RADICE
. Linguistica. - È quel complesso di suoni che in parole etimologicamente connesse fra loro ne racchiude il significato fondamentale; p. es., nei termini latini dīco dīscī dictus dicāre indicāre dēdicāre dicāx dictātor dictio causi-dicus appare un dòc-, in cui si sente facilmente il significato di "indicare, dire". Naturalmente, man mano che una parola si specializza, va obliterata per i parlanti la sua connessione etimologica e quindi il senso per la radice in essa contenuta; p. es., già meno evidente è la presenza di dic- in con-dic-io, in origine "ciò che si è detto insieme"; ancor meno in iū-dex iū-dicis, "chi indica il iūs".
La scienza moderna ha ricevuto il concetto di radice dalla semitistica, in cui lo avevano introdotto i grammatici ebrei; nelle lingue semitiche la radice è facilmente osservabile, in quanto generalmente consta di tre consonanti che costituiscono l'ossatura della parola; così mlè "regnare" in ebr., mā???laè "regnò", mélék "re" malèūth "regno", mamlā???èā??? "impero". Nelle lingue indoeuropee invece la radice, di norma monosillabica, può constare anche di un solo suono, a volta scomparso in seguito ad evoluzione fonetica o analogica: es- "essere" si riduce in parte delle forme, per apofonia (v.) a s-, p. es. nel latino s-unt, sanscrito s-ánti accanto ad es-t, ás-ti; nel partic. pres. greco ὤν non rimane che il suffisso (cfr. ϕέρ-ων "ferens"), in quanto s- è divenuto in greco spirito aspro, qui scomparso per analogia di altre forme come ἔσ-τι iniziantisi con vocale non aspirata. Malgrado queste condizioni d'inferiorità, gli antichi grammatici indiani (Pāṇini, sec. III a. C.) già basavano la loro analisi linguistica sulla cognizione di radice (dhātu). Le radici non sono nulla di rigido e fisso, vanno bensì soggette ad ampliamenti, diminuzioni, a mutamenti di significato. Nel lat. acceptus si sentiva il partic. pass. di accipio e la pertinenza di questo a capio e quindi a cap-tūra; per noi accetto è connesso con accettare e contiene una radice accett-, né ha più nulla a vedere con cattura, catturare, ecc. (rad. cattur-). Questo ci autorizza ad esaminare la costituzione delle radici che, dalla comparazione delle varie lingue, ricostruiamo per l'indoeuropeo unitario, per il semitico, ecc.; del resto già in sanscrito, p. es., è riconoscibile una connessione fra yu- "unire" e yuj- di ugual significato. L'elemento aggiunto, così identificato, si usa chiamare determinativo radicale; si tratta di antichi suffissi, che han finito con l'annettersi alla radice per formarne una nuova, come -tūra nel nostro cattur-. Altre volte un elemento appare premesso ad una radice più semplice; questo è il caso specialmente per il cosiddetto s mobile, p. es. di στέγος accanto a τέγος, di lat. specio accanto a sanscr. paçyati "vede" qui può trattarsi di antico preverbio (come ad- nel nostro accett-), o anche di vestigia d'un anteriore stadio linguistico, in cui la derivazione avveniva pure a mezzo di prefissi.
Bibl.: Oltre ai manuali di linguistica si veda, per l'analisi delle radici, A. Cuny, Étude prégrammaticales sur le domaine des langues indo-européennes et chamito-sémitiques, Parigi 1924 (con ampia bibliografia).