RAFFAELE da Verona
RAFFAELE da Verona. – Non esistono documenti d’archivio che possano fornire notizie certe su questo autore attivo nella seconda metà del XIV secolo e autore dell’Aquilon de Bavière, il ponderoso romanzo che chiude tradizionalmente la stagione della letteratura franco-italiana.
Le sole informazioni su Raffaele si ricavano dal secondo epilogo, in forma di sonetto, del suo romanzo (sulla cui autenticità permangono tuttavia delle riserve; cfr. Aquilon de Bavière..., a cura di P. Wunderli, 1982, p. XXXII), e in particolare dalla perifrasi biblica, presente nella seconda quartina, che indica, secondo l’interpretazione ormai vulgata risalente ad Antoine Thomas (1882), la figura dell’arcangelo Raffaele, che servì e aiutò amichevolmente Tobia, e informa pertanto del nome di battesimo dell’autore. Nello studio in cui rivela l’esistenza dell’Aquilon de Bavière, Thomas scrive: «Quel che a Tobia servì sì integramente, voilà une périphrase suffisamment claire pour désigner le prénom de Raphael. Ce vers et le suivant nous autorisent donc à regarder Raphael Marmora comme l’auteur de l’Aquilon de Bavière» (p. 540). Per Thomas l’autore si chiama dunque Raffaele Marmora. Il profondo attaccamento a Verona che il romanzo rivela e lo stretto legame fra Raffaele e questa città che si evince, fra l’altro, dalla conoscenza della leggenda del martirio dei santi Fermo e Rustico e dall’attenzione speciale posta nel fare eccellere nel romanzo su tutti i signori d’Italia e sugli stessi paladini di Francia il personaggio di sua creazione, Bernardo conte di Marmora, spinsero inoltre Thomas a sostenere che l’opera fosse stata composta a Verona.
Il nome Raffaele Marmora fu subito accolto dagli altri studiosi che in varia misura si occuparono dell’autore franco-italiano: da Ezio Levi che, considerando Marmora un nome di famiglia e non un toponimo, propose di identificare Raffaele con un membro della famiglia veneziana dei Marmora e ne fece un tutt’uno con il Marmora, «cantore di piazza» di bassa condizione sociale «vicino ai giocolieri, ai trovieri, ai cantanpanca» (1908, p. 287), citato dal poeta padovano Francesco di Vannozzo nella sua frottola veneziana scritta per la guerra di Chioggia (1379); da Paula H. Coronedi che, oltre a sottolinearne la cultura e le qualità di romanziere, ne prospettò l’«origine veronese, o se non proprio veronese, almeno sicuramente veneta» (1935, p. 259); da Antonio Viscardi, per il quale l’Aquilon de Bavière «del veronese Raffaele Marmora, più che direttamente alle fonti francesi, si ispirò alle interpretazioni che alla materia carolingia hanno dato i poeti e i rimaneggiatori italiani della valle del Po» (1941, p. 35). Nel 1959, tuttavia, Carlo Dionisotti, ricordando che Marmora è il nome fittizio di Verona nelle epopee medievali, suggerì di chiamare l’autore «Raffaele da Verona» (1959, p. 212).
L’ipotesi che Marmora (Verona) sia un’indicazione dell’origine del nostro autore è molto probabile, ma non è ancora stata provata. Virginio Bertolini e Anna Maria Babbi, nella loro edizione del quinto libro dell’Aquilon de Bavière, avanzano l’ipotesi che il nostro autore sia da identificarsi con un notaio veronese di nome Raffaele che è menzionato sin dal 1372 («Rafael notarius quondam domini Castelani de Sancta Maria in Organis, scriptus et positus super dicta cronica notariae») e nel 1416 è detto «mortuus». Ma questa identificazione appare «abbastanza gratuita» e «potrebbe essere sostituita da un Raffaele qualsiasi attestato a Verona durante il periodo della redazione dell’Aquilon» (Wunderli, 1984, p. 82).
Questa situazione poco soddisfacente ha spinto Lidia Bartolucci Chiecchi a riconsiderare la questione della denominazione dell’autore dell’Aquilon de Bavière, proponendo il nome di Tobiolo da Verona, sulla scorta di una diversa lettura rispetto a quella offerta da Thomas della perifrasi biblica citata: «anziché un’allusione all’arcangelo Raffaele […] è possibile pensare altrettanto bene, o forse meglio, al paziente e virtuoso figlio di Tobia, esecutore obbediente della volontà paterna e delle direttive dell’arcangelo nel famoso passo biblico: Tobiolo» (1981-1983, p. 221). Un personaggio dal nome Tobiolo è attestato a Verona nella seconda metà del Trecento: si tratta di un notaio di professione, capostipite della famiglia dei Tobioli, e attestato fra il 1369 e il 1409. Anche in questo caso, però, non si dispone di alcuna traccia che documenti una sua attività letteraria qualsiasi.
Forse Raffaele visse per un certo periodo in Toscana, in particolare a Firenze, come rivelerebbero l’uso dell’ottava rima e della lingua toscana nel prologo e nell’epilogo del suo romanzo, nonché la trasposizione italo-centrale e addirittura fiorentina di molte delle vicende narrate (cfr. Coronedi, 1935, pp. 300 s.; Krauss, 1987).
Contrariamente ai giudizi di Thomas (1882, p. 540) e di Levi (1908, p. 289), Raffaele da Verona fu un autore dalla cultura vastissima. Fautore entusiasta e profondo conoscitore della matière de France, della matière de Bretagne, della matière antique, Raffaele possiede anche spiccate conoscenze della geografia francese, italiana ed extraeuropea, oltre a conoscenze teologiche e mediche (per esempio, nella sua descrizione degli eccessi d’ira di Rolando si rintracciano i tratti peculiari degli attacchi di epilessia), e a un’abilità notevole nell’impiego dei vari stratagemmi retorici.
