Questioni problematiche in materia di confisca
Nella costante ricerca di un difficile punto di equilibrio tra confisca e prescrizione, si assiste ad una continua evoluzione interpretativa da parte della giurisprudenza nomofilattica, tesa a garantire sempre maggiori margini di operatività della misura a discapito delle garanzie per l’inciso.
L’escamotage è quello di ampliarne la portata assegnandole natura amministrativa o, comunque, extra penale, in modo tale da renderla impermeabile alle garanzie che presidiano l’ambito delle pene. Ma, sulla strada di tale semplificazione, sembra frapporsi la visione più pragmatica della Corte europea dei diritti dell’uomo.
Sul dissestato terreno dell’operatività della confisca, appare in continua ed accidentata evoluzione il sentiero del suo rapporto con la prescrizione del reato.
Nel 19931 la Suprema Corte, con la sentenza Carlea, statuì che l’obbligatorietà della confisca in assenza di condanna potesse operare solo nei casi descritti dall’art. 240, co. 2, n. 2, c.p. Nel 2008 le Sezioni Unite tornarono sulla questione (sentenza De Maio)2 e, pur condividendo la precedente tesi, l’hanno sviluppata sostenendo che l’art. 236, secondo comma, c.p., rendendo inapplicabile alla confisca quanto statuito dall’art. 210 c.p., consentirebbe al legislatore di stabilire in quali casi applicare la misura in assenza di condanna. La sesta sezione della Corte di legittimità3 ha, tuttavia, di recente rimesso innanzi al massimo Consesso nella sua più autorevole composizione due questioni. La prima riguarda la possibilità, con riferimento all’art. 240, co. 2, n. 1, c.p. ovvero all’art. 322 ter c.p., di applicare la confisca diretta del prezzo o del profitto del reato in caso di estinzione per prescrizione4. Con la seconda, poi, la Corte chiede se, nel caso dell’adhprehensio di denaro costituente prezzo o profitto del reato, si possa parlare di confisca per equivalente ovvero di misura diretta e, in quest’ultimo caso, se sia necessario verificare il nesso di derivazione delle res dal reato.
Sulla possibilità di applicare la confisca in caso di estinzione del reato sono state scritte molte pagine.
Punto di partenza di ogni indagine epistemologica è rappresentato dalla verifica della natura della specifica confisca della quale si discetta, giacché, come noto, la misura ablativa ha una versatilità di tipo camaleontico che le consente di operare in diverse branche dell’ordinamento, conservando come denominatore comune soltanto l’effetto spoliativo. Già la mentovata sentenza Carlea5 ritenne centrale e preliminare l’accertamento della natura della misura e, dissentendo da chi riteneva la confisca compatibile col proscioglimento per via dell’esclusione dell’applicazione delle misure di sicurezza personali ex art. 210 c.p., reputava indispensabile che l’applicazione fosse espressamente prevista dal diritto positivo.
I contrasti portarono – nel 2008 – ad un ulteriore intervento delle Sezioni Unite6 con il quale, ribadendo l’assetto interpretativo sposato nel 1993, si fornirono alcune sollecitazioni argomentative sui poteri cognitivi giudiziali nel caso di declaratoria di estinzione7. Dopo l’appena citata sentenza De Maio sono tuttavia riemerse alcune distonie esegetiche giacché la giurisprudenza riconosceva l’esistenza di poteri di accertamento della responsabilità in capo al giudice finalizzati all’applicazione della confisca8.
In una ulteriore pronuncia9 si è sostenuto che il codice non farebbe riferimento alla condanna nella sua accezione di giudicato formale ma al suo mero assetto accertativo dell’esistenza del reato, della responsabilità e del nesso di derivazione della res dall’illecito10.
