che esso rilevi a monte, vale a dire al momento di stabilire se una certa questione possa qualificarsi o meno come preliminare, ne discenderebbe la conseguenza che, in un processo ove non si assista a quella disparità, di cui poc’anzi s’è detto, di maturazione istruttoria delle questioni, ivi non sarebbe dato parlare di preliminari di merito (per un siffatto sviluppo ad consequentias del costrutto ora in esame, Carbonara, F., op. cit., 683). E questo non può non lasciare perplessi, nella misura in cui il concetto assume rilievo a fini ulteriori rispetto a quelli dell’ammissibilità della rimessione anticipata della causa in decisione a norma del predetto art. 187, co. 2, c.p.c. Così, si sostiene che il concetto presieda altresì alla scomposizione della sentenza in capi o parti, nel senso che si abbiano tanti capi o parti della sentenza quante siano le questioni preliminari di merito affrontate e risolte dal giudice ai fini della decisione su una determinata domanda (in questi termini, per il tramite dell’identificazione tra capo di sentenza e possibile oggetto di sentenza non definitiva, Rascio, N., L’oggetto dell’appello civile, Napoli, 1996, 115 ss.). Ma se si ritiene che ad integrare la nozione di questione preliminare sia l’attitudine della stessa a consentire, secondo la dinamica precedentemente descritta, un risparmio di attività istruttoria, è evidente che quella scomposizione ben di rado, e in ogni caso non sempre, potrebbe aver luogo.
Per queste ragioni, pare senz’altro, allora, miglior partito quello di risolvere la nozione in esame in una chiave, se così può dirsi, integralmente sostanziale, come nozione esclusivamente legata all’oggetto della questione ed alla appartenenza di tale oggetto, vuoi quale circostanza dotata di rilievo costitutivo del diritto azionato vuoi quale circostanza estintiva o impeditiva, alla fattispecie, per l’appunto di diritto sostanziale, sulla quale il giudice è chiamato a decidere.
Da tale appartenenza non si può in alcun modo deflettere, se non si vuol rinnegare quella potenziale definitività di lite in cui si sostanzia il quid proprium delle questioni in esame. Resta per contro da vedere se, come appena lasciato intendere, sia indifferente a qual titolo detta appartenenza possa essere predicata.
La verifica della cui necessità si è dato conto in chiusura del precedente paragrafo si giustifica in relazione a un’impostazione dottrinale, di taglio marcatamente restrittivo, secondo cui la qualifica di “preliminare di merito” si attaglierebbe soltanto alle questioni originate dalla deduzione, nelle forme dell’’eccezione in senso proprio, di fatti estintivi o impeditivi del diritto azionato, con esclusione correlativa delle questioni attinenti all’integrità della fattispecie costitutiva di quel diritto medesimo, riconducibili alle distinte previsioni, ove di questioni “preliminari” non è affatto parola, di cui al co. 1 del predetto art. 187 c.p.c. (cfr. Garbagnati, E., Questioni preliminari di merito e questioni pregiudiziali, in Riv. dir. proc., 1976, 260; Mandrioli, C.-Carratta, A., Diritto processuale civile, II, XXV ed., Torino, 2016, 100; Verde, G., Diritto processuale civile, II, IV ed., Bologna, 2015, 145; Califano, G., L’impugnazione della sentenza non definitiva, Napoli, 1996, 47 s.).
Un coordinamento tra le disposizioni di cui ai primi due commi dell’art. 187 c.p.c., attuato in modo tale che le questioni preliminari di merito cui è riferimento nel co. 2 siano determinate per exclusionem rispetto alle questioni che darebbero corpo al merito di cui è menzione al precedente co. 1, sarebbe operazione ricostruttiva senz’altro plausibile sul piano logico e sistematico. Il punto è, però, che nulla avvalora, così su quel piano come su quello testuale, la tesi, che rappresenta l’architrave di tutto il ragionamento, per cui, a livello della disciplina del co. 1 dell’art. 187 c.p.c., il termine “merito” non designerebbe, come solitamente avviene, l’intero complesso delle questioni incidenti sull’accertamento dell’esistenza o inesistenza del diritto controverso, bensì soltanto lo specifico gruppo delle questioni relative all’esistenza e all’integrità della fattispecie costitutiva di quel diritto medesimo. Ed anzi, la lettera della legge depone chiaramente in opposta direzione.
