RADIOCHIMICA
La r. tratta dei varî fenomeni connessi coi processi e con le radiazioni nucleari. Nel passato però si designava con questo termine lo studio delle azioni chimiche prodotte dai raggi nucleari e più generalmente dai raggi ionizzanti. Per certi autori la r. è lo studio delle proprietà chimiche degli elementi radioattivi (radioelementi) in quantità imponderabili. Come definita sopra, la r. si può dividere in diverse parti:
a) chimica dei radioelementi: separazione, purificazione e studio di loro proprietà con metodi radioattivi o meno;
b) chimica nucleare: identificazione con mezzi chimici dei varî prodotti che si formano nel corso delle reazioni nucleari, studio dei loro rapporti genetici e dei rendimenti di loro formazioni;
c) chimica degli atomi caldi: studio delle modificazioni dello stato chimico dei composti nei quali è contenuto un atomo trasformato in un processo nucleare.
Questi tre capitoli costituiscono la r. nel senso stretto del termine.
In senso più lato si può far rientrare nella r. lo studio degli effetti delle radiazioni sulla materia, studio più propriamente riservato all'analisi dei fenomeni, di natura prevalentemente fisica, conseguente ad una interazione tra radiazioni e sostanze diverse considerate nei varî possibili stati di aggregazione. Per uniformità espositiva si è, in questa sede, seguito il criterio di racchiudere in un'unica trattazione anche questo aspetto più strettamente fisico del problema (v. pertanto più oltre: effetto delle radiazioni sui liquidi e sui solidi). Infine, possono considerarsi parte integrante della r. le varie applicazioni degli indicatori radioattivi, cioè l'utilizzazione delle proprietà radioattive nello studio di varie reazioni chimiche o processi fisico-chimici e nelle misure di diverse grandezze.
La r., pur essendo strettamente legata alla fisica nucleare, alla chimico-fisica ed alla chimica inorganica, costituisce una parte a sé caratterizzata da particolarità proprie:
1) Specificità delle proprietà nucleari: la vita media (o periodo di dimezzamento) e l'energia dei raggi emessi sono caratteristiche per ogni specie nucleare (nuclide) e sono totalmente indipendenti dallo stato fisico e dalle condizioni chimiche. Questa proprietà permette di seguire il destino di un atomo radioattivo in tutte le sue trasformazioni chimiche e vicissitudini nello spazio e nel tempo.
2) Sensibilità straordinaria dei metodi radioattivi di misura che permettono con le apparecchiature e le tecniche moderne d'identificare un elemento chimico per la presenza di qualche decina di atomi soltanto, cioè di qualche 10-20 grammi.
3) Le sostanze radioattive, naturali o prodotte artificialmente, sono il più spesso diluite allo stato di tracce piccolissime in quantità notevoli di materiali inattivi, miliardi o migliaia di miliardi di volte superiori. Per separarle, purificarle e per conoscere la loro natura chimica occorre adattare, in modo particolare e prudente, i metodi fisico-chimici abituali a queste condizioni e verificare la validità delle nozioni e delle leggi macroscopiche per questa branca della chimica, detta alla scala degli indicatori radioattivi.
4) Se la concentrazione di un composto radioattivo è relativamente elevata, i raggi emessi possono produrre modificazioni chimiche nello stato del composto stesso e mascherare a volte il suo vero comportamento. I recipienti, i reattivi, i solventi sono pure alterati dall'azione di radiazioni sufficientemente intense. Inoltre, i pericolosi effetti biologici e fisiologici dei raggi richiedono condizioni rigorosissime di protezione da parte dei manipolatori.
Chimica nucleare. - Le trasformazioni radioattive spontanee e le reazioni nucleari indotte conducono nella massima parte dei casi a una modificazione chimica profonda dell'atomo interessato, e cioè al cambiamento del suo numero atomico Z. Per le trasformazioni spontanee vale la legge di spostamento di Soddy e Fajans, secondo la quale per emissione di una particella α (atomo di elio doppiamente ionizzato) un atomo di numero atomico Z si trasforma in un altro con (Z − 2) ed è spostato nella tabella periodica degli elementi di due caselle a sinistra; per emissione di raggi β- (elettroni) l'atomo Z diventa (Z + 1) e si sposta di una casella a destra. Le disintegrazioni radioattive artificiali si effettuano spesso per emissione di un elettrone positivo (positone) o per cattura del nucleo di un elettrone negativo della periferia atomica. Un atomo Z diventa allora (Z − 1) e si sposta di una casella a sinistra nel sistema periodico.
Così, per es., un atomo di radioattinio, isotopo del torio, nella colonna IV si trasforma per emissione α in un atomo di radio (attinio X) della seconda colonna. Il radio E, isotopo del bismuto, per trasformazione β- dà il polonio, e così via.
Per emissione di raggi γ, un atomo radioattivo passa da uno stato eccitato allo stato fondamentale oppure in uno stato meno eccitato. Uno stato eccitato di vita media sufficientemente lunga per poter essere misurata è detto isomero dello stato fondamentale, tutti e due avendo lo stesso numero atomico e lo stesso numero di massa. (Rammentiamo che due atomi che hanno un numero atomico identico ma masse differenti sono isotopi, cioè occupano la stessa casella nel sistema periodico di Mendelev).
