RADIOBIOLOGIA (App. III, 11, p. 550)
L'azione biologica delle radiazioni può essere visualizzata secondo stadi temporali successivi di durata molto variabile. Nel corso dello stadio fisico (durata 10-13 sec) la radiazione interagisce con le molecole del materiale attivandole. Le molecole attivate, spontaneamente o per interazione con altre molecole, vanno incontro a reazioni secondarie molto complesse durante lo stadio chimico-fisico (10-10 sec) e i prodotti di tali reazioni (molecole stabili o radicali reattivi) interagiscono tra loro o con le molecole del mezzo (stadio chimico, 10-6 sec) provocando gravi lesioni strutturali delle molecole biologicamente attive con conseguente perdita della loro funzione specifica. A seguito di queste alterazioni molecolari e funzionali durante lo stadio biologico (che può avere durata assai variabile, da qualche sec a molti anni) si manifestano nel materiale irradiato effetti patologici a carico delle cellule e dei tessuti.
I fenomeni di natura fisica consistono essenzialmente nel trasferimento dell'energia della radiazione agli atomi o molecole dell'oggetto irradiato (attivazione). A seconda della quantità di energia trasmessa il loro livello energetico viene innalzato (eccitazione) o i legami elettronici stessi possono essere interrotti (ionizzazione) con la formazione di due particelle elettricamente cariche: l'elettrone espulso avente carica negativa e la restante parte della molecola, trasformata in ione positivo. La quantità di energia (W) necessaria per produrre una ionizzazione è dell'ordine di 30-35 eV e non varia apprezzabilmente con il tipo e l'energia della radiazione incidente. Su una scala molecolare le attivazioni sono distribuite lungo e in prossimità delle tracce delle particelle ionizzanti primarie e secondarie. A parità di dose fisica somministrata a un materiale biologico la disposizione spaziale delle attivazioni ha grande importanza ai fini della quantità dell'effetto biologico finale. Lo studio dell'Efficacia Biologica Relativa (EBR) di radiazioni diverse, in rapporto alla loro distribuzione spaziale e densità di ionizzazione (che viene di solito definita sulla base della quantità di energia ceduta al mezzo irradiato per unità di percorso della particella ionizzante, LET o TLE), ha avuto e ha tuttora non soltanto un grandissimo interesse sul piano teorico e interpretativo, ma anche dei riflessi pratici di enorme importanza nel fissare i limiti di esposizione a radiazioni di diversa qualità ed energia. I fenomeni fisici fondamentali sono stati analizzati soprattutto su sistemi molecolari semplici allo stato gassoso, e il loro studio diretto sui sistemi condensati non è tecnicamente possibile. L'applicabilità di questi concetti ai materiali biologici si fonda sull'assunto che, a parte la densità, i valori di W e di lunghezza di traccia di particelle ionizzanti in sistemi condensati siano analoghi a quelli di un gas avente la medesima composizione atomica. Almeno fino ad ora, questo assunto non appare irragionevole.
Metodi induttivi e analogici fondati su sistemi molecolari semplici si applicano anche allo studio della fase chimica dell'azione radiante poiché l'estrema complessità delle molecole biologiche, la grande varietà delle specie molecolari che si formano e il loro diverso destino non consentono osservazioni dirette. Vi sono ragioni per ritenere che il contributo delle eccitazioni al danno chimico e biologico delle radiazioni sia relativamente scarso e che la ionizzazione rappresenti invece il meccanismo d'azione principale e comune a tutte le radiazioni. Le specie chimiche intermedie tra gli ioni e le molecole eccitate e i prodotti molecolari stabili finali sono i radicali liberi, atomi o gruppi atomici di particolare reattività, capaci di trasferire energia di reazione chimica alle molecole biologiche che si trasformano così in bioradicali. Questi ultimi, attraverso schemi di reazioni intermedie molto vari, interagiscono tra loro e portano a profonde modificazioni chimiche e strutturali delle molecole biologiche, con il risultato che la loro attività funzionale specifica risulta compromessa o abolita.
