Rabbia
La rabbia è una malattia infettiva provocata da un virus neurotropo che determina un'encefalite a esito letale. Viene trasmessa all'uomo da animali infetti: fra quelli domestici, particolarmente pericolosi sono i cani; fra quelli selvatici, i lupi e le volpi. La prima menzione della malattia si trova nel Codice di Hammurabi redatto tra il 1792 e il 1750 a.C., nel quale sono anche riportate le sanzioni penali da applicare in caso di morte della persona morsa. Sebbene già nel 1° secolo d.C. Celso riconoscesse l'importanza, nella trasmissione della malattia, non solo del morso ma anche della semplice lambitura e contaminazione delle ferite con la saliva dell'animale malato, solamente nel Novecento è divenuto possibile contrastare con successo la rabbia, attraverso la preparazione di vaccini sempre più efficaci, l'identificazione delle tipiche inclusioni citoplasmatiche (corpi del Negri) nelle cellule nervose infette, lo sviluppo di un test di immunofluorescenza per la diagnosi di animali sospetti.
l. Eziologia e patogenesi
Il virus rabbico appartiene al genere Lyssavirus, famiglia Rhabdoviridae. Al microscopio elettronico si presenta con una caratteristica e inconfondibile forma a pallottola ed è costituito da un involucro piuttosto complesso (glicolipoproteico), sensibile ai solventi organici, che racchiude un acido nucleico a RNA. Nell'insieme le dimensioni del virus raggiungono i 150-200 μm. Al genere Lyssavirus appartengono, oltre al virus rabbico classico, anche diversi virus similrabbici, tra cui Lagos bat, Mokola, Duvenhage, Obodhiang e Kotokan, la maggior parte dei quali è stata isolata solo in Africa. Tra questi, i virus Obodhiang e Kotokan sono stati isolati unicamente da Insetti, mentre Mokola anche dall'uomo, seppure in casi rarissimi. La vaccinazione contro il virus rabbico classico non offre alcuna protezione contro i virus similrabbici, sebbene questi presentino una reazione crociata immunologica con il primo. Per quanto riguarda la sensibilità ai disinfettanti, il virus rabbico è sensibile al calore (resiste solo 5 min a 60 °C), alla luce solare, ai raggi ultravioletti, ai disinfettanti chimici (formalina, fenolo, β-propiolattone). Il virus rabbico può infettare, con differente suscettibilità, tutti gli animali a sangue caldo. Gli animali più sensibili sono volpi, lupi, coyote, moderatamente sensibili sono i cani (principale vettore di trasmissione all'uomo), gatti e puzzole. Esso è presente nella saliva di animali infetti e si trasmette perlopiù con il morso oppure per lambitura di una ferita aperta. La trasmissione uomo-uomo, sebbene possibile, è considerata improbabile a causa dell'isolamento coatto cui sono sottoposti tutti i malati. Esistono rare eccezioni di eliminazione del virus da parte di animali infetti che non manifestano la malattia e si pensa che tale fenomeno possa essere legato alla presenza di ceppi virali attenuati; nei pipistrelli, invece, l'infezione può progredire sia verso la morte dell'animale sia verso lo stato di portatore cronico. La trasmissione per via alimentare o aerea (oppure per via aerosol), molto più rara, è in genere associata a particolari condizioni ambientali (per es. caverne colonizzate da pipistrelli infetti). Una volta penetrato nell'organismo, il virus rimane localizzato nella sede dell'inoculazione per gran parte del suo periodo di incubazione (v. oltre), replicandosi nei tessuti muscolari prima di arrivare ai nervi periferici tramite le giunzioni neuromuscolari. Dal momento in cui vengono colpiti i nervi periferici, l'infezione decorre piuttosto rapidamente e, attraverso i gangli spinali, arriva al cordone spinale e da qui, tramite passaggio cellula-cellula, al sistema nervoso centrale. Raggiunto il cervello (via centripeta) inizia la sua diffusione agli organi periferici (per es. alla cornea; via centrifuga). A questo punto si verifica l'esordio della sintomatologia nervosa che coincide con la malattia conclamata, alla quale segue l'inevitabile morte del soggetto colpito. Il virus raggiunge le ghiandole salivari nell'80% degli animali infetti; altri organi colpiti sono i polmoni, il rene e le ghiandole mammarie. Nell'uomo, sebbene la distribuzione periferica sia poco esaminata, è noto l'interessamento di ghiandole salivari, pelle e cornee.
