GUIDI, Rachele
Nacque l'11 apr. 1890 a Salto, una frazione di Predappio, nel Forlivese, ultima dei cinque figli di Agostino e Anna Lombardi. I genitori erano i custodi-contadini di villa Zoli e, di tutti i figli, la G. fu l'unica a frequentare, sia pure per poco, le scuole elementari a Dovia. La sua maestra era Rosa Maltoni, madre di Benito Mussolini, il quale talvolta si prestava a sostituirla nelle lezioni. Fu in una di queste circostanze che i due si conobbero.
Nel 1899 la morte del padre costrinse la G. ad abbandonare la scuola e a trasferirsi con i suoi a Forlì, dove prese ad andare a servizio presso alcune famiglie del luogo. A Dovia era morta, nel frattempo, anche Rosa Maltoni, e Alessandro Mussolini, il padre di Benito, dopo avere smesso l'attività di fabbro ed essersi trasferito a Forlì, aveva assunto l'esercizio di una piccola trattoria, aiutato dalla madre della Guidi. E proprio a Forlì, nel 1907, la G. aveva incontrato di nuovo Benito; i due giovani si frequentarono un poco finché Mussolini, nel febbraio 1909, non si trasferì a Trento. Al suo rientro, in settembre, presero la decisione di andare a vivere insieme, messa in atto nel gennaio 1910, quando si stabilirono a Forlì, dove Benito era stato nominato segretario della locale federazione socialista. Il 1° sett. 1910, nacque la primogenita Edda, la quale, non essendo i genitori sposati, venne registrata all'anagrafe come figlia di Mussolini e di madre ignota.
Da ciò ebbe origine la voce che Edda fosse in realtà figlia di Angelica Balabanoff, che Mussolini aveva conosciuto in Svizzera. La G. fu una compagna fedele e paziente in quel periodo turbinoso della vita di Mussolini, e lo assistette con grande spirito di sacrificio, quando, dal 14 ott. 1911 al 24 febbr. 1912, fu in prigione per aver condotto le violente manifestazioni contro la guerra di Libia.
Nel novembre 1912, dopo il congresso socialista di Reggio Emilia del luglio, Mussolini, nominato direttore dell'Avanti!, fu trasferito a Milano, dove la G. ed Edda lo raggiunsero più tardi.
A Milano, la G. subì le prime umiliazioni per i frequenti tradimenti del compagno. Nel frattempo, nel novembre 1914, era giunta a maturazione la crisi politica di Mussolini, che aveva lasciato il partito socialista e la direzione dell'Avanti!, dando vita, il 15 nov. 1914, a Il Popolo d'Italia.
Benito e la G. si sposarono con rito civile, il 16 dic. 1915, in un ospedale di Treviglio, dove Mussolini, nel frattempo partito per il fronte, era allora ricoverato perché ammalato di paratifo. Nel settembre 1916 nacque il secondogenito Vittorio. Ferito seriamente da una granata nel febbraio 1917, Mussolini poneva fine alla sua esperienza al fronte; ricoverato a Udine, quando fu dimesso tornò a Milano e alla lotta politica. Nell'aprile 1918, nasceva il terzo figlio, Bruno.
