BARBERINI, Raffaele
Appartenente alla famiglia dei Barberini di Val d'Elsa, trasferitasi poi a Firenze dove assolse mansioni di govemo, nacque nel 1532 da Carlo e da Marietta Rusticucci, quarto di cinque figli: Francesco, Antonio, Taddeo e Ginevra. Della sua fanciullezza si hanno scarse notizie. A sedici anni viene inviato ad Ancona nell'azienda commerciale dello zio Nicolò per far pratica di cammercio. Sembra però che il B. manifestasse poca inclinazione alla mercatura, preferendo la vita spensierata e gaudente: implicato in un piccolo scandalo con alcuni giovani anconitani, dopo circa cinque anni di residenza fu allontanato dalla ditta ed inviato nel Senese per intraprendere la carriera militare alle dipendenze del capitano Tasinghi, fra le truppe di Piero Strozzi.
Terminata la guerra di Siena con la resa della città, il B., inquieto e scontento, abbandonò la carriera delle armi e, assieme a Silvestro Popoleschi (che aveva sposato la sorella Ginevra), venne inviato nel 1555 ad Anversa per curare gli interessi della casa di commercio che lo zio Niccolò aveva impiantato come filiale di quella anconitana. Il B. ebbe modo di compiere diversi viaggi a Londra e a Norimberga, ma gli affari andarono male e dopo solo due anni di mercatura un fallimento costrinse entrambi i soci a lasciare Anversa e a passare la Manica.
Sistemata la faccenda con l'intervento finanziario di Niccalò, il B. poté ritornare ad Anversa riprendendo i commerci e fondando nel contempo, assieme al fiorentino Cristofaro Brandolini, una nuova sqcietà sotto una comune ragione sociale. Fosse inesperienza o sfortuna, anche questa volta la ditta si trovò in crisi e nel 1563, a quattro anni dall'apertura, subì un clamoroso fallimento che diede origine a un lungo seguito di recriminazioni e di accuse fra i due ex soci.
Un grandioso progetto intanto attraeva il B.: l'effettuazione di un viaggio commerciale in Russia per la diffusione di un sistema di estrazione del sale di cui i Berti di Anversa avevano la proprietà.
Il brevetto era stato già venduto in Inghilterra, in Danimarca e in altri paesi ed aveva ben fruttato. Il B. sperava di essere l'unico a trarre guadagno dalla diffusione del sistema in Russia: molti invece si disputarono la concessione che infine andò agli Spinola con i quali il B. dovette scendere a patti. Gli Spinola gli anticiparono 2000 scudi ed altri 400 promisero di sborsare a viaggio concluso: il guadagno derivante dalla cessione del segreto sarebbe stato diviso in parti eguali. Nell'autunno del 1564 il B. parti per la Russia, ma la nave noleggiata naufragò e con il carico perdettero la vita alcune decine di persone. 11 B., che invece era già sbarcato prima del naufragio, il 10 dicembre attraversò il Don presentandosi infine alla corte dello zar Ivan il Terribile con commendatizie della regina Elisabetta d'Inghilterra. Dell'avventuroso viaggio redasse poi un'ampia relazione indirizzata il 16 ott. 1565 al suo amico veronese conte Nogarola (Relatione di Moscovia, scritta da Raf. Barberino al conte di Nubarola,in Bibl. Apost. Vaticana, Stamp. P. VIII, 78).
Al ritorno dell'impresa il B. cercò di sfruttare il successo della spedizione effettuando fra l'altro l'invio verso il nord di grossi carichi di merci pregiate. L'iniziativa però non dové sortire gli esiti sperati se il B. decise di tornare alla vita militare nell'esercito del duca d'Alba. Scarse sono le notizie sui fatti d'arme cui prese parte. Sappiamo invece di un suo progetto (che rimase peraltro tale) per l'istituzione di una milizia ideata per contrastare gli attacchi olandesi contro i galeoni spagnoli che tornavano dalle Indie.
Ma la sua permanenza nell'esercito del duca d'Alba si ricorda soprattutto per una delicata missione che egli svolse con successo nel 1569: su incarico del marchese Chiappino Vitelli fu inviato quale agente segreto a Londra presso il partito cattolico inglese con il fine di predisporre quella carte a un riavvicinamento con quella di Madrid. Per l'azione compiuta ricevette dallo stesso Vitelli ampio elogio e si guadagnò la sua protezione.
Ai primi del 1570 il B. fece ritorno a Firenze conducendo seco Cristina Bondwyns che egli aveva sposato ad Anversa. In patria si inasprirono i rapporti con i fratelli: il B., che traeva la sua fonte prima di guadagno dall'amministrazione dei beni che il suddetto Vitelli aveva in Toscana, alla morte del fratello Antonio (24 giugno 1571) rivendicò a sé la tuteli dei beni dei nipoti di minore età, impiantando, del resto senza esito, un'aspra contesa con gli altri fratelli, Francesco, protonotaro apostolico a Roma, e Taddeo, residente in Ancona.
Nel 1572 il granduca Cosimo nominò il B. cavaliere di S. Stefano accogliendo così una sua vecchia aspirazione. Nei libri dell'Ordine si trova registrata la sua morte, sotto la data del 28 marzo 1582.
Bibl.: S. Ciampi, Bibliogr. critica delle antiche reciproche corrispondenze... dell'Italia con la Russia, Polonia...,Firenze 1834, 11, pp. 142 ss.; N.Tchaykow, Il cavaliere R. B. alla corte dello Zar Ivan il Terribile,in Cosmos illustrato, 1903,fasc. io- i i; T.Ameyden, La storia delle famiglie romane con note ed aggiunte di C. A. Bertini,Roma 1910, I, pp. 113-116; P.Pecchiai, Un assassinio politico a Roma nel Cinquecento,in Archivi,Roma 1956,quad. 2,pp. 46, 67, 69; Id., I Barberini, ibid, Roma 1959, quad. S, pp. 122-129.