Creazione originale nell’ambito della materia epica francese in Italia, l’Aquilon de Bavière è una compilazione in prosa imponente, varia e complessa, incentrata sulle lunghe e terribili lotte fra i cavalieri di Carlo Magno e i guerrieri saraceni all’indomani della spedizione d’Aspromonte.
Prosecuzione della Chanson d’Aspremont, l’Aquilon de Bavière è un romanzo denso di avvenimenti, animato da personaggi di ogni razza e religione, provenienti dai tre continenti del mondo medievale: l’Europa dei paladini di Francia e dei loro alleati; l’Africa, specie Cartagine, dove il protagonista, figlio del duca Namo di Baviera, viene allevato dall’ammiraglio della città che lo ha rapito, e lo ribattezza significativamente Annibale; e per finire l’Asia, dove i personaggi vengono più volte dislocati attraverso episodi eccezionali all’insegna del meraviglioso di maniera.
Secondo le sue stesse indicazioni, Raffaele attese alla stesura del suo romanzo per ben ventotto anni, e precisamente dal 1379 al 20 agosto 1407 («Mille setanta nove cun trexento / any correa de l’incarnato augusto / messo dal padre eterno onipotento / sol per salvare el pecator e ’l justo,/ quando al bel libro fo el comenzamento, / che fo conpito a vinti dì d’avusto / possa che Cabriel fo a Nazarete / corando mille e quatro cento e sete»). Unico romanzo franco-veneto in prosa pervenutoci, l’Aquilon de Bavière, non ha conosciuto un grande successo. Quando l’autore terminò il suo faticoso lavoro, agli inizi del Quattrocento, l’epoca dei testi franco-italiani era ormai tramontata e i cantari in ottava rima ne avevano preso il posto nel favore del pubblico. Questo romanzo fiume rimase quindi senza eco e finì in un oblio totale fino alla sua riscoperta verso la fine dell’Ottocento. Un rinato interesse per questo testo unico nel suo genere raggiunse poi un primo culmine con la pubblicazione integrale nel 1982 a cura di Peter Wunderli.
Dell’Aquilon de Bavière si possiede un solo manoscritto completo, il Vaticano Urb. lat. 381 (1363), che non è autografo, come pensava Coronedi (1935, p. 237), ma una copia molto vicina all’originale (Aquilon de Bavière..., a cura di P. Wunderli, 1982, p. XXI), e si compone di un prologo in italiano (toscano) in ottava rima di nove strofe, di un testo franco-italiano in prosa, suddiviso in sette libri e in 790 capitoli, e di un doppio epilogo in versi, sempre in lingua italiana, formato da un primo componimento di otto strofe in ottava rima e da un secondo testo in forma di sonetto. Dal 1954, anno della pubblicazione della Bibliographie di Brian Woledge, si conoscono infine altri due frammenti del romanzo, appartenenti al VII libro (Parigi, Bibiothèque nationale, Nouvelles acquisitions fr., 22389).
Edizioni. Aquilon de Bavière. Libro quinto, a cura di V. Bertolini - A.M. Babbi, Povegliano 1979; P. Wunderli, Le fragment parisien de l’“Aquilon de Bavière”, in Zeitschrift für Romanische Philologie, XCVI (1980), pp. 489-505; Aquilon de Bavière, roman franco-italien en prose (1379-1407), a cura di P. Wunderli, I-II, Tübingen 1982, III, Tübingen 2007.
Fonti e Bibl.: A. Thomas, “Aquilon de Bavière”. Roman franco-italien inconnu, in Romania, XI (1882), pp. 538-569; E. Levi, Francesco di Vannozzo e la lirica nelle corti lombarde durante la seconda metà del secolo XIV, Firenze 1908, pp. 287-289; P.H. Coronedi, L’“Aquilon de Bavière”, in Archivum Romanicum, XIX (1935), 2, pp. 237-304 (in volume Firenze 1935); A. Viscardi, Letteratura franco-italiana, Modena 1941, p. 35; B. Woledge, Bibliographie des romans et nouvelles en prose française antérieurs à 1500, Genève-Lille 1954, p. 105; C. Dionisotti, Entrée d’Espagne, Spagna, Rotta di Roncisvalle, in Studi in onore di Angelo Monteverdi, I, Modena 1959, p. 212; L. Bartolucci Chiecchi, Un nuovo nome per l’autore dell’“Aquilon de Bavière”, in Medioevo romanzo, VIII (1981-1983), pp. 217-223; P. Wunderli, Un nuovo autore dell’“Aquilon de Bavière”, in Vox Romanica, XLIII (1984), pp. 81-84; Id., Appunti sulla struttura narrativa (fittizia) dell’“Aquilon de Bavière”, in Medioevo romanzo, X (1985), pp. 257-282; M. Boni, Note sull’“Aquilon de Bavière”. A proposito delle reminescenze della “Chanson d’Aspremont”, in Studia in honorem prof. M. de Riquer, Barcelona 1987, pp. 511-532; H. Krauss, Roland et la richesse des Florentins dans “Aquilon de Bavière”. Au carrefour des routes d’Europe. La chanson de geste: Xe Congrès international de la Société Rencesvals pour l’étude des épopées romanes, Strasbourg 1985, II, Aix-en-Provence 1987, pp. 777-795; M. Infurna, Rolando epilettico? Il furor guerriero dell’eroe nell’“Aquilon de Bavière”, in L’Immagine riflessa, XXI (2012), pp. 189-202; L. Morlino, Appunti sul personale epico e la geografia dell’“Aquilon de Bavière” di Raffaele da Verona, in Écho des Études romanes, IX (2013), pp. 51-63.