Scarse sono le testimonianze di un coinvolgimento attivo della G. nella vita intellettuale e politica del marito; in questi anni, e anche negli anni a venire, appare costantemente relegata nel ruolo tradizionale di madre e moglie, tutto interno alla vita domestica. È inoltre singolare che, nei suoi successivi ricordi, non trovino mai spazio riflessioni e considerazioni sugli eventi di questo intenso periodo della vita di Mussolini. Nei suoi ricordi tutto appare sfumato, talvolta del tutto svanito, come se non fosse stata mai messa a parte dal marito dei propri drammi, tormenti e successi politici. Se ne ricava l'impressione di una donna semplice, inadeguata a comprendere ciò che le stava accadendo intorno, un po' persa nella metropoli lombarda, con la sua radicata cultura contadina, tagliata fuori dalle amicizie e dalle frequentazioni di Mussolini, sicura solo nell'ambiente domestico e manipolata pertanto dal marito, che per condurre la sua frenetica vita pubblica aspettava evidentemente da lei solo quelle sicurezze domestiche che poteva ampiamente garantirgli. Moltissimi anni dopo la G. confermava, con un breve e reticente accenno, questo ruolo appartato, quando, riferendosi al periodo della costituzione dei Fasci di combattimento, ricordò che, sebbene la casa milanese di foro Bonaparte fosse divenuta "il ritrovo abituale dei […] più attivi collaboratori" del marito, "non prendeva mai parte alle loro discussioni e si faceva viva soltanto per offrire il caffè" (Pensotti, p. 33). Sebbene accennasse ad alcuni personaggi vicini in quel periodo a Mussolini, tuttavia manifestava l'attitudine a conformarsi sempre ai giudizi che su di essi esprimeva o aveva espresso il marito. Nemmeno la marcia su Roma fu un evento che la G. mostrò di vivere intensamente. Nel registrare in un diario i movimenti frenetici di Benito tra Napoli, Roma e Milano (R. Mussolini, La mia vita con Benito, Milano 1948, pp. 66-69), conferma indirettamente la sua sostanziale estraneità alla vita politica del marito, che, in quella drammatica circostanza, pur riservandole sbalzi di umore, tensioni, frasi e battute smozzicate, vaghi riferimenti, la mantenne di fatto al di fuori del suo progetto di conquista del potere, procurandole grande ansia e oscuri presentimenti.
Quando, costituito il governo, Mussolini si trasferì a Roma, la G. continuò a vivere a Milano con i tre figli; tra loro v'erano solo contatti telefonici e qualche rara visita, quando Benito doveva recarsi a Milano per impegni di governo. Come scrisse la stessa G., risiedere a Roma non l'aveva mai attirata, poiché preferiva tenersi "lontana dall'ambiente politico". Si recò a Roma per la prima volta nel Natale del 1926.
Da tempo Mussolini viveva un nuovo importante rapporto con Margherita Grassini Sarfatti, critica d'arte, collaboratrice dell'Avanti! e poi del Popolo d'Italia; la G. ne fu sempre al corrente ma tutto quello che chiese, e riuscì a ottenere, fu il licenziamento della Sarfatti dal giornale. Anche in anni più tardi si mostrò assai reticente a parlare dei continui tradimenti del marito; gli unici sentimenti che manifestò al riguardo, semplici come fu il personaggio, ruotarono attorno al discutibile assunto di essere stata la sola donna importante della vita di Benito.
Nel 1924 la G. perse nello spazio di pochi mesi due sorelle, Giovanna e Pina, quest'ultima a lei particolarmente cara. Ma il 1924 è anche l'anno dell'assassinio di Matteotti, che la G. liquidò, nei suoi ricordi, con poche e distratte annotazioni, limitandosi ad attribuirne la responsabilità a dei "fanatici".
Anche in questo caso sorprende la scorza dura del personaggio; la sua testimonianza del drammatico evento è priva di pietà e affatto reticente: descrisse semplicemente un Mussolini "estremamente scoraggiato", che le avrebbe confidato di avere contro "forze formidabili", volendo in tal modo far intendere l'estraneità del marito al crimine.
In quel periodo, per precauzione, Mussolini fece trasferire la famiglia in Romagna, a Carpena, una frazione vicina al paese nativo della G., la quale tuttavia scrisse che il trasferimento era stato deciso per "realizzare delle economie"; nel novembre 1925 morì la madre della G. e ciò coincise con il ritorno della famiglia a Milano. Il 28 dic. 1925, la G. e Benito si sposarono anche con il rito religioso, celebrato a Milano in forma privata. Nel settembre 1927, nasceva il terzo maschio, Romano.
Il consolidamento del regime fascista, l'edificazione, oramai decisamente avviata, dello Stato totalitario in quest'occasione si fecero sentire: vi furono festeggiamenti in genere riservati all'erede di un monarca, come si desume dalla testimonianza della stessa G. (La mia vita con Benito, p. 98).
