RABBĪ (ebraico e aramaico rabbī, greco ῥαββί, ῥαββεί)
Titolo onorifico dei dottori ebrei, costituito dal sostantivo rab, "maestro", e dal suffisso pronominale di prima persona singolare: quindi "mio maestro" (cfr. l'italiano "monsignore"). Il vocabolo rab è in origine un aggettivo, significante "grande"; sostantivato, acquista il valore di "padrone", "signore" (ad es., nella Mishnāh, Sukkāh, II, 9; Giṭṭīn, IV, 4; Ābōt, I, 3), e quello di "maestro" (già presso R. Yĕhōshūa‛ ben Pĕraḥyāh [circa 110 a. C.], Mishnāh, Ābōt, I, 6). Col suffisso pronominale di prima persona comincia tosto ad essere adoperato costantemente quale vocativo, come espressione riguardosa, nel rivolger la parola a un maestro. Gli esempî di tale uso sono frequenti nella letteratura rabbinica e nel Nuovo Testamento, nel quale il vocabolo appare più volte, sia nella sua forma semitica semplicemente trascritta in caratteri greci come sopra indicato (ad es. Matteo, XXVI, 25, 49), sia sostituito da una traduzione greca (κύριε, ἐπιστάτα, διδάσκαλιε); in Giov. I, 38, la forma originale è accompagnata dalla traduzione (‛Ραββί [-εί], ὃ λέγεται μεϑερμηνευόμενον διδάσκαλε). Nella seconda metà del sec. I il termine rabbī diventa il titolo ufficiale dei dottori, ai quali veniva conferito solennemente con l'ordinazione e l'imposizione delle mani. Il nome di chi è stato insignito del titolo è di regola costantemente preceduto da esso (rabbī Tale, come in italiano il dottor Tale). Il titolo viene così ad essere usato anche all'infuori del vocativo, e il suffisso pronominale in esso contenuto perde il suo significato originario. Quello dei dottori a cui era affidata la presidenza dell'accademia aveva di solito il titolo di rabbān, che conseguentemente era considerato superiore a quello di rabbī. Rabbān è un nome del tipo qatlān, ossia foggiato con la desinenza nominale ān, e il plurale si fa solo da questo, e non da rab: rabbānīm "maestri", "dottori" (meno bene altri vi vede il consueto nome rab, col suffisso pronominale aramaico di 1ª persona plur., "il nostro maestro"). Non tutti però i presidenti di accademia ebbero questo titolo: ad esempio Yĕhūdāh ha-Nāsī o Giuda il Santo (v.), redattore della Mishnāh, era insignito semplicemente del titolo di rabbī, anzi viene spesso designato come rabbī senza l'aggiunta del suo nome (cioè "il maestro" per antonomasia), ovvero come rabbēnū ha-qādōsh, "il nostro santo maestro". Naturalmente, anche dopo l'istituzione dei titoli, il vocativo rabbī senza il nome personale continuò ad essere usato per tutti i maestri, anche per quelli che non erano stati ordinati ed erano quindi privi di un titolo ufficiale (quale, ad es., Naḥūm di Gimzō, Talm. babil., Ta‛ănīt, f. 21ª), e per i capi d'accademia insigniti del titolo di rabbān (ad esempio, per Rabbān Yōḥānān ben Zakkay, Ābōt dĕ-Rabbī Nātān, 14).
Il vocabolo ῥαββουνί (varianti ῥαββωνί, -εί), che si trova pure nel Nuovo Testamento (Marco, 51; Giov., 16), ci presenta, unito col suffisso pronominale di prima persona singolare, il sostantivo rabbōn (posteriormente ribbōn), altra forma della stessa radice, usata nel senso di "signore", "padrone". Esso vale quindi "signor mio", "padrone mio".
Come l'a di rabbōn passa poi ad i in ribbōn, così succede, almeno in determinati luoghi, per l'a di rabbī: la forma ribbī è attestata da manoscritti yemeniti e dalla tradizione degli ebrei italiani. Alcuni manoscritti ebraici italiani presentano la vocalizzazione rebbī; e la forma βηρέβι, corrispondente ad un originario bar rabbī, è attestata da iscrizioni greche giudaiche. In un'iscrizione latina giudaica dell'Italia meridionale troviamo la forma plurale rebbites.
Mentre in Palestina il titolo ufficiale dei dottori era quello di rabbī, nelle scuole babilonesi vigeva invece il titolo di rab, senza il suffisso pronominale. Rab per eccellenza era detto Abbā Arīkā, discepolo del surricordato Giuda il Santo.
Dopo l'epoca talmudica i titoli di rabbī e di rab cessano di avere valore ufficiale: quello di rabbān cessa addirittura di esistere, come cessa, salvo a riprendere più tardi in qualche ambiente, p. esempio presso i Sefarditi, l'istituto dell'ordinazione mediante l'imposizione delle mani. Tuttavia rabbī e rab vengono ancora usati come denominazioni onorifiche per i dottori ebrei, per lo più accompagnati da altri titoli, che talvolta invece vengono a sostituirli (ad es., rabbēnū, mōrēnū, "nostro insegnante", "nostro maestro", "nostro dottore"); non di rado entrano a far parte di complesse formule onorifiche, quale quella, frequente in Italia negli ultimi secoli, di kĕbōd mōrēnū hā-rab rabbēnū, abbreviato kmhrr ("l'onorando nostro insegnante, il dottore nostro maestro"). Rabbī (o ribbī secondo la più tarda pronunzia) da solo diventa a poco a poco designazione onorifica per qualsiasi uomo, come "signore" nell'italiano moderno.
Da rabbī (forse attraverso una contaminazione con forme come rabbān e rabbōn) derivano il greco ῥαββῖνος e il latino rabbinus, da cui l'italiano rabbino e gli analoghi vocaboli delle altre lingue moderne. Nell'ebraico moderno si adopera per "rabbino" il vocabolo rab, plurale rabbānīm.
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