RABBIA (gr. λύσσα; lat. rabies; fr. rage; sp. rabia; ted. Wut; ingl. madness)
Malattia contagiosa nota quasi dovunque da tempo immemorabile, per il modo singolare d'insorgere in seguito a morsicatura d'animale infetto, per la terrificante sintomatologia come d'improvvisa follia, per l'estrema gravezza e l'incurabilità (donde l'espressione di Celso miserrimum morbi genus); assai diffusa e tenacemente endemica fino al cadere del secolo XIX, oggi ridotta in modesti confini e affatto sporadica, grazie all'estesa applicazione della cura preventiva Pasteur e all'osservanza di norme di polizia veterinaria, dirette a disciplinare la circolazione dei cani nell'abitato (v. appresso: Patologia veterinaria; antirabbica cura).
Scientificamente è detta anche lissa, ma è voce poco usata. Usitatissimo è invece il sinonimo idrofobia, da uno dei più caratteristici sintomi della forma furiosa nell'uomo, il timore dell'acqua. Nell'originale greco o in appropriata versione (quale il sanscrito jala-trāsa e il tedesco Wasserscheu) ricorre nella grande maggioranza delle lingue, antiche e moderne; ed è strano che tale sinonimo si sia lasciato impropriamente estendere al caso degli animali, divenendo ambiguo e pericoloso. Poiché il significato medico del termine va oltre quello strettamente etimologico (ma non si direbbe altrettanto per il sintomo compagno e spesso più precoee, l'aerofobia, pur esso patognomonico della rabbia umana e non meno angoscioso per l'infermo, come impressionante per gli astanti), l'idrofobia è più orrore per l'acqua, che non timore, eccitabile anche alla vista e all'idea dell'acqua, quindi fenomeno troppo fisiopsichico per potersi avere negli animali. Segnatamente il cane e il gatto non sono idrofobi, come purtroppo si sente dire spesso anche da tecnici: assetati, tuffano avidamente il muso nell'acqua. Onde è pregiudizio grave valersi in casi dubbî appunto della "prova dell'acqua", la quale espone a giudicare immuni animali sospetti, che da un momento all'altro possono rivelarsi rabidi.
Il contagio avviene per morso, il più delle volte di cane, assai meno spesso di gatto o lupo o sciacallo, eccezionalmente di volpe o altro carnivoro; bene inteso che la morsicatura può riuscire infettante anche a malattia non ancora manifesta, per arrivo precoce del germe specifico o virus alle ghiandole salivari. La rabbia ha lunga incubazione che si accorcia nei piccoli, decorso breve, esito letale. Molte sono le specie di animali a cui si attacca: equini, bovini, ovini di fresco tosati, roditori, ecc.; di prova clinica o sperimentale tutti i mammiferi, si può dire, dalle scimmie ai pipistrelli. Però capaci nel tempo stesso di trasmettere l'infezione, mordendo, sono a rigore le specie sopra indicate. Gli onnivori e gli erbivori assai difficilmente contribuiscono a diffondere la rabbia, e l'animale di massima importanza epidemiologica resta il cane. Dei rari voluti esempî di idrofobia, per trasmissione da uomo a uomo, è lecito mettere in dubbio se siano stati veri accidenti rabici. È pure ovvia osservazione, che di capi di bestiame morsicati in gran numero alla comparsa di un cane o lupo rabbioso battente la campagna lontano dall'abituale dimora, diversi muoiano a certa distanza di tempo senza alcuna successione morbosa. Bensì queste non mancano di regola, se tra i morsicati vi furono dei cani! In che soprattutto sta la ragione del perpetuarsi del tristo morbo in luoghi di endemia, in forma di caratteristici episodî di morsicature, distanziati suppergiù dall'ordinario periodo d'incubazione.
