Radio
sommario: 1. La rinascita della radiofonia negli anni novanta. 2. La configurazione del sistema radiofonico italiano: a) il confronto pubblico/privato; b) il settore privato; c) cenni di comparazione con altri paesi europei; d) le risorse pubblicitarie. 3. L'evoluzione tecnologica. 4. Flussi e formati. 5. Abitudini e stili di ascolto. 6. Il futuro della radio. □ Bibliografia.
1. La rinascita della radiofonia negli anni novanta
Nel corso degli anni novanta sono stati ricordati alcuni significativi anniversari del mezzo radiofonico: il centenario dei primi, fondamentali esperimenti di Marconi di 'telegrafia senza fili' (quello di Pontecchio del 1895, che tradizionalmente segna la nascita della radio; i successivi, effettuati in Inghilterra su medie distanze nel 1897 e 1898; infine, la trasmissione transoceanica del segnale Morse nel 1901) e il settantesimo compleanno della radiofonia pubblica italiana (istituzione dell'URI, Unione Radiofonica Italiana, nel 1924). In queste occasioni è stato posto l'accento sulla straordinaria vitalità del medium radiofonico, emersa con prepotenza proprio a partire dal biennio 1990-1991. La riscoperta della radiofonia è un fatto che riguarda tutto il mondo (v. Tartara, 1993), ma per evidenti ragioni di opportunità e di spazio ci riferiremo soprattutto alla situazione italiana.
In Italia i dati Audiradio hanno registrato, nell'ultimo decennio, un incremento impressionante degli ascoltatori radiofonici, passati dai 26 milioni del 1990 ai 35 milioni del 2001. Numerosi e complessi fattori socio-culturali sono all'origine di tale crescita, ma è indubbio che due iniziative - una di natura economica, l'altra legislativa - poste in essere tra la fine degli anni ottanta e il 1990, hanno regolamentato e favorito lo sviluppo del settore radiofonico: l'indagine Audiradio e la legge 6 agosto 1990, n. 223 (nota come 'legge Mammì').
A partire dal 1988, anno in cui ha iniziato la sua attività, Audiradio (una società indipendente, addetta alla rilevazione degli ascolti, che nel tempo ha perfezionato la propria metodologia di ricerca) fornisce uno strumento indispensabile per convogliare e ripartire gli investimenti pubblicitari.
Essa effettua un'indagine campionaria sull'ascolto delle emittenti radiofoniche pubbliche e private, nazionali e locali, con lo scopo di stimare il numero e la composizione dell'ascolto, nonché il profilo socio-culturale degli ascoltatori in base a sesso, età, grado di istruzione, ampiezza dei centri abitativi, condizione familiare e professionale. L'indagine, condotta tramite interviste telefoniche, si propone tre obiettivi principali: rilevare l'ascolto della radio negli ultimi sette giorni precedenti l'intervista; rilevare l'ascolto medio del giorno (quello antecedente l'intervista); rilevare le caratteristiche socio-demografiche dell'intervistato e della sua famiglia.
I dati sono pubblicati ogni bimestre e alla fine dell'anno in tre distinti volumi, riservati agli operatori radiofonici e agli inserzionisti pubblicitari: volume nazionale (ascolto ultimi sette giorni), volume nazionale (ascolto medio del giorno), volume provinciale (ascolto delle sole emittenti private presenti in ogni provincia).
La 'legge Mammì' contiene una serie di importanti disposizioni riguardanti la radiofonia. Tra le norme più significative ricordiamo la suddivisione del territorio in bacini di utenza, corrispondenti alle province e alle aree metropolitane, e l'obbligo di riservare alle stazioni locali almeno il 70% delle emissioni ricevibili senza disturbo in ogni bacino; la distinzione tra concessionarie 'a carattere commerciale' e concessionarie 'a carattere comunitario', queste ultime prive di scopo di lucro e volte ad assicurare un servizio culturale, etnico, politico, religioso; i limiti orari della pubblicità, diversi per l'ambito nazionale, per l'ambito locale e per le emittenti comunitarie, e la riserva della pubblicità locale ai soli concessionari locali; l'obbligo per le emittenti nazionali di trasmettere quotidianamente servizi informativi.