Quanto alle reazioni nucleari provocate, notiamo anzitutto che secondo la natura della particella incidente e della particella emessa durante la reazione, esse si scrivono schematicamente:
ecc., dove A indica il bersaglio bombardato con la particella scritta prima nelle parentesi: n-neutrone, p-protone, d-deutone, ecc.; B rappresenta il nuovo atomo formatosi insieme alla seconda particella nelle parentesi (che può essere anche una radiazione γ); la lettera f corrisponde al processo di fissione dell'atomo A in due frammenti. Ecco qualche esempio:
Il numero scritto in alto a sinistra del simbolo chimico è il numero di massa, quello in basso è il numero atomico. Eccettuata la fissione, in ogni reazione A (a, b) B, la somma dei numeri di massa di (A + a) è sempre uguale a quella di (B + b). Lo stesso è vero per le somme dei numeri atomici.
Dal punto di vista radiochimico le reazioni nucleari possono essere divise in tre gruppi: 1) Il prodotto della reazione è un isotopo o un isomero dell'atomo-bersaglio, la carica di a (Za), nulla o positiva, essendo uguale a quella di b (Zb) (reazioni n, γ; n, 2n; p, d; γ, n ecc.). 2) Il prodotto ha un numero atomico differente ma vicino a quello del bersaglio, Za essendo superiore o inferiore a zb (reazioni n, p; p, n; α, n; γ, α ecc.). 3) Il prodotto è un miscuglio complesso contenente più isotopi di varî elementi di numero atomico anche assai distante da quello del bersaglio. La fissione dell'uranio e di altri elementi pesanti, la disintegrazione in numerosi frammenti di diversi nuclei sotto l'azione di particelle di grande energia (spallazione) appartengono a questo gruppo.
Metodi radiochimici. - Per la separazione e la purificazione delle quantità minime di sostanze radioattive provenienti dalle trasformazioni spontanee o dalle reazioni provocate, sono utilizzati diversi metodi applicabili ai casi nei quali il prodotto non è né isotopo né isomero dell'atomo-parente (vedi più avanti: Chimica degli atomi caldi). I metodi più generali sono i seguenti: 1) coprecipitazioni e sincristallizzazioni; 2) cromatografia su colonna o su carta; 3) estrazione con solventi organici; 4) elettrolisi ed elettroforesi; 5) volatilizzazione e sublimazione.
Nel primo metodo un composto di un elemento (il macrocomponente) di proprietà chimiche generalmente vicine a quelle del radioelemento (il microcomponente) serve come trascinatore di questo, sia perché i composti dei due elementi formano cristalli isomorfi sia perché il microcomponente è adsorbito sulla superficie del solido formato dal macrocomponente. La separazione si persegue per cristallizzazioni o precipitazioni frazionate che danno un arricchimento del microcomponente in una delle fasi, cristalli o soluzione.
Nel caso di formazione di radiocolloidi. cioè quando il radioelemento forma un composto praticamente insolubile allo stato colloidale, l'aggiunta di un trascinatore può non essere necessaria e la separazione si ottiene per semplice filtrazione, ultrafiltrazione o centrifugazione.
I metodi elettrochimici e di volatilizzazione sono pure del tipo "senza trascinatore" e quando sono applicabili danno eccellenti depositi, molto puri e di grande attività. Il deposito elettrolitico di un radioelemento è generalmente caratterizzato da un potenziale critico, tensione minima necessaria perché la quantità depositata su uno degli elettrodi diventi misurabile.
Da un certo tempo si è generalizzato l'uso dei metodi cromatografici e di estrazione con solventi che sono di grande efficacia e facilmente adattabili a diverse condizioni. I coefficienti di ripartizione fra le fasi non variano generalmente con la concentrazione fra limiti molto estesi; si conoscono però eccezioni a questa regola.
Per ottenere un prodotto radioattivo puro è necessario il più spesso combinare vari metodi radiochimici in modo che ogni operazione conduca ad una concentrazione più spinta del prodotto. Tali combinazioni sono inevitabili nelle separazioni dei prodotti di fissione o di spallazione.
L'uso dei metodi radiochimici mostra che le nozioni e le leggi macroscopiche conservano la loro validità alla scala degli indicatori radioattivi in fase omogenea. In presenza però di una fase solida, gli effetti di superficie, di adsorbimento e di diffusione, la lentezza con cui si stabiliscono in questo caso gli equilibrî termodinamici e altri fattori spesso variabili con la "storia" del sistema eterogeneo e difficilmente controllabili, rendono l'analisi dei fenomeni e la loro interpretazione per lo meno poco sicure. Ciononostante questi metodi hanno permesso di conoscere i tratti principali della fisionomia chimica di varî elementi radioattivi accessibili soltanto alla scala degli indicatori. Quando quantità macroscopiche di radioelementi sono diventate disponibili, come polonio, plutonio, americio, i risultati anteriori sono stati in massima parte confermati.
Gli elementi radioattivi. - Tutti gli isotopi degli ultimi elementi della tabella periodica a cominciare dal polonio (numero atomico Z = 84) sono radioattivi con una vita media che varia, secondo i casi, fra miliardi di anni e piccolissime frazioni di minuto secondo. È probabile che anche il bismuto naturale, Z = 83 e numero di massa 209, sia debolissimamente radioattivo con un periodo di dimezzamento dell'ordine di 1017 anni.
Fra gli elementi di numero atomico medio solo il tecneto (Z = 43) e il prometeo (Z = 61) non hanno isotopi stabili; i loro isotopi radioattivi hanno periodi di dimezzamento troppo corti per trovarsi oggi nel globo terrestre. Certi elementi naturali contengono un isotopo radioattivo di vita media molto lunga, superiore a 109 anni. Citiamo fra questi 40K. 87Rb, 115In, 138La, 176Lu, 187Re che si disintegrano per emissione di raggi β e 147Sm che emette particelle α.