Prescindendo dall'attitudine più o meno diffusiva di singole specie di animali, la morsicatura ha anche valore per sé, ossia per le modalità e contingenze che l'accompagnano. La vediamo così non riuscire sempre infettante, nonostante l'assoluta certezza della rabbia nel morsicatore. Classico il caso riferito da G. Hunter: di 21 morsicati da uno stesso cane, uno solo morì. Analogamente, impressiona l'elevata proporzione dei morti per morsicature di lupo, 5-10 volte superiore a quella per morsicature di cane, pur non essendo gran che diversa la forza infettiva dei due stipiti di virus, misurata nel coniglio lege artis. E ancora: perché dovrebbe essere poco o punto pericolosa la morsicatura dell'erbivoro, in confronto col cane, potendosi anche nel primo, allo stato di rabbia, dimostrare infettiva la saliva?
Molto dipende dalle circostanze, che nel caso particoiare decidono, prima dell'attecchimento del virus nel posto dove può la morsicatura averlo depositato più o meno copioso, poi del suo cammino e dell'arrivo ai centri nervosi, sede culminante del processo morboso; posti e vie disseminati di resistenze e autodifese dell'organismo, più o meno facilmente superabili dal germe invasore, secondo la particolare costituzione dello stesso, lo stato di salute, le condizioni fisiologiche del momento. E la morsicatura può presentarsi unica o multipla, fatta a nudo o al coperto di vesti o peli, su parti a folta o rada innervazione e più o meno prossime ai detti centri; può essere ferita lacera penetrante o contusa superficiale, la prima o delle ultime di una grossa serie, poco o molto sanguinante e via dicendo. Poi, la morsicatura è intimo trasporto del germe da corpo a corpo, laddove trasmesso da oggetto feritore comune esso può aver perduto della sua vitalità per prosciugamento o altra avversa influenza ambientale (luce, ossigeno atmosferico, ecc.). In breve, occorre, per l'infezione e la malattia di fatto, tutto un complesso di condizioni disponenti locali e generali, che sarebbe lungo qui dichiarare.
Nella forma clinica furiosa della rabbia, la più frequente e la meglio conosciuta dagli antichi, il quadro morboso è fondamentalmente a base di disturbi nervosi sensitivi e motorî del sistema cerebrospinale: sulle prime di sovreccitazione, deliranti o spasmodici; successivamente, tardando la morte, di depressione, paresi e paralisi. Conobbeto gli antichi poco o punto la forma prevalentemente paralitica e la paralitica d'emblée, rimaste a lungo confuse sotto la denominazione di rabbia muta e rabbia tranquilla: ignorarono affatto la rabbia cachettica e altre forme meno impressionanti, nuove di laboratorio o scambiate con malattie di natura diversa. E su questi e altri particolari nosologici rilevati, come su quelli che seguiranno di più diretta attinenza alla patogenesi e all'etiologia, hanno sparso gran luce le moderne conoscenze, che datano dall'entrata nello studio della rabbia del genio di L. Pasteur; notoriamente mosso dal nobile proposito di apprestare ai morsicati in pericolo di ammalare della terrificante malattia, l'ancora di salvezza, che essi già hanno a disposizione oggi anche in lontane isole dell'oceano, cioè il metodo di cura specifica preventiva che porta il suo nome.
Il Pasteur nell'immortale opera scientifica, proseguita da tanti discepoli, cominciò dall'affermazione netta che la rabbia dipende da un microbio di difficile individuazione, avente per terreno elettivo di coltura naturale i tessuti di sostanza nervosa; onde si può riprodurre con sicurezza la malattia in serie sugli animali suscettibili, inoculando poche stille di appropriata emulsione di detta sostanza preferibilmente sotto la dura madre cerebrale. Restava così perentoriamente stabilito il carattere neurotropo dell'infezione, intuito (per quanto in maniera vaga e aprioristica) da precedenti studiosi, già divisi, circa il modo di passaggio del virus dalla morsicatura ai centri, tra l'ipotesi patogenetica nervosa e quella sanguigno-linfatica o umorale. Nondimeno il Pasteur, per sue considerazioni riguardo all'infezione sperimentale per via intravenosa, credé potersi ritenere, fino a migliori prove, che "dans la plupart des cas tout au moins, l'absorption du virus se fait par le système sanguin". Non risulta che il Pasteur abbia tentato l'infezione per via intranervea.
