rabbia
Stato fisiologico di intensa attivazione emotiva associata a forte disapprovazione. Presente nell’uomo sin dalla nascita, è una delle otto emozioni fondamentali.
È possibile identificare precise manifestazioni fisiologiche e specifiche organizzazioni motorie tipiche degli stati di r., che possono culminare in comportamenti aggressivi o distruttivi (➔ aggressività). La r. è contraddistinta da un’espressione facciale tipica e di immediata lettura per chi la osserva, caratterizzata dall’abbassamento dell’arcata sopraccigliare dovuto all’aggrottamento repentino della fronte e, in molte specie, dal mostrare e digrignare i denti. A livello corporeo la sensazione associata alla r. è di estrema tensione muscolare, di profonda irrequietezza e di calore diffuso; tali manifestazioni, così come la dilatazione pupillare, sono causate dall’attivazione della componente simpatica del sistema nervoso autonomo, che provoca l’accelerazione dei battiti cardiaci, l’aumento della pressione arteriosa, della frequenza degli atti respiratori e della sudorazione. Nell’uomo la r. è sostenuta da un’attività mentale scomponibile nei seguenti ‘ingredienti’ di pensiero: la percezione di aver subito un torto, la convinzione che tale torto sia ingiusto, e la considerazione che il responsabile del torto ricevuto abbia agito intenzionalmente o, pur potendo, non abbia impedito che l’evento accadesse. Nel caso di individui appartenenti alla stessa specie, l’origine funzionale della r. può essere rintracciata nella necessità di regolare i rapporti di competizione (➔). Lo stato di r., infatti, prepara l’organismo all’azione e permette all’individuo di definire e difendere il proprio rango all’interno del sistema sociale di riferimento. D’altra parte, poiché i rischi associati al comportamento aggressivo (innescato dagli stati di r.) possono essere evolutivamente costosi per i gruppi sociali complessi, la libera manifestazione della r. è culturalmente molto inibita o regolata da rigidi rituali. Le conoscenze disponibili sui meccanismi nervosi alla base della r. sono principalmente basate sugli studi eseguiti su modelli animali.
La conservazione evolutiva dei meccanismi biologici alla base della r. consente spesso di estendere all’uomo le evidenze comportamentali, neurobiologiche e molecolari raccolte sui modelli animali. Studi neurobiologici hanno infatti evidenziato che durante lo stato di collera si attivano, sia negli uomini sia in altri mammiferi, gli stessi sistemi anatomici e neurochimici. Ciò nonostante, l’esibizione comportamentale della r. è altamente specie-specifica e nelle specie animali diverse dall’uomo gli stati di collera sfociano più facilmente in comportamenti aggressivi. Il comportamento aggressivo si presenta come una facoltà emergente dell’insieme di aree cerebrali deputate al controllo del comportamento sociale: l’area preottica mediale (MPOA), il setto laterale (LAS), l’ipotalamo anteriore (AHA) e ventromediale (VMH), la sostanza grigia della regione periacqueduttale (PAG), l’amigdala mediale (MEA) e un nucleo della stria terminalis (BNST). Nei roditori tali aree sono estremamente interconnesse e lesioni a livello di LAS, BNST, AHA e MEA riducono i comportamenti aggressivi nei maschi, mentre lesioni della corteccia orbitofrontale (OFC) hanno effetti opposti, indicando che i circuiti corticali esercitano un’azione inibitoria sui centri alla base del comportamento sociale. Come nei roditori, anche nei primati non umani l’ipotalamo sembra avere un ruolo chiave nella regolazione del comportamento aggressivo. La stimolazione elettrica dell’area VMH aumenta alcune manifestazioni tipiche della r. (emissioni vocali intense a scopo di minaccia e piloerezione), mentre lesioni di AHA e di MPOA riducono le vocalizzazioni rivolte contro un maschio intruso. Lesioni all’area OFC sono generalmente associate alla riduzione dei comportamenti di affiliazione (come il grooming o il contatto stretto), mentre gli effetti sull’aggressività (➔) sono diversi a seconda del rango dell’individuo lesionato: gli animali dominanti diventano più aggressivi, mentre ciò non accade negli animali subordinati.
Tra i sistemi di neurotrasmettitori cerebrali, la serotonina (5-HT) ha senz’altro un ruolo chiave nell’influenzare il comportamento aggressivo: bassi livelli di 5-HT comportano una maggiore impulsività e aggressività, mentre alti livelli di 5-HT possono inibire i circuiti dell’aggressività. Individui molto aggressivi con disturbo di personalità borderline (➔) possono trarre giovamento dal trattamento cronico con farmaci inibitori selettivi del reuptake della serotonina (SSRI): tali sostanze, innalzando i livelli di serotonina, stimolano la corteccia prefrontale, altrimenti poco attiva in questi individui. Poiché la corteccia prefrontale ha un ruolo chiave nell’inibizione del comportamento, l’esito finale è quello di una riduzione del potenziale aggressivo. Anche la dopammina è implicata nella r. e nell’aggressività a essa correlata. Nei topi, la somministrazione di antagonisti dei recettori D1 e D2 della dopammina riduce l’aggressività. Lo studio dei tratti comportamentali di una famiglia olandese ha mostrato che la riduzione dei livelli dell’enzima metabolico MAOA (causata da una mutazione genetica a carico del gene MAOA) responsabile della deamminazione della noradenalina, della serotonina e della dopammina, determina un aumento dell’aggressività impulsiva nei maschi. Un recente esperimento (2002) condotto da Aushalom Caspi e collaboratori ha evidenziato un interessante esempio di interazione geni-ambiente, in quanto la presenza di un polimorfismo a carico del gene MAOA, che conferisce alti livelli dell’enzima, modera negli adulti gli effetti di maltrattamenti subiti nell’infanzia, prevenendo comportamenti antisociali. Anche l’aumento dei livelli del neurotrasmettitore inibitorio GABA aumenta l’aggressività nei roditori. Questo dato concorda con gli effetti di facilitazione dei comportamenti aggressivi in alcuni casi associati all’abuso di alcol o alla somministrazione di farmaci agonisti dei recettori del GABA, come il diazepam.