DE CORNÈ, Raffaele
Nacque a Capua (prov. di Caserta) il 9 apr. 1852 da Michele, generale borbonico che firmerà la resa della città di Capua nel 1860, e da Amalia Carrelli.
Diplomatosi nel 1872 presso la scuola di applicazione di Napoli, l'anno successivo entrava nel corpo del Genio civile - che dal 1859 dipendeva dal ministero dei Lavori pubblici - come ingegnere ferroviario. Tecnico onesto e valente, di idee politiche conservatrici, attese alla costruzione di numerosi tronchi ferroviari tutti nell'Italia meridionale, meritandosi riconoscimenti e promozioni. Nel 1887 era nominato ingegnere capo dell'Ufficio di ispettorato per la sorveglianza e costruzione di ferrovie della provincia di Salerno; nel 1894 era posto a capo dell'ufficio del Genio civile di Reggio Calabria. Nel 1896 entrava come addetto tecnico nel gabinetto del ministro dei Lavori pubblici G. Prinetti, con l'incarico dei rapporti fra lo Stato e le ditte appaltatrici. Il cambio del titolare del dicastero riportò il D. alla direzione periferica del Genio civile, prima a Bari poi a Catanzaro, finché nel 1902 fu chiamato a far parte del Consiglio superiore dei Lavori pubblici.
Nel 1903 il D. fu inviato in missione nella colonia Eritrea per esaminare, tra i diversi tracciati proposti per la ferrovia Massaua-Asmara, quale fosse il più conveniente e adatto. Il suo nome cominciava a figurare fra i componenti delle commissioni di nomina governativa che si occupavano della strutturazione della neonata (1905) Amministrazione delle ferrovie dello Stato, l'autonoma impresa pubblica che nel 1907 arrivava a gestire l'intera rete ferroviaria nazionale. E nel 1912 era chiamato a far parte del comitato di redazione della Rivista tecnica delle Ferrovie italiane, e due anni più tardi di quello del Giornale del Genio civile. Insieme a R. Rinaldi, anch'egli funzionario dei ministero dei Lavori pubblici, il D. ebbe nel 1912 l'incarico di pronunciarsi sulle contestazioni mosse alla commissione che nel 1908 aveva indicato il percorso della nuova direttissima Bologna-Firenze, confermando la validità di quel tracciato.
Nel gennaio del 1915 R. Bianchi, direttore generale dell'amministrazione delle ferrovie sin dalla costituzione, doveva dimettersi, dopo una polemica con il presidente dei Consiglio A. Salandra e uno scontro con A. Ciuffelli ministro dei Lavori pubblici, in seguito alle roventi critiche per le disfunzionì del servizio ferroviario nell'opera di soccorso ai terremotati della Marsica. Se il ministro si sbarazzava di un personaggio indocile, che fin dal primo momento della sua direzione aveva energicamente rivendicato il principio dell'autonomia dell'amministrazione delle ferrovie, malvisto da gruppi parlamentari e politici, il governo si sbarazzava di chi, argomentando trattarsi di esigenze militari cui doveva provvedere con il suo bilancio il ministero della Guerra, aveva rifiutato i fondi dell'amministrazione per realizzare quei raddoppi, nuovi tronchi, addentri in valle, ecc. nel Veneto che ora la preparazione e l'imminenza della guerra rivelavano gravemente carenti.
Il D., che era nel frattempo divenuto presidente di sezione del consiglio superiore dei Lavori pubblici, e che col collega E. Bracco aveva svolto l'inchiesta sulle carenze del servizio in occasione del terremoto, con conclusioni non negative per il Bianchi, fu dapprima nominato direttore reggente dal Ciuffelli, e poi direttore effettivo. Si trovò così subito impegnato, dalla preparazione, poi dalla dichiarazione e lo svolgimento della guerra, a riadeguare tutta la gestione del servizio ferroviario alle nuove funzioni civili e militari, in base alle inderogabili necessità del Comando di Stato Maggiore dell'esercito e poi del Comando Supremo, alle disposizioni del superiore ministero, e via via alle esigenze del sottosegretariato poi ministero delle Armi e Munizioni, dei comitati regionali della Mobilitazione industriale, e dei vari commissariati e nuovi organismi burocratici che i bisogni della guerra man mano richiedevano per assicurare e coordinare rifornimenti, produzione e distribuzione, i cui volumi si riversavano sul sistema dei trasporti che doveva movimentarli.