Due anni dopo, nel settembre 1929, nacque l'ultima dei suoi cinque figli, Anna Maria. Il 15 nov. 1929 la G. si trasferì a Roma, a villa Torlonia, preceduta di poco da Mussolini, che aveva lasciato l'abitazione di via Rasella. Nell'aprile 1930 venne celebrato il matrimonio tra la primogenita Edda e Galeazzo Ciano.
Più o meno in questo periodo iniziò a manifestarsi l'ingenua mania della G. di mescolarsi, travestita per non essere riconosciuta, con la gente del popolo, onde carpirne gli umori e i giudizi sul regime, e Mussolini, a suo dire, sembrò incoraggiare tale tendenza (La mia vita con Benito, p. 133). La diffidenza, derivazione della sua cultura contadina, e insieme manifestazione del suo disagio nel trattare con la classe politica e i ceti sociali dirigenti che la circondavano, se venne rivelandosi a tratti nel corso degli anni Venti e dei primi anni Trenta, successivamente, quando il regime cominciò a manifestare i primi seri segni di crisi, arrivò quasi a dominare i suoi pensieri e le sue azioni.
La testimonianza della G. relativamente agli importantissimi eventi politici che si dipanarono per tutti gli anni Trenta risulta, al solito, di scarso rilievo.
Nel diario di questi anni, mai pubblicato, ma da cui attinse nel rievocare la sua vita, si ripropone di fronte agli avvenimenti significativi l'allineamento con i giudizi del marito, di cui riecheggia le ragioni politiche: l'impressione di disagio al primo incontro con A. Hitler (nel giugno 1934), la delusione per l'inerzia degli alleati franco-inglesi in occasione del primo fallito Anschluss dell'Austria, l'assassinio di E. Dollfuss, i vantati diritti dell'Italia sull'Etiopia. Vi è tuttavia un passaggio interessante del diario e riguarda l'incontro romano Mussolini-Laval, a proposito del quale la testimonianza della G. sembra smentire quanto sostenuto da Mussolini, e cioè un sostanziale assenso francese alla conquista dell'Etiopia (La mia vita con Benito, p. 124).
Circa l'entrata in guerra dell'Italia nel 1940, la G. giunge a descrivere un Mussolini pacifista, indotto dagli ambienti militari, dal re, dai gerarchi e da tutto il popolo italiano a una guerra che non avrebbe voluto. Nel valutare poi le cause della sconfitta militare e il conseguente tracollo politico, ella ricorre al luogo comune, caro a molti ambienti della Destra conservatrice e nostalgica, della sconfitta determinata dai tradimenti interni. Nelle sue memorie, finì per ritagliarsi il ruolo d'una Cassandra in sedicesimo, che, consapevole di tale verità, avrebbe cercato insistentemente e invano di mettere in guardia Mussolini.
La nuova vicenda sentimentale che, a partire dal 1934, Mussolini aveva intrecciato con Claretta Petacci, venne a minacciarla proprio dove s'era sentita sempre sicura, cioè nel suo stesso primato domestico, e rese molto amari gli ultimi anni del suo matrimonio, rattristato anche dalla "paralisi infantile" che aveva colpito la figlia Anna Maria; questo clima contribuì ad accentuare alcuni aspetti paranoici del suo carattere, che andarono ad arricchire e complicare le vicende della sua guerra personale con l'amante del marito e con tutti i componenti della famiglia Petacci.
Probabilmente proprio la vicenda Petacci la costrinse a uscire dal guscio domestico e ad avventurarsi, a modo suo, negli ambienti politici contigui al potere, dove, sempre a suo modo, cercò anche di utilizzare le amicizie che aveva nel partito fascista. Inoltre l'andamento poco brillante della guerra contribuì a esplicitare la tendenza della G. a confondere i due ordini di problemi, cioè a farle considerare il privato di suo marito fonte delle preoccupazioni che affannavano l'uomo di governo e di potere. A tale atteggiamento contribuì non poco la nuova grave sciagura che si abbatté, il 16 maggio 1941, sulla sua famiglia, la morte del figlio Bruno in un incidente aviatorio.
