Radiologia medica
di Carlo Bompiani
Radiologia medica
sommario: 1. Introduzione: a) nascita e affermazione della radiologia medica; b) il progresso delle tecniche; c) le ‛nuove immagini'. 2. Ecografia: a) cenni storici; b) cenni di tecnica delle apparecchiature; c) ecografia ‛A' o unidirezionale; d) ecografia ‛B' o ecotomografia; e) presentazione ‛M' (time motion); f) dispositivi a effetto Doppler; g) futuri sviluppi; h) l'ecografia nella diagnostica ostetrica; i) l'ecografia nello studio degli organi addominali; l) l'ecografia nello studio degli organi superficiali; m) agobiopsia mirata mediante ultrasuoni; n) ecografia dell'encefalo; o) ecoftalmologia; p) ecocardiografia; q) effetti biologici degli ultrasuoni impiegati in diagnostica. 3. Termografia: a) generalità; b) termografia di contatto; c) teletermografia statica; d) teletermografia dinamica; e) impieghi diagnostici della termografia. 4. Tomografia Assiale Computerizzata (TAC): a) generalità; b) cenni storici; c) elementi di tecnica; d) la TAC nella diagnostica del sistema nervoso centrale; e) la TAC nella diagnostica degli organi addominali; f) la TAC nella diagnostica dell'apparato urogenitale; g) la TAC nella diagnostica dello spazio retroperitoneale; h) la TAC nella diagnostica del torace; i) la TAC nella diagnostica dello scheletro; l) la TAC in radioterapia; m) conclusioni. □ Bibliografia.
1. Introduzione
a) Nascita e affermazione della radiologia medica
La radiologia medica, che nel volgere di pochi anni si è imposta come un insostituibile mezzo diagnostico, nacque dall'opera di W. C. Röntgen, la cui scoperta doveva imporsi come una delle più sensazionali nel campo della fisica delle radiazioni. I progressi registrati con sorprendente rapidità dalla nuova disciplina offrirono al mondo medico-scientifico un ricco filone di ricerche: man mano che l'indagine radiologica andava perfezionandosi e precisando la propria rigorosa impostazione metodologica, nuove acquisizioni di ordine morfologico e funzionale rendevano possibile la continua, sicura strutturazione teorica della radiologia medica. In pochi anni, dopo che il Röntgen aveva comunicato la sua scoperta alla seduta dell'Accademia Fisico-Medica di Würzburg del 23 gennaio 1896, la possibilità di studiare le strutture viventi attraverso l'interpretazione delle immagini ottenute con l'impiego dei raggi X fu largamente utilizzata in diagnostica e le sezioni di radiologia furono istituite in numerosi ospedali e istituti universitari. Il continuo miglioramento delle apparecchiature per la produzione dei raggi X, dovuto a innovazioni e perfezionamenti tecnici talvolta radicali, contribuì notevolmente ad affinare l'indagine radiologica, sia consentendo di ottenere immagini di qualità decisamente migliore, sia rendendo possibili - per il ridotto pericolo di eccessiva esposizione alle radiazioni di pazienti e operatori - esami sempre più complessi.
Si delineava, a un tempo, la figura del medico specialista radiologo, secondo il concetto della radiologia clinica in continua e rapida affermazione: un semeiologo dotato di particolari strumenti tecnici, cui è richiesta la soluzione di un quesito clinico attraverso l'interpretazione anatomica e fisiopatologica delle immagini. Nei primi anni del secolo cominciarono a fiorire le scuole ed emersero i grandi maestri della radiologia: dalla loro opera ebbe inizio la sistemazione dei grandi capitoli della radiologia medica - dalla radiodiagnostica dello scheletro a quelle dell'apparato gastroenterico, del torace e del mediastino, del cuore e dei grossi vasi, ecc. - che doveva poi continuamente consolidarsi e ampliarsi sino ai nostri giorni.
b) Il progresso delle tecniche
Oltre al già menzionato perfezionamento delle apparecchiature, che in alcuni anni ridusse notevolmente il pericolo di una prolungata esposizione alle radiazioni durante gli esami radiologici, i grandi progressi della radiologia medica sono dovuti alla continua introduzione di nuove tecniche che, fino a oggi, hanno offerto insperate possibilità di indagine. A quelle che si potrebbero definire le operazioni fondamentali, cioè la radioscopia e la radiografia, rese possibili dalle comuni apparecchiature per impieghi cimici, si aggiunse quindi una serie di altri mezzi di indagine che hanno consentito l'esecuzione di operazioni particolari, alle principali delle quali si farà di seguito brevemente cenno.
Radioscopia. - La radioscopia è l'osservazione diretta di organi o di apparati su uno schermo fluorescente e rappresenta un utile complemento dell'indagine radiografica, pur senza in alcun caso potersi sostituire a questa per l'imprecisione e l'approssimazione dei dati che fornisce, in quanto è utile come esame di orientamento e di ispezione della funzionalità degli organi che le sono accessibili. La radioscopia è basata sulla proprietà dei raggi X di eccitare gli atomi di certe sostanze dando luogo a emissione di radiazioni visibili a occhio nudo come una luminosità di fluorescenza su uno schermo sul quale sia distribuita una idonea sostanza sensibile. Condizioni essenziali per un corretto esame radioscopico sono essenzialmente un buon adattamento all'oscurità dell'occhio dell'osservatore e le opportune posizioni fatte assumere caso per caso al paziente. Massima cura dell'operatore sarà sempre quella di evitare le prolungate esposizioni dei soggetti in esame alle radiazioni.
Radiografia. - La radiografia è il fondamentale mezzo di diagnostica radiologica e consente di ottenere su pellicole fotografiche l'immagine di organi e apparati opportunamente esaminati con i raggi X. Tale operazione è basata sulla proprietà dei raggi X di ridurre i sali di argento della pellicola fotografica che, sottoposta alle operazioni di sviluppo e fissaggio, rivela l'immagine delle varie parti investite dalle radiazioni. Poiché l'indagine radiografica consente di ottenere le immagini fotografiche delle parti corporee radiopache, per l'esame di organi cavi e di quelli poco o affatto radiopachi è necessario l'impiego delle tecniche di contrasto: si può senz'altro affermare che queste hanno reso possibile il grande sviluppo oggi raggiunto dalla radiologia, offrendo all'operatore un insostituibile mezzo diagnostico. I principî su cui si basa la tecnica sono sostanzialmente due: quello di iniettare in un organo cavo in esame un mezzo radiopaco che ne modelli i contorni, e quello di creare attorno all'organo in esame un ambiente trasparente ai raggi, così che l'organo stesso ne risulti in evidenza. La tecnica basata sul primo di questi due principî è genericamente designata come contrastografia opaca, l'altra come contrastografia gassosa: da esse sono poi derivate tutte le particolari tecniche di contrasto applicabili all'esame dei vari organi e apparati, che hanno reso possibili le indagini più fini e dettagliate, tra le quali è sufficiente accennare appena all'esame radiografico del digerente, all'angiografia, alla linfografia, alla colecistografia, all'urografia. A questo risultato hanno contribuito anche in maniera determinante i continui perfezionamenti tecnologici delle apparecchiature e l'introduzione di vari dispositivi accessori: tra questi merita soprattutto di essere ricordato il dispositivo per l'eliminazione delle radiazioni secondarie - specialmente quelle diffuse - che emanano dal corpo del soggetto in esame, realizzato mediante i cosiddetti antidiffusori a griglia, di vario modello, che consentono di ovviare alle alterazioni del contrasto.
Tomografia. - Questa tecnica venne introdotta all'inizio degli anni trenta e designata col termine, da taluni ancora oggi usato, di ‛stratigrafia': preconizzata verso il 1920 dal francese Boccage, fu realizzata e largamente applicata da A. Vallebona che, insieme al suo maestro V. Maragliano, ne illustrò le caratteristiche fisiche e i risultati ottenuti nella radiodiagnostica delle affezioni respiratorie, meritandosi l'attributo di ‛scopritore' della tecnica. Questa è basata sul principio che se durante l'esecuzione di un radiogramma il tubo o la pellicola radiografica o il soggetto in esame subiscono uno spostamento tale che un elemento situato in un dato piano risulti fisso sulla lastra, l'immagine di questo elemento risulterà nitida e puntiforme contro la sfumatura delle altre immagini lineari. Immaginando il corpo umano come costituito da innumerevoli strati sovrapposti, con opportuni accorgimenti tecnici è possibile eseguire radiografie sulle quali risulti di volta in volta l'immagine nitida e puntiforme di uno solo di tali strati rimasto fermo contro le ombre diluite degli altri in movimento. La radiodiagnostica si arricchiva quindi di un metodo di indagine analitico in grado di consentire lo studio dettagliato delle singole componenti dell'immagine radiografica di una data regione: presto fu possibile ottenere le immagini, isolate e perfettamente nitide, di lesioni nascoste dalla sovrapposizione di varie formazioni anatomiche. Pochi anni dopo l'introduzione della tomografia frontale, il Vallebona fece costruire apparecchi capaci di selezionare strati nella terza dimensione spaziale realizzando la cosiddetta ‛tomografia assiale trasversa': in tal modo all'indagine radiografica era offerta la possibilità della precisa localizzazione di una data lesione nelle tre dimensioni. Dalla originale operazione tomografica sono poi derivate, a opera soprattutto del Vallebona, numerose altre tecniche.
Röntgencinematografia. - I primi tentativi di operare le riprese cinematografiche delle immagini di organi esposti ai raggi X proiettate sullo schermo fluorescente furono effettuati da R. Janker nel 1926: questo metodo, detto indiretto, consentiva, è vero, di utilizzare pellicole di piccolo formato, contenendo quindi la spesa e ottenendo ottimi film, ma risultava di non facile impiego pratico per le notevoli dosi di radiazioni alle quali dovevano essere esposti i soggetti in esame. Grazie ai successivi, continui progressi della ricerca e ai miglioramenti apportati ai vari strumenti, in pochi anni si giunse a un notevole perfezionamento della tecnica cinematografica, fino alla realizzazione di film röntgenografici per mezzo di tubi amplificatori elettronici e di riprese röntgentelevisive. In particolare, l'introduzione dell'amplificatore di brillanza ha consentito la röntgencinematografia degli organi cavi con alto potere risolutivo delle immagini e limitata esposizione alle radiazioni del soggetto in esame e degli operatori.
Xeroradiografia. - Questa operazione, di recente introduzione, consente un accurato studio delle componenti dei tessuti molli. La tecnica è basata sul principio che la conduttività elettrica di particolari sostanze considerate come semiconduttori, quali ad es. il selenio, aumenta durante l'esposizione a un fascio di radiazioni: quando un foglio metallico, ad es. di alluminio, viene ricoperto da un sottile strato di selenio preventivamente caricato e quindi elettropositivo, la sua esposizione ai raggi X rende buon conduttore il semiconduttore e provoca una migrazione delle cariche verso il supporto metallico e la conseguente degradazione della carica, proporzionale all'intensità della radiazione incidente. Cospargendo la lastra xerografica così ottenuta con una polvere a carica elettrica negativa, questa si fisserà alla lastra in quantità proporzionale all'intensità di carica positiva del supporto stesso; poiché l'intensità delle radiazioni che attraversano i tessuti in esame varia a seconda della densità dei tessuti stessi, in tal modo è possibile ottenere immagini corrispondenti alle rappresentazioni elettrostatiche delle regioni esplorate. Il differente assorbimento delle radiazioni da parte delle varie strutture ne consente infatti la dimostrazione nei più fini dettagli.
Scintigrafia. - Questa tecnica è basata sulla possibilità di ottenere la rappresentazione grafica della distribuzione di una particolare sostanza radioattiva in un tessuto o in un organo in cui la sostanza stessa è elettivamente in grado di concentrarsi. La somministrazione di materiale radioattivo è seguita dalla registrazione delle radiazioni che emanano dal settore corporeo in cui è avvenuta la sua concentrazione. Se la registrazione viene effettuata tramite apparecchi forniti di schermi fluoroscopici, detti autofluoroscopi, si realizza la cosiddetta scintigrafia statica. Quando invece la registrazione si esegue per mezzo di apparecchi in grado di analizzare, tramite una testa esplorante dotata di movimenti lineari, tutto l'organo o il tessuto in studio, si realizza la scintigrafia dinamica: in questo caso, lo scintillometro per le radiazioni beta e gamma e il sistema elettronico di registrazione grafica di cui è dotato l'apparecchio consentono di convertire gli impulsi in rappresentazioni grafiche mono- o policromatiche, o in impressioni di lastre fotografiche, ecc. È così possibile esplorare funzionalmente un organo mettendone in evidenza, attraverso le variazioni del segnale grafico, zone ipercaptanti, zone ipocaptanti, lacune.
c) Le ‛nuove immagini'
I grandi progressi registrati nel corso della prima metà di questo secolo sia sul piano tecnico, sia su quello dottrinale, per le continue nuove acquisizioni di ordine anatomico e morfofunzionale, hanno rappresentato la base sicura su cui la radiologia ‛classica' ha fondato i criteri diagnostici dell'interpretazione delle immagini. Tutta la radiodiagnostica, nelle varie tecniche e operazioni cui s'è fatto precedentemente cenno, si è avvalsa di immagini ottenute principalmente con l'impiego dei raggi X, analizzandole attentamente onde pervenire a un'interpretazione logica aderente al quesito clinico. Si può affermare che il medico radiologo abbia per così dire affinato le proprie capacità diagnostiche attraverso lo studio delle immagini, pervenendo a un elevato grado di approfondimento delle conoscenze di morfologia e di fisiopatologia.