2. La configurazione del sistema radiofonico italiano
a) Il confronto pubblico/privato
Il sistema misto pubblico/privato - sorto nella seconda metà degli anni settanta e formalmente sancito dalla legge del 1990 - ha raggiunto, nel decennio in esame, assetti complessivamente più stabili e maturi, che hanno interessato peraltro il solo settore privato. Discorso a parte merita la concessionaria pubblica, rispetto alla quale il legislatore ha ritenuto di non intervenire con provvedimenti di riforma.
Sul finire degli anni ottanta la radiofonia pubblica accusava una profonda crisi, imputabile a diversi fattori: insufficienti investimenti nella rete tecnica, scarsità di risorse, palinsesti generalisti poco differenziati tra loro, incapacità di cogliere la domanda di una nuova radio, più agile e moderna (v. Menduni, 1994). Solo a seguito dell'emergenza economico-finanziaria del 1992-1993 la radiofonia viene parzialmente ristrutturata sul piano organizzativo ed editoriale. Le tre tradizionali reti definiscono meglio le rispettive impostazioni editoriali: 'Radio Uno' si presenta come la radio dell'informazione e dell'approfondimento; 'Radio Due' si caratterizza come canale di musica leggera e varietà-intrattenimento; 'Radio Tre' mantiene la sua abituale linea di emittente culturale. Ciascuna delle tre reti trasmette su scala nazionale (in ambito regionale sono irradiati solo due brevi notiziari quotidiani da Radio Uno) e su entrambe le modulazioni (di frequenza e di ampiezza); va poi in onda, dalle 24 alle 6, il 'Notturno Italiano' a reti unificate. Di fatto, la riforma modifica solo in parte i consueti indirizzi di programmazione. L'unica consistente novità posta in essere dalla Rai negli anni novanta è 'Isoradio', un canale di servizio rivolto agli automobilisti, realizzato con una nuova tecnologia che copre parte della rete autostradale e che riscuote un interesse crescente. Gli anni successivi alla riorganizzazione vedono il confronto, in termini di ascolto, tra Radio Rai e le emittenti private.
A partire dal 1995 (anno in cui Audiradio mette definitivamente a punto la propria metodologia di indagine: v. Cuzzocrea, 1997), i dati indicano una netta linea di tendenza: una stasi o una flessione di ascolti delle due principali reti pubbliche, solo in parte compensata da Radio Tre e Isoradio, di contro al notevole incremento delle principali emittenti private.
Il passaggio del secolo segnala dunque una perdurante crisi di identità del servizio pubblico e, in parallelo, il significativo successo delle maggiori radio private nazionali.
b) Il settore privato
L'universo della radiofonia privata è composto da una miriade di unità aziendali che, in base alla copertura del territorio, possono essere classificate come segue.
1) Radio nazionali: attualmente (2003) sono tredici, dieci emittenti commerciali con vari formati musicali, una radio commerciale di sola informazione (Radio 24 Il Sole-24 ore), una radio comunitaria (Radio Maria), una radio di partito (Radio Radicale). Si tratta per la gran parte di aziende economicamente solide, cui gli ascolti elevati assicurano un congruo volume di entrate pubblicitarie; contano alcune decine di dipendenti fissi e un'ampia rosa di collaboratori esterni; il segnale arriva in tutto o in buona parte del territorio nazionale grazie a networks o a una rete tecnica di proprietà. Il decennio scorso ha visto anche la nascita di importanti concentrazioni editoriali (ad esempio, il Gruppo L'Espresso, che gestisce Radio Deejay, Radio Capital e Italia Radio).