Si convinse che il marito era tenuto volutamente all'oscuro degli umori degli Italiani; i suoi travestimenti e le sue scorribande tra la gente divennero oggetto di sarcasmo e di battute salaci tra le gerarchie fasciste. Il 16 maggio 1941, Galeazzo Ciano, nel suo Diario, si mostrava allarmato per il comportamento della G. e, sempre lo stesso giorno, vi sottolineava il forte ascendente che l'ingegner Dario Pater - definito da Ciano un "costruttore di case in segatura e cartone", un "Rasputine in sedicesimo" - aveva preso da tempo a esercitare sulla suocera. Al riguardo Ciano annotò anche un'osservazione di G. Bottai, secondo il quale la situazione interna all'entourage mussoliniano era divenuta preoccupante perché "caratterizzata dall'essersi formati due gruppi, per così dire, extralegali che esercitano forte e pericolosa influenza sul Duce. Da un lato Donna Rachele-Pater (e della cosa si fa ormai ovunque un gran parlare), dall'altro la famiglia Petacci con gli accoliti" (G. Ciano, Diario 1937-1943, a cura di R. De Felice, Milano 1980, p. 516, alla data del 26 maggio 1941). L'eccessiva familiarità di Pater con la G. - che, come si è visto, aveva dato la stura a pettegolezzi negli ambienti politici e mondani della capitale - finì per urtare la suscettibilità di Mussolini che, nel 1941, lo allontanò da Roma, spedendolo a Milano e decretandogli l'ostracismo per quel che riguardava la sua presenza a Roma e in Romagna.
In realtà, l'ambigua campagna moralizzatrice della G., sostenuta da Pater, nemico feroce di A. Starace, aveva contribuito al siluramento di questo e del segretario personale di Mussolini, O. Sebastiani, accusato dalla G. d'essere un corrotto. Forte rimane il sospetto che la G. puntasse a una resa dei conti personale con personaggi che accusava di essere complici della tresca di suo marito con la Petacci.
Con il precipitare della crisi, la "teoria del complotto" prese sempre più consistenza nei pensieri della G., che arrivò a organizzare, come rivelò nelle memorie, una sua piccola rete di fiduciari, le cui informazioni la convinsero dell'esistenza di un diffuso disfattismo.
Sorda alla tragedia vissuta dal paese, nei suoi ricordi è presente in forma strisciante la critica agli Italiani che non si erano rivelati degni dell'imperio del marito, senza che fosse affatto presente in lei un sia pur lieve accenno critico alle responsabilità di Mussolini nel processo di sfaldamento della classe politica e del paese.
Lo stato di grave tensione mentale in cui versava la G. negli ultimi mesi del regime risalta nel resoconto di un suo incontro con E. Dollmann, addetto all'ambasciata tedesca e rappresentante di Hitler a Roma, avvenuto segretamente in casa di G. Buffarini Guidi, nei primi giorni di luglio del 1943. Il ritratto, impietoso fino alla malevolenza, tracciato da Dollmann descrive una "piccola donna di provincia, stanca, angosciata e invecchiata anzitempo", che "gemeva e tremava per l'eccitazione davanti a pochi fidi e ad un tedesco fino allora mai incontrato nell'intimità"; colpisce, nello sfogo della G., il feroce atto di accusa che in quella circostanza mosse contro il genero Galeazzo Ciano, definito la vera rovina della famiglia (Dollmann, p. 142). Uno stato d'animo che la dice lunga sul ruolo da lei svolto nella successiva tragedia di Galeazzo ed Edda.