In anni a noi molto vicini, nuovi progressi tecnici hanno consentito di ottenere la rappresentazione grafica di varie parti del corpo, superficiali e profonde, mediante l'impiego di differenti applicazioni delle radiazioni X o di diversi mezzi fisici. Ne sono derivate quelle che si possono definire le nuove tecniche di formazione delle immagini, presto rivelatesi di notevole valore nel campo diagnostico. Le ‛nuove immagini' rappresentano pur sempre elementi di studio di ordine morfologico e fisiopatologico, così che del tutto naturale ne è risultata l'attribuzione, ai fini interpretativi, alla competenza del medico radiologo.
Le nuove tecniche di formazione delle immagini si sono ormai largamente affermate e imposte come utili, e talvolta indispensabili, sussidi diagnostici a completamento di quelli offerti dalla radiologia classica. Si può ben affermare che l'indagine morfologica e morfofunzionale se ne è così avvantaggiata da poter oggi offrire al clinico la soluzione dei quesiti più fini e guidare con un grado estremo di precisione l'opera del chirurgo: in una parola ha compiuto essa stessa un vero salto di qualità.
2. Ecografia
a) Cenni storici
I primi tentativi di impiego degli ultrasuoni in diagnostica medica risalgono a una trentina di anni fa, sulla base dei progressi compiuti dal sonar e dal radar durante e dopo l'ultimo conflitto mondiale: i primi dispositivi furono per l'appunto costruiti utilizzando impianti radar bellici modificati. Verso la metà degli anni cinquanta, utilizzando apparati per l'ecografia industriale, fu possibile applicare la tecnica ultracustica prima allo studio delle strutture encefaliche e all'oftalmologia e subito dopo allo studio del cuore: le prime apparecchiature per l'‛ecotomografia' (rappresentazione della immagine di una sottile sezione del corpo umano mediante ultrasuoni) risalgono al 1964.
Nel corso degli anni settanta i progressi compiuti dall'elettronica nell'elaborazione e nella registrazione delle immagini, utilizzati dapprima per ricerche spaziali, hanno consentito, una volta applicati alla diagnostica ultracustica, un notevole miglioramento della qualità delle immagini ecotomografiche: da qualche anno gli ultrasuoni, dopo una lunga sosta nei laboratori di ricerca, vengono sempre maggiormente utilizzati nella pratica clinica e sono impiegati in diagnostica medica a dosi innocue, che non comportano rischi somatici e genetici simili a quelli da radiazioni ionizzanti, legati ai metodi radiologici e radioisotopici.
b) Cenni di tecnica delle apparecchiature
Gli ultrasuoni sono una forma di energia meccanica oscillante, di frequenza superiore a quella percepibile dall'orecchio umano, cioè superiore a 20.000 cicli per secondo, e si propagano nei mezzi materiali secondo le leggi del moto ondulatorio.
Gli ultrasuoni impiegati in diagnostica medica vengono prodotti e rivelati sfruttando le proprietà piezoelettriche di particolari ceramiche cristallizzate: di solito titanio zirconato di piombo. Una differenza di potenziale applicata alle due facce di un disco di tali cristalli, per mezzo di due elettrodi, provoca una rapida variazione del suo spessore e il movimento vibratorio della superficie produce un fascio di ultrasuoni. Lo stesso cristallo, una volta cessata l'applicazione della corrente, può funzionare da rivelatore: le variazioni di spessore indotte nel cristallo da onde ultrasonore provocano la comparsa di una differenza di potenziale tra le due facce del disco, rilevabile con adatto strumentario. Il cristallo è montato su una sonda costruita in modo che una delle due facce sia a contatto con un materiale fonoassorbente, onde ottenere che l'emissione avvenga in una sola direzione: tale sonda è chiamata trasduttore e la sua superficie emittente viene posta a contatto della cute del paziente, con l'interposizione di un liquido di accoppiamento per evitare la presenza di aria, che rappresenterebbe un ostacolo alla trasmissione degli ultrasuoni.
L'eccitazione del cristallo è ottenuta di solito mediante un condensatore a scarica capacitiva che fornisce una differenza di potenziale di alcune centinaia di volt per un tempo brevissimo, inferiore a un microsecondo. Il cristallo eccitato entra in risonanza su una frequenza fissata all'atto della costruzione del trasduttore e la sua superficie produce ultrasuoni su quella frequenza sotto forma di un treno di onde. L'eccitazione viene ripetuta con una frequenza variabile dai 50 ai 3.000 impulsi per secondo; negli intervalli tra un impulso e l'altro il trasduttore riceve gli echi prodotti dai treni di onde attraverso i tessuti.
A ogni particolare frequenza una frazione costante della energia ultrasonica che attraversa un dato spessore di un determinato materiale omogeneo viene assorbita con produzione di calore; il meccanismo attraverso il quale gli ultrasuoni sono assorbiti nei materiali biologici è alquanto complicato, a causa della disomogeneità di tali materiali.
Quando le onde ultrasonore colpiscono la superficie di separazione tra due mezzi possono essere riflesse, rifratte, oppure attraversare la superficie senza deviazioni: l'entità di questi fenomeni dipende dalle caratteristiche acustiche (impedenza acustica) dei due mezzi. Quanto maggiore è la differenza di impedenza acustica tra due mezzi (prodotto delle densità delle sostanze per la velocità dell'onda sonora che le attraversa), tanto maggiore è la riflessione delle onde, che è speculare se la superficie di separazione è di dimensioni maggiori della loro lunghezza d'onda, mentre, nel caso che la superficie sia di dimensioni minori della lunghezza d'onda, la riflessione avviene in tutte le direzioni: questo secondo fenomeno è detto scattering. In diagnostica medica, al fine di discriminare strutture spesso molto piccole, è necessario che i dispositivi che generano immagini del corpo umano abbiano un buon potere di risoluzione, a prescindere dal tipo di energia impiegata per la produzione dell'immagine.
Per quanto riguarda gli ultrasuoni, il potere di risoluzione (distanza minima tra due diverse strutture alla quale queste possono essere discriminate) si distingue in assiale e laterale, intendendo per risoluzione assiale quella lungo l'asse del fascio ultrasonoro e per risoluzione laterale quella normale a tale asse: in pratica il potere di risoluzione assiale corrisponde alla lunghezza del treno di onde (lunghezza di pulsazione), mentre il potere di risoluzione laterale corrisponde al diametro del fascio suddetto. Inoltre è necessario che la penetrazione degli ultrasuoni in profondità sia tale da consentire la produzione di echi di ampiezza sufficiente per poter essere rilevata dal trasduttore.
Purtroppo la lunghezza di pulsazione, a causa delle caratteristiche costruttive dei trasduttori, non può essere inferiore al doppio della lunghezza d'onda (e quindi in pratica inversamente proporzionale alla frequenza), mentre l'assorbimento del fascio in profondità è direttamente proporzionale alla frequenza stessa: il diametro del fascio, a sua volta, è proporzionale al diametro del trasduttore, mentre la profondità oltre la quale gli ultrasuoni tendono a divergere dall'asse del fascio (e la risoluzione laterale a decrescere rapidamente) è direttamente proporzionale al quadrato del diametro del trasduttore e inversamente proporzionale a quattro volte la lunghezza d'onda. La necessità di utilizzare trasduttori che rappresentino un compromesso tra risoluzione assiale, risoluzione laterale e penetrazione in profondità limita la gamma delle frequenze utilizzabili (da 1 a 10 MHz) e il diametro dei trasduttori (da 2 a 20 mm). Un trasduttore medio di 2,25 MHz, con un diametro di 15 mm, possiede un potere di risoluzione assiale di circa 1 mm, circa 3 mm di risoluzione laterale e un potere di penetrazione utile di circa 18-20 cm.
A prescindere dalle sue caratteristiche, il trasduttore trasforma gli echi in deboli potenziali elettrici oscillanti che vengono inviati a un amplificatore costruito in modo da aumentare l'amplificazione del segnale in funzione del tempo che separa l'emissione degli ultrasuoni dalla ricezione degli echi: i potenziali elettrici generati dagli echi provenienti da maggior profondità vengono così amplificati maggiormente rispetto a quelli provenienti dai tessuti più superficiali, al fine di compensare l'assorbimento subito dal fascio: l'entità di questa compensazione è variabile da parte dell'operatore in funzione della frequenza impiegata e delle caratteristiche dei tessuti esplorati. Il segnale in uscita dall'amplificatore viene demodulato, eliminando la porzione negativa delle onde elettriche, e utilizzato in varie modalità di presentazione.
c) Ecografia ‛A' o unidirezionale
La presentazione più semplice, e la prima utilizzata, è quella unidirezionale, denominata ‛A', dove A sta per amplitude (ampiezza). I segnali generati dagli echi vengono inviati alle placche di deflessione verticale di un oscilloscopio in cui la velocità della traccia lungo la linea di base del tempo sia proporzionale a quella degli ultrasuoni nei tessuti molli: circa 1.540 m/s. Sincronizzando la frequenza dell'oscilloscopio con quella degli impulsi inviati al trasduttore gli echi vengono rappresentati come deflessioni verticali della linea di base sotto forma di picchi, la cui distanza è proporzionale a quella della struttura ecogena e l'altezza all'ampiezza dell'eco.
Questa tecnica viene ancora oggi utilizzata in neurologia, oftalmologia e in condizioni particolari per tutti gli organi, quando sia necessario rilevare con grande precisione distanza e profondità degli echi.
d) Ecografia ‛B' o ecotomografia
Nella tecnica ‛B', dove B sta per brightness (brillantezza), gli echi vengono rappresentati lungo la linea di base dello oscilloscopio sotto forma di punti luminosi, di brillantezza proporzionale alla loro intensità. I dispositivi che utilizzano questo tipo di presentazione possono essere suddivisi in due categorie: a scansione manuale e immagine statica, e a scansione automatica e immagine dinamica in tempo reale.
1. Ecotomografi a scansione manuale. - Nei dispositivi a scansione manuale il trasduttore è montato su un braccio articolato che ne permette i movimenti in diverse direzioni di un piano: mediante sistemi elettromeccanici è possibile far coincidere l'orientamento della linea di base di un oscilloscopio a memoria con quello del fascio ultrasonoro; la registrazione degli echi, che compaiono sotto forma di punti luminosi sullo schermo del tubo catodico durante lo spostamento manuale del trasduttore tenuto a contatto della cute del paziente, fornisce la rappresentazione bidimensionale delle strutture comprese nel piano di scansione. Questa tecnica viene denominata ecotomografia.
Fino a tutta la prima metà degli anni settanta furono utilizzati dispositivi di tipo ‛bistabile', nei quali si aveva la formazione sullo schermo dell'oscilloscopio di un punto luminoso di intensità fissa per ogni eco che superava un determinato ‛valore soglia'. Con questi apparecchi, per ottenere informazioni sulle caratteristiche dei tessuti esplorati, si ricorreva a diverse scansioni della stessa sezione aumentando progressivamente il ‛guadagno', cioè l'amplificazione del segnale; in pratica ciò si risolveva in un abbassamento della soglia predetta. Nelle scansioni a basso guadagno si evidenziavano i contorni dei vari organi e delle formazioni patologiche eventualmente presenti: aumentando il guadagno comparivano all'interno degli organi echi, di solito dovuti a scattering, provenienti dalle varie strutture intraparenchimali.
Le formazioni contenenti liquido non provocano comparsa di echi al loro interno e su questo fenomeno, utilizzato per la prima volta nel 1968 per discriminare la placenta dal liquido amniotico, si basa ancor oggi la diagnosi differenziale tra formazioni a contenuto solido e liquido.
La necessità di visualizzare e discriminare tra loro echi di diversa intensità in un'unica immagine spinse i ricercatori a mettere a punto ecotomografi dotati di un dispositivo noto col nome di ‛scala dei grigi analogica'. In apparati di questo tipo, il fascio di elettroni dell'oscilloscopio, detto ‛fascio scrivente', viene inviato a una griglia di semiconduttori con una matrice di circa 1.000×1.000 elementi; i vari mutamenti di carica indotti negli elementi della griglia vengono ‛letti' da un secondo fascio elettronico, detto ‛fascio di lettura', che funziona alternativamente al primo e rappresenta gli echi con diverse tonalità di grigio su un monitor TV di tipo convenzionale.
Tali dispositivi, tuttora molto validi, presentano tuttavia alcuni inconvenienti: tendenza alla sfocalizzazione dei fasci elettronici, limitazione della velocità di scansione a causa del dispositivo lettura-scrittura, dipendenza dalla temperatura ambientale. Recentemente sono stati superati da dispositivi di tipo digitale, forniti di una memoria elettronica con componenti allo stato solido, in cui tutte le funzioni dell'apparecchio sono controllate da una sorta di piccolo calcolatore che permette tra l'altro alcune elaborazioni dell'immagine anche a scansione già eseguita. Queste apparecchiature, molto complesse ma di utilizzazione più semplice da parte dell'operatore rispetto ai dispositivi precedenti, sono in grado di fornire immagini assai ricche di dettagli che si traducono in una grande precisione diagnostica.