2) Radio regionali o interregionali. La legge Mammì prevede che un medesimo soggetto possa essere titolare di più licenze locali (non più di una licenza per ogni bacino fino a un massimo di sette), purché la popolazione complessiva interessata non superi i dieci milioni; consente inoltre collegamenti (per una durata giornaliera non eccedente le sei ore) con la formula della syndication: il programma diffuso è identico ma viene irradiato da antenne locali, che comunque mantengono una gestione autonoma soprattutto nella raccolta pubblicitaria. Negli anni novanta tali processi di aggregazione hanno interessato decine di emittenti, il cui bacino di utenza si estende a più regioni; alcune (prima fra tutte, Radio Subasio di Assisi) raggiungono ascolti che, nell'ambito territoriale in cui operano, superano quelli delle reti nazionali.
3) Radio locali a copertura cittadina o provinciale. Data l'estrema polverizzazione di queste iniziative, l'unico criterio di classificazione concerne la distinzione tra radio commerciali e radio comunitarie; un buon numero di queste ultime è espressione del mondo cattolico. Per quanto riguarda il piano aziendale, alcuni aspetti accomunano la quasi totalità delle stazioni locali: modestia delle dimensioni, scarsità delle risorse, precarietà degli equilibri di bilancio, poche o pochissime persone che mandano avanti l'attività sul piano tecnico, amministrativo ed editoriale.
In assenza di dati ufficiali, è difficile sapere quante siano le radio locali. L'unico dato certo è la progressiva e inevitabile contrazione, verificatasi negli anni novanta, che ha ridotto il numero delle antenne di alcune migliaia. Nel 1984 l'unico censimento ufficiale del Ministero delle Poste accertò 4.204 stazioni radiofoniche private; nel 1990 pervennero al Ministero 3.983 domande di concessioni locali; attualmente le stime indicano in meno di mille le emittenti locali, di cui circa un quarto comunitarie (v. Menduni, 2001), un numero destinato a diminuire ulteriormente. Audiradio elenca nel 2001 circa 290 emittenti, cioè solo i marchi rispetto ai quali l'indagine è in grado di quantificare gli ascolti; le 'emittenti significative', quelle che, a livello nazionale, superano la soglia minima di 15.000-17.000 ascolti, risultano essere meno di 180 (ivi comprese alcune decine di radio a copertura regionale e interregionale). Si deve quindi concludere che, a 25 anni dalla liberalizzazione dell'etere, nel sistema radiofonico locale permane tuttora una situazione eccessivamente dispersa e frantumata.
c) Cenni di comparazione con altri paesi europei
Un quadro comparativo con gli assetti di altri paesi europei, omogenei per territorio e/o popolazione (come Regno Unito, Francia, Germania e Spagna), risulta problematico, considerate le specificità storiche, culturali e politiche che hanno contrassegnato l'evoluzione del mezzo nei vari ambiti nazionali. In linea generale, lo sviluppo del settore privato, e in primo luogo dei formati musicali, ha interessato tutti i paesi europei; tuttavia, rispetto all'Italia, alcuni semplici dati mettono in chiaro una più forte e radicata presenza dell'operatore pubblico. Nel Regno Unito l'offerta della BBC Radio vanta cinque reti nazionali specializzate e oltre 40 stazioni locali. La BBC gestisce anche le radio regionali per la Scozia, il Galles e l'Irlanda del Nord. Il segmento privato nel 2000 era composto da tre radio nazionali e circa 250 locali (v. ISIMM, 2002).
Anche in Germania è tradizionalmente forte la presenza della radio pubblica, organizzata, com'è noto, su base regionale. Sono 11 le aziende pubbliche dislocate nelle varie aree, ognuna delle quali irradia più reti per un totale di 56. Le radio private, anch'esse regionali, sono circa 180; solo 9 sono classificate come nazionali, ma autorizzate a trasmettere esclusivamente via cavo o satellite. In Francia il servizio pubblico è rappresentato da Radio France, da cui dipendono cinque reti monotematiche a diffusione nazionale; nel 2000 le stazioni private erano circa un migliaio, classificate in 5 diverse categorie. In Spagna l'ambito pubblico comprende la Radio Nacional de España, con tre reti nazionali, e le emittenti regionali, prima fra tutte la potente radio regionale della Catalogna. Attivo il settore privato, con circa un migliaio di emittenti e una marcata presenza di alcune radio nazionali che fanno capo a editori multimediali.