Ammesso, secondo i dettami della dottrina appena evocata, che dal novero delle preliminari di merito debbano esorbitare le questioni aventi ad oggetto i singoli elementi di cui si compone la fattispecie costitutiva del diritto giudizialmente fatto valere, non per questo si potrebbe pensare, pena un inaccettabile strappo ai valori dell’economia processuale, che dove la definizione della lite appaia a portata di mano per effetto della soluzione di una questione di tal fatta, ivi la spedizione immediata della causa in decisione non sarebbe consentita. Ciò posto, non è, però, alle previsioni del co. 2 dell’art. 187 c.p.c. che occorrerebbe far capo a quel fine, visto il riferimento della norma alle sole preliminari, bensì a quelle del precedente co. 1 (così, infatti, Garbagnati, E., Questioni pregiudiziali, cit., 75): ed è proprio qui che sorge quel problema di compatibilità con la littera legis di cui poco sopra si è detto. Ammesso, infatti, che la disposizione regoli un’ulteriore figura di rimessione della causa in decisione finalizzata alla soluzione separata di una data categoria di questioni, in tal modo atteggiandosi a disposizione perfettamente simmetrica a quelle, aventi rispettivo riferimento alle questioni preliminari di merito e pregiudiziali di rito, di cui ai successivi co. 2 e 3, resta da capire perché mai il co. 1, pur disciplinando un istituto corrispondente a quello che è oggetto dei commi successivi, non ne riproduca affatto gli stilemi lessicali. E l’unica spiegazione al riguardo possibile è che, in realtà, l’istituto regolato non sarebbe affatto lo stesso, nel senso, precisamente, che la rimessione al collegio prevista dal co. 1 dell’art. 187 c.p.c. non si reggerebbe, a differenza di quelle disciplinate dai co. 2 e 3, sulla “scommessa” fatta dal giudice istruttore che alla decisione della controversia si possa addivenire sulla base della soluzione offerta a una determinata questione, bensì sul riscontro che nessuna delle questioni incidenti sul merito della causa necessiti di una verifica probatoria, così da potersi giustificare l’immediata transizione della causa medesima alla fase decisoria (così, per ogni altro, Tarzia, G.-Danovi, F., Lineamenti del processo civile di cognizione, V ed., Milano, 2014, 249).
Così stando le cose, è evidente che al concetto di “merito” di cui al detto art. 187, co. 1, c.p.c. sia da ricondurre la totalità delle questioni rilevanti ai fini dell’accertamento del diritto oggetto della controversia: il che impedisce che le questioni preliminari di cui al co. 2 possano essere rimodellate secondo un concetto di merito differente, stante il carattere assorbente ed onnicomprensivo del primo. La conclusione deve essere, pertanto, che ogni questione di merito potenzialmente definitiva di lite sarebbe per ciò stesso ascrivibile a quel genus, indipendentemente dalla sua attinenza alla fattispecie costitutiva del diritto controverso piuttosto che a quelle estintive/impeditive (cfr. Montesano, L., Questioni preliminari e sentenze parziali di merito, in Riv. dir. proc., 1969, 582; Denti, V., Sentenze non definitive su questioni preliminari di merito e cosa giudicata, ivi, 1969, 215 ss.; Cerino Canova, A., Sul contenuto delle sentenze non definitive di merito, ivi, 1971, 255; Consolo, C., Spiegazioni di diritto processuale civile, II, X ed., Torino, 2015, 242, Rascio, N., op. cit., 123 ss.).
L’assunto dell’estraneità all’area delle preliminari di merito delle questioni inerenti all’integrità della fattispecie costitutiva del diritto azionato ha tratto alimento anche dalla considerazione che queste, immancabilmente, si configurano come questioni di mero fatto o puro diritto, con la conseguenza che, ove risolte in senso non definitivo del giudizio, la sentenza che ne sortirebbe non verrebbe a riprodurre la struttura tipica della decisione di merito, ovverosia quella della declaratoria di un effetto giuridico all’esito dell’applicazione della norma ad un certo fatto: a differenza di quel che accade per le questioni scaturite dalla proposizione di un’eccezione in senso proprio, la cui soluzione in senso non definitivo del giudizio dà comunque luogo alla declaratoria del mancato avveramento degli effetti estintivi o impeditivi nella specie invocati (Garbagnati, E., Questioni preliminari, cit., 264 s.; e v. pure Chiarloni, S., L’impugnazione incidentale nel processo civile, Milano, 1968, 83, nt. 21).