L'enorme varietà dei fenomeni molecolari e le difficoltà tecniche di studiare sperimentalmente al livello molecolare il danno da radiazioni hanno spesso indotto alla formulazione di ipotesi concettuali dell'azione radiobiologica. Tali ipotesi sono state postulate sulla base di meccanismi di natura diretta, i quali presuppongono la lesione della molecola stessa nella quale l'energia della radiazione incidente viene ceduta, oppure sulla base di meccanismi indiretti, nei quali il danno a una certa molecola è mediato attraverso radicali diffusibili che vengono originariamente attivati dalla radiazione incidente. Tra le ipotesi dell'azione diretta si ricordano la cosiddetta "teoria dell'urto" che visualizza il danno da radiazioni alle strutture biologiche come il risultato di un'interazione casuale tra eventi biofisici elementari detti "urti" e unità biologiche semplici immaginate come "bersagli" (v. radiobiologia, in App. III). Questa interazione può verificarsi in un'interazione singola di tipo "tutto o nulla" o attraverso stati di transizione intermedi che portano alla fine alla perdita di funzione della struttura biologica. Attraverso formalismi matematici è possibile risalire alle dimensioni delle unità biologiche in parola. Il complesso di ipotesi biofisiche che permettono una definizione delle unità biologiche interagenti va sotto il nome di "teoria del bersaglio". Anche se estremamente raffinate sul piano formale, queste ipotesi di azione radiobiologica sono troppo schematiche per potersi adattare alla complessità strutturale e funzionale dei sistemi biologici. Le ipotesi dell'azione indiretta hanno offerto per un certo tempo possibilità diverse per l'interpretazione della fenomenologia. Modelli alternativi dell'azione radiobiologica, fondati su presupposti completamente diversi a seconda delle complessità dei sistemi e degli effetti sono anche possibili. Più modernamente, l'orientamento è quello di abbandonare l'uso rigido di questi schemi d'azione, per accertare invece sperimentalmente, laddove è tecnicamente possibile, l'importanza relativa dei meccanismi diretti e indiretti in ogni particolare sistema irradiato. In questo ambito la valutazione dell'effetto di variabili fisiche e chimiche fondamentali (effetto della diluizione, dell'irradiazione di sistemi allo stato secco, della temperatura, della presenza o assenza di ossigeno) ha aperto capitoli nuovi ed estremamente interessanti alla r. quantitativa.
Non è possibile in questa sede esaminare sistematicamente gli effetti delle radiazioni ai vari livelli di complessità biologica, partendo dalle proteine attraverso gli acidi nucleici (che sono presumibilmente le molecole bersaglio degli organismi viventi), i virus, i sistemi batterici, ecc. Gli eventi di natura strutturale e funzionale che conseguono all'irradiazione di questi materiali rappresentano al presente altrettanti capitoli estesissimi e ricchi di dati sperimentali ottenuti in condizioni d'irradiazione le più varie. Ognuno di questi capitoli presenta caratteristiche peculiari sia in ordine alle tecnologie sperimentali utilizzate, sia in rapporto agli effetti risultanti che sono di crescente complessità e difficoltà interpretativa, sia sul piano delle problematiche poste da ciascuno di questi diversi tipi di sperimentazione. Non è ancora possibile un'interpretazione in termini quantitativi degli effetti riscontrati nei sistemi più complessi in base ai dati noti sui sistemi semplici e, anche soltanto sul piano qualitativo, il trasferimento e l'estrapolazione dei dati sono resi molto ardui dalla complessità stessa dei sistemi più organizzati, di cui è ancora poco nota la biologia normale.
In questa sede l'accento sarà posto in particolare sulle cellule di mammifero, nel tentativo di estrapolare i dati ottenuti all'interpretazione degli effetti a livello tissutale e organismico. Tra i numerosi effetti morfologici e funzionali indotti dalla radiazione sulle cellule, quello che più interessa da questo punto di vista è la morte cellulare, intesa come inibizione permanente della capacità riproduttiva indefinita della cellula. Tale effetto è sostenuto da un danno alle strutture genetiche delle cellule, che si esprime nella comparsa di aberrazioni cromosomiche all'atto della divisione cellulare. La relazione tra dose di radiazione e letalità cellulare è espressa da una curva matematicamente definibile detta "curva di inattivazione" la quale specifica la radiosensibilità intrinseca di una certa linea cellulare. Nota questa relazione, si può misurare esattamente l'effetto letale che ci si può attendere da una certa dose di radiazione o, viceversa, la dose necessaria per inattivare una certa percentuale delle cellule irradiate.
Un grande numero di fattori modificanti possono far variare la radiosensibilità intrinseca delle cellule. Tra i fattori fisici sono particolarmente importanti la densità di ionizzazione delle radiazioni e l'intensità della dose. Tra i fattori chimici, l'ossigeno che provoca un aumento della radiosensibilità rispetto alla condizione di anossia per un fattore di circa 3; numerose sostanze chimiche che possono o potenziare l'effetto (radiosensibilizzanti) o diminuirlo (radioprotettori). Tra i fattori biologici, infine, si ricordano la posizione della cellula rispetto al ciclo di divisione e altri fattori quali la ploidia, le condizioni di accrescimento delle cellule, ecc.