d) Le risorse pubblicitarie
Valutato nel suo complesso, il sistema radiofonico italiano, nonostante squilibri e dispersioni, ha conosciuto negli anni novanta un'eccezionale fase espansiva, certificata dal volume delle risorse pubblicitarie investite. Dal 1995 la radio si pone al primo posto tra i mezzi classici (quotidiani, periodici, televisione, cinema) quanto a tasso di crescita degli investimenti. Gli andamenti positivi hanno riguardato sia la pubblicità nazionale, grazie agli eccellenti risultati conseguiti dalle principali radio (che, per la raccolta, si avvalgono di agenzie specializzate), sia la pubblicità locale, rispetto alla quale la radio si è dimostrata, dato il suo radicamento nel territorio, un mezzo particolarmente adatto.
L'anno 2000 sembra aver sancito la piena maturazione della radio. Per il futuro, le previsioni di medio-lungo termine indicano una fase di assestamento e consolidamento; saturati gli spazi e stabilizzati gli ascolti, le reti nazionali non potranno che registrare modesti incrementi. Più interessanti si presentano gli sviluppi della pubblicità locale, a condizione che sufficienti dimensioni d'impresa si accompagnino a un miglioramento della qualità del segnale.
3. L'evoluzione tecnologica
La componente tecnologica ha fortemente contribuito allo sviluppo complessivo del sistema radiofonico. Il passaggio dall'analogico al digitale, avvenuto negli anni novanta, ha rivoluzionato gli impianti di bassa frequenza (le macchine e le attrezzature degli studi radiofonici). Scomparsi i magnetofoni e i nastri a 1/4, tutte le operazioni di registrazione, montaggio, missaggio sono effettuate al computer da sofisticati programmi 'audio'; l'archivio delle bobine è sostituito dalla memoria informatica; 'sintetizzatori' digitali sono in grado di elaborare una gamma pressoché illimitata di effetti sonori. L'introduzione delle nuove apparecchiature ha determinato profondi cambiamenti nell'organizzazione del lavoro, consentendo notevolissimi risparmi di personale e di tempo. Giornalisti e programmisti lavorano con sistemi informatici (workstation) che gestiscono tutte le fasi di realizzazione, dall'acquisizione di documenti nell'audioteca alla postproduzione; regie automatiche entrano in funzione negli orari notturni; sofisticati programmi (selector) selezionano i dischi da mandare in onda. Da non dimenticare l'avvento del compact disc (metà anni ottanta), che ha comportato notevoli vantaggi per gli operatori radiofonici. Circa l'alta frequenza - in attesa che lo standard DAB-T (Digital Audio Broadcasting), il quale consente la diffusione del segnale digitale con trasmettitori terrestri, esca dalla fase sperimentale - va ricordata una novità tecnologica, le cui applicazioni sono divenute operative in Italia e in Europa a partire dalla seconda metà degli anni novanta, riguardante la diffusione satellitare digitale (DAB-S). Da qualche anno alcune tra le principali emittenti italiane e molte radio europee irradiano le proprie trasmissioni, oltre che sulla tradizionale rete terrestre con linguaggio analogico, anche via satellite. Chi possiede un ricevitore fisso TV con antenna parabolica può ascoltare, in chiaro o tramite i pacchetti proposti dalle pay-TV, numerosi canali sonori di alta qualità. Un altro significativo passaggio tecnologico consiste nell'interazione tra radio e Internet. Tramite la rete è possibile ricevere in diretta sul proprio computer, con apposito software, alcune migliaia di stazioni radiofoniche sparse in tutto il mondo. Ci troviamo di fronte a un sistema di filodiffusione via rete telematica sicuramente destinato a un utilizzo sempre maggiore.