Nulla, per la verità, attesta che, una volta adottato lo strumento della sentenza per la decisione separata di mere questioni, tale pronuncia debba per forza conformarsi al modello contenutistico della sentenza su domanda. Ed anche ammesso che così, realmente, fosse, non per questo se ne dovrebbero trarre le conseguenze di cui sopra, poiché, per evitare la pronuncia di una sentenza difforme da quel modello, basterebbe che il giudice, appurato di non poter risolvere la questione in senso definitivo della lite, si astenesse dal consacrare questa soluzione in una sentenza, limitandosi a disporre, con ordinanza ex art. 279, co. 1, c.p.c., il rinvio delle parti in istruttoria (così Rascio, N., op. cit., 127).
I molteplici riferimenti contenuti nel codice di rito civile alla figura delle questioni pregiudiziali testimoniano, in primo luogo, del carattere, se così vuol dirsi, trasversale di questa categoria, siccome destinata ad abbracciare i settori tanto delle questioni attinenti al processo che al merito.
Di pregiudiziali di rito è espressa menzione nell’art. 279, co. 2, n. 2, c.p.c. Ma indiscutibile, altresì, è l’attinenza al processo delle pregiudiziali genericamente richiamate come tali dal precedente art. 276, co. 2, c.p.c. (il quale, nel disciplinare l’ordine di esame delle questioni in sede decisoria, stabilisce che il giudice «decide gradatamente le questioni pregiudiziali … e quindi il merito della causa») nonché, soprattutto, dal binomio degli artt. 187, co. 3, e 420, co. 4, c.p.c. (nell’abbinamento, come possibile oggetto di decisione separata, di giurisdizione e competenza, da un lato, e «altre pregiudiziali», dall’altro).
Trascorrendo alle pregiudiziali di merito, la formula è reperibile, nella sua completezza, soltanto a livello della rubrica dell’art. 819 c.p.c., disciplinante il trattamento di tali questioni nel processo arbitrale. Ma la figura è rinvenibile in molti altri luoghi, dove la legge si limita ad impiegare il sintagma “questione/i pregiudiziale/i” senza specificazioni di sorta. Il pensiero corre immediatamente ai successivi artt. 819 bis, co. 1, n. 2, e 829, co. 4, n. 2, c.p.c. che inequivocabilmente fanno rinvio alle pregiudiziali di merito di cui al predetto art. 819 c.p.c. Senza dimenticare l’art. 791 bis, co. 1, c.p.c., che regola gli sviluppi del giudizio di divisione una volta che il giudice abbia acclarato che «non sussiste controversia sul diritto alla divisione né sulle quote o altre questioni pregiudiziali», è, però, sulla disciplina degli accertamenti incidentali di cui al precedente art. 34 c.p.c. che occorre soffermare la nostra attenzione, quale autentica Grundnorm in materia, in particolare per ciò che attiene ai tratti identificativi delle questioni in discorso.
Ai sensi dell’art. 34 c.p.c. testé menzionato, qualora, «per legge o per esplicita domanda di una delle parti [sia] necessario decidere con efficacia di giudicato una questione pregiudiziale che appartiene per materia o valore alla competenza di un giudice superiore», va a quest’ultimo rimessa l’intera causa.
L’eventualità, prospettata dalla norma, che l’insorgenza di una questione pregiudiziale abbia a porre al giudice adito un problema di competenza, disvela il profilo caratterizzante della questione: quello della necessaria inerenza della medesima a rapporti o status giuridici idonei ad esaurire il tema decisorio di un procedimento a se stante. E la qualifica che la legge riserva ad essa di questione “pregiudiziale” costituisce il riflesso del rilievo o carattere pregiudiziale che detti diritti o status rivestono nel giudizio in atto, quali componenti integranti della fattispecie costitutiva del diritto azionato, del quale vengono in tal modo, allora, a condizionare l’esistenza (su questa classica ricostruzione del nesso di pregiudizialità tra rapporti sostanziali, Allorio, E., La cosa giudicata rispetto ai terzi, Milano, 1935, rist. 1992, 68 ss.).
