RAIMONDI, Raffaele detto il Cumano
RAIMONDI, Raffaele, detto il Cumano. – Nacque a Como, da Nicolò, della nobile famiglia Raimondi, con ogni probabilità nel 1377; ignota invece l’identità della madre.
L’anno di nascita è in verità incerto. Le fonti offrono informazioni parziali e contraddittorie: l’età del giurista lombardo è indicata talvolta a partire dall’anno della morte (sarebbe deceduto quarantenne secondo il Chronicon tarvisinum di Andrea Redusi da Quero, edito da Ludovico Antonio Muratori e seguito anche da Gerolamo Tiraboschi), talaltra per rapporto a quella del collega e amico Raffaele Fulgosio, del quale, secondo alcuni, egli sarebbe più giovane di dieci, secondo altri di venti anni. La sua nascita dovrebbe dunque collocarsi nel 1377 o nel 1387 (Belloni, 1986, p. 311). La seconda ipotesi risulta tuttavia del tutto improbabile, tenuto conto del suo percorso accademico.
Raimondi studiò con Raffaele Fulgosio e Cristoforo Castiglioni nello Studium di Pavia, dove ottenne la licenza in diritto civile il 23 febbraio 1396, presentato da Castiglioni e da Fulgosio insieme a Baldo degli Ubaldi. Il brillante studente comasco raggiunse, il 13 luglio 1398, anche la laurea in diritto canonico, sempre presenti i tre illustri professori, per poi completare l’iter con il dottorato in utroque iure di lì a pochi giorni, il 21 luglio, ricevendo da Baldo il libro, da Castiglioni l’anello e la patena, e da Fulgosio il bacio della pace e la benedizione (Maiocchi, 1905-1913, I, p. 648). Impossibile dunque supporre che l’importante traguardo fosse stato raggiunto da un fanciullo appena undicenne, mentre perfettamente coerente è l’età di 21 anni. A Pavia, Raimondi iniziò precocemente anche la carriera accademica, con i consueti incarichi di Istituzioni, conferitigli al conseguimento della licenza (1396), e la lettura del Digesto Inforziato subito dopo la laurea (1398). Con altri professori, e in specie con Fulgosio, Raimondi si spostò a Piacenza, allorché vi furono trasferiti i corsi pavesi, tra il 1399 e i primi anni del secolo seguente.
Il suo percorso biografico e professionale si svolse quindi quasi interamente accanto al collega e amico Fulgosio, tanto che i due sono consuetamente citati come ‘i due Raffaeli’. Con il sodale piacentino, il Cumano condivise anche l’accusa di plagio nei confronti del comune maestro Castiglioni, riferita da alcuni tra i più antichi biografi (Panciroli, 1637, p. 220), ma messa in dubbio già da Tiraboschi. A far dubitare della veridicità della notizia è anche il giudizio del tutto elogiativo di autori contemporanei, come, per esempio, Michele Savonarola, per il quale Raimondi fu uomo ‘divino’ e di scienza straordinaria (M. Savonarola, Libellus, a cura di A. Segarizzi, 1902, p. 1162) e i grandi onori tributati a lui e a Fulgosio, in vita e post mortem, dalle principali università dell’Italia settentrionale.
Di ritorno a Pavia dopo la parentesi piacentina, al giurista comasco fu affidata la lettura straordinaria del Digestum novum e poi nuovamente dell’Inforziato. Il 12 ottobre 1404 gli venne anche conferito un aumento di salario, motivato dal prestigio del docente e dai «grandia damna» derivatigli «ex novitatibus occursis in civitate cumana» (Maiocchi, 1905-1913, II, p. 69: le autorità accademiche alludono probabilmente alla devastazione e ai saccheggi cui Como era stata sottoposta nei mesi precedenti). Poco dopo, nel 1406, il giurista ottenne da Giovanni Maria Visconti l’investitura con giurisdizione sulle terre delle località di Olgiate, Lucino e Drezzo, nel comasco.
Nell’ottobre del 1408, Raimondi ottenne dallo Studium ticinese la lettura ordinaria del Codice, che conservò finché, forse per l’interessamento di Fulgosio, che vi si era trasferito da qualche anno, fu chiamato a Padova nell’anno accademico 1410-11, per ricoprire la cattedra civilistica che Fulgosio stesso lasciava per passare a quella di diritto canonico. A Padova, il maestro lombardo insegnò quindi diritto civile, alternativamente sulla cattedra mattutina e su quella de sero, ricevendo lo stipendio – inferiore (pur se di poco) a quello di Fulgosio, ma pur sempre cospicuo – di 700 ducati.
Del suo insegnamento sono attestazione le letture civilistiche su diverse parti del Digesto che, dopo una prima circolazione manoscritta, furono riproposte in diverse edizioni a stampa. Il commento alla seconda parte dell’Inforziato è edito a Venezia già nel 1495 e di poco posteriore è la stampa di quello In primam partem Digesti Novi (Venetiis 1500). Entrambi, insieme alla prima parte dell’Inforziato e alla seconda del Novum, furono ristampati a Lione nel 1554, a costituire un’opera completa con la lettura sul Digestum Vetus di Fulgosio. Sull’Inforziato vennero edite anche alcune repetitiones, come la Repetitio in ff. de liberis et postumis l. Si filius, che trova una prima edizione incunabola a Pisa nel 1494, e una successiva in Repetitionum seu commentariorum in varia iurisconsultorum responsa, III, Lugduni 1553, cc. 200r-204r, nonché la Repetitio in ff. Ad senatus consultum Trebellianum, edita a Lione nel 1554.