4. Flussi e formati
Nell'ultimo decennio del secolo scorso la radiofonia italiana e, più in generale, quella europea hanno vissuto, a livello di programmazione, un'evoluzione molto significativa che si potrebbe indicare in sintesi come il passaggio dalla logica del flusso alla logica dei formati. Occorre infatti ricordare, facendo un passo indietro, che nel corso degli anni settanta e ottanta la frammentazione della radiofonia nazionale in una miriade di emittenti aveva portato la maggior parte di queste - le private in maniera netta, le pubbliche in forma più attenuata - a organizzare la loro emissione in un flusso di suoni e parole continuo e uniforme, privo di distinzioni e di separazioni forti, basato non tanto su elementi autonomi frutto di un progetto testuale, quanto sulla casualità, sul caos, sull'improvvisazione discorsiva. Era ciò che, sia nella comunicazione radiofonica sia in quella 'neotelevisiva', si definiva 'flusso'. Ma se questa scelta aveva decisamente giovato, almeno sul piano economico, allo sviluppo della produzione e dei consumi televisivi, aveva al contempo finito per impoverire, dopo gli iniziali entusiasmi, la radiofonia, appiattita su un unico modello, quello musicale, che riduceva di molto gli spazi di creatività discorsiva fino ad annullare la specificità linguistica del medium e a rendere indecifrabile l'identità delle singole emittenti.
Proprio a partire da questa situazione critica, ha preso avvio quella che poco sopra abbiamo definito 'la rinascita della radiofonia', che ha riguardato anche la revisione dei modelli di programmazione, con un significativo spostamento dall'adesione incondizionata e generalizzata alla logica dei contenitori di parole e suoni, a una rinnovata attenzione alla progettazione di formati. Schematizzando, in questo processo di rinnovamento del palinsesto radiofonico si possono individuare quattro linee.
La prima riguarda la specializzazione dell'offerta musicale: se nel periodo di affermazione e di sviluppo del modello 'giovanile-musicale' di emittenza radiofonica - gli anni settanta e ottanta - l'offerta era caratterizzata da una totale varietà di generi e di testi musicali, il decennio successivo ha visto affermarsi una tendenza diversa, se non opposta. Senza oscurare del tutto i residui dell'esperienza precedente, le emittenti nate o ristrutturate nel corso degli anni novanta hanno dato vita a una sorta di razionalizzazione della proposta musicale, basata sulla omogeneità dell'offerta, sulla scelta precisa dei generi e degli autori messi in onda come elemento di identità e di riconoscibilità dell'emittente, sulla specializzazione (talvolta l'iperspecializzazione) dei prodotti. In tutta l'emittenza radiofonica europea - a partire dalla BBC e, in maniera sempre più evidente, anche in quella italiana - i canali si sono proposti e affermati presso i loro ascoltatori non più come contenitori e ripetitori dei pezzi musicali in voga (i cosiddetti hits) o di quelli più amati dal pubblico (le richieste o le dediche), ma come organizzatori di un discorso musicale coerente: la musica classica, i brani d'opera, il rock, il liscio, il pop, la musica etnica, la canzone italiana attuale o quella degli anni sessanta, i cantautori.
Accanto a questa linea di valorizzazione della musica, se ne è sviluppata una seconda quasi opposta, o almeno alternativa, che ha privilegiato l'elemento della comunicazione radiofonica più trascurato nel passato recente, la parola. Una radio fatta solo di parole, senza nessuna presenza musicale, neppure come riempitivo, è stata una sorta di sfida che, impensabile fino a qualche tempo prima, alcune emittenti hanno lanciato e, contro tutte le previsioni, vinto nel corso degli anni novanta. Il caso più clamoroso, per il connubio di qualità e successo realizzato nel difficile mercato italiano, è rappresentato da 'Radio 24 Il Sole-24 ore', ma un precedente significativo può essere rintracciato nell'apertura, nel 1994, del quinto canale della BBC, Radio 5 Live, un canale all news aperto lungo tutto l'arco della giornata. Le parole di questa tipologia di radio sono, evidentemente, le parole che attengono alla dimensione informativa. Il ventaglio dei formati informativi è tornato ad allargarsi, comprendendo, accanto alle news e ai radiogiornali, approfondimenti, inchieste, interviste, dibattiti e spazi aperti all'intervento telefonico degli ascoltatori. La moltiplicazione dei formati si è incrociata con l'ampliamento dei temi oggetto di informazione: ai più tradizionali - come la politica, la cronaca, lo sport - si sono aggiunte le nuove tematiche economiche, dell'ambiente e della salute, del cibo, dei viaggi e dello spettacolo. Il successo delle emittenti di sola informazione ha poi stimolato lo sviluppo degli spazi informativi anche sulle reti generaliste. Ed è forse importante ricordare come l'ultimo decennio del Novecento sia stato un decennio di guerre - Iraq, Cecenia, Serbia - in cui il valore informativo della radio è riemerso in tutta la sua importanza di fronte all'impaccio e alla vacuità di altri mezzi come quello televisivo.