I caratteri chimici fondamentali degli elementi radioattivi sono indipendenti dalla radioattività e sono definiti, come per gli elementi stabili, dalla struttura elettronica e dalle dimensioni atomiche e ioniche. Così il tecneto ha un comportamento chimico intermedio fra quelli del manganese e del renio, suoi omologhi nel sistema periodico, il prometeo è una terra rara, il polonio, l'astato e il radon (Z = 84, 85, 86) sono omologhi rispettivamente del tellurio, dello iodio e dello xenon. Nel settimo periodo il francio (Z = 87) è un metallo alcalino, il radio (88) alcalino-terroso e così via fino all'uranio (92), omologo del wolframio.
La classificazione diventa più laboriosa per gli elementi transuranici, per i quali l'evoluzione normale delle proprietà non si verifica più. Il nettunio (Z =9 3), il plutonio (94) e l'americio (95) possiedono, come l'uranio, le valenze III, IV, V e VI e presentano, nello stesso stato di valenza, analogie chimiche molto strette. La valenza più stabile, che coincide per l'uranio con la valenza massima, diminuisce però con l'aumento del numero atomico in modo che dall'americio in poi la valenza III diventa la più stabile. Il curio (Z = 96) in soluzione acquosa sembra essere soltanto trivalente, ma forma un ossido e un fluoruro solidi allo stato di valenza IV; il berkelio (97), oltre alla trivalenza, presenta quella IV, instabile, che acquista sotto l'azione di forti ossidanti. mentre per il californio (98), l'einsteinio (99), il fermio (100) e il mendelevio (101) non si conosce finora che la valenza III. Tutti gli elementi dall'uranio in poi presentano allo stato trivalente un comportamento chimico analogo a quello dei lantanidi (v. anche transuranici, elementi, in questa App.).
Quest'ultima proprietà e la struttura elettronica dell'uranio e dei transuranici hanno condotto numerosi autori a raggruppare gli elementi compresi fra l'attinio e l'elemento con Z= 103 in una serie di attinidi che sarebbe analoga a quella dei lantanidi. Dal punto di vista chimico è però chiaro che l'attinio, il torio, il protattinio e l'uranio sono troppo differenti fra di loro per essere considerati come componenti di una stessa famiglia chimica, mentre invece l'uranio, il nettunio, il plutonio e l'americio, con molteplicità di valenza, costituiscono effettivamente un gruppo omogeneo, uranidi; curio e elementi successivi fino a Z = 103. essenzialmente trivalenti, come i lantanidi, formano un altro gruppo, curidi.
Chimica degli atomi caldi. - Il nucleo radioattivo al momento della formazione possiede generalmente un'energia cinetica molto elevata. In molti casi questa energia corrisponde ad un'altissima "temperatura" ed è migliaia di volte superiore all'energia di qualsiasi legame chimico. Ne risulta che la molecola contenente l'atomo del nucleo iniziale si scompone formando una nuova molecola o frammenti molecolari: radicali liberi, atomi, ioni.
I fenomeni descritti hanno un'importanza particolare nelle reazioni nucleari (n, γ), (n, 2n), (γ, n), (p, d), ecc., cioè quando l'atomo radioattivo è isotopo dell'atomo trasformatosi. In questi casi infatti si possono spesso separare con procedimenti chimici assai semplici le nuove molecole presenti in piccolissime quantità dalla grande massa delle molecole iniziali inattive e ottenere prodotti radioattivi molto concentrati. Questo è l'effetto Szilard e Chalmers, scoperto nel 1934 irradiando lo ioduro di etile con neutroni lenti. Lo iodio radioattivo, formatosi nella reazione 127I + n = 128I + γ, si libera in massima parte, sotto l'effetto di rinculo dovuto all'emissione del fotone, dalla molecola organica e passa allo stato molecolare I2 o ionico I-, ambedue solubili nell'acqua e quindi separabili dalla fase organica.
Nello stesso modo si possono ottenere preparazioni concentrate di radio-cloro o di radio-bromo per irradiazione neutronica di cloruri o di bromuri organici e anche di perclorati, clorati o bromati inorganici. L'effetto è utilizzato nelle preparazioni di radio-manganese dai permanganati, di radio-arsenico dai cacodilati, di radio-ferro, radio-rame, radio-oro e di numerosi altri isotopi radioattivi da composti organici o complessi adatti.
Nell'irraggiamento di molecole organiche alogenate si osservano reazioni secondarie importanti: l'atomo "caldo" dell'alogeno in possesso di un'energia cinetica elevata entra durante la sua diffusione in collisione con una molecola inattiva e si sostituisce ad un atomo, per esempio di idrogeno, formando una nuova molecola attiva. Così nell'irraggiamento neutronico del bromoformio (CHBr3) una frazione importante del radio-bromo si trova sotto la forma di tetrabromuro (CBr4); lo ioduro di metile (CH3I) irradiato dà, fra l'altro, lo ioduro di metilene (CH2I2) radioattivo, ecc. I rendimenti di queste radiosintesi, metodo importante di preparazione di molecole marcate, dipendono dalla natura del composto, dal suo stato fisico (gassoso, liquido o solido, in soluzione), dalla concentrazione e dalla presenza di altri composti, ecc. L'esame delle influenze di questi sulla sorte degli atomi caldi costituisce appunto un mezzo interessantissimo di studio di questo particolare capitolo della chimica.
Separazioni e fenomeni analoghi hanno luogo anche nelle transizioni isomeriche (vedi sopra, Chimica nucleare), ma in questo caso le modificazioni chimiche non sono dovute ai raggi γ, la cui energia non è sufficiente a produrle, ma alle perturbazioni della periferia elettronica.
