RADIAZIONE
. Radiazione cosmica (XXVIII, p. 677). - Così denominata per la sua origine extra-terrestre, stabilita negli anni 1912-13 attraverso le esperienze di V. F. Hess, confermate e completate da W. Kohlörster (1914-19). Già però le esperienze di Goeckel (1910-11), D. Pacini (1912), Simpson e Wright (1911), contenevano esplicitamente il risultato che, accanto ai comuni agenti ionizzanti (raggi X, radioattività), doveva esistere un nuovo agente di caratteristiche affatto distinte. L'esistenza di una radiazione ionizzante, non proveniente da alcuna sorgente terrestre, e aumentante di intensità con l'altitudine veniva definitivamente accertata nel 1926. In un primo tempo le ricerche furono ovviamente orientate a stabilire la natura di questa radiazione che presentava un potere di penetrazione eccezionale in confronto a quello dei comuni agenti ionizzanti; la prima ipotesi avanzata, che si trattasse di raggi γ particolarmerite energici, si dimostrò presto inadeguata ed insufficiente; le tecniche dei contatori e della camera di Wilson misero infatti in evidenza come nella radiazione cosmica fossero contenute particelle cariche di elevata energia. Mano a mano che le ricerche proseguivano, si andava arricchendo la fenomenologia di questo fondamentale campo della fisica, e il problema di carattere essenzialmente naturalistico, che all'inizio sembrava il più importante, cioè conoscere la composizione, lo spettro di energia, la distribuzione zenitale, la variazione con l'altezza di questa radiazione, aprì ben presto la via a problemi più profondi, quale il comportamento ad energie elevatissime delle particelle cariche; problema rispetto al quale le previsioni della elettrodinamica classica si dimostrarono inadeguate ed insufficienti, mentre quelle della elettrodinamica quantistica subirono un vaglio favorevole. È sempre attraverso lo studio dei raggi cosmici che si arrivò, inoltre, alla scoperta di nuove particelle fondamentali (elettrone positivo, mesoni), alla conoscenza dei meccanismi in base ai quali le dette particelle vengono create ed annichilate, e alla conoscenza di nuove forme di interazione fra le particelle elementari. (V. elettrodinamica; quantistica, meccanica, in questa App.).
Ecco brevemente alcune tappe di questo cammino. Nel 1932 C. D. Anderson scopre in camera di Wilson l'elettrone positivo, la cui esistenza era prevista dalla teoria di P. A. M. Dirac; M. P. S. Blackett e G. P. S. Occhialini (1933) e I. Thibaud (1933) confermano la scoperta e mettono in evidenza il processo elementare della creazione di coppie, elettrone positivo-elettrone negativo, a seguito della materializzazione di un quanto γ. H. A. Bethe e W. Heitler (1934) svolgono i calcoli, con l'elettrodinamica quantistica, inerenti a questo processo e al processo di irraggiamento di quanti γ da parte di elettroni negli urti anelastici contro i nuclei atomici. B. Rossi (1933) scopre, con un dispositivo di contatori in coincidenza, la produzione nei materiali condensati di sciami di particelle ionizzanti, riconoscibili in camera di Wilson come elettroni dei due segni. Il meccanismo di produzione di uno sciame di Rossi, la cosiddetta "teoria della cascata", viene descritto e trattato matematicamente da H. Bhabha e Heitler (1937) e indipendentemente da I. F. Carlson e J. R. Oppenheimer (1937). Uno sciame viene originato da un elettrone o da un quanto γ di grande energia; nel caso che il capostipite dello sciame sia un elettrone, esso, dopo un certo tragitto medio in seno al materiale attraversato, subisce un urto anelastico contro un nucleo e irradia un quanto γ (processo di Bremsstrahlung), il quanto γ dopo un certo altro tragitto medio si materializza dando origine ad una coppia di elettroni, gli elettroni a loro volta irradiano nuovi quanti γ che poi si materializzano in nuove coppie e così via; analogo sviluppo possiede uno sciame iniziato da un quanto γ. Il meccanismo della moltiplicazione a cascata sembrò per qualche tempo la chiave di tutta la fenomenologia dei raggi cosmici. In realtà esso è certamente applicabile a quella parte della radiazione che, praticamente assorbita da circa 10 cm. di piombo, viene denominata come "componente molle" e risulta costituita essenzialmente appunto di elettroni e fotoni. Il residuo della radiazione cosmica, dopo aver attraversato 10 cm. di piombo si comporta, nei riguardi dell'assorbimento, in modo nettamente distinto dalla componente molle; la sua intensità si riduce infatti solo a circa la metà passando da 10 cm. a un