L'insieme dei trasporti terrestri non presentava un quadro confortante. La dipendenza del modesto sistema ferroviario dalla locomozione a vapore, l'insufficiente patrimonio stradale primitivo e trascurato, la mancanza di un sistema ditrasporti a motore, il largo ricorso alla trazione animale a livello locale, rendevano le comunicazioni di scarsa elasticità e di difficile coordinamento, e prive delle caratteristiche richieste per prime dalla guerra, rapidità e tempestività. Il Genio civile dovette tracciare nuove strade complementari (circa 4.000 km nella zona di operazioni e per obiettivi militari); l'azienda ferroviaria spinse al massimo l'utilizzazione del parco veicoli (che fu accresciuto nel numero, insieme al servizio di manutenzione per ovviare all'intenso eccezionale logorio), attirò nuovi tronchi per circa 1.000 km quasi tutti a scartamento ridotto, creò nuovi punti di smistamento in località prima quasi deserte al traffico.
La mobilitazione impegnò all'estremo le ferrovie in senso Sud-Nord ed in senso Ovest-Est, e tanto più in quanto le relative operazioni furono in parte intrecciate con quelle di radunata. Mentre l'Austria-Ungheria poteva contare su sette linee ferroviarie che portavano alla frontiera, l'Italia disponeva solo di quattro linee per raggiungere il fronte Verona-Legnago-Monselice, con una strozzatura oltre la quale, a superare il Tagliamento, erano disponibili solo due tronchi ferroviari, Verona-Treviso-Conegliano-Udine, e Monselice-Padova-Portogruaro-Latisana, i cui doppi binari saranno finalmente completati solo durante la guerra. Proprio questa situazione della rete aveva imposto la scelta del luogo di radunata assai arretrato, dietro il Piave, per frapporre tutto il Friuli ed i suoi fiumi alla possibile offesa nemica.
Le esigenze della guerra comportarono una rapida modifica geografica e quantitativa dell'assetto dei trasporti ferroviari, e dei relativi servizi, rispetto al traffico normale che doveva però continuare ad essere assicurato. Il trasporto verso le regioni nordorientali doveva garantire il continuo rifornimento di materiali, vettovaglie, armi, munizioni e complementi, nonché lo sgombero dei materiali usurati e dei feriti, per circa due milioni di uomini schierati al fronte; doveva inoltre garantire vasti e alterni spostamenti di truppe e di popolazione in occasione di offensive, italiane o austriache, fino all'eccezionale deflusso di più di duecentomila profughi dopo Caporetto. Il trasporto transalpino si spostò per intero sulla rete delle Alpi occidentali; la chiusura ai trasporti marittimi dell'Adriatico ribaltò sui collegamenti dei porti e dell'entroterra tirrenici l'intero tonnellaggio richiesto dalle straordinarie esigenze di prodotti alimentari, materie prime e semilavorati.
Lo sfruttamento della rete toccò punte mai raggiunte in precedenza. La mobilitazione iniziale richiese 2.500 treni, oltre a 4.500 treni per le radunate connesse; l'offensiva austriaca del maggio-giugno 1916, nel Trentino, impose rilevanti sforzi di trasporto, e così l'affluenza dei rinforzi franco-britannici nel novembre 1917 (1.413 treni), e così lo sbalzo in avanti dell'esercito dal Tagliamento all'Isonzo (130 treni al giorno: Tremelloni, p. 286).