2. Apparecchiature a scansione automatica. - Gli ecotomografi a scansione automatica possono essere suddivisi in due categorie: multisonda lineari e dispositivi per scansione a settore. I dispositivi multisonda sono costituiti da un trasduttore formato da un minimo di 60 a un massimo di 250 cristalli affiancati in parallelo. I cristalli vengono eccitati a gruppi contigui di 4 o più, onde ovviare all'inconveniente della scarsa risoluzione laterale dovuta alle loro dimensioni, secondo una certa sequenza: 1-2-3-4, 2-3-4-5, 3-4-5-6, e così di seguito, ripetuta una trentina di volte al secondo. Sullo schermo di un oscilloscopio convenzionale al fosforo la linea di base, posta verticalmente in presentazione ‛B', si muove orizzontalmente secondo la stessa sequenza del trasduttore e la persistenza dell'immagine sulla retina dell'osservatore crea l'illusione di un'ecotomografia in movimento. Tali dispositivi, che consentono di ottenere immagini di qualità comunque inferiore a quella delle immagini ottenute coi dispositivi manuali, trovano applicazione solo nello studio di strutture in movimento e sono quindi impiegati in cardiologia, in ostetricia, o in indagini orientative preliminari a quelle ecotomografiche manuali.
I dispositivi per scansione a settore sono di costruzione assai semplice e il loro principio di funzionamento discende direttamente da quello dei radar utilizzati sulle navi; il trasduttore viene fatto muovere meccanicamente lungo un arco di cerchio congiuntamente alla linea di base dell'oscilloscopio e gli echi rappresentano l'immagine del settore di cerchio esplorato. Se la velocità di scansione è sufficientemente elevata, anche con questi dispositivi si ha l'illusione del movimento. Impieghi e limiti, pur con qualche differenza, sono gli stessi degli apparati multisonda.
Un cenno particolare meritano i dispositivi per impiego endocavitario: tali dispositivi, in grado di effettuare meccanicamente una scansione di 360°, sono utilizzati quasi esclusivamente per lo studio della prostata, che viene visualizzata introducendo il trasduttore per via rettale.
Nel corso del 1979 sono stati commercializzati alcuni apparati che, pur rifacendosi al principio meccanico della scansione a settore, sono dotati di dispositivo per memorizzazione delle immagini del già descritto tipo digitale. Il trasduttore può essere unico, ma alcuni modelli dispongono di più trasduttori distanziati tra loro. Il più sofisticato di questi dispositivi è dotato di ben otto trasduttori immersi in vasca d'acqua, sopra la quale, previa interposizione di un sottile foglio di materiale plastico, viene disposto il paziente in studio; nel caso dell'esplorazione della mammella, questa viene direttamente immersa nell'acqua.
Queste apparecchiature dovrebbero, secondo i costruttori, unire i pregi delle apparecchiature manuali a quelli dei dispositivi automatici, ma la ancora molto scarsa sperimentazione clinica non consente di formulare in merito un sicuro giudizio.
e) Presentazione ‛M' (time motion)
La terza modalità di impiego degli ultrasuoni in diagnostica medica è costituita dal tipo ‛M', dove M sta per motion (movimento). Se la linea di base del tempo, con echi in presentazione ‛B', viene fatta muovere con velocità costante da un lato all'altro dello schermo oscilloscopico, gli echi prodotti da strutture in movimento vengono registrati sotto forma di onde. L'ampiezza di tali onde è espressione dell'ampiezza del movimento, mentre la lunghezza dell'onda è espressione della velocità del movimento della struttura. Il metodo trova la sua applicazione principalmente nello studio del cuore: il tracciato, oltre a essere visulizzato sull'oscilloscopio, può essere registrato su carta fotomeccanica.
f) Dispositivi a effetto Doppler
Il metodo consiste di solito nell'uso di due trasduttori, uno emittente e uno ricevente; quest'ultimo è collegato a uno speciale circuito elettronico in grado di registrare le variazioni di frequenza subite dagli ultrasuoni nell'incontro con una superficie in movimento e di rappresentarle secondo modalità diverse; di solito è utilizzata la presentazione monodimensionale, ma recenti apparecchiature sono in grado di fornire una sorta di ‛mappa' bidimensionale delle formazioni ecogene in movimento. Questi dispositivi sono impiegati per la flussimetria dei vasi sanguigni, mentre apparecchi particolari, in grado di trasformare l'effetto Doppler in suoni udibili, sono utilizzati per l'ascolto dei battiti cardiaci.
g) Futuri sviluppi
È in corso di studio la possibilità di ottenere informazioni sulle caratteristiche dei tessuti misurando la loro capacità di assorbire gli ultrasuoni. Questa misura può essere ottenuta sia per trasmissione, mediante due trasduttori contrapposti, di cui uno trasmittente e uno ricevente, sia per riflessione, misurando la differenza tra energia trasmessa ed energia riflessa. Questo tipo di applicazione diagnostica degli ultrasuoni incontra purtroppo notevoli difficoltà di ordine pratico; incoraggianti risultati sono stati comunque ottenuti nella diagnosi delle epatopatie croniche misurando l'assorbimento delle onde ultrasonore da parte del parenchima epatico.
h) L'ecografia nella diagnostica ostetrica
L'ostetricia ha rappresentato uno dei campi in cui l'introduzione degli ultrasuoni, in particolare la tecnica ecotomografica, si è rivelata di maggior interesse per l'impiego diagnostico: la diffusione che il metodo ha avuto negli ultimi anni in molti altri campi della diagnostica è stata in gran parte favorita proprio dai risultati ottenuti nelle prime ricerche in campo ostetrico.
Ancor oggi l'ostetricia appare il settore in cui l'impiego degli ultrasuoni, che non sembra presentare rischi biologici, appare più vantaggioso. L'ecografia permette lo studio della gravidanza fin dalle sue fasi iniziali: la camera ovulare è riconoscibile con certezza a partire dalla sesta settimana di amenorrea e spesso anche prima, addirittura quando le prove biologiche sono ancora negative. La diagnosi di gravidanza in fase precoce si basa sull'aumento di volume dell'utero e sulla visibilità della camera ovulare, evidenziabile come un'immagine ad anello: verso la decima settimana, con apparecchiature a ‛tempo reale' è possibile rilevare la presenza di echi pulsanti provenienti dalle formazioni cardiache embrionali, segno della vitalità del prodotto del concepimento. Sempre nelle prime settimane di gestazione nelle gravidanze gemellari dicoriali sono riconoscibili due camere ovulari. Un'interruzione della gravidanza è denunciata da una deficienza delle dimensioni della camera ovulare in rapporto all'epoca di gestazione: talvolta l'immagine ad anello scompare ed è sostituita da un agglomerato di echi, oppure l'anello appare interrotto. Importante è anche il rilievo del livello di annidamento dell'uovo, in quanto il reperto di una camera ovulare in posizione bassa ha molte probabilità di essere seguito da aborto.
Particolare significato riveste l'ecografia nei casi di emorragia nel primo trimestre di gravidanza, perché permette di distinguere un proseguimento della gestazione da una prosecuzione anomala, o un aborto incompleto da una minaccia d'aborto. La tecnica può essere inoltre utilizzata quando si sospetti una gravidanza ectopica: in tali casi i reperti sono molto variabili e una diagnosi sicura è possibile soltanto quando si abbia la ventura di visualizzare all'interno del sacco ovulare ectopico il battito cardiaco di un embrione ancora vitale. Comunque, nei casi di sospetta gravidanza ectopica la possibilità di escludere una gravidanza intrauterina, magari in presenza di formazioni anomale in sede annessiale, costituisce l'indicazione a una laparascopia per conferma della diagnosi.
Un settore in cui l'impiego degli ultrasuoni si è dimostrato insostituibile è quello della cefalometria biparietale per una valutazione delle dimensioni del feto e della regolarità del suo accrescimento. La cefalometria è possibile fin dalla undicesima o dodicesima settimana, quando la testa fetale è visualizzabile con l'ecotomografia: una volta identificata la testa, si orienta il piano di scansione sino a mettere in evidenza l'immagine lineare delle strutture mediane encefaliche: a questo punto, ricorrendo al metodo ‛A' e con l'ausilio di un ‛calibro elettronico', è possibile effettuare una misura di grande precisione del diametro biparietale. Da questo valore e da altri, quali il diametro del tronco fetale e la lunghezza vertice-podice, si può risalire alla taglia e quindi al grado di maturità fetale con una precisione maggiore di qualsiasi altro metodo diagnostico. La cefalometria fetale può essere utile per rilevare una diminuzione o un aumento del ritmo di accrescimento (insufficienza placentare, diabete materno), e altre condizioni patologiche fetali (microcefalia, anencefalia).
Con le apparecchiature più moderne è possibile evidenziare in molti casi anomalie congenite (cardiopatie, focomelia); inoltre mediante il calcolo del volume della vescica fetale e del tempo necessario al suo riempimento si può valutare la funzionalità dei reni del feto. La determinazione del sesso del nascituro non è sempre agevole, sebbene talvolta, durante esami eseguiti per altri scopi, vengano evidenziati i genitali esterni maschili. L'idramnios e l'oligamnios sono facilmente riconoscibili e la morte intrauterina del feto è rivelata dalla scomparsa del battito cardiaco e dei movimenti fetali. La placenta e la sua sede di impianto possono essere evidenziate a partire dalla decima o dodicesima settimana come un area ricca di echi, delimitata da una linea che rappresenta la superficie fetale dell'organo. Lo studio della sede di impianto placentare riveste particolare importanza nei casi di placenta praevia.
Nella diagnosi di mola vescicolare l'ecotomografia è giudicata il metodo più rapido e valido. Anche il sistema Doppler è molto usato in quanto, traducendo in segnale sonoro le variazioni di frequenza degli ultrasuoni riflessi di strutture in movimento, permette di controllare il battito cardiaco fetale anche in corso di travaglio.
i) L'ecografia nello studio degli organi addominali
Gli ostacoli principali che si incontrano nello studio della cavità addominale mediante ultrasuoni sono rappresentati dalla presenza delle ultime coste - che limitano le possibilità di studio della cupola epatica, della milza e del polo superiore del rene sinistro - e da quella del gas intestinale, che riflette in maniera praticamente totale le onde ultrasonore. È quindi preferibile eseguire l'esame a paziente digiuno dopo accurata pulizia intestinale. Lo studio del contenuto del piccolo bacino e dell'apparato genitale femminile, in particolare, richiede il riempimento della vescica onde evitare l'interposizione di anse intestinali.
L'ecotomografia del fegato è particolarmente utile nella valutazione volumetrica dell'organo e per la ricerca di eventuali alterazioni di tipo espansivo. Le neoplasie epatiche primitive o secondarie sono apprezzabili come aree più o meno ecogene rispetto al parenchima circostante, ma sempre ben riconoscibili come solide, mentre le formazioni di tipo cistico vengono rappresentate come aree rotondeggianti, prive di echi, delimitate da un contorno netto. Gli ascessi danno immagini simili, ma sono caratterizzati da pareti assai irregolari. Le epatopatie diffuse sono spesso caratterizzate da disomogeneità nella distribuzione degli echi parenchimali.
Data la possibilità di differenziare le varie strutture vascolari intraepatiche in base al loro decorso e alle loro caratteristiche ecografiche, si può spesso porre diagnosi di dilatazione dei vasi portali o delle vie biliari.
I calcoli della colecisti vengono rappresentati come formazioni intensamente ecogene al di sotto delle quali è spesso presente un cono di ‛ombra acustica', dovuto all'impossibilità da parte delle onde ultrasonore di proseguire oltre la formazione litiasica: l'indagine riveste particolare importanza nei casi in cui le comuni indagini radiologiche non siano riuscite a mettere in evidenza la vescichetta biliare.
Lo studio radiologico del pancreas presenta difficoltà in soggetti di dimensioni rilevanti a causa della situazione anatomica dell'organo: nella gran parte dei casi è comunque possibile dimostrare un suo eventuale ingrandimento in toto (pancreatiti) e la presenza di cisti, pseudocisti o tumori, purché superiori a un paio di centimetri di diametro.
Nello studio dei reni la tecnica ecotomografica è in grado di fornire elementi discriminanti tra formazioni cistiche e masse tumorali con un'evidenza di reperti tale da poter evitare, almeno nella maggioranza dei casi, indagini radiologiche complesse e non sempre prive di rischi come l'angiografia. Sono altresì dimostrabili alterazioni quali i reni policistici, l'idronefrosi e l'agenesia renale. I dispositivi più recenti consentono un'analisi del parenchima discriminando tra corticale e midollare renale: l'impiego dell'ecografia è stato così proposto nello studio di alcune nefropatie di pertinenza medica e in quello dei reni trapiantati, nei quali consente di rilevare molto precocemente la comparsa di segni di reazioni di rigetto o di complicanze postoperatorie (ematomi-urinomi).
Le indagini ecografiche sono utili nella volumetria splenica e in tutti i soggetti portatori di tumefazioni addominali di incerta origine, nei quali è spesso possibile risolvere il dubbio diagnostico o perlomeno acquisire informazioni utili per la scelta di altre successive indagini. In caso di aneurismi dell'aorta addominale il metodo è in grado di dimostrarne le effettive dimensioni e di mettere in evidenza la presenza di eventuali trombi. Anche le tumefazioni linfonodali, purché superiori a un certo diametro, possono essere evidenziate.