Anche la Corte europea11 e la Corte costituzionale12 sono intervenute, perimetrando i concetti di pena e di condanna che inevitabilmente interferiscono sul destino della confisca, modellandone genesi e caratteri operativi. La prima si è concentrata sulla confisca urbanistica che il giudice applica con la sentenza definitiva che accerti il reato di lottizzazione. La Cassazione ha più volte affermato che detta misura ablativa va applicata anche nel caso di estinzione per prescrizione purché venga accertata la sussistenza del reato in un giudizio fondato sul contraddittorio13 e pur in assenza di una sentenza di condanna, stante la natura amministrativa di detta sanzione. Ma proprio sulla confisca urbanistica la Corte europea14 ha disatteso la ricostruzione sistematica interna, riconoscendo in essa i tratti tipici di
natura penale ed applicando, di conseguenza, l’art. 7 della Convenzione. I Giudici sovranazionali hanno osservato che per evitare che gli stati qualificassero come amministrative misure aventi natura e funzione di pena occorreva procedere ad una attenta disamina delle stesse. Anche la Consulta è intervenuta15 osservando, tuttavia, che, se da un lato il giudice comune deve interpretare il diritto interno in senso conforme alla CEDU, dall’altro deve leggere le norme in senso costituzionalmente orientato; tale sarebbe quell’accertamento contenuto in una sentenza di proscioglimento che abbia adeguatamente motivato in ordine alla responsabilità personale di chi subirebbe la misura. Nel percorso argomentativo seguito dalla Corte delle leggi, disegnato al fine di limitare l’impatto della sentenza europea (passibile di trovare applicazione anche in altri contesti caratterizzati dalla circostanza che la confisca resisterebbe alla prescrizione) si è osservato che occorre comprendere se la CEDU, parlando di condanna, abbia inteso richiamare il suo aspetto formale ovverosia la sostanza dell’accertamento. Con precipuo riferimento alla sentenza Varvara, nel ragionamento della Consulta, la CEDU non farebbe esclusivo riferimento alla condanna formale16. Trasponendo il ragionamento sulla categoria del prezzo del reato, occorrerà, dunque, accertare se la confisca di tale provento abbia o no natura sanzionatoria alla luce dei criteri stabiliti da Strasburgo. Prioritaria sarà la verifica della qualificazione della misura per il diritto interno: se per lo Stato quella violazione ha natura penale si applicheranno i principi indicati nell’art. 7 Conv. In caso contrario, si applicano gli ulteriori due criteri in virtù dei quali andrà in primo luogo esaminata la natura della violazione deducendola dall’ambito applicativo e dagli scopi (di tipo punitivo e deterrente o riparatorio o preventivo) per i quali la misura è prevista. Il secondo step è costituito dalla verifica della natura e della gravità delle conseguenze in caso di violazione della norma. Alla luce di tanto si potrebbe sostenere che la confisca – diretta – del prezzo del reato non abbia carattere punitivo perché il patrimonio della persona viene intaccato solo nei limiti del pretium sceleris. Ergo si potrebbe sostenere che non sia richiesto un giudicato formale di condanna ma semplicemente un accertamento della responsabilità che confluisce in una pronuncia che la dichiari, pur se sprovvista della parte della irrogazione della pena. Se i termini della questione non mutano in relazione alla confisca del profitto del reato, in modo del tutto differente si atteggia la misura per equivalente, considerata pacificamente sanzione sia dalla l. 29.9.2000, n. 300 (che coniò l’art. 322 ter c.p.) che dalla giurisprudenza, con i conseguenti effetti in tema di irretroattività, considerando che con essa si impone al reo un sacrificio patrimoniale che non ha la funzione di prevenzione caratterizzante le misure di sicurezza17 e che scompare qualsivoglia legame tra res e reato. Il tema si complica allorquando si intenda apprendere somme di denaro depositate su conto corrente. La giurisprudenza non si è mostrata concorde sul tipo di confisca da applicare. Secondo una prima tesi si tratterebbe di confisca diretta; non occorrerebbe verificare né la provenienza da delitto né l’effettiva disponibilità dell’indagato18 in tutti i casi di beni fungibili; conseguentemente, in virtù del principio di progressione di cui all’art. 322 ter, si potrà ricorrere alla misura di valore soltanto qualora non sia possibile individuare né il prezzo/profitto né somme liquide.
Altra corrente esegetica, invece, ritiene che l’ablazione del denaro (ove manchi la prova di un collegamento diretto tra esso ed il reato) è sempre confisca di valore perché l’art. 322 ter c.p., laddove specifica che la confisca dell’equivalente opera «quando ... non è possibile» la confisca diretta, fa riferimento alla fungibilità del bene che quindi, se non è individuabile, obbliga a fare ricorso all’istituto dell’equivalente19. Non occorre, dunque, che si verifichi la provenienza delle somme o che queste siano nella effettiva disponibilità dell’indagato20 (presupposto non richiesto dalla legge)21. Secondo un ultimo orientamento22, perché la confisca di denaro sia qualificabile come diretta è necessaria la prova del nesso di derivazione. Esso, però, non deve essere congetturale, nel senso che occorre la prova che il profitto sia confluito su quel conto e che sussista nesso di derivazione del denaro dal reato; in mancanza la confisca sarà di valore.
Nonostante i reiterati interventi, la confisca non ha ancora raggiunto uno stato di cristallina intangibilità. Essa, già geneticamente polimorfa, si è arricchita – grazie ad un recente intervento delle Sezioni Unite23 – di una figura ibrida che rappresenta la summa dei connotati meno garantisti della confisca diretta e della confisca di valore.