metro di piombo. Questo comportamento non si lascia più descrivere nei termini dei processi moltiplicativi e sorge così la ipotesi che questa seconda componente, denominata usualmente "componente dura", sia costituita di particelle di natura differente dagli elettroni. La prima prova chiara della esistenza di una nuova particella di massa intermedia tra quella dell'elettrone e quella del protone fu ottenuta in camera di Wilson da S. H. Neddermeyer e C. D. Anderson; ricordiamo che l'esistenza di particelle di questo tipo (mesoni) era stata prevista teoricamente da H. Yukawa nel 1935 (teoria mesonica dei campi di forze nucleari). L'ipotesi che la componente dura sia costituita di mesoni si dimostrò soddisfacente; la caratteristica del mesone di essere una particella instabile viene stabilita in base alle anomalie nell'assorbimento dei mesoni in aria e nei materiali condensati. L'instabilità del mesone, interpretata nei termini di una disintegrazione spontanea in un elettrone ed in una o più particelle neutrali, comporta il fatto che di necessità la componente dura debba essere di natura secondaria e venir pertanto generata nell'atmosfera da una primaria di altra natura. L'ipotesi più soddisfacente è che questa primaria della dura sia costituita essenzialmente di protoni (oltre eventualmente a neutroni e a nuclei nudi di elementi di numero atomico elevato), i quali generano i mesoni negli urti contro i nuclei dell'atmosfera con un meccanismo che si può chiamare di Bremsstrahlung mesonica, calcolato dal gruppo di Heitler (1944-45). È del gruppo di Auger ancora la scoperta dei cosiddetti "sciami estesi", così denominati perché capaci di coprire un'area di decine e anche centinaia di metri quadrati; per alcune loro caratteristiche i detti sciami estesi vengono trattati come una componente a parte nella radiazione cosmica, distinta dalla dura e dalla molle. La teoria dei processi moltiplicativi è applicabile agli sciami estesi, essendo essi costituiti essenzialmente di elettroni, ma è stata messa in evidenza in essi anche la presenza di particelle penetranti; e cioè probabilmente di mesoni, protoni e neutroni. Si assume anche, per semplicità, che gli sciami estesi siano generati da elettroni primarî di energia elevatissima, ma non è da escludersi che la loro origine sia collegata con quella della dura e della molle; il prototipo di un grande sciame potrebbe in effetti ricercarsi negli sciami misti di elettroni e mesoni osservati in camera di Wilson e generati probabilmente da nucleoni (col termine nucleone s'intende tanto un protone quanto un neutrone, considerati come due stati di una medesima particella). Tralasciando una discussione più particolareggiata sui grandi sciami, si fisserà l'attenzione sulle due principali componenti e se ne traccerà un sommario quadro descrittivo.
Componente dura. - È costituita, come già si è accennato, di mesoni. Esperienze recenti, fondate sulla tecnica delle lastre fotografiche (v. fotografia, in questa seconda Appendice, volume I, p. 964), hanno messo in evidenza l'esistenza di almeno due tipi di mesoni: il cosiddetto mesone μ, di cui è costituita essenzialmente la componente dura al livello del mare, di massa pari a circa 200 volte la massa dell'elettrone e la cui vita media, nei riguardi del processo spontaneo di decadimento in elettrone e in una o più particelle neutrali è di (2,15 ± 0,1) microsecondi; il cosiddetto mesone π, cui si attribuisce una massa intorno alle 300 masse elettroniche, anch'esso instabile e precisamente capace di disintegrarsi dando origine ad un mesone, identificabile con un ordinario mesone μ e ad una particella neutrale, convenzionalmente denominata neutretto, la cui massa a riposo potrebbe essere anche nulla (neutrino), ma le cui caratteristiche sono tuttora ignote. La vita media del mesone π nei riguardi del processo di decadimento ora descritto, è compresa tra il centesimo e il millesimo di microsecondo. La questione che si pone, se tutti i mesoni μ siano secondari dei mesoni π, o possano essere anche generati direttamente assieme ai π non è ancora completamente risolta, per quanto le esperienze di generazione artificiale di mesoni tendano ad avvalorare la prima alternativa. In queste esperienze (1948) una lamina di materiale condensato viene bombardata con particelle α (nuclei di elio costituiti di 4 nucleoni) accelerate fino ad una energia di 400 milioni di volt-elettrone in un ciclotrone, e i mesoni diffusi dalla zona dell'urto vengono rivelati con lastre fotografiche.