In campo ginecologico l'ecotomografia permette di rilevare molti aspetti della patologia ovarica (cisti, tumori, ascessi) e uterina (anomalie di posizione o di forma, agenesia, fibromiomi, tumori maligni).
Per quanto riguarda i versamenti liquidi addominali possono essere messe in evidenza quantità di liquido molto modeste sia in caso di versamenti diffusi (asciti), sia in caso di raccolte liquide circoscritte (ascessi sotto e sovraepatici, perirenali ecc.).
l) L'ecografia nello studio degli organi superficiali
L'ecografia viene utilizzata con successo nello studio della tiroide, specie nei casi di tumefazioni palpabili e in presenza di reperti scintigrafici anomali. La possibilità di impiegare frequenze elevate (5-7 MHz) consente di mettere in evidenza formazioni patologiche di 7-8 mm di diametro e di discriminare tra quelle a contenuto solido o liquido; la diagnosi differenziale tra formazioni solide di natura benigna o maligna non è altrettanto agevole.
L'ecotomografia della mammella femminile presenta alcuni problemi, dovuti essenzialmente alla mobilità dell'organo. Il metodo, almeno per ora, non è utilizzabile come indagine di screening, ma può essere impiegato solo in presenza di masse palpabili o sulla base di reperti mammografici o termografici. Valido per la discriminazione tra formazioni a contenuto liquido o solido, il metodo sarebbe in grado, almeno secondo alcuni autori, di discriminare anche tra formazioni di tipo benigno o maligno in base alla valutazione dell'assorbimento degli ultrasuoni da parte della massa tumorale. Le nuove apparecchiature a immersione dell'organo, che sono in grado di esplorare la mammella in tempo breve con scansioni multiple seriate, fanno comunque prevedere sviluppi nell'impiego della metodica.
m) Agobiopsia mirata mediante ultrasuoni
Un'interessante applicazione degli ultrasuoni riguarda la possibilità di effettuare agobiopsie mirate con controllo ecografico. La zona che interessa viene esplorata mediante un ecotomografo di tipo manuale, utilizzando un apposito trasduttore provvisto, lungo il suo asse, di un sottile canale. Eseguita la scansione, si dirige il fascio sulla formazione nella quale si intede eseguire il prelievo bioptico e si introduce un ago nel canale del trasduttore: poiché la direzione che seguirà l'ago è la stessa dell'asse del fascio, la sua punta potrà raggiungere la regione voluta con una precisione notevole. Alcuni apparecchi sono in grado di rilevare l'eco alla punta dell'ago e permettono di seguire in maniera dinamica la sua penetrazione attraverso i tessuti.
Data la sua estrema precisione il metodo trova svariate applicazioni, tra cui l'amniocentesi, le agobiopsie per aspirazione, lo svuotamento di cavità cistiche o ascessuali, le nefrostomie transcutanee.
n) Ecografia dell'encefalo
Lo spessore delle pareti ossee della scatola cranica limita enormemente l'impiego degli ultrasuoni nello studio dell'encefalo: l'ecotomografia può essere impiegata con successo solo nel neonato.
La tecnica unidirezionale può essere invece impiegata per lo studio degli spostamenti delle strutture mediane encefaliche, segno indiretto di processi espansivi endocranici; per la misura del diametro trasverso dei ventricoli laterali negli idrocefali; per il controllo della riduzione di tale diametro nei soggetti sottoposti a drenaggio chirurgico; per la diagnosi di ematomi sottodurali.
L'impiego della tomografia assiale computerizzata, di introduzione recente, ha ulteriormente limitato l'uso degli ultrasuoni nella diagnostica del sistema nervoso centrale.
o) Ecoftalmologia
Lo studio ecografico dell'occhio viene effettuato di solito per via transpalpebrale, con dispositivi di tipo ‛A' o, più recentemente, con apparecchiature a scansione automatica a settore. Vengono impiegate frequenze elevate (8-10 MHz). Le indicazioni principali riguardano: i tumori intraoculari; alcune alterazioni del cristallino; la ricerca di corpi estranei radiotrasparenti; lo scollamento della coroide e della retina in caso di opacamento dei mezzi oculari; i tumori dell'orbita; la biometria oculare.
p) Ecocardiografia
L'esame ecografico del cuore viene sempre iniziato con lo studio della valvola mitrale: mediante l'ecocardiografia ‛M' si ottengono sul tracciato informazioni principalmente sul lembo anteriore della valvola, ma anche sul lembo posteriore e sull'atrio e il ventricolo sinistro; è possibile calcolare l'ampiezza e la velocità del movimento dei lembi valvolari e valutarne lo spessore, rilevare la patologia intrinseca della valvola (stenosi, insufficienza, endocardite batterica, calcificazioni) e la patologia che interessa la valvola in via secondaria (rottura delle corde tendinee, disfunzione dei muscoli papillari, insufficienza aortica, tumori del ventricolo, stenosi subaortica ipertrofica). In caso di protesi valvolari è possibile uno studio accurato del loro comportamento.
Nello studio dell'aorta e della valvola aortica sono molto utilizzate le apparecchiature a scansione automatica, ma anche con l'impiego della tecnica ‛M' è possibile diagnosticare le stenosi congenite e acquisite, le vegetazioni valvolari, le stenosi subaortiche, gli aneurismi dissecanti e infine calcolare indirettamente la gittata cardiaca.
L'ecocardiografia consente di rilevare lo spessore delle pareti miocardiche e di valutare il volume delle camere cardiache, e rappresenta il metodo di elezione nello studio di tutte le cardiopatie congenite, specie in età pediatrica. Inoltre rende agevole visualizzare la falda liquida di una pericardite e porre diagnosi differenziale con altre cardiopatie che causano ingrandimento dell'ombra cardiaca nelle immagini radiografiche. Il metodo può essere utile, seppur con alcune limitazioni, anche nelle coronaropatie.
q) Effetti biologici degli ultrasuoni impiegati in diagnostica
L'impiego diagnostico degli ultrasuoni si basa su deboli potenze di uscita a emissione discontinua e, poiché la produzione di calore e i fenomeni di cavitazione nei tessuti corporei divengono significativi solo quando si usano intensità molto più elevate ed emissione continua, l'impiego del metodo presenta larghi margini di sicurezza, i cui limiti peraltro non sono ancora ben stabiliti. Ai valori attuali delle potenze di uscita, l'ecografia per la sua innocuità può essere impiegata ripetutamente, senza limitazioni, il che è importante nei soggetti in cui l'uso dei raggi X è controindicato (gestanti), nei soggetti in età fertile o nei bambini.
3. Termografia
a) Generalità
La termografia misura la temperatura superficiale del corpo umano su vaste superfici. Essa è stata resa possibile dalla scoperta delle radiazioni infrarosse (Herschel, 1800) e dalle ricerche di Czerny, che nel 1929 dimostrò la possibilità di misurare la temperatura del corpo attraverso le radiazioni infrarosse emesse a livello della pelle. La pelle, agendo come un corpo nero, assorbe il calore che le viene trasmesso dalle strutture sottostanti ed emette radiazioni infrarosse: ciò permette di rilevare modificazioni termiche patologiche a livello della superficie cutanea. Attualmente i metodi di studio delle variazioni locali della temperatura cutanea si basano sulle variazioni di colore, in funzione della temperatura, di cristalli liquidi applicati sulla cute (termografia a contatto), o più frequentemente sull'uso di apparecchi a rivelatore di radiazioni infrarosse che misurano a distanza la temperatura cutanea (teletermografia). Questa tecnica, introdotta negli Stati Uniti da Lawson e J. Gershon-Cohen nel 1957, si è diffusa notevolmente negli ultimi anni grazie ai progressi dell'elettronica che hanno favorito il perfezionamento delle apparecchiature.
La termografia dev'essere considerata come un metodo complementare ad altri metodi diagnostici, in particolare alla radiologia, da utilizzare su precise indicazioni cliniche. Rispetto ai metodi radiologici ha il vantaggio di essere del tutto innocua e quindi di poter essere utilizzata senza limitazioni. Le radiazioni infrarosse sono radiazioni elettromagnetiche di lunghezza d'onda compresa fra 7.600 e 500.000 Å; vengono emesse da tutti i corpi che abbiano una temperatura superiore allo zero assoluto e hanno proprietà simili a quelle della luce. La loro rilevazione può essere realizzata con pellicole fotografiche sensibilizzate all'infrarosso con cianina e con strumenti termoelettrici. Nella pratica clinica, attualmente si adoperano i termografi all'infrarosso, o meglio i teletermografi, che a distanza di 2-3 metri dal soggetto, attraverso un sistema ottico e idonei rivelatori di calore, trasformano la temperatura in segnali elettrici che a loro volta, per mezzo di circuiti elettronici, vengono trasformati in immagini, presentate sullo schermo di un tubo catodico. L'immagine può essere in bianco e nero, con differenti tonalità di grigi, o a colori, con tutta la gamma che va dal blu (freddo) al bianco (caldo) passando per il viola, il verde e il giallo. La temperatura del corpo umano varia da 29 a 38 °C, con differenze da individuo a individuo e a seconda delle condizioni d'esame. Più che il valore assoluto della temperatura della regione esaminata hanno importanza le differenze di temperatura fra regioni simmetriche del corpo o fra la regione che interessa e un'altra di riferimento.
I metodi termografici utilizzabili in campo clinico sono: la termografia di contatto con cristalli liquidi, la teletermografia statica e la teletermografia dinamica.
b) Termografia di contatto
La termografia di contatto si basa sull'impiego di cristalli liquidi microincapsulati di colesterolo, i quali reagiscono alle variazioni di temperatura con modificazioni strutturali che si traducono in variazione di colore; essa può essere eseguita mediante applicazione diretta sulla cute, per spennellatura della sostanza termosensibile, o meglio applicando a contatto della cute fogli di materiale plastico in cui sono incorporati i cristalli colesterolici. Questo metodo, adatto a misurare differenze termiche cutanee su aree di limitate dimensioni, fornisce una mappa termica a colori che puo essere facilmente fotografata. La termografia di contatto è utile soprattutto per lo studio delle anomalie vascolari su aree circoscritte, per esempio nelle malattie della mammella.
c) Teletermografia statica
La teletermografia statica rivela la distribuzione della temperatura cutanea su aree di vaste dimensioni: il sistema di misura della temperatura adottato è sensibile e preciso, e fornisce un'immagine fotografica in cui sono ben apprezzabili le variazioni termiche superficiali. Questo metodo, tuttavia, è piuttosto lento e pertanto scarsamente utilizzato.
d) Teletermografia dinamica
La teletermografia dinamica è il metodo oggi preferito, perché mette immediatamente a disposizione dell'osservatore, sullo schermo di un monitor, l'immagine della distribuzione della temperatura cutanea su vaste superfici. I teletermografi dinamici sono composti da un sistema ottico che riprende l'immagine della superficie in esame: per mezzo di un sistema di prismi ruotanti l'immagine viene esplorata punto per punto. L'energia termica dovuta alle radiazioni infrarosse viene raccolta da un rivelatore che la converte in segnale elettrico: questo, attraverso idonei sistemi elettronici, viene a sua volta convertito in un segnale luminoso che forma sullo schermo di un monitor l'immagine della distribuzione termica registrata sulla superficie in esame.
Questo sistema, grazie alla visione continua dell'immagine in ‛tempo reale', consente l'esame termoscopico della superficie cutanea. È così possibile modificare, sulla guida termoscopica, la posizione del soggetto in esame per la scelta delle incidenze più idonee alla dimostrazione delle alterazioni termiche ed eseguire una palpazione mirata delle aree patologiche. L'immagine viene fornita a colori o in bianco e nero, mettendo meglio in evidenza, rispettivamente, le variazioni termiche locali o le alterazioni vascolari, e viene riprodotta con sistemi fotografici o cinematografici: gli apparecchi moderni possono essere forniti di memoria magnetica. Le immagini hanno un'alta risoluzione (350.000 punti) e una sensibilità dell'ordine di 0,2 °C.
e) Impieghi diagnostici della termografia
La termografia trova la sua principale indicazione nello studio delle malattie della mammella, in quanto permette lo studio della termogenesi tumorale e delle anomalie vascolari che si determinano in presenza di tumori maligni. Essa consente di studiare la temperatura assoluta dei diversi punti della mammella e di mettere in evidenza comparativamente le differenze di temperatura fra punti simmetrici delle due mammelle. Inoltre, con tecnica appropriata si può evidenziare il decorso dei vasi ipertermici sufficientemente vicini alla pelle.
Si deve tener presente tuttavia, come è stato già accennato, che la pelle ritrasmette il calore che le viene trasmesso dai tessuti sottostanti: pertanto diverse condizioni (profondità del tumore, basso gradiente termico fra tumore e tessuti circostanti, distanza del tumore dalla cute, scarico venoso profondo anziché superficiale, eccessivo spessore del tessuto sottocutaneo, alterazioni della pelle, e altre) influenzano negativamente la ricezione e l'emissione del calore da parte della cute.