Ogni effetto radiobiologico può essere considerato come la resultante di due ordini di processi che operano in senso inverso nei confronti dell'effetto finale e che sono il danno potenziale radioindotto, da una parte, e la riparazione spontanea del sistema irradiato, dall'altra. I fenomeni di riparazione possono essere sostenuti da meccanismi che operano a diversi livelli: molecolare, cellulare e di tessuto. A livello molecolare si possono analizzare i fenomeni di riparazione che intervengono nelle molecole-bersaglio del danno radiobiologico come per es. il DNA. A livello cellulare si sono descritti meccanismi di riparazione del danno subletale. A livello di tessuti la riparazione opera mediante il ripopolamento di un tessuto irradiato che si verifica per divisione delle cellule che sono sopravvissute al danno letale. Questi fenomeni di riparazione rendono ragione del fatto che quando una certa dose viene somministrata in un tempo molto lungo il suo effetto finale è quantitativamente minore di quello che ci si potrebbe attendere dalla medesima dose data in un tempo molto breve.
Gli effetti dell'irradiazione a livello organismico (che appartengono più propriamente alla patologia da radiazioni) sono riconducibili al danno indotto sulle cellule, attraverso relazioni complesse e tuttora solo in parte chiarite che legano il tipo e il numero di cellule inattivate, la funzione da esse svolta, i parametri temporali del funzionamento delle popolazioni cellulari interessate (cinetica delle popolazioni cellulari). Taluni effetti si manifestano quando un grande numero di cellule appartenenti ai sistemi autorinnovantisi viene inattivato: essi dànno luogo alle manifestazioni più imponenti del danno all'organismo che, per dosi elevate, possono culminare nella morte dell'animale irradiato. Altri effetti si originano in seguito al danno inferto a una sola o a poche cellule: essi, che sono più difficili da rilevare e da studiare, possono tuttavia condurre a conseguenze molto gravi. Si suole in genere suddividere gli effetti a livello organismico nel mammifero (e in particolare sull'uomo) in tre categorie: gli effetti somatici immediati, gli effetti somatici tardivi e gli effetti genetici.
Gli effetti somatici immediati si verificano quando una larga percentuale di cellule funzionalmente importanti di un tessuto od organo viene danneggiata. Essi si manifestano entro tempi relativamente brevi dall'irradiazione (dell'ordine di poche settimane) con sintomatologie a carico dei tessuti a più rapido rinnovamento. A questa classe appartengono gli effetti sulla cute (eritema, desquamazione secca e umida, ulcerazione) e gli annessi cutanei (epilazione); gli effetti sul sistema emopoietico (linfo- e leuco-penia, piastrinopenia, con conseguenti emorragie, batteriemia, ecc.), quelli sull'apparato gastro-enterico (necrosi delle cellule intestinali, disepitelizzazione, ulcerazione, con conseguenti emorragia e diarrea), gli effetti sulle cellule della linea germinale maschile (infertilità temporanea) o femminile; gli effetti sul sistema nervoso, sui vasi sanguigni, ecc. Allorquando taluni di questi effetti si configurano in un quadro clinico preponderante, si osservano particolari sindromi da irradiazione quali la sindrome emopoietica, la sindrome intestinale, la sindrome nervosa. Esistono degl'intervalli di dose entro cui queste sindromi diventano più evidenti e, nel caso di una loro particolare gravità (che è in genere in rapporto con la dose), la morte può conseguire. Per irradiazioni acute su tutto il corpo la relazione tra l'incidenza di questi effetti e la dose è del tipo sigmoide o "a soglia": questa particolare forma implica che l'incidenza degli effetti immediati è praticamente nulla fino a un certo livello di dose chiamata dose soglia. Per dosi più elevate l'incidenza aumenta in maniera proporzionale alla dose e per dosi molto alte tutti gl'individui di una popolazione esposta mostrano l'effetto. Nell'uomo i valori di soglia (dosi acute su tutto il corpo) per la morte emopoietica sono dell'ordine di 200-300 rad e per la morte intestinale dell'ordine di 800-1000 rad. Oltre alla dose, altre variabili possono grandemente modificare il tipo e l'entità degli effetti somatici immediati: tra esse sono particolarmente importanti l'intensità dell'irradiazione e la parte del corpo irradiata.