Lo studio del comportamento degli atomi caldi prodotti nelle trasformazioni non isotopiche, come nei casi delle emissioni di raggi α o β, nelle reazioni (n, p), (p, n), ecc., presenta ancora un grande interesse, da una parte, dal punto di vista teorico e, dall'altra, per la possibilità di preparazione di molecole marcate, in particolare con radio-carbonio (carbonio-14) o con tritio (idrogeno-3).
Gli indicatori radioattivi. - Le proprietà chimiche e fisico-chimiche degli isotopi di un dato elemento sono indipendenti dalla radioattività dei medesimi e, in prima approssimazione, identiche, soprattutto nel caso degli elementi pesanti o di numero atomico medio. Dal comportamento quindi di uno degli isotopi, per esempio radioattivo, si può dedurre senza ambiguità quello dell'intero miscuglio. Sappiamo già, d'altra parte, che i caratteri radioattivi sono indipendenti dalle condizioni chimiche nelle quali si trova l'atomo instabile. Su queste proprietà è basato l'impiego degli indicatori radioattivi e delle molecole marcate con un isotopo radioattivo per determinare il meccanismo di una reazione, la localizzazione o il percorso di un composto, per misurare certe grandezze, spesso inaccessibili con altri metodi. Per esempio, per misurare la velocità di autodiffusione di atomi metallici si determina ad un dato tempo il percorso compiuto nel metallo da un isotopo radioattivo di cui si conosce la posizione iniziale. In una reazione chimica fra due molecole contenenti ambedue la stessa specie atomica (per esempio, il carbonio) ma delle quali una sola è marcata (con carbonio-14), misurando la radioattività dei prodotti, si può conoscere l'origine di ciascuno di questi. Il metodo permette anche di determinare il percorso, in un organismo vivente, di una molecola marcata di interesse biologico e la velocità del suo rinnovamento: per esempio dell'emoglobina marcata con radio-ferro nel sangue, dell'acqua tritiata nei fluidi biologici e così via.
Particolarmente importanti sono le applicazioni ai problemi analitici. La grandissima sensibilità delle misure radioattive permette di determinare la solubilità di un composto "insolubile", la tensione di vapore di una sostanza poco volatile. Nel metodo di analisi per attivazione si determina la concentrazione di un elemento senza alterare chimicamente il prodotto misurando la radioattività acquistata sotto l'azione dei neutroni, per esempio in una reazione (n, γ) o (γ, n), per cui risulta la formazione di un isotopo radioattivo in quantità proporzionale alla concentrazione. Misurando l'assorbimento dei raggi β o γ emessi da una sostanza radioattiva, si determina lo spessore o la densità dell'assorbente, il livello di un liquido, ecc. Si noti che per elementi leggeri che non hanno isotopi radioattivi adatti (ossigeno, azoto, in certi casi idrogeno e carbonio) si utilizzano come indicatori loro isotopi stabili pesanti (per esempio, il deuterio per l'idrogeno, carbonio-13, ossigeno-18).
Il metodo degli indicatori è ormai di uso corrente nei laboratorî e nell'industria, dove trova applicazioni larghissime per risolvere varî problemi chimici, fisici, biologici e tecnologici, per controllare la produzione, ecc.
Cenno storico. - La radiochimica è nata coi fondamentali lavori di Pierre e Marie Curie, i quali hannti isolato i primi elementi radioattivi, il polonio e il radio. dai minerali dell'uranio associando misure radioattive alle separazioni chimiche. Ne è seguito un periodo d'intense e importantissime ricerche, legate principalmente ai nomi degli stessi Curie e di A. Debierne in Francia. di F. Soddy e A. S. Russell in Inghilterra, di F. O. Giesel, K. Fajans e O. Hahn in Germania. Questi lavori hanno condotto alla scoperta di altri elementi radioattivi e alla loro classificazione nel sistema periodico, alla scoperta della isotopia, allo sviluppo e all'estensione dei metodi radiochimici. Negli anni 1913-20, G. Hevesv e F. A. Paneth in Austria hanno in particolare introdotto i metodi elettrochimici e realizzato le prime applicazioni degli indicatori radioattivi.
Dopo un periodo di sviluppo quantitativo la radiochimica ha fatto un salto considerevole con la scoperta della radioattività artificiale effettuata da Irène e Frédéric Joliot nel 1934. Subito dopo, Enrico Fermi e suoi collaboratori, fra i quali il chimico O. D'Agostino, hanno largamente utilizzato a Roma i metodi radiochimici per identificare numerosi isotopi prodotti per irradiazione neutronica, mentre L. Szilárd e T. A. Chalmers hanno scoperto nel 1935 a Londra l'effetto che porta il loro nome e su cui si basa un metodo di separazione degli isotopi radioattivi dalla sostanza madre inattiva.
Una scoperta spettacolare dovuta alla r. è quella della fissione dell'uranio, realizzata da O. Hahn e F. Strassmann alla fine del 1938 e preparata dai lavori di I. Curie e P. Savitch su alcuni prodotti ottenuti per irradiazione neutronica del torio e dell'uranio. Questa scoperta ha mostrato che la supposta identificazione dei primi transuranici era erronea e soltanto nel 1940 E. M. MacMillan e Ph. H. Abelson hanno effettivamente caratterizzato il nettunio fra i prodotti d'irradiazione dell'uranio. Questa preparazione fu seguita dai lavori di G. Th. Seaborg e del suo gruppo a Berkeley che hanno ottenuto, in varie reazioni nucleari, isotopi degli elementi transuranici dal plutonio al lawrencio (Z = 103).
La scoperta della fissione e le prospettive di suoi usi, militari e pacifici, hanno dato negli S.U.A. durante la guerra 1939-45 un impulso straordinario alle ricerche radiochimiche, estesesi dopo la guerra in numerosi altri paesi.