2. Epidemiologia
Nell'uomo la malattia rabbica si associa spesso alla presenza di cani e gatti infetti, mentre la trasmissione da altri animali domestici è piuttosto rara. Negli Stati Uniti, nel 1996, sono stati registrati 7124 casi di rabbia, di cui il 92% in animali selvatici e il resto in quelli domestici, principalmente gatti, bovini e cani. Nello stesso anno sono stati identificati quattro casi umani: in due di essi la malattia risultava associata a virus rabbici isolati da pipistrelli e negli altri due da cani. Il 22% di tutti i casi di rabbia umana, registrati negli Stati Uniti dal 1960 a oggi, non ha una fonte di esposizione conosciuta. In Europa, dove il principale serbatoio è rappresentato dalle volpi, con l'eccezione della Turchia in cui predomina il cane, in totale, dal 1977 al 1994, sono stati registrati 198 casi di rabbia umana. Alcuni di essi sono stati associati a un lotto di vaccino non completamente inattivato (18 casi), a trapianti di cornea (6 casi), a trasmissione via aerosol (4 casi) e transplacentare (o trasmissione materno-fetale; 1 caso). Non tutti i soggetti morsi da animali rabbici sviluppano la malattia; questa è strettamente dipendente da diversi fattori: la suscettibilità al virus (l'uomo, tra tutti gli animali a sangue caldo, è il meno suscettibile), dalla virulenza del virus stesso, dal numero dei morsi e dalla loro profondità, dalla localizzazione delle ferite (che varia in base all'animale aggressore). Così, per es., nel caso di morsi multipli e profondi al viso da parte di un lupo infetto, la mortalità per l'uomo è dell'80-100%, se i morsi sono di un gatto oppure di un cane, del 60-70%; se le ferite sono singole e sono state provocate da un lupo la mortalità è del 40%, nel caso del cane o del gatto del 30-40%. Tale percentuale scende poi notevolmente se si parla di semplici graffi (5%), lambitura di ferite (0,1-0,5%), morso attraverso vestiti (3-5%). Il periodo d'incubazione della malattia è estremamente variabile e nell'uomo può andare da 1 settimana a più di 1 anno, ma il periodo medio è di 1-2 mesi. Variazioni così ampie possono essere spiegate dal tipo di morso, dalla quantità di virus inoculato, dall'innervazione dell'area colpita, dalla vicinanza al sistema nervoso centrale e dallo stato immunitario del soggetto. Il periodo d'incubazione appare più breve nei bambini rispetto agli adulti, probabilmente perché i primi vengono più facilmente morsi alla testa e al collo, mentre gli adulti alle dita e alle mani.
3. Caratteristiche cliniche
Durante la fase prodromica della malattia i sintomi sono piuttosto generici (malessere, febbre, sensazione di fatica) e possono coinvolgere il tratto respiratorio (tosse, dispnea), gastrointestinale (anoressia, disfagia, nausea, vomito, diarrea, dolori addominali) o il sistema nervoso centrale (mal di testa, vertigini, ansietà, nervosismo, irritabilità, apprensione). Successivamente i sintomi a carico del sistema nervoso centrale divengono più specifici: agitazione, fotofobia, insonnia, incubi, disturbi psichiatrici. Nella sede del morso si verificano bruciori, indolenzimento, prurito. Contemporaneamente i sintomi neurologici progrediscono e si può manifestare la rabbia furiosa o quella paralitica. La rabbia furiosa si sviluppa nell'80% dei casi e si accompagna ad ansietà marcata, agitazione, allucinazioni, tendenza a mordere e idrofobia. A questo stadio il soggetto va incontro a morte improvvisa o a una forma di paralisi e coma, che inevitabilmente porta alla morte dopo 2-7 giorni. Nella rabbia paralitica (20% dei casi, associata principalmente al virus dei pipistrelli o a ceppi fissi adattati in laboratorio ad animali o colture cellulari) si possono avere quattro forme distinte. La prima, caratterizzata da dolori generici, intorpidimento e paralisi flaccida degli arti morsi, evolve progressivamente verso forme di paraplegia, triplegia e quadriplegia; nella seconda, la paralisi si sviluppa contemporaneamente nei quattro arti (quadriplegia); nella terza, si ha una mielite che interessa l'apparato motore e i sensi; infine la quarta è contraddistinta da una paralisi simmetrica ascendente che può ricordare la sindrome di Guillain-Barré (radicoloneurite, primitiva o susseguente a malattie infettive, associata ad alterazioni del liquor). I pazienti con rabbia paralitica sopravvivono più a lungo (sino a 30 giorni), ma anche in questo caso l'esito è fatale.