Difficile fu anche il problema della regolazione e assegnazione dei carri ferroviari, la cui penuria causò contrasti e concorrenza fra l'amministrazione ferroviaria e gli industriali, coi loro bisogni per il rifornimento di materie prime e combustibile, e per il trasporto delle merci con fenomeni di corruzione. Durante la guerra la disponibilità di carri merci crebbe soltanto del 7%, e del 2%, quella di locomotive a vapore, mentre aumentò a dismisura il livello del logoramento di tutto il materiale rotabile.
La comune unità d'intenti per la vittoria non dette spazio nella gestione D. - del resto non era nella sua personalità - per attriti sia col superiore ministro dei Lavori pubblici, sia col nuovo ministero dei Trasporti marittimi e ferroviari creato il 22 giugno 1916, e affidato Poi allo stesso Bianchi dal 15 giugno 1917 al 14 maggio 1918, nell'ambito del quale vennero comprese le Ferrovie dello Stato, e smantellato nel 1920. La straordinarietà della situazione impedì del resto al D. di rivedere ed eventualmente intervenire sulla struttura dell'azienda ferroviaria.
Cessata la guerra, il D. seppe dirigere col minimo scompenso il complesso processo del ritorno alla normalità del servizio, dal deconcentramento dalle zone d'operazione di uomini e materiali all'adeguamento dei collegamenti con i nuovi territori italiani, dai piani di riparazione del materiale mobile e fisso gravemente usurato e danneggiato alla riconversione della struttura aziendale e amministrativa. Invece i rapporti con il personale non tardarono a deteriorarsi.
Il movimento unionistico e rivendicativo dei ferrovieri italiani aveva una tradizione notevole e presentava livelli elevati di compattezza e sindacalizzazione della categoria. E mentre per un verso nel movimento operaio e socialista tendevano ad espandersi prese di posizioni sociali intransigenti ed il massimalismo suscitato dalla rivoluzione russa, per l'altro verso la borghesia produttiva resisteva accanitamente a vedere intaccati le egemonie tradizionali ed i privilegi e superprofitti ottenuti con la guerra. Inoltre, le elezioni del novembre 1919 avevano cambiato vistosamente composizione e quadro politico tradizionale del Parlamento, al punto da presentare gravi problemi di funzionalità. Mentre proseguivano le necessarie appendici della spesa pubblica destinata alla guerra, iniziava il rientro dalla finanza bellica con smantellamenti di calmieri e razionamenti che, sovrapponendosi alla disoccupazione creata dalla smobilitazione e dalla riconversione, acuivano repentinamente il rincaro della vita innescando diffuse agitazioni e scioperi.
L'arrivo del nuovo titolare dei Trasporti R. De Vito, al dicastero dal 23 giugno 1919 al 13 marzo 1920, e la sua revisione delle mansioni del direttore generale, assimilato ad amministratore generale con prevalenti compiti di competenza sul bilanciò, determinarono una serie di burrascose relazioni tra il D. ed il suo ministro. Su questa situazione si riversarono lo sciopero del 20-21 luglio 1918 e quello generale della categoria del gennaio 1920, che fu attuato da una larga parte del personale ferroviario e paralizzò in pratica la penisola, suscitandovi un'impressione vivissima. Il D., che intendeva punire con fermezza gli scioperanti non derogando dalla norma che prevedeva le loro dimissioni automatiche, fu bloccato dal De Vito. La bellicosità del movimento dei ferrovieri vide accolte dall'azienda quasi tutte le richieste, compresa la rinuncia alla rappresaglia e perfino la corresponsione del salario per le giornate di astensione del lavoro. Col 21 marzo 1920 era soppresso il ministero dei Trasporti, e le Ferrovie dello Stato rientravano sotto la competenza del ministero dei Lavori pubblici, retto da G. De Nava, poi col nuovo gabinetto Nitti da C. Peano. Il D., stanco per gli anni di tensione della guerra e forse demotivato dallo scontro con De Vito e della sconfitta sulla vertenza col personale, l'8 sett. 1920 decideva di abbandonare la carica nelle Ferrovie dello Stato, rientrando nel Consiglio superiore dei Lavori pubblici, di cui veniva eletto presidente per espresso volere del Consiglio dei ministri. Tre anni dopo andava in pensione, dedicandosi negli ultimi anni a lavori di consulenza per conto di ditte private. Mori a Roma il 25 ag. 1929.