Il problema, ripreso da un suo discepolo A. di Vestea, in unione con G. Zagari, condusse questi studiosi alla rilevazione, non solo dell'inoculabilità sperimentale della rabbia per via intranervea, ma dell'esistenza negli animali in tal modo infettati, e solo in essi, d'uno stretto rapporto di dipendenza del quadro sintomatico dalla sede dell'inoculazione. Donde i due sperimentatori prendevano felice addentellato per illustrare, sotto una veduta affatto originale e persuasiva, le classiche forme cliniche nell'uomo della rabbia furiosa, ossia bulbare discendente (in morsicati al capo e agli arti superiori), e della rabbia paralitica, o spinale ascendente (in morsicati al basso tronco e agli arti inferiori), equiparata così la morsicatura a un'inoculazione intranervea intima. E per avvalorare la dottrina contro l'obiezione di singoli casi clinici discordanti, A. di Vestea e G. Zagari concepirono e attuarono l'experimentum crucis d'una infezione rabica addirittura circoscritta al treno posteriore, inoculando l'animale di prova per via d'uno dei nervi sciatici, previa scontinuazione del midollo spinale sopra all'uscita dei medesimi. Si aveva di qui e d'altro l'idea che, posto il virus a contatto di organi nervosi periferici, non c'è corrente sanguigna o linfatica comune che valga a sviarlo dal dirigersi verso i centrali. Un esperimento analogo ha fatto alcun tempo dopo E. Bertarelli, in riguardo particolare del modo di arrivo del virus alla saliva: per la enervazione unilaterale della ghiandola sottomascellare, nel cane infettato di rabbia, si arrestava da quel lato l'arrivo del virus al relativo tessuto ghiandolare.
Può dirsi oggi che la patogenesi nervosa della rabbia raccoglie il consenso, diretto o indiretto, di una lunga serie di sperimentatori, anatomopatologi e clinici, a cominciare dalle ottime descrizioni di rabbia paralitica d'emblée di N. Gamaleja (1887) e pervenire alle recenti determinazioni sperimentali di D. Zibordi (1932): V. Babes, M. Bardach, E. Roux e E. Nocard, G. Ferrè, A. Hogyes, M. Helmann, P. Remlinger, C. Golgi, V. Gianturco, G. D'Abundo, D. De Blasi, V. Puntoni, G. Finzi e moltissimi altri. Sarebbe quindi il caso di sostituire nel pensiero pasteuriano sopra riferito, la patogenesi "par le système des nerfs" a quella intravenosa.
Ora veniamo alla questione etiologica microparassitaria, a riguardo della quale il Pasteur, qualche anno prima della morte, aveva risposto a H. Bouley: "Le microbe de la rage jusqu'ici a échappé à tous les regards, mais il existe assurément". Nello stesso giro di anni lo spiccato neurotropismo di esso aveva suggerito ad A. di Vestea di indirizzare l'ulteriore esame del problema alla ricerca preferibilmente di un microparassita protozoario. Egli studiò all'uopo, in conigli infetti per via intranervea, il tratto di nervo inoculato, rimosso durante l'incubazione, e riuscì a mettere in evidenza dei corpuscoli a finissimo contenuto granulare basofilo tra le due guaine involgenti il cilindrasse di singole fibre. Chiamò tali elementi dal particolare aspetto corpuscoli oviformi, non tacendo l'impressione riportatane di probabili forme sporozoarie in fase cistica (1894). Passarono degli anni e analoghi elementi, a forma d'inclusioni cellulari, segnalò A. Negri in Italia (1903), traendone prezioso partito per la diagnosi microscopica dell'infezione, tanto utile per mandare o non sollecitamente alla cura Pasteur i morsicati da animale sospetto, ucciso precocemente; bene inteso che, se il trovare di tali corpi di Negri conferma il sospetto di rabbia, il non trovarne non l'elimina. E sul trovato del Negri lavorarono non pochi; tra essi G. Guarnieri e G. Volpino; e non passò molto che trovati analoghi con nomi diversi vennero segnalati da studiosi forestieri, tra cui C. Levaditi e Y. Manouélian dell'Istituto Pasteur di Parigi: tutti propensi a vedere nei loro reperti dei microparassiti protozoarî specifici.
