QUINTO SMIRNEO (Κόιντος ὁ Σμυρναίος, Quintus Smyrnaeus)
Così si chiama l'autore del poema epico in 14 canti Le Postomeriche, giunto sino a noi. Ma la notizia ch'egli sia stato nativo di Smirne è una semplice induzione da un passo del suo poema, e precisamente da XII, 308 segg., dove egli, sulla scorta di Esiodo, narra di aver avuto il dono del canto dalle Muse allorquando, le gote non ancora coperte di lanugine, pascolava le pecore nella piana di Smirne, poco lontano dall'Ermo, presso il tempio di Artemide. Lo si suole anche dire Quinto Calabro dall'archetipo trovato dal cardinale Bessarione fra il 1453 e il 1472 presso Otranto (Calabria nel senso della denominazione classica) e poi andato perduto. Anche l'età cui egli appartenne non è ben sicura. Anteriore a Nonno è certamente, perché l'esametro suo non è limitato alle nove forme nonniane, ma ne presenta poco meno di una trentina. Abbastanza innanzi nel periodo greco-romano dev'essere pure, sia per certe particolarità linguistiche di epoca tarda come l'uso di ὄϕελον seguito dall'indicativo dell'aoristo, di ἔρκοϑεν per ποϑέν, di ἔνϑεν per ἔνϑα, sia per certe allusioni come quella in XIII, 341, alla potenza romana che si estende dal sorgere al tramontare del sole, come quell'altra alla testudo in XI, 358 segg., come ancora a quella dell'inizio dell'anno nell'inverno (III, 325 segg.). In generale lo si pone al sec. III d. C. Può darsi che sia appartenuto alla fine del II. Certo dev'essere stato posteriore a quel Proclo (non sicuramente il neoplatonico) il quale affermava, secondo il riassunto di Fozio, che i poemi ciclici ai suoi tempi si conservavano ancora.
Poiché non sembra possibile che, conservandosi quei poemi, sia venuta a Q. la peregrina idea di comporre il suo pasticcio, la cui materia corrisponde appunto a quella dell'Etiopide, della Piccola Iliade o della Presa d'Ilio (dalla venuta delle Amazzoni e poi di Mennone in aiuto dei Troiani sino alla presa della città e all'inizio dei Nostoi), tutti i molti studiosi di Q. sono d'accordo nel ritenere ch'egli abbia desunto la materia da un manuale mitografico imitando poi del suo meglio, per la forma, i poemi omerici. Abbastanza larga conoscenza egli dimostra pure di alcuni poeti latini, in particolare di Virgilio. La narrazione procede sempre in Q. lucida e chiara, ma piatta, priva di vita e di efficacia. Si solleva alquanto al disopra della consueta mediocrità l'episodio di Paride e di Enone nel libro X. Belle talora anche le similitudini che dimostrano un certo senso d'osservazione e di comprensione della natura.
Ediz.: L'edizione migliore è sempre la teubneriana di A. Zimmermann (1891) completata dalle notevoli Kritische Untersuchungen pubblicate in parecchie riprese (Lipsia 1889, 1900, 1908, 1913). Scarso valore ha l'edizione della Loeb Classical Library (Londra 1913).
Bibl.: Studî fondamentali: F. Kehmptzow, De Q. S. fontibus et mythopoeia, Kiel 1891; G. W. Paschal, A study of Q. of S., Chicago 1904; T. R. Glover, Life and letters in the fourth century, Cambridge 1901. Cfr. anche A. Taccone, Le fonti dell'episodio di Paride e di Enone in Q. S., Torino 1905; id., Q. S. e Callimaco, ivi 1905; id., Di alcune reminiscenze classiche in Q. S., ivi 1910; R. Herzog, in Sitzungsber. der Preuss. Akad., 1934, p. 766, n. 15. Buone traduzioni in versi, oltre quella dell'umanista Bernardino Baldi, quelle di Teresa Benedettini (Modena 1815), e di Luigi Rossi (Milano 1819).