Al lume del nesso di condizionalità intercorrente tra il diritto oggetto della questione e il diritto concretante l’oggetto del processo, può con assoluta certezza assumersi che le pregiudiziali di merito abbiano a condividere quell’elemento dell’astratta o potenziale definitività di lite che rappresenta il tratto qualificante delle preliminari, al punto da atteggiarsi, rispetto a queste ultime, come autentica figura di specie. Questo rapporto di species a genus non autorizza, tuttavia, l’estensione alle prime del regime processuale proprio delle seconde, in punto di devoluzione anticipata in sede decisoria ai sensi dell’art. 187, co. 2, c.p.c. Nel caso, infatti, di soluzione non definitiva della questione, ci si troverebbe al cospetto di una pronuncia di accertamento del rapporto pregiudiziale di cui difficilmente contestabile sarebbe l’attitudine a rivestirsi dell’autorità di cosa giudicata ex art. 2909 c.c. (contra, peraltro, Montesano, L., Questioni preliminari, cit., 582, nt. 7), con annessa, e altrettanto innegabile, elusione delle condizioni – espressa volontà di legge o domanda di parte – cui il suddetto art. 34 c.p.c. subordina la formazione del giudicato sulle pregiudiziali (per la conseguente estraneità delle questioni pregiudiziali di merito all’orbita applicativa dell’art. 187, co. 2, c.p.c., v. Garbagnati, E., op. ult. cit., 273 s.; Cerino Canova, A., op. cit., 257 ss., spec. 260; Consolo, C., Spiegazioni, II, cit., 242 s.; contra, ma sulla base di una lettura dell’art. 34 c.p.c. diversa da quella qui postulata, Denti, V., op. cit., 227). A una diversa conclusione sul punto si ritiene potersi addivenire nelle ipotesi in cui, all’atto della rimessione anticipata della causa in decisione, già siano maturate le condizioni richieste dall’art. 34 c.p.c. per una pronuncia con forza di giudicato sulle questioni in parola (così Marinucci, E., Sub art. 279, in Comoglio, L.P.-Consolo, C.-Sassani, B.-Vaccarella, R., Commentario del codice di procedura civile, III, 2, Torino, 2012, 126 ss.). Ma versandosi, a quel punto, in una situazione di processo cumulativo, doveroso sarebbe fare i conti con il principio, che detto processo connota, di unità della decisione, cui si verrebbe in tal modo ad apportare una deroga ulteriore rispetto a quella che sola la legge viene formalmente ad ammettere, a livello dell’art. 277, co. 2, c.p.c. (cfr. Garbagnati, E., op. ult. cit., 273, nt. 42).
Se margini possono esservi per un’applicazione dell’art. 187, co. 2, c.p.c. a fronte di questione pregiudiziale di merito, questi riguardano semmai i casi (per chi, ovviamente, reputa che la categoria meriti cittadinanza nell’ordinamento positivo) di pregiudizialità cd. logica (v. Accertamenti incidentali - dir. proc. civ.): dove, da un lato, il giudicato abbraccia automaticamente il rapporto pregiudiziale (e, pertanto, non possono porsi problemi di aggiramento della disciplina dell’art. 34 c.p.c.); e, dall’altro, tra il rapporto dedotto in giudizio e quello pregiudiziale intercorre una relazione di parte rispetto al tutto, così da rendere problematico un richiamo al processo cumulativo ed ai princìpi che vi presiedono.
L’àmbito oggettivo delle pregiudiziali di merito ben si presta a ricomprendere anche le questioni che siano incentrate su rapporti o status giuridici destinati a porsi, rispetto al diritto soggettivo di cui sia stata chiesta tutela, in relazione di diretta o indiretta incompatibilità. È bensì vero che, in virtù del rilievo impeditivo/estintivo che essi assumono rispetto al diritto controverso, la deduzione in giudizio di tali rapporti o status avviene in forza dell’esperimento di apposita eccezione (cd. riconvenzionale). Ma che per ciò stesso la questione che ne abbia a scaturire sia riguardabile come preliminare, e non pregiudiziale, di merito, non è fondatamente prospettabile, poiché, assodata anche per i rapporti connessi per incompatibilità la riconduzione alla disciplina della pregiudizialità di cui all’art. 34 c.p.c. (diffusamente, sul punto, Recchioni, S., Pregiudizialità processuale e dipendenza sostanziale nella cognizione ordinaria, Padova, 1999, 242 ss.), l’applicazione nella specie della disciplina, propria delle preliminari, di cui all’art. 187, co. 2, c.p.c. darebbe luogo agli stessi problemi ed incongruenze di cui poc’anzi s’è dato atto con riguardo alle pregiudiziali stricto sensu intese (siccome inerenti a rapporti appartenenti alla fattispecie costitutiva del diritto azionato).