La distinzione tra mesone π e mesone μ riguarda però essenzialmente il comportamento dei detti mesoni nei materiali condensati; per la fenomenologia della componente dura nell'atmosfera si può ragionare su un solo tipo di mesone. Pertanto si dice che la primaria nucleonica negli urti contro i nucleoni dell'atmosfera genera mesoni; tale generazione si attenua con legge esponenziale mano a mano che si scende verso il livello del mare; infatti, dalle esperienze risulta che percorrendo un cammino pari a circa 1/7 dell'atmosfera (misurando i cammini in unità di pressione) il numero di nucleoni atti a generare mesoni si riduce a meno della metà (~ 37%), cosicché al livello del mare la generazione è completamente trascurabile. Questo semplifica la descrizione della componente dura nella bassa atmosfera, perché essendo ivi la generazione trascurabile giungono praticamente soltanto mesoni μ discendenti dalla disintegrazione in corsa dei mesoni π, prodotti a quote più elevate.
Si ricorre spesso alla schematizzazione, valida purché ci si limiti a studiare il comportamento nella bassa atmosfera, la quale suppone che dalla primaria protonica vengano direttamente generati i mesoni μ ad una ipotetica quota conveniente (~ 10 cm. Hg). Attraversando l'atmosfera i mesoni sono soggetti a due processi, e cioè: perdite d'energia per ionizzazione e decadimento naturale, essendo il processo di Bremsstrahlung trascurabile per i mesoni di energia non troppo elevata (intorno al miliardo di voltelettrone), che d'altra parte costituiscono la grande maggioranza. Il primo processo consiste nelle perdite di energia per urto anelastico contro gli elettroni degli atomi dell'atmosfera; tali perdite sono essenzialmente di due tipi di cui uno è una ordinaria ionizzazione, in esso l'energia ceduta in ogni evento è piccola ma gli eventi sono frequentissimi; nel secondo tipo invece, costituito di eventi più rari, il mesone cede ad un elettrone un'apprezzabile frazione della sua energia cinetica (processo di Knok-on). Questi elettroni di Knok-on hanno generalmente energia sufficiente per funzionare da capostipiti di uno sciame elettronico e pertanto portano un contributo alla molle. Il valore medio per le perdite di energia di un mesone che attraversi tutta l'atmosfera si aggira sui 2 miliardi di volt-elettrone. Passando ora al processo di decadimento: si è già detto che per un mesone libero, a riposo, la vita media associata a questo processo ha il valore τo = (2,15 ± 0,1) microsecondi; ciò significa che se ad un certo istante iniziale t = 0 si hanno No, mesoni a riposo, dopo un tempo t il numero di mesoni sopravissuti, cioè che non si sono ancora disintegrati, è ridotto a
Poiché un mesone, anche se tanto veloce da possedere una velocità molto vicina a quella della luce (3.1010 cm/sec), in un tempo dell'ordine di 2 microsecondi compie un tragitto dell'ordine di 600 metri, ci si può chiedere come esso possa giungere dalla zona di generazione, relativa ad una altitudine di circa una quindicina di km., fino a noi. A questo quesito risponde la teoria della relatività; supponiamo infatti il mesone in moto con una velocità v = β c (β è quindi il rapporto tra la velocità del mesone e la velocità della luce nel vuoto) rispetto ad un osservatore collegato con un certo sistema di riferimento; se nel sistema di riferimento collegato col mesone, rispetto al quale quindi il mesone è in quiete, la vita media è τo, l'osservatore nell'altro sistema di riferimento, rispetto al quale il mesone si muove con la detta velocità v = β c, misura dei tempi dilatati per il fattore