Per un'interpretazione attendibile è necessario esaminare i termogrammi seguendo criteri precisi, determinati soprattutto da alcuni autori francesi che hanno a lungo sperimentato questa tecnica. La valutazione di alcuni parametri (vascolarizzazione cutanea mammaria; gradiente termico di un'area ipertermica rispetto alla cute vicina a quella della corrispondente area controlaterale e alla regione xifoidea; estensione e forma dell'area cutanea ipertermica; aspetto dei contorni della zona ipertermica) definisce gli elementi di sospetto e i segni di malignità. È possibile così classificare i termogrammi in categorie, distinguendo i normali e i patologici di tipo benigno da quelli sospetti o di tipo maligno.
Come altri metodi diagnostici, il valore della termografia non è tuttavia assoluto, ma limitato dalle false negatività (circa 9%) o dalle false positività. Fra le cause di queste ultime sono comprese le forme infiammatorie, alcuni tumori benigni, alcune condizioni fisiologiche (periodo premestruale, gravidanza iniziale) o modificazioni funzionali da assunzione di farmaci (contraccettivi orali). Un aspetto interessante è la possibilità di ottenere elementi orientativi sullo stato evolutivo del tumore, utili per la formulazione di un giudizio prognostico e per la scelta del trattamento. Va precisato tuttavia che la termografia nel campo della diagnostica mammaria è un metodo complementare alle altre indagini (esame clinico, esame radiologico, transilluminazione, eventuale agobiopsia, ricerche ormonali): peraltro, per la sua assoluta innocuità può essere utilizzato senza limitazioni e ripetuto periodicamente per sorvegliare i casi dubbi e per i controlli post-terapeutici, per individuare possibili recidive locali e per controllare la mammella residua nelle pazienti mastectomizzate. Essendo un metodo sensibile anche se non specifico, può consentire, nel campo della diagnosi precoce, la scoperta di un tumore in fase preclinica, con una frequenza che oscilla tra il 5 e il 10% nelle casistiche raccolte da diversi autori.
Oltre che nel campo della patologia mammaria, la termografia può essere utilizzata, sempre come metodo complementare, nello studio della patologia tiroidea, delle alterazioni vascolari arteriose e venose degli arti e del cranio, della patologia articolare reumatica; nel controllo dell'effetto dei farmaci; in varie altre situazioni.
4. Tomografia Assiale Computerizzata (TAC)
a) Generalità
La Tomografia Assiale Computerizzata (TAC) è una nuova tecnica radiologica basata sulla ricostruzione dettagliata delle immagini di sezioni trasversali del corpo, operata sulla base di un insieme di valori misurati dall'attenuazione di un fascio di raggi Röntgen prodotta dal corpo da essi attraversato.
Come dice la sua denominazione, la tomografia computerizzata o tomodensitometria si basa sull'uso di un computer che provvede all'analisi dei dati sull'attenuazione delle radiazioni e alla ricostruzione dell'immagine. I fotoni che compongono un fascio di radiazioni Röntgen, emesso da un'appropriata sorgente, nell'attraversare il corpo di un soggetto in esame vengono in parte assorbiti, in quantità diversa a seconda delle proprietà fisiche delle strutture anatomiche che incontrano sul loro percorso.
Nella radiologia tradizionale le informazioni contenute nel fascio di radiazioni emergente vengono trasferite a un sistema di rivelazione piano rappresentato dalla pellicola radiografica. Su di questa si ottiene l'immagine bidimensionale di un oggetto tridimensionale, cioè un'immagine risultante dalla somma delle immagini dell'infinito numero di piani sovrapposti che compongono l'oggetto. La somma delle informazioni sugli stessi punti della pellicola radiografica produce una diminuzione del contrasto radiografico, dovuto alle differenze di attenuazione delle radiazioni da parte dei diversi tessuti, riducendo la visibilità dei contorni degli organi riprodotti.
La tomografia tradizionale, ideata per lo studio radiografico selettivo di strati definiti del corpo, non elimina completamente l'effetto delle sovrapposizioni: anche se con questa tecnica le informazioni relative agli strati che non interessano vengono più o meno disperse sulla pellicola radiografica, il fascio di radiazioni, attraversando gli strati sopra e sottostanti quello in esame, proietta sulla pellicola la loro immagine più o meno deformata a seconda della loro distanza, creando spesso immagini false o di disturbo.
La tomografia assiale computerizzata, avvalendosi di tecniche del tutto diverse da quelle radiologiche tradizionali, fornisce le immagini di strati trasversi del corpo umano di spessore ben definito, senza effetti di sovrapposizione degli strati contigui, e dà informazioni di tipo quantitativo sull'attenuazione delle radiazioni in volumi unitari molto piccoli delle strutture riprodotte. A questo risultato si è giunti con l'impiego, in luogo delle pellicole radiografiche, di rivelatori di radiazioni di alta sensibilità (cristalli a scintillazione, rivelatori a ionizzazione, semiconduttori), di fasci di radiazioni molto sottili e ben collimati, e di calcolatori elettronici.
La TAC si basa sulla tecnica di ricostruzione da proiezioni. Una sezione piana trasversale del corpo del paziente viene attraversata da un fascio di radiazioni, reso sottile in misura tale da attraversare solo quella particolare sezione. I dati di proiezione, raccolti da un rivelatore collimato o da un complesso di rivelatori, vengono elaborati dal calcolatore secondo metodi matematici detti algoritmi. La presentazione su uno schermo a raggi catodici dei valori calcolati dal computer e trasformati in un'immagine visiva è un'approssimazione della distribuzione dei coefficenti di attenuazione delle radiazioni nella sezione trasversa.
La TAC è un metodo sostanzialmente ‛non invasivo' che, esponendo a dosi di radiazioni relativamente basse, fornisce immagini di elevato contrasto ma di risoluzione spaziale relativamente limitata. La tecnica di costruzione degli apparecchi e i metodi di calcolo impiegati sono in continua evoluzione, al fine di ottenere immagini migliori con riduzione delle dosi di radiazioni al paziente. Tuttavia, anche per le immagini di miglior qualità, l'interpretazione talvolta resta difficile, sebbene il rapido aumento dell'esperienza e le ricerche anatomiche e anatomopatologiche in corso vadano progressivamente risolvendo molti problemi interpretativi.
b) Cenni storici
La teoria della ricostruzione matematica delle immagini si deve al matematico austriaco G. Radon, che nel 1917 dimostrò la possibilità di riconoscere tutte le strutture interne di un oggetto tridimensionale dalle informazioni contenute nella infinita serie delle sue proiezioni. La realizzazione pratica della tomografia assiale computerizzata, resa possibile dagli sviluppi dei calcolatori elettronici, è opera dell'ingegnere inglese G. H. Hounsfield, impegnato nella ricerca elettronica presso una ditta di registrazione e riproduzione musicale.
In precedenza alcuni autori (W. H. Oldendorf e D. E. Kuhl) avevano proposto e sperimentato l'impiego dei calcolatori e dei rivelatori collimati in radiologia e nella rivelazione assiale di radioisotopi contenuti nel corpo dei pazienti, mentre la possibile utilizzazione della tomografia ricostruttiva in radiologia era stata esaminata dal fisico americano A. M. Cormak in alcuni lavori del 1963-1964.
Gli esperimenti preliminari di Hounsfield, iniziati alla fine degli anni sessanta su oggetti di materiale plastico con mezzi tecnici rudimentali, consentirono al loro autore la dimostrazione della validità della soluzione da lui stesso ideata. Con la collaborazione del neuroradiologo G. Ambrose furono proseguiti, su campioni di cervello e su corpi di animali, gli esperimenti che permisero di accertare la grande sensibilità e precisione del sistema.
La prima TAC sperimentale, concepita per indagini sul cranio, entrò in funzione alla fine del 1971, e nel 1972 furono resi noti i primi risultati che suscitarono un enorme interesse per il fatto che, per la prima volta dalla scoperta dei raggi X, era stato possibile ottenere l'immagine diretta di strutture e di alterazioni cerebrali: l'entusiamo che ne derivò si può paragonare a quello prodotto, in seguito alla scoperta dei raggi X alla fine del secolo scorso, dalla prima radiografia di una mano eseguita pubblicamente da W. C. Röntgen, che dimostrava la possibilità di riprodurre in una immagine fotografica le strutture ossee del corpo. In breve tempo furono realizzati ed entrarono in funzione (1974) apparecchi per lo studio di tutto il corpo, che estesero con grande rapidità l'impiego della TAC al di là dei confini dell'esame del cranio. Da allora la TAC ha compiuto progressi enormi, grazie anche al contemporaneo progredire delle tecnologie elettroniche in altri settori: nuovi modelli di apparecchiature sono stati ideati da fisici e ingegneri allo scopo di migliorare la qualità delle immagini, all'inizio piuttosto grossolana.
Si è giunti così rapidamente alla quinta generazione di apparecchi, che si differenziano fra di loro per molte caratteristiche tecniche ma soprattutto per quella più appariscente della velocità di realizzazione dell'immagine: le due fasi dell'acquisizione dei dati da parte del sistema di misura e della loro elaborazione da parte del calcolatore, che richiedevano inizialmente tempi di alcuni minuti ognuna, sono attualmente svolte dagli apparecchi delle ultime 3 generazioni in tempi molto più brevi, complessivamente ridotti a pochi secondi (3-5). Inoltre già da qualche anno sono stati elaborati studi per la realizzazione di sistemi che dovrebbero consentire lo svolgimento della fase di acquisizione dei dati in tempi dell'ordine del centesimo di secondo; non risulta, tuttavia, che apparecchi di questo tipo, più complessi e più costosi, siano stati per ora realizzati.
Contemporaneamente al progresso tecnico si è enormemente sviluppato l'uso del metodo tomografico computerizzato in campo clinico, nonostante che la diffusione delle attrezzature per TAC sia stata frenata dal loro alto costo, tanto che oggi alcuni metodi diagnostici, fino a qualche anno fa utilizzati per l'accertamento di alterazioni di diversi organi, sono caduti in disuso o vengono impiegati con frequenza ridotta. Per la realizzazione della TAC l'ing. Hounsfield, insieme ad alcuni dei suoi predecessori, ha ricevuto numerosi riconoscimenti scientifici, tra cui il premio Nobel per la medicina assegnato congiuntamente a lui e a Cormak nel 1979.
c) Elementi di tecnic
Se si contrappone un rivelatore di radiazioni a un tubo produttore di raggi X, si può misurare l'attenuazione di un fascio di radiazioni di intensità nota da questo emergente dovuta alla presenza di un oggetto interposto fra i due apparecchi e attraversato dal fascio stesso: il valore ottenuto indica l'attenuazione complessiva prodotta dall'oggetto in tutto il suo spessore, dovuta a tutti i suoi componenti allineati sul percorso delle radiazioni. Il fascio di radiazioni, ridotto con un collimatore a un sottile ‛pennello' di raggi X, viene spostato linearmente insieme al rivelatore in modo che attraversi l'oggetto considerato da un'estremità all'altra; il ‛profilo di misura', ottenuto misurando continuamente la intensità della radiazione emergente lungo il percorso compiuto dal fascio, indica l'attenuazione delle radiazioni prodotta dallo strato dell'oggetto, definito dalla larghezza del fascio lungo la linea di spostamento.
Per la ricostruzione dell'immagine dello strato esplorato in tutti i suoi punti sarebbe necessario disporre di un numero infinito di tali profili, rilevati in tutte le direzioni possibili. In pratica, la ricostruzione dell'immagine si può ottenere con buona approssimazione da un numero finito di ‛profili', rilevati sotto angoli diversi compresi in un arco di cerchio di 1800. Nelle apparecchiature per TAC i profili di misura sotto angolazioni diverse vengono ottenuti con soluzioni tecniche che in pochi anni sono state profondamente modificate allo scopo di ridurre i tempi di acquisizione dei dati di misura, dando luogo a una serie di generazioni successive di apparecchiature.
Gli apparecchi della prima generazione, derivati dal prototipo sperimentale realizzato da Hounsfield, sono contraddistinti dall'uso di un ‛pennello' di raggi X molto sottile ‛visto' da un unico rivelatore (cristallo scintillatore accoppiato a un fotomoltiplicatore) adeguatamente collimato. Il sistema tubo-rivelatore compie, per mezzo di un dispositivo meccanico di alta precisione, scansioni lineari mediante traslazioni trasversali alternate a rotazioni di un arco di cerchio di 1°. I movimenti di traslazione-rotazione vengono ripetuti finché il sistema non abbia compiuto una rotazione di 180°. Per tale motivo l'acquisizione delle informazioni è molto lenta (circa 5 minuti), il che provoca l'inconveniente della comparsa di artefatti dovuti a movimenti involontari del paziente, ai movimenti respiratori e allo spostamento del gas intestinale per contrazioni peristaltiche.
Per ridurre i tempi di scansione, e quindi gli artefatti, sono stati realizzati sullo stesso principio apparecchi più rapidi (seconda generazione), con tempi di scansione di 18-20 secondi. In questi apparecchi il fascio di radiazioni è a ventaglio, con un angolo di apertura di pochi gradi, ‛visto' da un sistema di rivelatori (12-30) disposti su di un arco di cerchio corrispondente all'apertura del fascio. Il sistema compie scansioni trasversali alternate a movimenti di rotazione di un numero di gradi pari a quello coperto dai rivelatori. In questo modo a ogni scansione lineare si ricavano contemporaneamente profili di misura sotto angoli diversi e il numero delle traslazioni-rotazioni viene sensibilmente diminuito. Di conseguenza, essendo molti pazienti in grado di trattenere il respiro durante le scansioni, che come si è detto durano 18-20 secondi, si ottiene una riduzione degli artefatti da movimenti respiratori con notevole miglioramento della qualità delle immagini. Abbinando due file di rivelatori si ottengono contemporaneamente le riproduzioni di due strati contigui, dimezzando il tempo totale d'esame.