Una lunga fase della carriera di Raimondi – circa un quindicennio – si svolse quindi a Padova, in un periodo non sempre tranquillo per l’ateneo veneto. Unitamente a Fulgosio, egli fu presente l’11 giugno 1424, allorché tutti i dottori leggenti nello Studio vennero convocati dal podestà di Padova, che li informò di una delibera senatoria a loro rivolta: constatato che troppi docenti si assentavano ingiustificatamente dalle lezioni, le autorità veneziane imponevano di non allontanarsi senza licenza, a pena di una sospensione dal salario e di una pesante sanzione economica (Lazzarini, 1950-1951, p. 205). Anche nella carriera di Raimondi si registrano alcune interruzioni, pur se rare: ma esse sono dovute esclusivamente agli importanti incarichi che, sempre insieme al collega e maestro Fulgosio, gli vennero affidati proprio dalla Serenissima in diverse occasioni.
All’attività didattica si affiancò anche quella di consulenza, della quale rimane significativa documentazione. Celebre e diffusa è la raccolta dei responsa, curata nel 1490 dal bresciano Giovanni Domenico Patusio unitamente a quelli del Fulgosio e ristampata più volte (Papie 1508, Trino 1521, Lugduni 1548, Venetiis 1575, 1576, Francofurti 1613). Di Raimondi sono i 190 pareri che occupano la prima parte del volume, sovente, peraltro, sottoscritti insieme a colleghi dello studio patavino come Prosdocimo Conti, Antonio Albergotti, Giovanni Francesco Capodilista, Paolo di Castro e altri. Raffaele Fulgosio aggiunse la sua firma a una ventina di consulti del collega e in uno di essi, il consilium n. 146, figura come unico sottoscrittore, pur essendone autore il Cumano, per la semplice ragione, esplicitata dall’editore, che il parere era stato redatto in favore di Simone, Elia e Pietro Raimondi, fratelli di Raffaele, il quale dichiarò di non averlo voluto firmare per non comprometterne l’attendibilità. Un consulto di Raimondi è inserito da Francesco Ziletti nel volume di Consiliorum seu responsorum in causis criminalibus, Venetiis 1579, I, cons. 36, e altri se ne conservano manoscritti.
L’ultimo intervento di rilievo svolto da Raimondi al di fuori dall’accademia fu la consulenza prestata alle autorità veneziane in occasione del trattato di pace con i Visconti, nel 1426. L’anno successivo Padova venne funestata da una violenta epidemia di peste, per tentare di sfuggire alla quale Raimondi si recò a Vicenza, ospite nella casa degli eredi di Nicolò Pagello. Invano: contratta la malattia e rapidamente aggravatosi, il 17 ottobre 1427 dettò il suo testamento e morì pochi giorni dopo, il 20 ottobre.
Raimondi aveva sposato in data imprecisata Bianca «de Lunate», dalla quale ebbe quattro figlie, Carla, Elisabetta, Zoia e Caterina, e un solo figlio maschio, Benedetto. Dalle disposizioni testamentarie si apprende che egli dispose la sua sepoltura presso la chiesa patavina di S. Giustina, ove la vedova fece erigere un importante monumento sepolcrale che ne riproduceva l’effigie. Risulta inoltre che il giurista, probabilmente in collaborazione con alcuni familiari e con altri concittadini, soleva investire parte del suo cospicuo patrimonio nel commercio e nell’arte della lana. Raimondi attribuì infatti al nipote Antonio un lascito di 1200 ducati perché si impegnasse a «exercere et trafficare in arte lane», anche per conto degli eredi dello zio, rendendo periodicamente conto alla vedova Bianca della propria amministrazione. Alla vedova furono assegnate le due schiave Varca e Lucia, con l’obbligo, tuttavia, di concedere loro la libertà entro pochi anni (Mantese, 1961, p. 30). Raimondi lasciò inoltre rilevanti doti per le figlie, e il suo patrimonio complessivo al figlio Benedetto, ancora fanciullo, ponendogli come eventuali sostituti i propri fratelli: ai già ricordati Pietro e Simone si deve aggiungere Giovanni (non è citato invece Elia, evidentemente premorto). Benedetto diverrà poi anch’egli giurista, sebbene secondo molte fonti non all’altezza della scienza paterna, insegnando sia a Bologna sia a Padova.
La notizia della morte di Raimondi, come quella del sodale Fulgosio, suscitò vasta eco, della quale recano traccia, oltre a diverse cronache coeve, le svariate iscrizioni commemorative a lui dedicate, apposte sul luogo della sepoltura in S. Giustina e poi più volte trascritte e fatte circolare, tra le quali spiccano quelle redatte da Antonio Barbaro e da Maffeo Vegio. Un suo ritratto dipinto a olio a metà del Seicento appartenne alla famiglia Raimondi sino ai primi del Novecento, ed è ora custodito presso i musei civici di Como.
Fonti e Bibl.: Testamento di R. R. (17 ottobre 1427), Como, Biblioteca comunale, Archivio Raimondi-Mantica Odescalchi, Testamenti e codicilli, ms. B 285 fasc. 11; Matricula collegii iurisconsultorum, anno 1435, Padova, Archivio antico Università, ms. 134, c. 4r; Chronicon Tarvisinum, in RIS, XIX, a cura di L.A. Muratori, Mediolani 1731 (rist. anast. Bologna 1980), p. 864; M. Savonarola, Libellus de magnificis ornamentis regie civitatis Padue, a cura di A. Segarizzi, in RIS2, XXIV, Milano 1902.
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