quinario
In VE II V 6, D., dopo aver affermato che il settenario segue per frequenza di uso e rinomanza l'endecasillabo, dice: Post hoc pentasillabum et deinde trisillabum ordinamus. D. mostra una certa stima del q. in quanto presente, anche se assai raramente, sia nelle canzoni dei poeti siciliani (Iacopo da Lentini, Iacopo d'Aquino, Giacomino Pugliese), sia in quelle dei toscani (si ricorda il fiorentino Pietro Morovelli). E come emistichio (segnato dalla rima) dell'endecasillabo si trova, oltre che nei siciliani e nei siculo-toscani, perfino in Cavalcanti.
D. adopera il q. soltanto nei due piedi della stanza di Poscia ch'Amor del tutto m'ha lasciato (schema del piede: Aa5a3BbcD), in rima col primo endecasillabo e con il trisillabo che è parte dell'endecasillabo successivo (Poscia ch'Amor del tutto m'ha lasciato / non per mio grato / ché stato non avea tanto gioioso), ottenendo così quella forte vicinanza di rime sconsigliata nel De vulg. Eloquentia. In questa canzone, d'impasto tecnicamente ‛ arcaico ', rilevante anche per altri aspetti (v. CANZONE; RIMA; SETTENARIO), il q. concorre alla forte diffrazione internamente al piede, e quindi in tutta la stanza, nel senso che tre rime consecutive e due versi a rima baciata si oppongono agli ultimi due versi con corrispondenza lontana negli ultimi due del secondo piede.
Va osservato che i quattordici q. della canzone hanno talora un valore quasi di glossa più o meno semplice (non per mio grato, v. 2; credon potere, v. 21; vanno spiacenti, v. 46; poi ch'è blasmata, v. 78; sarà mischiata, v. 84), talaltra quasi soltanto di concatenazione (far mi parria, v. 65; persone, quante, v. 103; ma quelle sole, v. 122), rivelando così che la loro funzione è, come si è detto, precipuamente ritmica.