Ma la riscoperta della centralità della parola nella comunicazione radiofonica si è manifestata anche lungo una terza linea, ancor più complessa e delicata. Il valore della parola, in alcune esperienze della recente produzione radiofonica, ha travalicato la funzione referenziale propria dei processi informativi, per cercare una dimensione evocativa, espressiva, poetica. Sono dunque tornati ad affacciarsi - sia pure con una destinazione di nicchia, su certi canali, in certi orari del palinsesto, senza pretese di diffusione di massa - i programmi culturali: letture di testi letterari, conversazioni filosofiche, perfino un ritorno della drammaturgia radiofonica. E, come conseguenza, una limitata riscoperta di un atteggiamento sperimentale, messo da parte per molto tempo a favore della routine, che si va sporadicamente esprimendo nella ricerca linguistica, nel lavoro sui codici e nell'innovazione dei formati.
Vi è, infine, una quarta linea che ha segnato il recente boom della radio: il ricorso frequente all'ironia. Molti dei formati, che hanno determinato la nascita di gruppi di veri e propri 'fedeli' nei confronti di certe reti o di alcune loro fasce, hanno avuto come comune denominatore la scelta di un registro enunciativo ironico. Parodie di formati radiofonici affermati, letture destrutturanti di fenomeni culturali alti, mescolanze di toni contrastanti sapientemente organizzate in un progetto testuale di conversazione hanno rappresentato una delle più interessanti novità stilistiche della più recente comunicazione radiofonica.
5. Abitudini e stili di ascolto
Il progressivo aumento di audience delle radio commerciali negli anni novanta - confermato dal parallelo incremento degli investimenti nel settore - testimonia l'accresciuta popolarità del mezzo presso il pubblico giovanile. Sono infatti le emittenti musicali a guidare la graduatoria degli ascolti e fra esse quelle che propongono soprattutto musica cosiddetta easy listening, di facile ascolto; su tutte primeggia Radio Deejay, il cui pubblico di riferimento oscilla tra i 16 e i 25 anni. Il passaggio del millennio ha visto, come abbiamo già ricordato, una costante erosione di posizioni da parte dei networks privati rispetto a Radio Rai, con l'eccezione di particolari momenti di emergenza informativa come quelli relativi ai fatti dell'11 settembre 2001.