La Corte nomofilattica, difatti, ha statuito che il giudice, nel dichiarare l’estinzione del reato, può applicare, a norma dell’art. 240 c.p., co. 2, n. 1 ovverosia dell’art. 322 ter c.p., la confisca sempreché si tratti di confisca diretta e vi sia stata una precedente pronuncia di condanna rispetto alla quale il giudizio di merito sia rimasto inalterato quanto alla sussistenza del reato, alla responsabilità dell’imputato ed alla qualificazione del bene da confiscare come profitto o prezzo del reato. Ma le lacune – ammesso che di lacune si tratti – derivanti dal torpore legislativo non possono essere sempre colmate dalla supplenza pretoria. Se è ormai opinione unanime che laddove si parli di confisca diretta si faccia riferimento ad una misura di sicurezza, allo stesso tempo appare incongruo forzare il dettato normativo e cercare di introdurre un concetto di condanna sostanziale che prescinde dalla forma senza sacrificio dei principi del giusto processo. Nella ricostruzione del quadro, non può ignorarsi che la Carta costituzionale impone che l’imputato non debba essere considerato colpevole sino alla sentenza definitiva di condanna e che l’art. 240 c.p. prevede l’applicazione della confisca in caso di condanna: si parla, appunto, di condanna e non di accertamento di responsabilità limitato ad un solo grado di giudizio. Al tempo stesso, poi, se si volesse individuare un necessario connubio tra le norme dell’ordinamento italiano e i dicta europei occorrerebbe capire in quale categoria verrebbe inquadrata di volta in volta la misura. La rivisitazione sovranazionale effettuata nel caso Varvara, difatti, in cui quella che era pacificamente una misura amministrativa è divenuta sanzione penale, potrebbe intaccare – forse purificandoli – anche altri casi di confisca. Anche quella diretta del prezzo, pertanto, potrebbe divenire nelle argomentazioni europee una sanzione penale e andare incontro ad una evoluzione che, se da un canto potrebbe depotenziarla, dall’altro la connoterebbe di un sistema di garanzie oggi assente. Le Sezioni Unite, tuttavia, si sono spinte oltre nella scia della semplificazione operativa, sposando la tesi della sentenza Gubert24 in relazione alla confisca di somme di denaro, sostenendo che la ragion d’essere della misura di valore risiede nella impossibilità di procedere alla confisca “diretta” della cosa che presenti un nesso di derivazione qualificata con il reato. Se il provento è rappresentato da una somma di denaro che, per sua natura fungibile, perde autonomia, ciò che rileva è che le disponibilità del percipiente si siano accresciute di quella somma. Solo se sarà impossibile la confisca del denaro, nascerà l’opzione del ricorso alla confisca per equivalente. Qualora il prezzo o il profitto siano costituiti da denaro, pertanto, la confisca è da intendersi sempre diretta, smarcandosi dalla prova del nesso di derivazione. Il ragionamento, tuttavia, appare sorreggere un maldestro tentativo di allargare oltremodo le maglie di un istituto già particolarmente aggressivo. La littera legis porta a ritenere che laddove si tratti di denaro si potrebbe profilare sia una confisca diretta che una confisca per equivalente a seconda che si riesca ad individuare quella somma di denaro direttamente escresciuta dal delitto ovverosia si debba confiscare altra somma di denaro di diversa provenienza. In tal modo si crea, invero, un’ablatio ibrida, una sorta di specie nuova di misura avente i connotati della misura sanzionatoria dell’equivalente inserita all’interno di altra categoria. Il pensiero, ovviamente, corre alle aberranti conseguenze di una simile costruzione: si avrebbe l’applicazione retroattiva della misura di sicurezza. Non solo. Mondandola dalla natura dell’equivalente, la si sottrae alle caratteristiche di essa: infatti, la sua conclamata natura sanzionatoria25 impedisce che la misura trovi applicazione anche in relazione al prezzo o al profitto derivante da reato estinto per prescrizione26. Tra l’altro, la tesi dell’accertamento incidentale, pur se condivisa da più parti, comporta una cognitio semiplena del giudice27 che si convince della colpevolezza dell’imputato cui vengono negate le garanzie del giusto processo28.
Pertanto, pur potendo affermare che la sentenza di estinzione del reato per prescrizione non è una pronuncia “muta” in ordine alla responsabilità dell’imputato, attesa l’operatività nel processo penale della declaratoria immediata di non colpevolezza (art. 129 c.p.p.)29 non può che ribadirsi che nell’irrogazione di qualsiasi misura di carattere afflittivo connessa alla commissione di un fatto di reato non può prescindersi dall’accertamento pieno della responsabilità penale dell’imputato.