Bibl.: G. Hevesy, Radioactive indicators, New York 1949; E. Broda, Advances in radiochemistry, Cambridge 1950; A. C. Wahl e N. A. Bonner, Radioactivity applied to chemistry, New York 1951; G. Cook e J. Duncan, Modern radiochemical practice, Oxford 1952; G. Friedlander e J. W. Kennedy, Nuclear and radiochemistry, New York 1955; M. Haissinsky, Lezioni di radiochimica, Roma 1956; id., La chimie nucléaire et ses applications, Parigi 1957; A. I. Brodsky, Chimica degli isotopi (in russo), Mosca 1957.
Effetto delle radiazioni sui liquidi.
Le radiazioni ionizzanti, attraversando la materia, dissipano la loro energia in ionizzazioni ed eccitazioni delle molecole e degli atomi incontrati, e nel caso dei solidi (v. oltre) anche in spostamenti degli atomi dalle loro posizioni di equilibrio (effetto Wigner). Una molecola AB, per esempio, è ionizzata, in AB+ + elettrone. Lo ione AB+ può poi scomporsi formando l'atomo o il radicale libero A e lo ione B+. Un'altra molecola AB, se la sua affinità elettronica è sufficiente, cattura l'elettrone liberato nell'atto primario e forma lo ione negativo AB-, generalmente instabile, che si dissocia in A + B- (o A- + B) oppure neutralizza uno ione positivo:
molecola eccitata che si dissocia in AB + B o in A + B2. In certi casi l'elettrone può neutralizzare lo ione primario AB+. con formazione della molecola iniziale AB* in uno stato eccitato dissociabile in A + B. La stessa dissociazione ha luogo nelle eccitazioni dirette della molecola nell'atto di assorbimento dell'energia dei raggi.
Si vede in questo modo che gli atti fisici primarî hanno come conseguenza chimica la formazione di nuovi composti neutri o ioni e di entità intermedie, instabili. Queste provocano reazioni secondarie: decomposizione, sintesi, ossidazione, riduzione, polimerizzazione, scambî atomici, ecc. Le trasformazioni chimiche prodotte dai raggi si chiamano radiolisi ed il loro rendimento si esprime oggi per mezzo della lettera G, che indica il numero delle molecole o dei radicali liberi formatisi, oppure delle molecole o degli ioni trasformatisi, per cento elettroni-volt assorbiti (i elettronvolt = 3,83.10-20 calorie). L'atto chimico primario si esprime con la notazione -???→.
Nel caso dell'acqua, solvente importantissimo per la radiobiologia e particolarmente ben studiato, si ammette la successione delle reazioni seguenti:
Agli atomi H si attribuiscono le azioni riducenti, per esempio dei sali cerici, dei permanganati e dei cromati, del plutonio e dell'americio esavalenti e di altri forti ossidanti; ai radicali liberi OH le ossidazioni dei sali ferrosi, degli ioduri, arseniti, dell'uranio tri-e tetravalente, di composti organici, ecc. L'acqua ossigenata reagisce come di solito sia come ossidante sia come riducente secondo la natura del corpo disciolto. In presenza di ossigeno, gli atomi H formano il radicale libero HO2 che è, secondo il caso, ossidante o riducente.
I rendimenti radiolitici in soluzione dipendono da numerosi fattori: natura e concentrazione della sostanza disciolta, natura e intensità dei raggi, tempo d'irradiazione, pH, presenza di altri composti, ecc. Si trova che circa 12 molecole di acqua sono decomposte allo stato di vapore per 100 elettron-volt assorbiti, mentre allo stato liquido circa 4 molecole soltanto subiscono decomposizione.
Il valore più basso nell'ultimo caso si spiega per le reazioni di ricombinazioni dei radicali liberi e di reazioni inverse
che sono favorite dalla grande densità dei radicali e in competizione con le reazioni che conducono alle trasformazioni chimiche.
Gli effetti prodotti indirettamente per mezzo dei derivati del solvente sono soprattutto importanti in soluzione diluita. Con l'aumento della concentrazione cresce la frazione dell'energia assorbita direttamente dal soluto e le modificazioni che questo subisce in tal caso non sono necessariamente identiche agli effetti indiretti. Così lo ione perclorico è praticamente insensibile ai radicali H e OH ma in soluzione concentrata si scompone sotto l'effetto dei raggi γ con formazione di ClO3-, Cl- e O2; i telluriti in soluzione diluita sono ossidati a tellurati, mentre per l'effetto diretto danno il tellurio elementare.
I fenomeni radiolitici sono analoghi per i solventi e i composti organici ma ancora più complessi, data la grande varietà di reazioni possibili nel caso di molecole poliatomiche. Fra le reazioni più importanti sono da segnalare le ossidazioni degli idrocarburi paraffinici in acidi grassi, le clorurazioni di composti aromatici e soprattutto le polimerizzazioni, che presentano anche un interesse industriale. Le polimerizzazioni si effettuano spesso per l'azione di radicali liberi che si attaccano al monomero producendo un nuovo radicale libero; questo reagisce con una nuova molecola del monomero in modo che si ha una reazione a catena con aumento continuo del peso molecolare del prodotto, fino alla saturazione. In certi casi però il polimero si forma a bassa temperatura per un meccanismo ionico.
Le modificazioni dei polimeri sono di due tipi:
1) il polietilene, il polistirene, il cloruro di polivinile, il caucciù naturale ed altri subiscono la reticolazione, cioè formazione di nuove catene allungate con aumento del peso molecolare e del punto di fusione, miglioramento delle proprietà meccaniche, diminuzione della solubilità e del rigonfiamento nei solventi.