Da tali tentativi d'individuazione non può dirsi davvero svelato il microbio intuito dal Pasteur. Bensì non è senza importanza la generale tendenza a impostare la nozione etiologica della rabbia nell'idea preconcetta del microparassita protozoario, con la caratteristica quindi di una duplice maniera di esistenza, sporulare e cistica, che ben s'addirebbe, si noti, alle due fasi della malattia, la lunga silenziosa preparazione e il rapido scatenamento dei sintomi. Collima inoltre il dato di universale consenso, che l'agente specifico rientra nel gruppo dei cosiddetti virus filtrabili, secondo dimostrarono per primi ad un tempo (giugno 1903), in Italia lo stesso Di Vestea, all'estero P. Remlinger: aggiungi la particolarità segnalata dal Di Vestea, che il filtrato dimostra, in confronto con l'emulsione di sostanza nervosa onde proviene, una distinta minore resistenza vitale. Naturalmente filtrerebbero non le forme riproduttive madri, ossia cistiche, del presunto protozoario, bensì le forme sporulari giovani, da quelle generate in gran numero. La qual cosa è lecito pensare (giova ripeterlo) abbia qualche corrispondenza con i due momenti caratteristici del processo morboso, la lenta incubazione e il tumultuoso decorso. Concezione etiologica (come si vede) non di pura immaginazione, ma appoggiata a un complesso organico di fatti positivi; resta nondimeno, che la nozione etiologica non è punto all'altezza di quella patogenetica.
Negli ultimi tempi si è messa sul tappeto la questione collaterale circa l'unicità o pluralità del virus, ossia dello stipite quale suole ricavarsi da animali naturalmente rabidi coltivato sul coniglio, noto ai tecnici col nome di virus di strada. Fautore in Italia della pluralità è V. Puntoni, che ne trasse l'ispirazione di un'utile variante alla cura Pasteur d'importanza veterinaria, la proposta di un autovaccino, che si è guadagnato non poco la fiducia dei tecnici e degli allevatori. Appoggiano ancora l'idea della pluralità l'esistenza nell'Africa occidentale francese di una forma di rabbia canina, non trasmissibile all'uomo, e la più recente assimilazione alla rabbia del mal de caderas nei bovini dell'America Meridionale.
Patologia Veterinaria. - L'infezione naturale insorge quasi di regola in seguito a morsicatura di un animale infetto, in quanto la saliva di questo è ricca di virus già alcuni giorni prima della comparsa dei primi sintomi morbosi. Nella propagazione dell'infezione sono specialmente responsabili i carnivori (e soprattutto il cane), perché per il loro modo di vivere, per i rapporti che possono avere con animali della stessa specie o di specie diversa, per il loro temperamento, hanno facile possibilità di morsicare e di essere morsicati. Sono più pericolose le ferite da morsicatura che cadono in regioni ricche di nervi e vasi linfatici e vicine al cervello e al midollo spinale (come le ferite della faccia) e specie se molto estese o ristrette e profonde. Una buona protezione contro le possibilità dell'infezione è offerta dalla foltezza dei peli e della lana, o dagli abiti, nell'uomo, perché tanto gli uni quanto gli altri possono trattenere in gran parte la saliva dell'animale morsicatore. Fra i varî mezzi, quantunque eccezionali, di trasmissione della malattia, verificabili all'infuori della morsicatura, va ricordato quello della circolazione placentare negli animali gravidi. Cosicché cuccioli nati da madri morsicate durante la gravidanza e che possono anche resistere al contagio, possono morire di rabbia (P. Cremona, L. Rossi). Non tutti gli animali morsicati soccombono all'azione del virus; per varie circostanze, legate alla protezione della cute, al carattere e alla sede della ferita, alla resistenza individuale, si può calcolare su una percentuale d'infezioni secondarie a morsicatura aggirantesi sul 50%.