1 Cass., S.U., 23.4.1993, n. 5, Carlea, in CED rv. nn. 193119 e 193120.
2 Cass., S.U., 15.10.2008, n. 38834, PM in procedimento De Maio, in CED rv. n. 240565.
3 Cass. pen., sez. VI, 19.11.2014, n. 12924, (dep. 26.3.2015), Lucci.
4 Panzarasa, M., Confisca senza condanna? Uno studio de lege lata e de iure condendo sui presupposti processuali dell’applicazione della confisca, in Riv. it. dir. proc. pen., 2010, 1691 ss.; Silvestri, P., La confisca senza condanna, in Corte di Cassazione e Corti europee, a cura dell’Ufficio del Ruolo e del Massimario – Corte Suprema di Cassazione, Istituto poligrafico e zecca dello Stato, Roma, 2014, 260 ss.
5 Cass., S.U., n. 5/1993.
6 Cass., S.U., n. 38834/2008.
7 C. cost., 4.4.2008, n. 85 ma anche 26.3.2015, n. 49.
8 Cass. pen., sez. I, 4.12.2008, n. 2453, Squillante, in CED rv. n. 243027; Cass. pen., sez. II, 25.5.2010, n. 32273, Pastore, in CED rv. n. 248409.
9 Cass. pen., sez. II, 5.10.2011, n. 39756, Ciacimino, in CED rv. n. 251195.
10 Confermato dall’art. 12 sexies d.l. 8.6.1992, n. 306 che prevede l’applicazione della confisca anche in seguito a sentenza ex art. 444 c.p.p. che, a differenza che nella condanna, non presuppone un accertamento pieno di responsabilità.
11 C. eur. dir. uomo, 29.10.2013, Varvara c. Italia; Balsamo, A., La Corte europea e la “confisca senza condanna” per la lottizzazione abusiva, in Cass. pen., 2014, 1396 ss.; Mazzacuva, F., La confisca disposta in assenza di condanna viola l’art. 7 CEDU, in www.penalecontemporaneo.it, 5.11.2013.
12 C. cost. n. 49/2015.
13 Cass. pen., sez. III, 4.2.2013, n. 17066, Volpe e altri in CED rv. n. 255112.
14 C. eur. dir. uomo, 10.5.2012, Sud Fondi S.r.l. e altri c. Italia.
15 C. cost. n. 49/2015.
16 Viganò, F., Confisca urbanistica e prescrizione: a Strasburgo il re è nudo, in Dir. pen. cont., 2014, fasc. 3-4, 277 ss.
17 Cass., S.U., 31.1.2013, n. 18374, Adami, in CED rv. n. 255037; Cass. pen., sez. III, 6.3.2014, n. 18311, Cialini, in CED rv. n. 259102; Cass. pen., sez. III, 27.2.2013, n. 23649, D’Addario, in CED rv. n. 256164.
18 Cass., S.U., 31.1.2014, n. 10651, ric. Gubert, in CED rv. n. 258646; Cass. pen., sez. VI, 7.1.2015, n. 2336, Pretner Calore, in CED rv. n. 262082.
19 Cass. pen., sez. III, 6.10.2011, n. 36293, Legale rappr. Hypo Alpe Adria Bank S.p.a., in CED rv. n. 251133; Cass. pen., sez. III, 16.5.2012, n. 25677, Caneva, in CED rv. n. 252996.
20 Cass. pen., sez. III, 25.9.2012, n. 1261, Marseglia, in CED rv. n. 254175.
21 Cass. pen., sez. III, 23.6.2006, n. 25877, PM in procedimento Maniglia, in CED rv. n. 234851; Cass. pen., sez. VI, 5.6.2007, n. 31692, Giannone, in CED rv. n. 237610; Cass. pen., sez. II, 29.4.2014, n. 21228, Riva Fire S.p.a., in CED rv. n. 259717.
22 Cass., S.U., 24.5.2004, n. 29951, C. fall. in proc. Focarelli, in CED rv. n. 228166.
23 Cass., S.U., 26.6.2015, n. 31617, Lucci (non ancora massimata).
24 Cass., S.U., n. 10651/2014.
25 Cass., S.U., n. 18374/2013.
26 C. eur. dir. uomo, 29.10.2013, Varvara c. Italia.
27 Manes, V., La “confisca senza condanna” al crocevia tra Roma e Strasburgo: il nodo della presunzione di innocenza, in www.penalecontemporaneo.it, 13.4.2015.
28 Valentini, V., Continua la navigazione a vista. Europeismo giudiziario ed europeizzazione della legalità penale continentale: incoerenze, velleità, occasioni, in www.penalecontemporaneo.it, 20.1.2015.
29 Scomparin, L., Il proscioglimento immediato nel sistema processuale penale, Torino, 2008, 384.