2) il poliisobutilene, il polistirene di basso peso molecolare, il polimetacrilato di metile, il teflon sono degradati con diminuzione del peso molecolare e trasformazione in un liquido viscoso o in polvere. Il primo tipo di trasformazioni trova delle applicazioni industriali interessanti.
Bibl.: Radiation chemistry, Discussions of the Faraday Society, n. 12 (1952), n. 31 (1961); High energy radiation, New York 1954; M. Haïssinsky, La chimie nucléaire et ses applications, Parigi 1957; Actions chimiques et biologiques des radiations, collezione diretta da M. Haïssinsky, volumi 1-5, Parigi 1955-1960; S. C. Lind, Rdiation chemistry of gases, New York 1961.
Effetti delle radiazioni sui solidi.
Lo studio degli effetti delle radiazioni sui solidi ha subìto in questi ultimi anni rapidissimo incremento in vista, tra l'altro, dell'estremo interesse sia teorico sia pratico che può presentare qualsiasi acquisizione atta a prevedere o a chiarire il "responso" fornito da materiali metallici o meno assoggettati a irraggiamento.
In particolare, le indagini sui difetti reticolari nei solidi (v. anche solidi, fisica dei, in questa App.), svolte in parallelo con le ricerche sui mutamenti nelle proprietà fisico-meccaniche di cristalli metallici, ionici, covalenti, ecc., dovuti all'effetto di radiazioni, hanno condotto a chiarire molti punti oscuri e anche ad avanzare nuove interpretazioni dei fenomeni osservati.
Le più notevoli conseguenze dell'irraggiamento dei solidi cristallini sono legate alla nascita di zone altamente disturbate, dal punto di vista della distribuzione degli individui atomici, in seno ai reticoli stessi. Per spiegare infatti numerosi fenomeni connessi a vistose variazioni delle proprietà fisiche, chimico-fisiche e meccaniche, proprî di solidi irradiati, si è dovuto ammettere che, accanto a difetti reticolari isolati (atomi interstiziali, vacanze, dislocazioni, ecc.), si possano generare "aggregati" di difetti così da condurre, tra l'altro, a vuoti sub-microscopici nei cristalli, tali particolari configurazioni risultando più o meno stabili in dipendenza sia dall'energia della particella incidente, cui devesi attribuire il risultante stato difettivo, sia dal "grado di mobilità" degli atomi allontanati dalle posizioni originariamente da loro occupate. È questo in sostanza il concetto di "punta termica" o "punta di calore", sviluppato, tra gli altri, da J. A. Brinkmann e più recentemente da A. K. Seeger, col quale si sostiene l'esistenza di "localizzazioni" di contenuto termico, conseguenti ad un forte innalzamento della temperatura locale collegato all'interazione tra particelle (o radiazioni) incidenti e atomi del reticolo, detto anormale valore della temperatura essendo talmente elevato rispetto a quello medio del cristallo in oggetto, da consentire la fusione o addirittura la vaporizzazione locale: il che getta i presupposti per un'elevata disorganizzazione reticolare limitatamente alla zona interessata al processo (fig.1). È chiaro tuttavia che non si può parlare di stato difettivo localizzato o diffuso senza definire il valore della temperatura alla quale si effettuano le esperienze d'irraggiamento: è infatti evidente che esiste un'ovvia tendenza alla "ricottura" dei difetti, tendenza la cui intensità sarà tanto più grande quanto più elevata è la temperatura essendo questa il fattore di controllo dei processi di diffusione reticolare. Pertanto, parallelamente ai numerosi studî intesi a stabilire l'entità del danneggiamento per radiazioni a temperature estremamente basse, si sono anche chiariti, operando a temperatura ordinaria o più o meno elevata, i processi che portano ad un parziale o totale annullamento dello stato difettivo indotto per radiazioni.
Principali effetti delle radiazioni sulle proprietà fisico-meccaniche dei solidi. - Le proprietà che vengono più decisamente influenzate dalle radiazioni sia nel caso di solidi metallici, sia anche, talora, nel caso di solidi ionici o covalenti, sono la conducibilità elettrica e termica, le caratteristiche elastiche e meccaniche in genere, la durezza e quindi la duttilità, le caratteristiche ottiche (nel cose specifico di cristalli ionici e covalenti), l'entità dei parametri reticolari e simili. Le misure di resistività elettrica condotte sotto irraggiamento, specie operando a basse temperature, hanno consentito in molti casi di valutare l'entità dello stato difettivo indotto e l'andamento del fenomeno di ricottura quando la temperatura di irradiazione veniva fatta opportunamente variare (fig. 2). Ciò in base alla constatazione che, almeno entro dati limiti di tempo di esposizione, la resistività elettrica cresce secondo una legge approssimativamente lineare con la dose (cioè con la quantità di radiazioni assorbite). Un fenomeno di tal genere si può spiegare, seppure in via semplificata, tenendo conto che in materiali conduttori, come i metalli propriamente detti, lo stato difettivo indotto dalle radiazioni causa perturbazioni nel normale moto degli elettroni di conduzione riducendo quindi la conducibilità.
Con uno schema sotto alcuni aspetti analogo (diffrazione di fononi da parte di difetti reticolari) si può interpretare la netta diminuzione di conducibilità termica, osservata in specie in materiali non metallici, quando questi vengono sottoposti a radiazioni. Il fenomeno può portare a conseguenze anche assai serie in quanto la più lenta dispersione del calore, associata ad uno stato difettivo localizzato (punta termica), può determinare deformazioni locali in una struttura o un improvviso e brusco rilascio di energia termica che deve intendersi sempre circoscritto in una zona assai ristretta.