Nella terza generazione il fascio di raggi X è configurato a ventaglio, con un angolo di apertura tale da comprendere tutto il campo di esplorazione, ossia tutta la sezione trasversale del corpo del paziente: contrapposto al tubo generatore di raggi è collocato un elevato numero di rivelatori (circa 300), disposti su un arco di cerchio compreso fra i limiti geometrici del fascio, che misurano ognuno l'intensità di una piccola porzione del fascio. Il movimento del sistema in questo tipo di apparecchio è rappresentato da una rotazione di 360° del complesso sorgente-rivelatori, senza movimenti di traslazione. In tal modo, con la notevole riduzione del tempo di acquisizione dei dati (2-5 secondi), si elimina la maggior parte degli artefatti da movimenti respiratori e peristaltici intestinali; tuttavia la rotazione semplice può dar luogo ad artefatti circolari, se varia la risposta dei singoli rivelatori. L'emissione delle radiazioni avviene a impulsi (1 impulso per grado di rotazione) di brevissima durata: a ogni impulso viene rilevato un profilo di misura.
Nella quarta generazione il principio è analogo, ma il movimento di rotazione è limitato al solo tubo: i rivelatori, stazionari e in numero molto alto (700 e oltre), coprono un intero arco di cerchio (3600) concentrico, ma esterno, a quello descritto dal tubo durante il movimento rotazionale di 360°. I tempi di scansione e di acquisizione dei dati sono altrettanto brevi (2-5 secondi).
Nella quinta generazione la corona dei rivelatori (più di 1.000) è situata all'interno dell'orbita di rotazione del tubo e compie un particolare movimento ‛mutazionale' con il quale si evita l'interferenza dei rivelatori col fascio di radiazioni prima che questo attraversi il paziente: la minore distanza fra rivelatori e paziente assicura un miglioramento nella definizione dell'immagine. Con gli apparecchi a scansione rapida è possibile, mediante l'emissione delle radiazioni a impulsi sincronizzati con parametri fisiologici, quali un monitoraggio elettrocardiografico, ricostruire l'immagine di organi in movimento rapido, come il cuore. Com'è stato accennato, sono stati elaborati progetti per la realizzazione di tomografi computerizzati capaci di eseguire scansioni ‛istantanee', cioè in frazioni di secondo, e quindi particolarmente adatte allo studio di organi in movimento: non risulta tuttavia che tali apparati siano stati finora realizzati e sperimentati.
Un'altra differenza fra le diverse ‛generazioni' di scanners è dovuta ai rivelatori impiegati. All'inizio i rivelatori erano costituiti da cristalli scintillatori accoppiati a fotomoltiplicatori: successivamente si è passati all'adozione di rivelatori a gas (xeno ad alta pressione) funzionanti sul principio della camera a ionizzazione, che oltre a una buona stabilità elettronica presentano il vantaggio di essere di dimensioni più piccole e meno costosi di quelli a cristallo scintillatore con fotomoltiplicatore.
Negli apparecchi più recenti c'è stato un ritorno ai rivelatori allo stato solido con l'utilizzazione di un grande numero di elementi di dimensioni molto piccole, per aumentare l'efficienza totale del sistema. Il lato negativo di questi apparecchi è rappresentato dal costo superiore a quello dei precedenti, dovuto al maggior numero e al maggior costo dei rivelatori impiegati.
Una caratteristica importante della TAC è la ‛risoluzione' dell'immagine, che ha avuto anch'essa una notevole evoluzione, parallela a quella dei sistemi di acquisizione dei dati. Nella TAC si considerano due generazioni di risoluzione: quella spaziale e quella di contrasto.
La risoluzione spaziale è la capacità di distinguere strutture di contrasto molto alto (aria, osso) in un mezzo omogeneo della densità dell'acqua: più alta è la risoluzione, più fine è il dettaglio delle immagini. La risoluzione spaziale è strettamente legata alle dimensioni della matrice, cioè al numero degli elementi unitari che compongono l'immagine numerica, ovvero alla loro area. La prima TAC ricostruiva immagini su una matrice di 80×80 o 160×160 elementi: gli ultimi modelli possono ricostruire le immagini su matrici di 512×512 o anche più elementi. La superficie degli elementi di matrice (detti pixel) è, invece, diminuita dalle iniziali dimensioni di 3×3 mm alle attuali di 0,5×0,5 mm per le matrici a maggior numero di elementi.
La risoluzione in contrasto, o in densità, può essere intesa come la precisione di misura per ogni elemento della matrice. Questa precisione dipende dal ‛rumore' del sistema, inteso come parte del segnale che non contribuisce all'informazione desiderata: il rumore può derivare da fluttuazioni statistiche, da radiazioni non desiderate o da limiti dei dispositivi elettronici impiegati. Se il rumore aumenta, aumentano anche, per un mezzo omogeneo, le differenze dei valori di densità nei singoli elementi di matrice: di conseguenza si riduce la possibilità di distinguere strutture che presentano modeste differenze nel potere di attenuazione (basso contrasto), cioè si riduce la risoluzione in contrasto.
Risoluzione in densità, o nei bassi contrasti, e risoluzione spaziale sono in relazione reciproca. Cioè, per esposizioni a quantità di radiazioni uguali e a parità di spessore dello strato esplorato, l'aumento della risoluzione spaziale (cioè la riduzione delle dimensioni dei pixel) produce una diminuzione della risoluzione nel basso contrasto. Ciò perché a parità di altre condizioni la riduzione dell'area dei pixel comporta una minor precisione di misura nei singoli volumi unitari di misura (detti voxel) in essi rappresentati, a causa dell'aumento delle fluttuazioni statistiche delle misure. Questo inconveniente potrebbe essere superato aumentando le intensità delle radiazioni, ma vi si oppone la necessità di mantenere in limiti ristretti la dose assorbita dal paziente.
Considerazioni analoghe si possono fare per i rapporti fra risoluzione e spessore dello strato esplorato (variabile da 3 a 13 mm) ovvero volume unitario rappresentato nell'unità di matrice. La ricostruzione dell'immagine viene effettuata mediante algoritmi (procedimenti graduali, di solito ripetitivi, per risolvere un particolare problema matematico), mediante i quali viene attribuito un valore digitale (cioè numerico) ai singoli elementi di matrice, corrispondente al coefficiente di attenuazione della radiazione nel volume di tessuto in essi rappresentato. La matrice è costituita da un insieme rettangolare di numeri (elementi) disposti su righe a colonne a formare una specie di griglia. Le dimensioni della matrice sono date dal numero degli elementi che la compongono (160×160; 256×256; 320×320; 512×512 o più): l'area dei singoli elementi diminuisce con l'aumento del loro numero.
Il volume di tessuto rappresentato in ogni cella, o elemento, ha un'area pari a quella della cella stessa e uno spessore pari a quello dello strato attraversato dal fascio di radiazioni. L'attribuzione dei valori di attenuazione - relativi ai volumi unitari di tessuto - alle rispettive celle di matrice in base ai valori di attenuazione registrati nei profili di misura viene eseguita con un numero di operazioni matematiche molto elevato, alla cui esecuzione provvede il calcolatore. All'inizio i procedimenti di calcolo adottati erano basati sul principio dell'iterazione: il metodo iterativo è teoricamente semplice ma presenta lo svantaggio che il procedimento di calcolo non può essere iniziato prima che siano completate le misure di tutta la serie di proiezioni; il radiologo doveva quindi accettare un tempo di attesa non insignificante (diversi minuti) per poter osservare l'immagine ricostruita. Attualmente il metodo generalmente adottato è quello della convoluzione, o retroproiezione filtrata. Il profilo dell'intensità delle radiazioni, misurato oltre l'oggetto, viene digitalizzato e trasformato in profilo di attenuazione a segmenti (delle dimensioni delle celle di matrice) e, dopo la trasformazione dei valori di attenuazione in forma logaritmica, viene riproiettato su di una superficie (la matrice): l'operazione viene ripetuta per tutte le direzioni corrispondenti a quelle di misura. La sovrapposizione di tutte le retroproiezioni dà luogo all'immagine dello strato. L'immagine così ottenuta è però insoddisfacente, perché ogni variazione dei profili di intensità retroproiettati influenza tutta l'immagine nella direzione di retroproiezione, provocando artefatti a stella e sfumatura dei dettagli. Per eliminare questo inconveniente è necessario filtrare le retroproiezioni eliminando quelle informazioni che producono le sfumature: si procede cioè alla ‛convoluzione', consistente nella correzione dei valori logaritmici di ogni profilo di misura con funzioni matematiche correttive; i valori corretti vengono retroproiettati per la formazione dell'immagine. Sostanzialmente la convoluzione trasforma in valori negativi quella porzione di valori positivi del profilo di densità che, distribuendosi nell'immagine, darebbe luogo agli artefatti e alla sfumatura. Il vantaggio di questo metodo su quello iterativo consiste nel fatto che, oltre a essere più precisi, i calcoli per la ricostruzione dell'immagine possono essere iniziati già durante la scansione e il tempo necessario per completare la ricostruzione dell'immagine è molto più breve.
Per dare un'idea della complessità del procedimento e della quantità di operazioni eseguite dal calcolatore, vengono riportati alcuni dati relativi a un apparecchio di terza generazione, con tempo di scansione di 4 secondi su 360°, e sistema di misura costituito da 256 rivelatori a cristallo (+4 di riferimento), eccitati da impulsi di radiazioni della durata di due millesimi di secondo prodotti a intervalli angolari di 1°. Poiché ogni rivelatore emette un segnale di misura per ognuno dei 360 impulsi di radiazione, nei 4 secondi della durata della scansione, escludendo i 4 rivelatori di riferimento, vengono emessi complessivamente 92.160 segnali di misura.
Il processo di convoluzione comporta, per ogni impulso di radiazione, la correzione del segnale di ogni rivelatore per il contributo alla ricostruzione dell'immagine di tutti gli altri rivelatori: in altri termini la convoluzione comporta 256 moltiplicazioni per ognuno dei 256 rivelatori, cioè 65.536 moltiplicazioni dopo ogni impulso di radiazione, che vengono effettuate in 10 ms, essendo di 11 ms l'intervallo di tempo fra l'emissione di un impulso di raggi X e quella successiva (per 4 secondi di tempo di scansione). Successivamente viene effettuata, in tempo trascurabile, la somma di tutti i contributi calcolati per ogni ‛raggio' del fascio di radiazione, cioè per ogni porzione del fascio dei singoli rivelatori. Il passo successivo nella ricostruzione dell'immagine è la retroproiezione che, per l'apparato considerato con dimensioni di matrice di 256×256, comporta altre 65.536 moltiplicazioni. L'impiego di elaboratori molto rapidi e la suddivisione del procedimento di calcolo in stadi successivi, svolti da elaboratori secondari in serie coordinati da un calcolatore centrale, consente di ottenere l'immagine immediatamente dopo la fine della scansione, cioè in meno di 5 secondi dall'inizio della definizione dei dati.
L'immagine TAC è costituita da una serie di valori numerici di attenuazione attribuiti alle celle della matrice: questi valori, immagazzinati in una memoria, vengono successivamente elaborati e trasformati, attraverso la selezione di un campo definito di coefficienti di attenuazione, per essere rappresentati come livelli di grigio, o diversi colori, di una immagine visiva riprodotta su di un monitor televisivo. Per analogia con le immagini radiologiche tradizionali, le strutture di più elevato coefficiente di attenuazione sono riprodotte in toni più chiari e quelle meno radiopache in toni più scuri. È possibile così riconoscere le sezioni degli organi riprodotti nell'immagine dello strato e la presenza di eventuali alterazioni dei tessuti, che si manifestano come variazioni del tono di grigio, o del colore, correlate alle modificazioni locali del coefficiente di attenuazione dovute al processo patologico.
Per mettere meglio in evidenza le diverse strutture riprodotte e le eventuali alterazioni si può modificare il contrasto dell'immagine. Come si è detto l'immagine è formata dai valori di densità trasformati in toni di grigio. La gamma dei valori presentati sotto questa forma, la cosiddetta ‛finestra', può essere variata secondo le esigenze: l'ampliamento della finestra mette in evidenza un maggior numero di strutture di densità differente, ma diminuisce il contrasto dell'immagine; la riduzione della finestra, viceversa, aumenta il contrasto, ma riduce il numero di strutture rappresentate. Inoltre la finestra è centrata su di un valore medio: spostando il centro della finestra verso valori più o meno alti, si possono rendere evidenti strutture rispettivamente di maggiore o minore densità.
Una valutazione più precisa può essere realizzata analizzando i valori numerici del coefficiente di attenuazione distribuiti su di una scala arbitraria che va, nella maggior parte degli apparecchi, da −1.000 per l'aria a +1.000 per l'osso compatto, essendo assegnato lo O al coefficiente di attenuazione dell'acqua. Questi valori sono denominati Unità Hounsfield (UH) o numeri TAC: una UH rappresenta una variazione dello 0,1% dell'attenuazione in rapporto a quella dell'acqua. Alcuni apparecchi adottano una scala di numeri TAC da −500 a +500 (U. EMI). Per mezzo di dispositivi elettronici si può delimitare sull'immagine del monitor un'area di interesse e leggere il valore medio dei numeri TAC su quell'area, la deviazione standard, il numero dei pixel compresi nell'area e altri parametri.