Patogenesi. - Il virus rabido portato nei tessuti naturalmente o artificialmente, arriva al sistema nervoso centrale seguendo la via dei nervi. Dal sistema nervoso centrale si diffonde per via centrifuga lungo le vie nervose, raggiungendo le loro terminazioni in varî organi e principalmente nelle ghiandole acinose. Per il tramite delle ghiandole salivari soprattutto, esso trova modo di diffondersi nell'ambiente esterno; a questa funzione si prestano però tutte le ghiandole annesse all'apparecchio digerente, sia intrinseche sia estrinseche (V. Puntoni). Nel sistema nervoso centrale il virus trova condizioni propizie per moltiplicarsi attivamente; sulle cellule nervose spiega azione irritativa sì da provocare turbe psichiche, esaltazioni dei riflessi, aumento della temperatura, poliuria e glicosuria. Seguono poi fatti di paralisi legati a processi di degenerazione delle cellule nervose. La morte è causata da asfissia, per paralisi dei muscoli respiratorî.
Sintomi. - Il periodo d'incubazione ha una durata assai variabile in dipendenza di varî fattori, legati alla virulenza e al punto d'innesto del virus, all'età dell'animale, gli animali giovani offrendo una maggiore recettività. In generale varia da 2 a 8 settimane. Sono piuttosto eccezionali le incubazioni di 12-14 giorni, come quelle di alcuni mesi. I dati riferentisi a incubazioni della durata di 1-2 anni non sempre sono attendibili.
Nel decorso della rabbia del cane si può distinguere uno stadio prodromico o melanconico, uno stadio di eccitazione o di acme e uno stadio paralitico.
Lo stadio prodromico dura da alcune ore a tre giorni; in questo periodo l'animale si mostra di umore tetro, in preda talora a una viva inquietudine e ad accessi di allucinazione; i riflessi sono esaltati. Lo stato di irritazione è palese verso persone e animali estranei, mentre con le persone che abitualmente l'attorniano manifesta la consueta affettuosità e docilità. L'appetito è mancante e depravato; possono già esistere fatti disfagici. Lo stimolo sessuale di norma è esaltato. Lo siadio di eccitazione dura da 3 a 4 giorni ed è caratterizzato da un'accentuazione dei sintomi dello stadio precedente. I fatti più rilevanti di questo periodo sono caratterizzati dall'istintivo bisogno del cane di fuggire dal proprio padrone e dal comportamento aggressivo con persone e animali, ma specialmente con i cani che incontra sulla via. Se l'animale è chiuso in una gabbia, è colto da un accesso furioso e s'avventa contro le sbarre della stessa o contro qualsiasi oggetto che trova a portata di bocca senza emettere il minimo ringhio. Questi accessi sono intercalati da periodi di depressione. In questo stadio cominciano a verificarsi fatti di paralisi, soprattutto a carico dei nervi laringei (per cui i latrati si fanno rauchi e paragonabili a un lungo ululato), del glosso-faringeo, dell'ipoglosso, del trigemino, per cui la bocca è mantenuta semiaperta, la lingua pendente, la prensione e la deglutizione dei cibi e bevande impossibilitata.