Nel prevedere che, in alternativa a un accantonamento in vista della decisione congiunta con il merito, il giudice possa disporre, sulle pregiudiziali di rito, in maniera del tutto analoga a quanto consentito per le preliminari di merito dal precedente comma 2, l’art. 187, co. 3, c.p.c. non lascia adito a dubbi circa la possibilità di applicare alle prime lo stesso paradigma definitorio delle seconde, quali, cioè, questioni la cui soluzione possa mettere il giudice in condizione di definire immediatamente la controversia, senza bisogno di procedere all’esame delle altre questioni pur a quello stesso fine rilevanti.
Due precisazioni si impongono a questo riguardo. La prima è che, trattandosi di questioni attinenti al processo, la potenziale definitività di lite, di cui appena s’è detto, non può dipendere dalla loro inerenza ad elementi, di segno, a seconda dei casi, costitutivo, estintivo o impeditivo, della fattispecie sostanziale dedotta in giudizio, bensì dalla circostanza dell’avere ad oggetto taluno dei presupposti o delle condizioni cui è subordinato il dovere del giudice di decidere nel merito del diritto azionato, così che l’eventuale soluzione della questione nel senso dell’insussistenza di quel presupposto o condizione abbia automaticamente a risolversi nell’accertamento, con pronuncia definitiva di mero rito, dell’insussistenza di quel dovere medesimo.
La seconda concerne, invece, il riferimento operato exempli gratia alle questioni relative a giurisdizione e competenza, ossia a presupposti il cui accertamento negativo non importa, come tale, la radicale chiusura del processo ma soltanto il suo trasferimento, in vista della prosecuzione sino al traguardo della decisione di merito, presso un diverso giudice: onde la necessità di intendere la potenziale definitività di lite propria delle questioni pregiudiziali di rito in senso meramente relativo, quale attitudine, sì, a provocare la conclusione del giudizio ma soltanto davanti al giudice a quo e senza precluderne la prosecuzione davanti ad altro giudice dello stesso grado (cfr. Turroni, D., op. cit., 8 ss., spec. 14).
Ciò non toglie, ad ogni buon conto, come il genus proximum delle questioni ora trattate sia rappresentato, a dispetto del nomen iuris, dalle preliminari, e non dalle pregiudiziali, di merito: e per quanto di rilievo essenzialmente classificatorio, senz’altro miglior soluzione sarebbe stata quella di abbinare sotto la comune etichetta di “preliminari” entrambe le species di questioni di cui all’art. 187, co. 2 e 3, c.p.c. (così Liebman, E.T., Figure e forme della rimessione della causa al collegio, in Riv. dir. proc., 1951, I, 299, nt.1).
Artt. 34, 187, 276, 279, 420, 791 bis, 819, 819 bis, 829 c.p.c.
Carbonara, F., Questioni di merito e idoneità al giudicato, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2003, 671; Dalfino, D., Questioni di diritto e giudicato, Torino, 2008; Denti, V., Questioni pregiudiziali (Diritto processuale civile), in Nss. D.I., XIV, Torino, 1967, 675; Garbagnati, E., Questioni preliminari di merito e questioni pregiudiziali, in Riv. dir. proc., 1976, 257; Garbagnati, E., Questioni pregiudiziali (dir. proc. civ.), in Enc. dir., XXXVIII, Milano, 1987, 69; Menchini, S., Accertamenti incidentali (dir. proc. civ.), in Diritto online Treccani, Roma, 2016; Montesano, L., Questioni preliminari e sentenze parziali di merito, in Riv. dir. proc., 1969, 579; Turroni, D., La sentenza civile sul processo, Torino, 2006.