Molto più gravi, specie ai fini delle applicazioni pratiche, sono le conseguenze delle radiazioni sulle proprietà meccaniche dei solidi in genere e dei metalli e leghe metalliche in particolare. In breve, si osservano i seguenti fenomeni: a) modificazioni notevoli nella forma della curva di trazione: questa denota, tra l'altro, il verificarsi di un netto aumento del carico di rottura e più ancora del carico di snervamento, il che dimostra che l'irradiazione, col causare un sensibile avvicinamento tra i due valori predetti, determina spiccata riduzione di duttilità (fig. 3); in particolare, alcuni materiali che, in assenza di radiazioni, manifestano assai visibilmente il fenomeno dello snervamento (per es. gli acciai dolci al carbonio), dopo irraggiamento forniscono una curva di trazione nella quale normalmente non è più possibile rilevare un simile effetto; b) aumento sensibile della durezza, fenomeno questo facilmente spiegabile in base allo stato difettivo creatosi per irraggiamento la cui azione è quella di "inibire" i processi di scorrimento plastico, e che, entro dati limiti, è correlabile a quanto detto al punto a); c) diminuzione apprezzabile della resilienza: in particolare, va notato a questo riguardo che l'irraggiamento determina uno spostamento verso valori più elevati della cosiddetta temperatura di transizione (cioè la temperatura che segna il passaggio tra rottura fragile e duttile). Ciò significa che un acciaio o altro materiale che presenti un comportamento duttile a temperatura ambiente in assenza di radiazioni, se irradiato può comportarsi, sotto una sollecitazione d'urto, come un prodotto fragile; d) come logica conseguenza di quanto sopra, l'allungamento caratteristico di materiali metallici irradiati appare assai inferiore, di norma, a quello che si ha in assenza di radiazioni; analoghe considerazioni valgono naturalmente per la strizione; e) sono state infine rilevate modifiche nei valori della velocità di scorrimento viscoso (in genere, nel senso di una diminuzione), anche se non sempre si è giunti a conclusioni di validità generale in proposito.
Con riferimento ad alcuni materiali metallici che hanno particolare interesse nella costruzione di parti di reattori nucleari, si ricorda qui soltanto che i fenomeni suddetti sono, come è logico, particolarmente sentiti nel caso, ad es., degli acciai comuni al carbonio e di quelli legati (spec. inossidabili), solo se l'irraggiamento viene effettuato a temperature inferiori a quella ambiente. Ne consegue che se parte delle strutture operano a temperature relativamente elevate la riduzione di duttilità che costituisce la principale conseguenza dell'irraggiamento risulta poco rilevante e talora può mancare del tutto. È d'altro lato evidente che alcune parti metalliche del reattore non tormentate dal punto di vista termico e tuttavia soggette a irraggiamento potranno sensibilmente infragilirsi dopo un conveniente periodo di esposizione. Si può inoltre genericamente notare che la fragilizzazione conseguente a radiazioni sembra essere più sentita da metalli o leghe a reticolo cubico a corpo centrato (per es. acciai a basso contenuto in carbonio) che non da metalli o leghe caratterizzati da struttura cubica a facce centrate (rame-nichel, alcuni acciai speciali. ecc.). Infine, prodotti di sempre maggiore interesse nel settore della tecnologia nucleare. quali ad es. lo zircaloy-2, varie leghe d'alluminio e di nichel (Hastelloy, Inconel. Monel), nonché metalli puri (specialmente zirconio) appaiono avere talora un comportamento abbastanza soddisfacente sotto radiazioni specie se le proprietà meccaniche vengono saggiate a temperature superiori a quella ordinaria e se si tiene inoltre conto dello stato strutturale del prodotto assoggettato a radiazioni (effetto di una deformazione plastica preventiva, delle dimensioni dei grani cristallini, ecc.).
Effetti delle radïazioni sui combustibili nucleari.- In questo settore ha, come è logico, particolare importanza il comportamento all'irradiazione dell'uranio sia come tale sia sotto forma di lega sia infine allo stato di composto (per es. l'ossido UO2) disperso in adatta matrice. L'uranio metallico (v. uranio, in questa App.) presenta sotto irraggiamento fenomeni che sono almeno in tre ordini: a) un accrescimento anisotropo legato alle caratteristiche di "asimmetria" della sua cella elementare (ortorombico tra la temperatura ambiente e 663 °C) e spiegabile sulla base dell'esistenza di un processo di diffusione preferenziale dei difetti indotti da irraggiamento (fig. 4); b) un tipico corrugamento superficiale dei campioni esposti a radiazioni strettamente legato alle dimensioni medie dei grani cristallini che compongono il campione in esame; c) un caratteristico rigonfiamento, particolarmente sentito dopo irraggiamento a temperature relativamente elevate (superiori a 450 °C), connesso alla formazione, in seno allo stesso materiale, di atomi di gas di fissione (spec. cripto e xeno), la cui pressione va aumentando col crescere del tempo di esposizione, l'effetto dei quali essendo ovviamente legato alle caratteristiche meccaniche, e in particolare alla resistenza allo scorrimento viscoso, del materiale in oggetto. Per tali motivi, sono stati assai approfonditi gli studî tendenti a definire le più adatte condizioni (intensità del bombardamento, temperatura d'irradiazione, condizioni strutturali dei campioni esposti, influenza degli elementi di addizione, ecc.) atte a contenere entro limiti ammissibili le dannose influenze dell'irraggiamento. In particolare, ad es., è stato appurato che i fenomeni di accrescimento preferenziale proprî dell'uranio soggetto a radiazioni sono assai rilevanti se il materiale in esame presenta un'orientazione preferenziale legata a processi di deformazione plastica preventiva eseguiti a freddo o comunque a temperature tali per le quali non sia prevedibile una ridistribuzione dei grani secondo orientazioni del tutto casuali. L'aggiunta di elementi di addizione che esplichino un'azione affinante sulla grana cristallina o che permettano, come ad es. il molibdeno, di conservare a relativamente basse temperature una struttura quale quella γ dell'uranio dotata di maggiore simmetria (cubica a corpo centrato) e che, in assenza di elementi addizionali, risulta stabile solo a temperature elevate, consente di ridurre notevolmente gli effetti dell'accrescimento preferenziale. D'altro lato è possibile ricorrere all'impiego, per la fabbricazione di barre di combustibile, di leghe diluite in uranio, sicché la matrice metallica con la sua plasticità, può "assorbire" le dilatazioni anormali che il soluto, cioè l'uranio, subisce per irraggiamento; inoltre, elementi di combustibile possono essere preparati ricorrendo come si è accennato, a composti dell'uranio (per es UO2) dispersi in adatta matrice metallica o meno (per es. grafite), i quali appaiono in molti casi sufficientemente stabili sotto l'effetto delle radiazioni (v. uranio, in questa App.).