Gli effetti somatici tardivi si possono verificare anche per danni inferti a una o poche cellule. Essi si verificano anche per dosi estremamente piccole e diluite nel tempo e diventano manifesti soltanto dopo lungo tempo dall'avvenuta irradiazione (fino a 30 anni nell'uomo). Gli effetti tardivi consistono in leucemie, tumori solidi benigni e maligni di vario tipo e forse talune malattie degenerative. Data la bassa incidenza d'induzione di queste malattie da parte della radiazione, è particolarmente difficile distinguerle dalle stesse malattie che, in maniera apparentemente spontanea e talvolta in elevate percentuali, si manifestano in popolazioni animali o umane in assenza d'irradiazione. Il solo modo di provare un'associazione tra la comparsa di queste malattie e l'irradiazione, è quello di dimostrare che la loro incidenza è significativamente più elevata in una popolazione d'individui irradiati rispetto a una popolazione di controllo non esposta. In taluni casi questa relazione può essere dimostrata, anche nell'uomo, ma soltanto per dosi acute e relativamente elevate. Non vi sono attualmente dati sufficienti per specificare la forma esatta della curva d'induzione in funzione della dose alle basse dosi e alle basse intensità, che sono le condizioni d'irradiazione più interessanti ai fini della radioprotezione dell'uomo (v. radioprotezione, in questa App.). In tali condizioni (e unicamente ai fini radioprotezionistici operativi) si assume che l'effetto osservato alle alte dosi possa essere estrapolato alle dosi più basse mediante una relazione lineare senza soglia. Questa relazione implica che ogni dose, per quanto piccola, aumenterà la probabilità dell'effetto e che per ogni incremento di dose vi sarà un aumento di effetto proporzionale. Si deve sottolineare che questa è soltanto un'ipotesi a fini pratici, la quale tende probabilmente a sovrastimare l'effetto reale alle basse dosi. Inoltre, quando la dose sia somministrata su tempi molto lunghi, l'effetto è probabilmente inferiore per un fattore di circa 3 rispetto a quello della medesima dose data per irradiazione acuta.
Gli effetti genetici si esercitano sulle cellule della linea germinale e sono quindi rilevabili soltanto nella progenie d'individui irradiati. Fenotipicamente le conseguenze cliniche di questi danni genetici possono essere le più varie: da lesioni letali gravi incompatibili con la vita di un individuo già nella fase embrionale fino a malattie compatibili con la vita anche se più o meno gravemente lesive di talune funzioni, o a imperfezioni minori di nessuna rilevanza patologica. Gli effetti genetici possono essere sostenuti da meccanismi diversi. Quando la lesione interessa uno o pochi geni si possono osservare nella progenie degli animali irradiati "mutazioni" che consistono in modificazioni permanenti e trasmissibili dei caratteri ereditari. Sulla base d'informazioni raccolte nell'animale (nell'uomo non si sono mai dimostrati effetti di questo tipo, anche se non vi è ragione di dubitare che essi possano insorgere) la relazione tra dose e incidenza di mutazioni si ritiene sia del tipo lineare senza soglia. Alcune mutazioni possono interessare direttamente i figli d'individui irradiati (mutazioni doninanti) ma la maggioranza di esse (mutazioni recessive) non colpisce direttamente la prima generazione: queste ultime si aggiungono al carico mutazionale di una popolazione e possono produrre effetti clinici nella progenie che nasce dopo molte generazioni dall'irradiazione di un individuo. Oltre a produrre mutazioni, la radiazione può modificare i cromosomi che sono le strutture genetiche sulle quali sono ordinati i geni. Aberrazioni cromosomiche radioindotte sono state dimostrate morfologicamente nelle cellule somatiche animali e umane e nelle cellule germinali dell'animale. Tuttavia non è stato ancora possibile stabilire una relazione semplice tra la dose ricevuta da un individuo e l'incidenza di malattie ereditarie su base cromosomica nei suoi discendenti.
Gli effetti radiobiologici sopra descritti si applicano al caso dell'irradiazione da sorgenti esterne. Nel caso in cui sostanze radioattive siano assunte nell'organismo, effetti per molti aspetti simili si possono riscontrare a seguito d'irradiazione interna. In questo caso tuttavia meccanismi complessi legati all'incorporazione, metabolismo, localizzazione ed eliminazione dei radionuclidi possono modificare qualitativamente e quantitativamente gli effetti osservati.
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