RACHEL
. Élisabeth Félix, detta Rachel, attrice tragica francese, nata nel 1820 a Mumps in Svizzera da famiglia israelita, morì a Cannet (Provenza) nel 1858. Bambina era condotta in giro per i caffè di Lione a cantare e a chiedere la ricompensa ai presenti. La udì il maestro A.-É. Choron, il quale ottenne di condurla a Parigi per farla studiare; ma ben presto si accorse che l'organo vocale duro e metallico della sua allieva non si sarebbe potuto mai addolcire. Il timbro della sua voce era infatti, a quel tempo, assai cupo e sgradevole; soltanto l'esercizio riuscì a forbirlo. Tuttavia convintasi che la carriera musicale non era per lei, ella accettò di sostenere particine di soubrette nel teatro detto Sala di Molière, dell'attore Saint-Aulaire. Poi, ammessa nel 1836 al Conservatorio, lo lasciò l'anno seguente per accettare una scrittura al Gymnase ove apparve ne La Vendéenne, lavoro scritto per lei da Paul du Pon, e in altri; ma non ottenne buoni successi, talché il suo direttore sciolse ogni contratto con lei. La protezione dell'attore J.-I. Samson, che fu poi sempre il suo maestro e consigliere, le valse una scrittura estiva al Théâtre Français, dove debuttò il 12 giugno come Camilla nell'Horace di Corneille: i pochi frequentatori della stagione notarono con sorpresa nella piccola ebrea diciottenne, magra e scura di pelle, le virtù dell'attrice di razza. R. (questo il nome d'arte datole dallo Choron) si affermò specialmente nella tragedia classica greco-romana: Emilia nel Cinna, Erminia nell'Andromaque, Amenaide in Tancrède. Voce d'oro, accenti penetranti, fuoco dello sguardo, mobilità di tratti, maestà dell'incesso; queste le doti della R., naturali e istintive meglio che dovute a studio; i maestri non le appresero se non a bene articolare le parole e a bene impiegare le risorse della sua voce. All'interpretazione perfetta non arrivava di colpo; anzi, alle prime rappresentazioni era esitante e nervosa; solo con la consuetudine entrava nel suo persosonaggio e lo piegava alla sua ricca personalità. Incolta com'era, l'ignoranza della storia di Grecia, di Roma e di Gerusalemme non le impedì di essere Fedra, Emilia o la figlia di Iefte. Il suo istinto era una sorta di divinazione, per cui si parlò di genio.
Le parti in cui dominavano esclusivamente amore e tenerezza non sembravano per lei; difatti l'Erifile, di Iphigénie en Aulide, fu da lei interpretata soltanto dieci volte, Esther quattro, Laodice di Nicomède tre volte: Chimène del Cid non le fu più favorevole, così pure Berenice. Altri successi ella incontrava invece quando quei sentimenti s'intramezzavano con gelosia, collera, fervore; come nel Polyeucte, come in Bajazet, come nella Marie Stuart di Lebrun, che ella replicò 47 volte. Il suo maggior successo Phèdre le costò una fatica intensa di tre anni. Tra i lavori nuovi, le sue maggiori affermazioni furono in Cléopâtre di M. me de Girardin, in Angelo di V. Hugo, in Adriana Lecouvreur di Scribe e Legouvé, in Frédégonde di Lemercier, in Jeanne d'Arc, in Lucrèce di Ponsard. In totale interpretò quaranta opere alla Comédie Francaise. Interessata al denaro, volle compiere giri di provincia e all'estero: famoso fu quello in Inghilterra e da ultimo quello in America che le fu fatale. Divenne sociétaire nel 1842, ma, indisciplinata e volubile fece rompere nel 1849 dal tribunale il suo contratto e riapparve l'anno seguente alla Comédie come pensionnaire, con 42.000 franchi di stipendio. L'ultima sua recita su quel teatro dove si affermò la sua gloria avvenne il 23 luglio 1855, nella beneficiata di M.me Judith.
Ottenuto un anno di permesso per compiere una tournée in America dove credeva guadagnare tesori, fu colta invece colà dalla malattia e dal disastro economico. Tornò in Francia malata di etisia e sopraffatta dalla stanchezza. Un inverno passato in Egitto non valse a salvarla: ritiratasi al Connet, vi si spegneva il 3 gennaio 1858, ad appena trentasette anni e in piena gloria.
Non ebbe marito, ma varî figli. Amò molto la sua famiglia e specialmente la sorella Rebecca, che ebbe compagna d'arte alla Comédie. Jules Janin, che fu il primo a scoprirla, fra i critici, ha lasciato su di lei un libro, che rimane ancor oggi la testimonianza migliore del suo talento (Rachel et la Tragédie, 1858).