Gli effetti del "rigonfiamento" conseguenti alla formazione di gas di fissione in seno agli elementi combustibili possono anch'essi essere contenuti ricorrendo all'alligazione o alla dispersione di particelle non metalliche in matrici metalliche o meno o a simili artifici: resta tuttavia il fatto che questo fenomeno, sensibilizzandosi in particolare a temperature elevate, causa una netta e preoccupante differenza di comportamento sotto radiazioni tra altri metalli e leghe e l'uranio in quanto quest'ultimo non risente evidentemente dei benefici effetti di ricottura causati di norma da un conveniente innalzamento della temperatura in prodotti previamente irradiati. Infine, si tenga presente che l'uranio si comporta: agli effetti delle proprietà fisiche e meccaniche, in modo analogo ad altri materiali metallici: tra l'altro esso si fragilizza notevolmente per irraggiamento.
Effetti delle radiazioni sulla grafite. - Data l'importanza della grafite come moderatore in alcuni tipi di reattori nucleari, è opportuno citare almeno alcuni degli aspetti del comportamento della medesima sotto radiazioni. Dal punto di vista delle proprietà fisico-meccaniche, gli effetti d'irraggiamento sono di due ordini: a) modifiche delle proprietà elettroniche (resistività elettrica, effetto Hall potere termoelettrico, suscettività magnetica. ecc.); b) modifiche nelle proprietà sensibili allo stato strutturale (cioè legate all'entità dello stato difettivo indotto) quali la resistenza meccanica (specie a compressione), la conduttività termica, e, soprattutto, l'energia immagazzinata. Tralasciando di considerare gli effetti di cui in a), di minore interesse pratico, si ricorda soltanto che la grafite diviene più dura e quindi più fragile dopo irraggiamento che la sua conduttività termica si riduce sensibilmente col crescere della dose e infine, fatto questo di una certa gravità per le conseguenze che può provocare, che essa è capace di accumulare un notevole quantitativo di energia sotto irraggiamento, il cui eventuale brusco "rilascio" può non avvenire uniformemente in tutta la massa, con conseguenti possibili surriscaldamenti localizzati che possono originare inconvenienti anche gravi nell'esercizio di reattori il cui moderatore sia appunto costituito da grafite. Si noti, in particolare, che se è vero che è possibile provocare un'estrinsecazione parziale dell'energia immagazzinata mediante un conveniente riscaldamento della grafite (per es. a temperature anche di poco superiori a quelle normali di esercizio), è anche vero che gli effetti del danneggiamento per radiazioni non sono eliminabili totalmente neppure per ricotture a temperature assai elevate e pertanto resta sempre un dato quantitativo di energia residua accumulata (fig. 5). Noti incidenti nel funzionamento di reattori moderati a grafite (quali ad es. quello avvenuto a Windscale, in Inghilterra) si sono verificati appunto durante l'esecuzione di procedimenti di ricottura della grafite, realizzati alterando volutamente la marcia del reattore così da innescare, tramite un controllato surriscaldamento del moderatore, la liberazione di energia immagazzinata. Tali operazioni vanno però eseguite con molta cautela, ad evitare appunto che non si verifichino eccessivi surriscaldamenti localizzati (legati tra l'altro, come si è già in precedenza accennato, alla diminuzione di conducibilità termica che presenta la grafite per irraggiamento), e comunque non valgono a risolvere il problema in misura completa. Ricordiamo, da ultimo, che parallelamente all'accumulo di energia, l'effetto delle radiazioni sulla grafite si evidenzia attraverso variazioni dimensionali macroscopiche e tramite alterazioni dei parametri reticolari. Analogamente all'uranio la grafite presenta infatti un accrescimento anisotropo sotto irraggiamento; dato che essa assume un'orientazione preferenziale in seguito alla lavorazione meccanica, e quindi l'accrescimento si fa sentire in misura diversa a seconda della direzione nella quale lo si misura, occorre, ad es., disporre i blocchi di grafite che compongono il moderatore di un reattore secondo opportune modalità che tengono conto, tra l'altro, della "storia" di ciascun blocco. D'altro lato, l'allungamento macroscopico subìto dalla grafite e soprattutto le variazioni indotte nel parametro reticolare possono costituire utili metodi diagnostici per stabilire, dopo un dato tempo di esposizione, l'entità del danneggiamento provocato dalle radiazioni.