La G. racconta di avere avuto notizie precise dai suoi informatori del tradimento che si stava consumando con la riunione del Gran Consiglio del 24 luglio 1943, e di aver consigliato il marito, nel momento in cui usciva per recarsi alla riunione, di "farli arrestare tutti"; la G. riferì anche di aver cercato di dissuaderlo dal recarsi a villa Savoia, perché non si fidava del re. Dopo l'arresto di Mussolini ricevette le prime notizie il 29 luglio, tramite una lettera recapitatale dall'ispettore generale di Pubblica Sicurezza, S. Polito. Accompagnata da Polito, partì da Roma la sera del 2 agosto diretta in Romagna, a Rocca delle Caminate, dove rimase sino al 12 settembre, quando, liberata dai Tedeschi, venne condotta, insieme con i figli Romano e Anna Maria, a Monaco di Baviera. Il 13 settembre vi fu l'incontro con il marito; poi, mentre Mussolini rientrava in Italia, la G. si trasferì al castello di Hirschberg, in Alta Baviera.
A Monaco ebbe un primo incontro con Galeazzo ed Edda, e anche in questo caso occorre sottolineare la pervicacia della G. nell'accusare il genero, quasi inconsapevole della tragedia che si stava abbattendo sulla famiglia della figlia.
Il 3 novembre la G. si ricongiunse a Mussolini alla Rocca delle Caminate, quindi si trasferì con tutta la famiglia a villa Feltrinelli, a Gargnano.
Nelle memorie della G. le fasi del processo e della condanna a morte del genero vengono commentate in modo sbrigativo. Racconta anche che alla vigilia dell'esecuzione giunse nelle mani di Mussolini un documento, precedente il 25 luglio 1943, che confermava il ruolo decisivo svolto da Galeazzo nella realizzazione del complotto. Questo documento sarebbe stato consegnato da Mussolini alla G. a futura memoria, ma non risulta che finora abbia mai visto la luce.
Quando, il 17 apr. 1945, Mussolini si spostò a Milano, la G. restò con alcuni dei suoi figli sul lago di Garda; fu l'ultima volta che vide il marito vivo: si parlarono più volte per telefono tra il 25 e il 27 aprile, ma non riuscì a raggiungerlo. Tentò di attraversare il confine svizzero a Como, ma venne respinta; il 29 aprile fu arrestata e il giorno successivo condotta a Como in una sede del comando alleato, dove rimase sino al 2 maggio, quando venne trasferita, insieme con i figli Anna Maria e Romano, a Milano. Il 4 maggio vi fu un nuovo trasferimento a Montecatini, dove rimasero sino al 10 maggio; poi, presi in consegna dagli Inglesi, furono condotti a Terni e internati in un campo per tre mesi. Nel luglio 1945 vennero trasferiti a Ischia.
Nel dopoguerra, dopo essersi energicamente battuta per riavere il corpo del marito, la G. spese molte delle sue energie per difenderne la memoria.
La G. morì a Forlì il 30 ott. 1979.
Nel 1958 la G. aveva pubblicato a Milano Benito, il mio uomo, "Narrazione raccolta da Anita Pensotti".
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. centrale dello Stato, Polizia politica, Fascicoli personali, b. 970, f. Pater Dario; b. 8B, f. Famiglia Mussolini, Rachele Mussolini; B. D'Agostini, Colloqui con R. Mussolini, Roma 1946; B. Mussolini, La mia vita, Milano 1947 (ibid. 2000); G. Dolfin, Con Mussolini nella tragedia. Diario del capo della segreteria particolare del duce, 1943-44, Milano 1950, passim; E. Dollmann, Roma nazista, Milano 1951, passim; G. Bottai, Diario, 1935-1944, a cura di G.B. Guerri, Milano 1989, ad ind.; G. Ciano, Diario, 1937-1943, a cura di R. De Felice, Milano 1990, ad ind.; G. Melli, Le donne di Mussolini, Milano 1960; R. De Felice, Mussolini il rivoluzionario, Torino 1965; Id., Mussolini il duce, I, Gli anni del consenso, 1929-1936, ibid. 1974; Id., Mussolini l'alleato, 1940-1945, I-II, ibid. 1990-97, ad indices (s.v.Mussolini G., R.); E. Ciano, La mia testimonianza, a cura di A. Zarca, Milano 1975, passim; F. Chiocci, Donna R., Roma 1983; A. Pensotti, Rachele. Settant'anni con Mussolini nel bene e nel male, Milano 1983.