pertanto il detto osservatore, che può praticamente essere collegato con la terra, misurerà una vita media
tanto più lunga quindi quanto più β è vicino ad 1, cioè quanto più veloce è il mesone, o ancora, se vogliamo, quanto più grande è la energia del mesone. È ovvio, dopo quanto detto, che è molto improbabile possa giungere al livello del mare un mesone che sia partito dalla zona di generazione con una energia inferiore a 2 miliardi di volt-elettrone; aggiungiamo che la maggior parte di quelli che giungono al livello del mare sono partiti dalla zona di generazione con una energia compresa tra i 2 e i 4 miliardi di volt-elettrone; ne giungono però anche di energie molto più elevate, come si può riconoscere nella fig. 1, nella quale è rappresentato quello che si dice lo "spettro differenziale mesonico", cioè l'abbondanza relativa dei mesoni di varie energie. Si fissi ora l'attenzione su quei mesoni che si disintegrano per strada; nel processo di disintegrazione, come s'è già detto, sparisce il mesone e compare un elettrone dello stesso segno, oltre ad una o più particelle neutrali. L'energia intrinseca del mesone misurata, tramite la relazione di Einstein, dal prodotto della massa per il quadrato della velocità della luce e che vale in cifra tonda 100 milioni di volt-elettrone, oltre la eventuale energia cinetica se il mesone disintegra in corsa, va distribuita tra i suoi prodotti di disintegrazione. È stabilito che non meno di 30 milioni di volt-elettrone in media vanno all'elettrone, nel caso più sfavorevole che il mesone si disintegri da fermo; si comprende immediatamente come questo elettrone possa diventare capostipite di uno sciame elettronico e portare un contributo alla molle. Si aggiunga infine che nella componente dura i mesoni positivi e i mesoni negativi sono solo approssimativamente in numero uguale; in realtà vi sono più mesoni positivi che negativi; e ci si riferisce a questo fatto quando si dice che la componente dura presenta un "eccesso positivo", che s'intende misurato dal rapporto tra la differenza e la somma del numero dei mesoni positivi e negativi. La spiegazione dell'eccesso positivo è piuttosto complicata, ma grosso modo esso riflette la circostanza che la primaria è essenzialmente costituita di protoni, cioè di nucleoni carichi positivamente.
Componente molle. - Se si mantiene la definizione strumentale per la componente molle in base alle misure di assorbimento (quella parte della radiazione cosmica praticamente assorbita da 10 cm. di piombo), restano inclusi nella detta componente anche mesoni di bassa energia, oltre agli elettroni e fotoni; qui però s'intenderà, parlando di componente molle, riferirsi solo agli elettroni e fotoni, a quelle particelle cioè che subiscono la moltiplicazione secondo il meccanismo già descritto della "cascata". La fenomenologia della componente molle nell'atmosfera si conduce agevolmente se si comincia dal livello del mare e si sale gradatamente.