La maggior parte degli apparecchi consente di ottenere la distribuzione dei valori densitometrici in istogrammi e profili di densità che documentano meglio il grado di omogeneità di una lesione o ne definiscono meglio i limiti. Per mezzo di una stampante i valori di densità della matrice possono essere riprodotti su carta, in forma numerica, oppure trasformati in linee di isodensità, cioè in linee che congiungono tutti i punti dello stesso valore densitometrico.
Interessante è anche la possibilità di ricostruire l'immagine su piani diversi da quello assiale. La serie di immagini assiali realizzata per lo studio di una porzione del corpo viene registrata su disco magnetico e successivamente trasferita su nastro magnetico, in modo da poter essere conservata. Per mezzo di appositi sottoprogrammi il calcolatore può ricostruire l'immagine degli organi rappresentati nelle sezioni assiali, secondo piani sagittali o frontali scelti dall'operatore. Si ottengono così immagini che, anche se meno definite di quelle assiali, sono simili a quelle fornite dai metodi tomografici tradizionali e aiutano l'osservatore nella ricostruzione mentale tridimensionale di un'alterazione e nella definizione degli eventuali rapporti fra il processo patologico di un organo e gli organi adiacenti.
La densità dei tessuti dei diversi organi varia da individuo a individuo entro una gamma di valori abbastanza limitata a seconda della composizione del tessuto, del suo stato di sanguificazione, del contenuto in sali minerali o in grassi. Il riconoscimento di un'alterazione all'interno di un organo si basa, come è già stato detto, sulla conoscenza della differenza di densità fra il tessuto patologico e il tessuto sano circostante. Tale differenza in molti casi risulta evidente, ma talvolta è molto piccola e può essere impossibile attribuirle un sicuro significato diagnostico. Per tale motivo si ricorre nella maggior parte dei casi all'iniezione endovenosa di mezzi di contrasto organoiodati, gli stessi che si adoperano in molti metodi radiologici tradizionali e in angiografia, per esaltare il contrasto delle strutture studiate, specie per valutare se si tratti o meno di alterazioni tumorali.
A seconda dei casi il mezzo di contrasto può aumentare la differenza di densità fra tessuto normale e tessuto patologico, o aumentare la densità del tessuto patologico in misura maggiore che per il tessuto normale, oppure aumentare la densità soltanto del tessuto normale senza modificare quella della struttura patologica. La presenza del mezzo di contrasto nel sangue circolante consente inoltre di rendere i vasi di maggior calibro bene evidenti e di apprezzarne eventuali alterazioni: da qualche tempo sono in corso interessanti ricerche angiotomografiche (scansione rapida durante l'opacizzazione arteriosa che segue l'iniezione rapida del mezzo di contrasto) che permettono di mettere in evidenza la vascolarizzazione patologica dei tumori o altre alterazioni vascolari.
d) La TAC nella diagnostica del sistema nervoso centrale
Nello studio del cervello, che è stato il suo primo campo clinico di impiego, la TAC ha permesso di ottenere informazioni completamente nuove sulle strutture endocraniche, informazioni che precedentemente potevano essere ottenute soltanto per via indiretta, mediante la rappresentazione gassosa delle cavità ventricolari e degli spazi liquorali extracerebrali, o l'opacizzazione dei vasi con il metodo angiografico; cioè con metodi che oltre a richiedere una particolare esperienza da parte dell'operatore, sono traumatizzanti, non privi di rischi e di conseguenza non adatti come procedure di largo impiego per un primo accertamento di lesioni cerebrali.
I moderni apparecchi per TAC forniscono immagini molto dettagliate del parenchima cerebrale, dei ventricoli e delle cisterne, e riproducono con assoluta fedeltà le sezioni anatomiche eseguite sul cervello isolato. Il radiologo per mezzo della TAC ha la possibilità di osservare nel vivente l'anatomia normale e patologica del cervello con un metodo essenzialmente non invasivo e quindi idoneo all'accertamento di forme patologiche sospettate sul piano clinico. I criteri diagnostici si basano sulle anomalie morfologiche delle strutture anatomiche identificabili ai diversi livelli di sezione; sulle variazioni locali di densità, fra le quali più tipiche le iperdensità da stravasi sanguigni e le ipodensità da edema, malacia o infiltrazioni parenchimali; sulle variazioni di densità delle aree patologiche dopo iniezione del mezzo di contrasto, o in esami successivi; sulla presenza di deposizioni calcaree, talvolta non riconoscibili all'esame radiografico del cranio.
Nell'osservazione tomodensitometrica del cervello la somministrazione del mezzo di contrasto riveste una particolare importanza: infatti, la sostanza radiopaca - sia per la sua permanenza in circolo per un tempo sufficiente, sia per diffusione extravascolare per superamento della barriera ematoencefalica in situazioni patologiche - può dimostrare la presenza di alterazioni non riconoscibili all'esame densitometrico di base, metterne in evidenza il grado di vascolarizzazione, dimostrare la distribuzione delle aree vascolarizzate rispetto a quelle non irrorate, oppure la completa assenza di un'irrorazione sanguigna; si ottengono in tal modo informazioni molto utili che consentono in numerosi casi di formulare una diagnosi di elevata attendibilità sulla natura della lesione. Il mezzo di contrasto, inoltre, può mettere in evidenza alterazioni vascolari, per esempio gli aneurismi.
Attraverso un'analisi accurata degli elementi semeiologici sono ben riconoscibili nella maggior parte dei casi i tumori endocranici, che in generale si manifestano con deformazione delle strutture encefaliche imputabili a un processo espansivo, di solito apprezzabile come una formazione di densità diversa da quella del parenchima sano; l'iniezione del mezzo di contrasto mette in evidenza la componente vascolarizzata del tumore, differenziandola da quella necrotica o cistica e dall'edema del tessuto circostante. Alcuni tumori presentano caratteristiche che indicano chiaramente la natura della neoformazione: tra questi i meningiomi, che appaiono ben delimitati e più densi del tessuto normale prima della somministrazione del mezzo di contrasto, mentre aumentano fortemente di densità dopo l'iniezione della sostanza iodata. Anche il neurinoma presenta un notevole aumento di densità dopo l'iniezione del mezzo di contrasto, ma è di solito ipodenso nell'esame di base. Variabili sono i reperti nei gliomi, a seconda del loro tipo istologico e della loro invasività: ipodensi nell'esame di base, possono variare irregolarmente e disomogeneamente di densità dopo l'iniezione del contrasto radiopaco o non mostrare affatto variazioni densitometriche. L'assenza di variazione densitometrica corrisponde alle forme di tipo infiltrante che determinano anche segni modesti di processo espansivo: in questi casi la diagnosi può essere talvolta agevolata dalla presenza di calcificazioni endotumorali. Altri tumori riconoscibili, oltre che per le loro caratteristiche morfologiche e densitometriche, anche per la sede sono i lipomi, gli adenomi sellari e parasellari, i medulloblastomi e gli ependimomi. Le metastasi cerebrali danno reperti abbastanza tipici, per le variazioni evidenti dopo l'iniezione del mezzo di contrasto e per la presenza di edema del tessuto circostante.
Un settore molto importante di utilizzazione della TAC è l'accertamento di lesioni post-traumatiche. È possibile dimostrare la presenza di ematomi intra ed extracerebrali che possono manifestarsi con aspetto più o meno iperdenso e omogeneo o ipodenso, a seconda del tempo trascorso dalla loro formazione: in genere, specie in quelli recenti, si associano segni di processo espansivo. Anche le emorragie cerebrali da vasculopatie o malformazioni vascolari sono ben identificabili: talvolta, come abbiamo accennato, si possono dimostrare le alterazioni vascolari (aneurismi) responsabili dell'emorragia. Le lesioni ischemiche si manifestano con una riduzione di densità: alla periferia, o anche all'interno, della zona ischemica compaiono irregolari aumenti di densità dopo contrasto.
Ancora, la tomodensitometria permette di accertare malformazioni cerebrali, atrofie focali o diffuse o altre forme degenerative, la presenza di ascessi, l'esistenza di un idrocefalo, consentendo non di rado di individuarne la causa. Nello studio delle orbite, la TAC dà informazioni molto importanti negli esoftalmi, mettendo in evidenza la presenza e la sede di origine di tumefazioni retrobulbari o l'ispessimento muscolare negli esoftalmi distiroidei.
Nella maggior parte dei pazienti l'esame tomodensitometrico del cranio non richiede una particolare preparazione del malato, però talvolta, in soggetti agitati, è necessaria una sedazione farmacologica o, specie nei bambini, la narcosi.
L'utilità diagnostica della TAC si è dimostrata tale da ridurre fortemente le indagini pneumografiche e, in misura minore, quelle angiografiche.
e) La TAC nella diagnostica degli organi addominali
Lo studio degli organi addominali per mezzo della TAC ha avuto inizio in un secondo tempo rispetto a quello del cervello, ma il suo sviluppo è stato molto rapido, favorito anche dall'evoluzione tecnica delle attrezzature.
La comparsa di artefatti dovuti a movimenti del gas intestinale può essere eliminata, o per lo meno ridotta, con una preparazione preliminare del paziente (dieta, eliminazione del contenuto del colon, digiuno per qualche ora, opacizzazione delle anse del tenue con mezzo di contrasto idrosolubile diluito) e con il blocco della peristalsi intestinale al momento dell'esame mediante la somministrazione di farmaci (glucagone). Questo procedimento non è necessario se si impiegano gli apparecchi più recenti, a scansione rapida (2-3 secondi). L'apnea del soggetto durante le scansioni, possibile nei pazienti che collaborano anche se esaminati con apparecchi con tempi di scansione di 18-20 secondi, elimina gli artefatti da movimenti respiratori. La somministrazione endovenosa di un mezzo di contrasto organoiodato facilita il riconoscimento di alterazioni parenchimali degli organi addominali, permette in molti casi di precisarne la natura e mette meglio in evidenza le formazioni vascolari di maggior calibro.
Il fegato, nelle sezioni dell'addome superiore, appare normalmente ben delineato, di densità omogenea, salvo la presenza di areole e strie di minor densità dovute a vie biliari o a vasi portali. I processi patologici intraepatici risultano più o meno evidenti a seconda della loro natura e in generale si manifestano con una circoscritta diminuzione della densità parenchimale. In questo senso i reperti più evidenti sono dati dalla presenza delle cisti, displastiche e parassitarie, che oltre a essere nettamente ipodense appaiono ben delimitate e di forma regolare, rotondeggiante.
I processi tumorali si presentano ipodensi rispetto al parenchima sano: la differenza di densità è talvolta appena percettibile, ma in genere diviene meglio apprezzabile dopo l'iniezione del mezzo di contrasto. Simile è l'aspetto delle metastasi intraepatiche, il cui riconoscimento è possibile quando superino i 2 cm di diametro.
Ascessi ed ematomi appaiono anch'essi ipodensi: per l'interpretazione corretta di tali alterazioni sono indispensabili informazioni cliniche e anamnestiche. Nelle epatopatie croniche di tipo cirrotico la TAC non fornisce indicazioni significative, salvo per quanto riguarda le dimensioni del fegato e la presenza di ascite. Nella degenerazione grassa il fegato appare ingrandito e la densità del parenchima è sensibilmente ridotta. Nella emocromatosi, al contrario, la densità parenchimale è aumentata. Negli itteri la TAC può contribuire alla diagnosi differenziale fra forme epatocellulari e forme da stasi, dimostando in queste ultime la dilatazione delle vie biliari e spesso la causa della stasi biliare (per es. tumori della testa del pancreas). La colecisti, se distesa, è ben riconoscibile: l'idrope della colecisti risulta molto evidente e non di rado all'interno della colecisti o delle vie biliari maggiori si riconosce la presenza di calcoli anche a basso contenuto calcareo.
Anche il pancreas, specie nei soggetti adiposi, può essere ben studiato con la TAC: i reperti più evidenti si hanno nelle pseudocisti pancreatiche, che presentano i caratteri comuni delle formazioni di tipo cistico. Nelle pancreatiti croniche si osservano variazioni dello spessore dell'organo, irregolarità dei suoi contorni, deposizioni calcaree, talvolta dilatazione dei dotti pancreatici, e la riduzione del grasso peripancreatico. Per quanto riguarda i tumori, attualmente non risultano individuabili, se non eccezionalmente, quelli della componente endocrina per le loro piccole dimensioni, mentre sono ben dimostrabili, se in fase avanzata, i carcinomi e la loro diffusione ai tessuti circostanti, specie in sede retropancreatica.
f) La TAC nella diagnostica dell'apparato urogenitale
Nello studio dell'apparato urinario la TAC, in aggiunta all'esame urografico che resta l'indagine radiologica fondamentale, fornisce informazioni che aiutano nella diagnosi, rendendo inutile il ricorso a indagini più complesse o traumatizzanti: questo vale soprattutto per la diagnosi differenziale delle tumefazioni renali e per la precisazione delle cause del ‛rene non funzionante' messo in evidenza dall'urografia.