Lo stadio paralitico, dura da 2 a 4 giorni e i fatti di paralisi già evidenti, si fanno sempre più pronunciati e diffusi, fino a invadere talora l'intero corpo. Il deeorso clinico della rabbia nel cane non sempre è così caratteristico; alle manifestazioni prodromiche possono fare immediatamente seguito quelle paralitiche, mancando il delirio mordace e i caratteristici latrati che sono proprî dello stadio di eccitazione (rabbia muta). Tra le forme cliniche atipiche va particolarmente menzionata la cosiddetta rabbia intestinale, caratterizzata principalmente da una gastroenterite emorragica a decorso mortale.
Nel gatto la rabbia si manifesta con lo stesso quadro della rabbia del cane. Negli erbivori la malattia evolve in modo poco caratteristico, per cui la diagnosi clinica riesce assai meno facile che nel cane. Nello stadio di eccitazione l'animale mostra spesso tendenza a mordersi o grattarsi in corrispondenza della ferita o della cicatrice da morsicatura o a sferrare calci; può talora assumere contegno aggressivo verso l'uomo o verso altri animali, ma specialmente verso il cane. I bovini presentano spesso sintomi di tenesmo e stranguria. Il mal de caderas, malattia dominante nei bovini dell'America Meridionale, è stato riconosciuto come una forma di rabbia (P. Remlinger e J. Bailly). Nei suini la rabbia assomiglia a quella furiosa del cane; nel periodo di eccitazione l'animale si fa aggressivo e pericoloso anche per l'uomo.
Dal punto di vista anatomo-patologico, nel cane è abbastanza significativa l'assenza delle comuni sostanze alimentari nello stomaco e la presenza invece di corpi estranei nell'apparecchio digerente e nello stomaco soprattutto; è quasi costante il rilievo di una gastroenterite catarrale o emorragica, con erosioni in corrispondenza delle placche del Peyer. Le meningi cerebrali e la sostanza grigia del cervello sono iperemiche ed edematose. Si ha glicosuria in circa il 50% dei casi.
Diagnosi. - Sono di notevole aiuto le notizie anamnestiche, quantunque testimonianze negative al riguardo non possano infirmare il sospetto o la sicura diagnosi di rabbia. Le indagini cliniche nelle forme di rabbia furiosa del cane, e soprattutto quando è acconsentito di seguire la malattia in tutta la sua evoluzione, non possono lasciare incertezze sulla sua natura. Nelle forme atipiche di rabbia del cane, come nella rabbia degli altri animali, a meno che le notizie anamnestiche siano sufficientemente informative, tanto il quadro clinico, quanto quello anatomo-patologico possono soltanto sollevare il sospetto di rabbia. Di valore patognomonico è invece la dimostrazione microscopica dei corpuscoli di Negri. Queste formazioni possono mancare specialmente negli animali uccisi nel periodo iniziale della malattia; perciò il loro reperto negativo non autorizza, particolarmente in tali circostanze, l'esclusione della rabbia. Significato non assoluto hanno le lesioni di neurofagia descritte da A. van Gehuchten e L. Nélis a carico dei ganglî cerebrospinali, perché pur essendo costanti nella rabbia, si possono rilevare anche nei cani cimurrosi e in quelli vecchi. Di notevole importanza sono le ricerche sperimentali, perché in ogni caso possono svelare o escludere in modo assoluto l'infezione. Esse hanno il solo inconveniente di essere meno pratiche di quelle microscopiche (soprattutto quando l'esito è atteso per intraprendere il trattamento curativo), perché negli animali inoculati si può avere un periodo d'incubazione anche notevolmente lungo. Come animali da esperimento si prestano bene il coniglio e il cane, ma possono servire anche la cavia, il topino e il ratto. Il materiale d'inoculazione, costituito da un'emulsione in soluzione fisiologica di sostanza nervosa, va inoculato preferibilmente per via sottodurale o intracerebrale o intraoculare. In caso di rabbia gli animali muoiono in 14-21 giorni; si hanno però forme molto lunghe d'incubazione, per cui gli animali inoculati devono essere tenuti in osservazione per almeno due mesi.