Tutto ciò può in qualche modo condurre all'individuazione di due grandi tipologie di pubblico radiofonico: a) il pubblico giovanile, grande ascoltatore delle emittenti radio prevalentemente musicali. È caratterizzato sul piano socio-economico da una buona capacità di acquisto, essendo motore principale del mercato dei generi di consumo legati alla musica (dischi, stereo, concerti, pubblicazioni di settore, ecc.). Poco attratto dalle televisioni generaliste, questo pubblico richiede alla radio una programmazione sufficientemente disimpegnata (sceglie altri canali e altri media per i propri approfondimenti informativi e culturali in genere). Si pone all'ascolto specie nelle ore pomeridiane, usando il mezzo come accompagnamento ad altre attività: studio, lettura, Play Station, navigazione in Internet e uso del computer in genere. Sceglie una personale colonna sonora ed è molto fedele alla sua 'radio del cuore' e al genere musicale relativo (dance, musica italiana, grandi successi internazionali, ecc.), instaurando con essa un rapporto spesso confidenziale e/o mediato dalle nuove tecnologie degli SMS (Short Message Service, i messaggi tramite telefono cellulare) e della posta elettronica; b) il pubblico adulto che cerca nella radio un rapporto più partecipativo dal punto di vista intellettuale e culturale. Sul piano socio-economico comprende sia i responsabili degli acquisti di prodotti di largo consumo e di prima necessità (casalinghe, pensionati o particolari categorie, come i rappresentanti di commercio, spesso in viaggio e col telefonino a portata di mano), sia le fasce degli studenti universitari, degli artigiani e dei disoccupati. Non disdegna affatto la musica ma predilige i programmi 'parlati' e l'approfondimento informativo; tende a partecipare a questo genere di programmi con le proprie opinioni, tramite telefono, ma non scivola quasi mai in un rapporto confidenziale con l'emittente. Il regno di questa fascia d'ascolto è la radio pubblica, specie Radio Uno e Radio Due, ma anche le radio private molto 'parlate', secondo gli interessi specifici: Radio Radicale, Radio Popolare, Radio Maria e Radio 24 Il Sole-24 ore.
A fianco di queste due fasce, vanno menzionate altre due tipologie d'ascolto, poco rilevabili in termini statistici per la mobilità e la permeabilità che le contraddistinguono: 1) l'ascolto di sottofondo: la musica diffusa che accompagna tutti noi, chi più chi meno, nei supermercati, nei centri commerciali, nei negozi al dettaglio, intervallata - e ciò non è secondario - da flash di informazione e soprattutto da annunci pubblicitari; un ascolto radiofonico quasi subliminale, ma che fornisce un tappeto sonoro spesso gradevole al quale ormai ci siamo abituati; 2) l'ascolto variabile che coinvolge il multiforme mondo dei professionisti, dirigenti, imprenditori; spesso in movimento, poco fedeli a un'emittente specifica, pronti a cambiare canale alla ricerca del brano musicale preferito o dell'informazione dell'ultima ora.
Dal punto di vista delle motivazioni che inducono all'ascolto, la funzione prevalente sembra confermarsi quella dello svago e della compagnia; solo una minoranza (sebbene cospicua) del pubblico sceglie la radio per un interesse specifico, riconoscendole una buona attendibilità informativa.
L'insieme delle varie motivazioni sembra concentrarsi al mattino, tra le ore 6,30 e le 11,00, con un picco particolarmente elevato fra le 7,00 e le 9,00; è questa, infatti, la fascia di maggior ascolto della radio (prime time). A partire dalle 11,30 - secondo i dati Audiradio che rilevano tendenze costanti, confermate di anno in anno - inizia una lieve flessione dell'ascolto fino alla conclusione della giornata. A tale flessione corrisponde un aumento degli spettatori della TV; ma mentre quest'ultima soffre di cospicui alti e bassi secondo le fasce orarie, la radio mantiene una curva di ascolti giornalieri priva di sbalzi eccessivi. Il prime time radiofonico è fortemente caratterizzato dall'aspettativa di informazione: se sulle emittenti pubbliche è tra le 6,30 e le 11,00 che si concentrano notiziari, approfondimenti e trasmissioni di servizio, i networks privati prevalentemente musicali si strutturano per lo più intorno a una programmazione oraria (clock) scandita da un notiziario alquanto breve, spesso flash informativi, mantenendo tale caratteristica per l'intera giornata.
L'audience meridiana elevata rispetto agli altri media si spiega naturalmente con la mobilità del mezzo - non nuova, ma migliorata nell'ultimo decennio dall'aumentata qualità e miniaturizzazione degli apparecchi - che rende compatibile l'ascolto con occupazioni o spostamenti di tipo lavorativo. Per gli stessi motivi la radio gode di modalità di fruizione estremamente diversificate, dalle forti caratteristiche intimistiche, in qualche modo private: un insieme di privacy - l'ascolto solitario o meglio con le cuffie, che isola dal mondo circostante - e ascolto in compagnia.