4. Profilassi e terapia
Nell'uomo, una volta che il virus rabbico ha raggiunto il sistema nervoso centrale, l'infezione, qualunque sia il decorso evolve, come accennato sopra, inesorabilmente verso un esito letale. La mortalità può essere ridotta prevenendo la circolazione del virus mediante la vaccinazione di animali sia selvatici sia domestici, oppure effettuando un'adeguata pre- o postprofilassi dei soggetti umani. Da esperienze di vaccinazione delle volpi con esche contenenti il vaccino è risultato che la trasmissione ad altri animali della rabbia silvestre può essere interrotta quando la popolazione di volpi infette scende sotto le 0,3 unità/volpe/per miglio quadrato, mentre appare ormai accertato che la vaccinazione di cani e gatti è stata la principale causa del rapido declino della malattia nell'uomo tanto in Europa quanto negli Stati Uniti. La rabbia canina negli Stati Uniti è passata da diverse migliaia di casi all'anno a circa 1400 casi. Una riduzione equivalente si è verificata anche in Canada e in Europa, mentre in Svizzera l'introduzione della vaccinazione delle volpi con esche ha praticamente eliminato la malattia silvestre. La prevenzione della rabbia umana è stata resa possibile grazie alla disponibilità di un virus fisso, che presentasse, cioè, un periodo di incubazione fisso (5-8 giorni), un ridotto numero di corpi del Negri nelle cellule infette, e l'incapacità di infettare per via extracerebrale. Tali virus sono stati utilizzati per la preparazione di vaccini antirabbici sia per la somministrazione all'uomo sia per la vaccinazione di animali. Già nel 1885 L. Pasteur dimostrò l'efficacia del vaccino vivente attenuato su un giovane, J. Meister, morso da un animale sicuramente rabbico. I primi vaccini a uso umano furono prodotti utilizzando sospensioni di tessuto nervoso di animali infetti come topi e conigli.
Tali vaccini presentavano però effetti collaterali, soprattutto a carico del sistema nervoso centrale, imputabili alla presenza di virus vivente residuo e a fattori encefalitogeni in grado di scatenare una reazione autoimmune con il tessuto nervoso umano. A essi seguirono vaccini privati del fattore encefalitogeno (ottenuti da topi e ratti neonati), altri ricavati da uova embrionate (largamente utilizzati a scopo veterinario) e, più recentemente, vaccini preparati con cellule umane cresciute in vitro. Questi ultimi si sono dimostrati largamente superiori a tutti i precedenti poiché sono completamente privi di effetti collaterali, riducono il numero di dosi vaccinali da somministrare e, inoltre, inducono una risposta immunitaria più elevata e duratura. La profilassi antirabbica precontagio è attuata solo per soggetti a forte rischio (veterinari, cacciatori, forestali, laboratoristi ecc.) somministrando 3 dosi con vaccino ucciso prodotto su uova embrionate a 0-30-60 giorni ed effettuando richiami della vaccinazione ogni 1-3 anni. Qualora si utilizzi un vaccino prodotto su cellule umane si segue un programma vaccinale di 3 dosi a 0-30-365 giorni. Il programma può subire variazioni secondo le aree geografiche (presenza o meno di rabbia), ma in ogni caso dopo esposizione al virus rabbico è consigliabile la somministrazione di almeno 2 dosi a 0-3 giorni. Nel caso di postesposizione al virus rabbico, la combinazione siero iperimmune (sieri di origine sia animale sia umana a elevato titolo anticorpale verso il virus) e vaccinazione previene, salvo rarissime eccezioni, la malattia. Il primo passo consiste in una valutazione delle ferite e della loro localizzazione, in una pulizia delle stesse da attuarsi con abbondante acqua saponata e nella somministrazione di antibiotici locali, al fine di prevenire una sovrainfezione batterica. Qualora siano stati segnalati casi di rabbia silvestre o domestica e l'animale aggressore sia fuggito, è buona norma, in caso di morso o anche semplice lambitura di ferite aperte, cominciare immediatamente la profilassi specifica somministrando siero iperimmune intorno alla sede dell'inoculo del virus rabbico e iniziando la vaccinazione. Nel caso sia possibile catturare l'animale aggressore, questo deve essere messo sotto osservazione per almeno 10 giorni; all'esordio dei primi sintomi, la malattia nell'animale infetto deve essere confermata mediante test di immunofluorescenza diretta da attuarsi su frammenti del sistema nervoso centrale dell'animale e deve essere immediatamente iniziata la profilassi specifica. Se non ci sono casi di rabbia (silvestre o domestica) e l'animale non manifesta segni evidenti di malattia, la vaccinazione, se avviata a scopo precauzionale, può essere interrotta. Comunque a seguito di morso o lambitura di ferite da parte di animale selvatico o domestico, sia esso catturato o no, è buona norma rivolgersi a un centro antirabbico.
bibliografia
Fields virology, ed. B.N. Fields, D.M. Knipe, Philadelphia, Lippincott-Raven, 19963.
The natural history of rabies, ed. G.M. Baer, Boca Raton (FL), CRC Press, 19912.
world health organization, World survey of rabies, Genève, WHO, 1987.