Cura e profilassi. - Allorché le manifestazioni cliniche della rabbia sono già evidenti non è possibile in nessun modo arrestare il processo morboso. Il trattamento della ferita, purché sia fatto subito dopo avvenuta la morsicatura, merita invece qualche considerazione: così è utile favorire o provocare un'abbondante emorragia locale, facendo seguire sulla ferita l'azione di un disinfettante (acido fenico al 3%, sublimato corrosivo all'1‰). Quando dall'avvenuta morsicatura è trascorso il tempo utile per tale applicazione medicamentosa, si può ricorrere alla cauterizzazione della ferita e all'iniezione intorno alla stessa di uno dei precedenti disinfettanti. Comunque, il trattamento locale anche se tempestivo, non può dare sufficienti garanzie, perciò è necessario ricorrere nel tempo stesso alla vaccinazione curativa.
Il merito d'aver risolto la questione della vaccinazione e d'averla portata nel campo pratico, spetta a L. Pasteur, quantunque V. Gualtier fosse già riuscito a immunizzare animali con saliva e sostanza nervosa virulenta. Il Pasteur aveva notato che il virus prelevato da cani naturalmente rabidi (virus di strada), dopo circa un centinaio di passaggi in serie nel conigfio, aveva ridotto il suo potere patogeno per il cane e le scimmie antropoidi, mentre al contrario mostrava una virulenza esaltata, di grado costante e non maggiormente influenzabile con ulteriori passaggi, di fronte al coniglio (virus fisso). Successivamente, nell'intento di poter arrivare alla vaccinazione dell'uomo, Pasteur ha risolto il problema dell'attenuazione del virus fisso mediante l'essiccamento in ambiente contenente potassa caustica. A seconda dei giorni di permanenza in tale ambiente, raggiungeva un'attenuazione sempre più spiccata, fino a rendere completamente avirulenta la sostanza nervosa, anche per il coniglio, dopo 14 giorni di essiccamento. Con l'inoculazione sottocutanea iniziata col virus che aveva subito il massimo di attenuazione (14 giorni di essiccamento), continuata nei giorni successivi con virus progressivamente meno attenuato (per aver subito un giorno di meno di essiccamento), fino ad arrivare a virus sottoposto a soli 1-2 giorni di essiccamento, Pasteur ha potuto ottenere nel cane prima e nell'uomo poi, di impedire validamente l'insorgenza della rabbia dopo avvenuta la morsicatura. Il metodo originale Pasteur è impiegato oggi esclusivamente nell'uomo, perché negli animali non risponde ai voluti requisiti economici e pratici. Fra gli altri metodi di vaccinazione, quello che ha incontrato maggior fortuna, specie nella vaccinazione dell'uomo, è quello italiano di C. Fermi. Questo studioso ottenne l'attenuazione del virus fisso con l'acido fenico. Il vaccino Fermi accanto a una efficacia non inferiore a quello Pasteur offre il vantaggio di essere sterile e di conservarsi lungamente attivo (5 mesi). Al vaccino Fermi, allo scopo di renderlo di pratica applicazione anche in veterinaria, vennero apportate alcune varianti (K. Umeno, N. Doi, S. Kondo, G. Finzi). Ne derivarono i vaccini glicero-fenicati, rispondenti agli scopi tanto preventivi quanto terapeutici e dotati, così come sono applicati nella pratica, di una sufficiente efficacia di fronte alla gravità del contagio naturale. La vaccinazione preventiva con questi nuovi metodi conferisce un'immunità di 8-10-12 mesi; perciò agli scopi di una utile profilassi essa va ripetuta a questa scadenza di tempo. Perché la vaccinazione preventiva del cane conduca a risultati concreti, è necessario però che sia condotta sistematicamente su tutti i cani di un determinato territorio. La vaccinazione antirabbica preventiva e curativa del cane e curativa degli erbivori, in Italia è stata propugnata e condotta su vasta scala dal Finzi. Fin dal 1930 si poteva contare su decine di migliaia di cani sottoposti al trattamento immunizzante preventivo e su alcune centinaia di erbivori e di cani morsicati sottoposti a cura. Negli erbivori la vaccinazione curativa è stata iniziata dal Finzi seguendo nelle grandi linee il sistema di P. Remlinger (virus fisso di coniglio eterizzato), ma fu poi sostituita dal vaccino glicero-fenicato preparato col virus fisso di cane. Nel cane la vaccinazione preventiva è costituita da una sola iniezione sottocutanea, mentre quella curativa consta di 3 iniezioni di 3 vaccini di attività progressivamente crescente. Negli erbivori la cura è completata da almerio 6 iniezioni di 3 vaccini di attività pure crescente. La vaccinazione antirabbica preventiva, praticata in Italia secondo il metodo Finzi, garantisce una solida immunità, tale da renderla pienamente confacente agli scopi pratici; quella curativa, tanto nel cane quanto negli erbivori, dà risultati sicuri, quando l'intervento è eseguito non più tardi di 12-15 giorni dall'avvenuta morsicatura.