Va peraltro osservato come le più recenti tecnologie tendano ad alterare tali consolidate modalità d'ascolto: le nuove frontiere delle radio che trasmettono via Internet e attraverso il satellite offrono una qualità sonora incomparabilmente migliore, più servizi connessi, ricezione da tutto il mondo, la possibilità per l'ascoltatore di creare una personale programmazione musicale (play list) e, di notevole impatto sul pubblico più giovane, l'integrazione con l'immagine. Tutto questo, però, può condurre alla trasformazione del linguaggio radiofonico, che da 'aereo' si 'materializza' legandosi a testi scritti e a immagini; in più sgretola il mito del libero nomadismo radiofonico, ancorando il fruitore davanti allo schermo, sia esso televisivo o del personal computer. Di contro, la caratteristica comunicativa interpersonale o intergruppo della rete telematica spinge una fascia di ascoltatori a un uso 'tribale' della radio, creando comunità di ascolto molto più collegate che in passato, unite da un uso del mezzo, collettivo e privato insieme, che supera diversità di cultura, lingua, condizioni e stili di vita.
6. Il futuro della radio
Ferma restando la difficoltà di formulare previsioni attendibili nel campo dei mass media, una linea di tendenza, sicuramente destinata a consolidarsi nel decennio in corso, riguarda l'avvento della rete digitale terrestre. Operatori ed esperti concordano nel ritenere che la progressiva sostituzione della rete trasmissiva analogica con la tecnologia digitale DAB-T (il già ricordato standard europeo, in via di sperimentazione dalla fine degli anni ottanta, dimostratosi efficiente e affidabile) porterà con sé vantaggi decisivi: elevata qualità del segnale, aumento considerevole delle frequenze disponibili, possibilità di servizi aggiuntivi e di applicazioni multimediali. Il Parlamento italiano, con la legge n. 66/2001, ha fissato al 2006 la data in cui dovrà partire la diffusione del segnale digitale via etere (la stessa data è stata stabilita da altri paesi europei e dalla Federal Communications Commission negli Stati Uniti). Il termine è indicativo, non vincolante, in quanto restano da chiarire alcuni nodi cruciali: quali soggetti pubblici e/o privati dovranno sostenere l'onere dei cospicui finanziamenti necessari per la nuova rete di terra, come verrà compensata la perdita di valore degli attuali impianti in modulazione di frequenza su cui la radiofonia privata ha molto investito negli anni novanta, e se l'industria elettronica sarà in grado di produrre apparecchi riceventi a prezzi accessibili. Si paventa anche un'eccessiva frammentazione degli ascoltatori radiofonici in tanti canali, che comporterebbe una dispersione delle risorse pubblicitarie. Nonostante questi e altri problemi, il passaggio alla radio digitale è da considerarsi, sul medio-lungo periodo, ineluttabile. Il miglioramento del livello qualitativo del segnale, l'attribuzione di frequenze definitive ai concessionari, il superamento dell'annoso problema delle interferenze non potranno che portare a ricadute positive sull'intero settore. È ragionevole prevedere che le principali emittenti nazionali o interregionali consolideranno ulteriormente le loro posizioni mediante processi di concentrazione societaria e integrazione in gruppi multimediali. La radiofonia locale sarà spinta a razionalizzare i propri assetti e a superare la dimensione domestica e semivolontaristica che tuttora caratterizza tante piccole stazioni. Sul piano dei formati, all'ampliamento delle potenzialità tecniche di trasmissione corrisponderà presumibilmente (e auspicabilmente) una più accentuata diversificazione dell'offerta.
In conclusione, tutto lascia pensare che nel prossimo futuro la radio, grazie alle innovazioni tecnologiche e alle caratteristiche precipue del mezzo - la leggerezza, la mobilità, la discrezionalità - saprà mantenere e rafforzare il suo insostituibile ruolo comunicativo entro il sistema delle comunicazioni di massa.
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