Nella bassa atmosfera infatti, e cioè dal livello del mare sino a 2-3 mila metri tutta la parte molle della radiazione cosmica si può considerare secondaria della dura, nel senso che essa deriva dagli elettroni di disintegrazione e di Knok-on dei mesoni; o meglio si può dire che il numero di elettroni, che nella bassa atmosfera si calcola siano secondarî della dura, non è inferiore al numero di elettroni che compongono la molle. Nella media e alta atmosfera però la ipotesi che la molle sia secondaria della dura non è più sufficiente, in quanto non solo essa risulta superiore come quantità secondo si può prevedere in questa ipotesi, ma presenta anche alcune caratteristiche differenti. La distribuzione spettrale, infatti, degli elettroni (cioè la ripartizione del numero relativo di elettroni di varie energie) risulta sensibilmente differente nella bassa e nella media e alta atmosfera. Si interpreta questo fatto ammettendo che a quella parte prevista come secondaria della dura si sovrapponga, mano a mano che ci s'innalza dal livello del mare, un'altra parte di origine distinta. L'ipotesi che questa nuova parte sia di origine primaria, che finora in mancanza di ipotesi migliori si è mantenuta, è poco convincente in quanto l'esperienza non ha dimostrato in alta quota la presenza di elettroni di elevatissima energia, come sarebbe logico attendersi. Si è propensi a credere che essa venga generata assieme alla dura dalla stessa primaria nucleonica; per quanto non si sappia ancora con sicurezza descrivere nei particolari tale meccanismo di produzione, ed esista anche un argomento contrario all'ipotesi dell'unica primaria, fondato sulla misura dell'effetto est-ovest in quota. Questo effetto, connesso con l'azione del campo magnetico terrestre sulla primaria si compendia in una distribuzione asimmetrica, intorno alla verticale, dell'intensità della radiazione cosmica, asimmetria che è massima in senso est-ovest. È previsto che se la primaria presenta tale asimmetria, anche la secondaria la conservi. Ora, mentre la componente dura presenta un effetto est-ovest tale da dedurne che la sua primaria è carica positivamente (protoni), la componente molle a grande altezza non presenta effetto est-ovest, come se la sua primaria o i suoi capostipiti possedessero globalmente carica nulla. All'idea di una primaria comune invece porterebbe l'esame dell'effetto di latitudine per ambo le componenti, effetto anche questo legato alla azione del campo magnetico terrestre sulla primaria. Per quanto riguarda i rapporti globali tra dura e molle lungo l'atmosfera, come risulta dalla fig. 2, si può notare che mentre la dura cresce regolarmente di intensità con la quota, la molle partendo dal livello del mare da un valore che è circa la metà di quello della dura, rapidamente diventa più abbondante di questa, raggiunge un massimo ad una altezza corrispondente ad una pressione di circa 10 cm. di Hg, dopo di che decade rapidamente. Naturalmente la parte che riguarda l'altissima atmosfera non è completarnente significativa, per la ragione innanzi accennata che, agli effetti della separazione strumentale delle due componenti, nella molle sono compresi anche mesoni di bassa energia e inoltre nella dura sono compresi i protoni primarî di grande energia. Oltre alla fenomenologia nell'atmosfera ora esposta, connesso con i raggi cosmici è lo studio del comportamento delle particelle che li compongono nei materiali condensati. È in detti materiali che si prova la validità della teoria della cascata per la molle, ottenendo entro pochi cm. di piombo o di ferro lo sviluppo completo di uno sciame (mentre nell'atmosfera il suo svolgimento richiede alcuni km.), studiandone successivamente l'evoluzione dovuta al processo di moltiplicazione e l'assorbimento dovuto alle perdite d'energia degli elettroni e fotoni dello sciame nelle interazioni con gli atomi del materiale condensato. È nei materiali condensati che si studia la produzione degli elettroni di Knok-on da parte dei mesoni ed infine il comportamento finale dei mesoni stessi; infatti, nei detti materiali i mesoni vengono completamente frenati in una frazione di tempo molto piccola rispetto alla loro vita media per decadimento, cosicché quelli che si disintegrano sono praticamente tutti a riposo, e questo fatto permette una misura diretta della loro vita media. Non si può che accennare ancora a tutto il vasto campo, aperto dallo studio dei raggi cosmici, sulle esplosioni nucleari prodotte da mesoni e nucleoni osservate sia in camera di Wilson sia essenzialmente nelle lastre fotografiche o messe in evidenza dalle camere di ionizzazione. È stata ormai raggiunta la capacità di osservare direttamente quelli che si ritengono i fenomeni elementari prodotti o subìti dalle particelle fondamentali, di quelle particelle cioè che, allo stato attuale della conoscenza umana, sono essenziali per la descrizione del mondo fisico.
Bibl.: H. Euler e W. Heisenberg, in Ergebnisse der Naturwissenschaften, XVII, 1938; L. Janossy, Cosmic Rays, Oxford 1948; B. Rossi, in Reviews of modern Physics, 1948.