Fonti e Bibl.: Mentre è impraticabile l'Arch. delle Ferrovie dello Stato (Roma, Stazione Termini), è consultabile l'Arch. del Consiglio di amministrazione delle Ferrovie dello Stato (Roma, Ministero dei Trasporti); il fondo relativo al ministero dei Lavori pubblici presso l'Arch. centrale dello Stato è praticamente inesistente. Non vi sono lavori sull'azienda delle Ferrovie dello Stato; di utile consultazione sono F. Bonelli, RiccardoBianchi (1854-1936), in Protagonisti dell'interventopubblico in Italia, a cura di A. Mortara, Milano 1984, pp. 73-87; F. Barbagallo, Nitti, Torino 1984, capp. XVI-XXII. Sulla vita dei D. alcuni spunti in I tecnici nei cento anni delle ferrovieitaliane, Roma 1940, p. 69; in R. Rinaldi, Lacostruzione e l'esercizio delle ferrovie italiane neimiei ricordi, Bologna 1974, passim. Sulla trasferta in Eritrea cfr. F. Schupfer, Il problema ferroviario dell'Eritrea, in Nuova Antologia, 16 luglio 1906, pp. 288-315. Due articoli tecnici del D.: Lavori da affidarsi alle cooperative e conseguentimodificazioni dei patti contrattuali, in Giornale delGenio civile, XLVI (1908), pp. 238-243; e, insieme con R. Rinaldi, Relazione sul tracciato dellaferrovia direttissima Firenze-Bologna, Roma 1913. Sul contributo delle ferrovie nella grande guerra: G. Infante, La guerra e i trasporti ferroviari, in Le Ferrovie italiane, XII (1916), 5, pp. 201-208; P. Lanino, Sulla indagine istituita dal Collegionazionale degli ingegneri ferroviari circa le condizioni generali del carico ferroviario di guerra, Roma 1919; Id., Le ferrovie italiane nella guerra italiana1915-1918, Roma 1928; G. Rocca, Con le nostreferrovie nella grande guerra, Verona 1930; R. Tremelloni, Aspetti economici della guerra, in 1915-1918. L'Italia nella grande guerra, ed. della Presid. d. Consiglio d. ministri, Roma 1970, pp. 265-298; C. Lacchè, Il treno e la grande guerra, in Ingegneria ferroviaria, XXXIII (1978), 5, maggio 1978, pp. 503-509. Sulle agitazioni dei ferrovieri cfr. L. Guerrini, Organizzazioni e lotte di ferrovieri italiani, Firenze 1957, passim; I. Barbadoro, Storia del sindacalismo italiano. Dalla nascita alfascismo, Firenze 1973, cfr. indice analitico; E. Finzi, Alle origini del movimento sindacale: i ferrovieri, Bologna 1975, passim; Cento anni di lottesociali e sviluppo dei trasporti: 1877-1977. Attidelle celebrazioni del centenario della Società nazionale di Mutuo Soccorso fra ferrovieri F. S., Milano 1977, passim; G. Brini, I ferrovieri sullestrade ferrate dell'Emilia-Romagna, Bologna 1979, passim; A. Bonanno, Ristrutturazione: esigenza deidominio borghese. Frammenti di storia antiproletaria. Pubblico impiego e ferrovieri dal 1919 all'avvento del fascismo, Torino 1980, passim.