Nelle sezioni dell'addome a livello dei reni, le immagini renali appaiono nettamente delineate dal meno denso tessuto adiposo circostante. A livello dell'ilo sono riconoscibili i vasi renali, specialmente le vene, il cui decorso può essere seguito fino allo sbocco nella vena cava inferiore: il seno renale è ben riconoscibile per la presenza di tessuto adiposo. Dopo iniezione endovenosa del mezzo di contrasto iodato la densità del parenchima aumenta notevolmente e quella delle cavità pieliche raggiunge valori molto alti. Le indicazioni principali dell'esame TAC dei reni riguardano lo studio delle masse renali, delle sospette masse pararenali, dei reni urograficamente non funzionanti; la TAC può sostituire l'urografia nei casi di grave insufficienza renale o di accertata ipersensibilità del paziente ai mezzi di contrasto iodati. Le masse renali, cistiche o tumorali, si riconoscono sia per la loro densità, minore o maggiore di quella del parenchima renale normale, sia per la deformazione del contorno renale da esse provocata. Le formazioni cistiche hanno una densità bassa, uguale o di poco superiore a quella dell'acqua, mentre quelle tumorali presentano una densità poco inferiore a quella del parenchima. La differenza di densità diviene più evidente dopo l'iniezione del mezzo di contrasto: la densità della cisti rimane invariata, mentre quella dei tumori aumenta ma in grado minore rispetto a quella del parenchima circostante. Altri criteri diagnostici riguardano la forma e il contorno della massa, che in genere, nelle cisti, è regolarmente rotonda od ovale, nettamente delimitata dal parenchima o dalle strutture circostanti, a contorno sottile, quasi impercettibile, di densità omogenea; invece, per i tumori la demarcazione dal parenchima è meno netta, i contorni meno regolari, la densità frequentemente disomogenea per la presenza di necrosi tumorale; alcuni tumori possono presentare un aspetto pseudocistico, ma con parete spessa, ben demarcata dopo l'iniezione del mezzo di contrasto.
La TAC è anche un mezzo molto valido per valutare la diffusione dei tumori per contiguità nelle strutture circostanti (tessuto adiposo perirenale, piani muscolari parietali, fegato, mesentere), l'interessamento delle vene (vena renale e vena cava inferiore), le metastasi ai linfonodi regionali e in altri organi (fegato, surreni, polmoni). Per la valutazione dell'operabilità dei tumori renali la TAC rappresenta oggi il metodo più idoneo, anche se in alcuni casi dev'essere completato con esami angiografici. La TAC può chiarire se una massa addominale è dovuta a un tumore renale oppure a un tumore pararenale con interessamento secondario del rene; e inoltre dimostra la natura benigna di neoformazioni di tipo lipomatoso, svelata dalla bassa densità della componente lipomatosa. In casi di idronefrosi, spesso non dimostrabili all'urografia per la perdita della funzionalità renale, oltre alla dilatazione delle vie escretrici e alla riduzione del parenchima renale, la TAC può mettere in evidenza la presenza di alterazioni di altri organi responsabili della stasi urinaria e delle alterazioni renali. Nelle idronefrosi infette può dimostrare l'esistenza e l'estensione di raccolte ascessuali pararenali, così come in altri processi infiammatori può essere utile per valutare l'estensione e il grado di evoluzione delle alterazioni.
Per quanto riguarda la vescica, la TAC fornisce una buona dimostrazione dei tumori che sporgono nella cavità vescicale, specie se questa è distesa con aria, e dell'infiltrazione del tessuto adiposo perivescicale, permettendo di valutare l'operabilità del tumore. Lo studio della prostata consente precise valutazioni volumetriche dell'organo: in caso di carcinomi, dimostra l'eventuale diffusione circostante.
A livello pelvico la TAC ha importanza nello studio dei tumori dell'apparato genitale femminile, specie di quelli uterini, non tanto per la diagnosi, quanto per una migliore definizione dell'infiltrazione dei tessuti circostanti, della compromissione di altri organi, come gli ureteri, o della presenza di tumefazioni linfonodali.
g) La TAC nella diagnostica dello spazio retroperitoneale
Linfonodi. - I linfonodi normali non sono abitualmente riconoscibili nelle immagini TAC. I linfonodi ingranditi sono facilmente riconoscibili se circondati da tessuto adiposo, oppure conglobati a formare una grossa massa che provoca un'alterazione della normale morfologia retroperitoneale. Quest'ultimo aspetto è più frequentemente riscontrabile nei linfomi, mentre nelle metastasi i linfonodi tumefatti appaiono spesso separati. Le adenopatie periaortiche e pericavali determinano la scomparsa delle immagini dei relativi vasi, inglobati dai linfonodi iperplastici. In sostanza la TAC, dimostrando l'estensione dell'adenopatia e il volume dei linfonodi, integra la linfoadenografia: questa è un'indagine che consente di mettere in evidenza le alterazioni strutturali dei linfonodi opacizzati mediante l'introduzione nelle vie linfatiche di un idoneo mezzo di contrasto.
Grossi vasi. - L'aorta è ben riconoscibile, e valutabile nel suo calibro, nelle sezioni addominali: quando presenti, sono ben visibili le calcificazioni parietali. Gli aneurismi dell'aorta addominale costituiscono spesso un reperto occasionale: la dilatazione vasale e la sua estensione sono ben valutabili e, specie dopo l'iniezione del mezzo di contrasto, è riconoscibile la presenza di trombi parietali. Più difficile il riconoscimento di aneurismi dissecanti. La rottura degli aneurismi aortici viene ben messa in evidenza dal versamento ematico retroperitoneale, che nasconde i contorni del vaso.
La vena cava inferiore ha una morfologia variabile in rapporto a diverse condizioni (decubito, fase respiratoria, condizioni emodinamiche): più spesso ha un aspetto ovalare, o rotondeggiante; nella porzione intraepatica raramente è riconoscibile, non essendo circondata da tessuto adiposo retroperitoneale come nelle porzioni sottostanti. Oltre all'interessamento dall'esterno della vena cava, la TAC può dimostrare l'esistenza di invasioni tumorali endoluminali, in presenza di tumori renali, specie se si associa l'iniezione del mezzo di contrasto a livello degli arti inferiori: la vena appare dilatata e può essere dimostrata la presenza di trombi neoplastici nel suo lume.
Surreni. - Le ghiandole surrenali, specie quella di sinistra, sono molto spesso riconoscibili e valutabili per quanto riguarda forma e dimensioni. Pertanto, possono essere messe in evidenza iperplasie e presenza di adenomi e di metastasi.
h) La TAC nella diagnostica del torace
La TAC è stata inizialmente poco impiegata nello studio del torace per le molteplici informazioni che a questo livello si ottengono con la radiologia tradizionale. Attualmente, però, viene considerata un valido mezzo per l'accertamento di tumefazioni mediastiniche, specie retrosternali e posteriori. In non pochi casi la TAC ha permesso di accertare la presenza di metastasi polmonari, in particolare sottopleuriche, e di versamenti pleurici di minima entità non svelati dagli esami tradizionali. Nel campo dei tumori il metodo tomodensitometrico permette la definizione dello sviluppo del tumore e quindi un giudizio sulla sua operabilità. Inoltre, specie con l'uso del mezzo di contrasto iniettato rapidamente in dosi elevate, è possibile studiare i grossi vasi e dimostrare per esempio la presenza di aneurismi.
Alcune ricerche in corso e gli sviluppi tecnologici più recenti fanno prevedere che in futuro anche il cuore potrà essere esaminato in modo tale da ottenere informazioni sia sulle cavità sia sul miocardio.
i) La TAC nella diagnostica dello scheletro
La TAC è utile nello studio dei tumori primitivi dello scheletro per ottenere informazioni sull'estensione della neoplasia nelle parti molli circostanti, per l'accertamento di un'eventuale invasione ossea da parte di tumori di organi diversi adiacenti a strutture ossee e per la dimostrazione di metastasi. La possibilità di misurare la densità dell'osso ha costituito la base di molte ricerche sulla valutazione del contenuto minerale dell'osso per l'accertamento e la valutazione quantitativa dell'osteoporosi. Questo tipo di valutazione comporta alcune difficoltà dovute all'eterogeneità in energia del fascio di raggi X; la comparazione dei valori densitometrici ottenuti con radiazioni prodotte con diverse tensioni, che richiede una preventiva taratura del sistema, risolve adeguatamente il problema.
l) La TAC in radioterapia
Un altro campo in cui il metodo tomodensitometrico ha destato un grande interesse è rappresentato dalla radioterapia dei tumori. L'irradiazione di un tumore comporta l'elaborazione di un piano di trattamento che definisca la sede del tumore, la sua estensione, i rapporti topografici rispetto alla cute e agli organi circostanti. La TAC non solo fornisce tutte queste informazioni, che permettono di programmare una corretta geometria di irradiazione, ma mettendo a disposizione del radioterapista i valori di densità dei tessuti attraversati dai fasci di radiazioni permette di operare con esattezza le correzioni delle dosi assorbite ai vari livelli in relazione alla densità dei tessuti. Con elaboratori opportunamente programmati queste correzioni vengono eseguite automaticamente in tempi molto brevi permettendo di ‛ottimizzare' i trattamenti radioterapici sia per quanto riguarda l'irradiazione omogenea del ‛volume bersaglio', sia per quanto riguarda la protezione degli organi critici compresi nella regione del corpo sede del tumore.
Il fatto che l'esame TAC di una porzione del corpo comporti ripetute esposizioni alle radiazioni per ottenere la riproduzione di una serie di strati contigui può creare il timore che la dose assorbita dal paziente sia particolarmente elevata. Bisogna tuttavia tener presente che il fascio di radiazioni è molto sottile e ben collimato e che, salvo rarissime eccezioni, non c'è sovrapposizione di esposizioni dirette durante l'esposizione degli strati contigui, anche se la dose per strato, di per sé piuttosto bassa, viene aumentata dal contributo delle radiazioni diffuse provenienti dagli strati vicini. La dose per strato è influenzata da diverse variabili tecniche e quindi può variare in discreta misura per i differenti modelli di apparecchi, soprattutto per la dipendenza della risoluzione dell'immagine dalla dose di radiazioni. Questo aspetto tuttavia è stato tenuto ben presente nella progettazione degli apparecchi e la risoluzione dell'immagine rappresenta sempre un compromesso tra qualità dell'immagine e dose assorbita dal paziente. In media, nelle comuni condizioni di lavoro, la dose assorbita dal paziente nella maggior parte degli esami TAC è dello stesso ordine di grandezza della dose assorbita in un comune esame radiologico della stessa regione del corpo che comporti l'esecuzione di 2-4 radiografie: se confrontata con la dose assorbita dal paziente in corso di esami speciali, per esempio angiografici, che comportano numerose riprese radiografiche, la dose per un esame TAC risulta molto più bassa, a parità di risultato diagnostico.
m) Conclusioni
Dall'epoca della sua realizzazione a oggi la TAC ha avuto un notevole sviluppo tecnologico in conseguenza dell'interesse suscitato nei radiologi, e nel mondo medico in generale, per le sue applicazioni in campo clinico. Utilizzata all'inizio solo per lo studio del cranio, campo in cui ha consentito un'enorme semplificazione metodologica nell'accertamento di alterazioni cerebrali, la TAC ha incontrato un'analoga diffusione ed espansione nello studio della patologia degli organi del tronco non appena sono state disponibili attrezzature adatte allo scopo. Una valutazione completa del metodo in questo secondo campo può essere considerata ancora prematura, poiché l'esperienza accumulata con gli apparecchi tecnologicamente più progrediti è ancora relativamente limitata e, a giudizio degli esperti, la TAC ha ancora davanti a sé una vasta prospettiva di sviluppo.
Senza dubbio la TAC ha profondamente modificato le procedure diagnostiche nelle malattie del cervello, determinando fin dall'inizio del suo impiego una drastica limitazione di alcune indagini radiologiche (in particolare le pneumografie) prima indispensabili per raggiungere gli stessi risultati diagnostici. Un'evoluzione analoga negli accertamenti strumentali si sta riscontrando anche per quanto riguarda la diagnosi di alterazioni di organi addominali: in questo campo la TAC, opportunamente combinata con altri metodi (ecografia, scintigrafia), permette di raggiungere nella maggior parte dei casi la certezza diagnostica senza far ricorso a metodi più traumatizzanti come quelli angiografici.
Attualmente la TAC, il cui impiego si va ormai diffondendo anche negli ospedali italiani nonostante l'alto costo delle apparecchiature, viene prevalentemente collocata nella sequenza logica delle indagini strumentali subito dopo la radiologia tradizionale e l'ecografia, ma prima delle indagini radiologiche cosiddette invasive: per certe particolari alterazioni non è da escludere che nel futuro la logica della sua utilizzazione possa portare ad anteporla ad altri metodi. Anche se gli entusiasmi possono aver provocato in certi settori una sopravalutazione del metodo, e quindi sia da attendersi un suo ridimensionamento nel futuro, non vi è dubbio che la TAC rivesta il ruolo di indagine di estremo interesse, specie per quanto riguarda una valutazione complessiva del caso clinico in funzione dell'elaborazione di un piano terapeutico. In molte situazioni patologiche, specie nei tumori, questo risultato può essere ottenuto con un sensibile risparmio di tempo e con la riduzione dei tempi di degenza e dei costi di ospedalizzazione, ammortizzando nel contempo, almeno in parte, le spese di acquisto degli apparecchi.
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