Nei casi in cui la cura è iniziata con ritardo o quando la morsicatura è avvenuta alla faccia o alla testa, è utile ricorrere alla sierovaccinazione, allo scopo di ottenere lo stabilirsi di un rapido stato di immunità. Varî altri sistemi di vaccinazione sono stati sperimentati e messi talora nella pratica veterinaria (W. H. Hogyes, H. Miessner, V. Puntoni, P. Remlinger, V. Babes, M. Planteureuse, H. Helman, M. Krajuschkin e Greiner), ma per varie circostanze legate a fattori diversi, nessuno raggiunge e riunisce i requisiti di praticità, efficacia e innocuità che si riscontrano nei metodi ricavati da quello del Fermi.
Un forte incentivo all'adozione dei sistemi di vaccinazione profilattica venne dato dalle difficoltà che in molti paesi, e nelle campagne segnatamente, s'incontrano nell'attuazione delle misure di polizia sanitaria. Queste misure s'imperniano in quasi tutti gli stati, sull'istituzione del censimento e di una elevata tassa sui cani, sull'imposizione di tenere i cani, quando sono liberi, con museruola, sull'abbattimento degli animali infetti e sul sequestro di quelli sospetti. In Italia sono regolate dagli articoli 48-53 del regolamento di polizia sanitaria.
La conferenza intermazionale sulla rabbia, tenuta all'Istituto Pasteur di Parigi per iniziativa del Comitato d'igiene della Società delle Nazioni, accettava le proposte del delegato italiano G. Finzi per la vaccinazione preventiva e curativa dei cani e dei grandi erbivori. Tali proposte venivano poi nuovamente approvate all'XI Congresso internazionale di medicina veterinaria di Londra (1930).
Bibl.: Dr. Duboué, De la Phys. path. et du trait. rat. de la rage, Parigi 1879; L. Pasteur, C.R. Acad. sc. Paris, XCVIII (1884); A. di Vestea e G. Zagari, in La psichiatria e Giorn. inst. sc. med., Napoli 1887; id., Fortschr. der Med. e Ann. Inst. Pasteur, 1889; id., in C.R. Soc. Biol., Parigi 1908; A. Di Vestea e G. D'Abundo, in Ann. neur., Napoli 1893; E. Bertarelli, in Archivio delle Sc. mediche, 1904; A. Di Vestea, in Atti R. Acc. med. chir., Napoli 1894; A. Negri, in Boll. Soc. med. chir. di Pavia, 1903; A. Di Vestea, in Ann. igiene sper., Roma 1905, fasc. 1 e 2; id., Conf. int. de la Rage, Parigi 1928 e Ann. Univ. tosc., XI, Pisa 1928; V. Puntoni, Ann. igiene, Roma 1921, fasc. 1; 1923, fasc. 1-4; D. Zibordi, Giorn. batt. e imm., Torino 1932; R. Kraus e A. Duran, Z. Imm. Forsch., 1932.