MARCHESI, Raffaele
Figlio di Vincenzo e di Marianna Marioni, nacque a Magione, l'antica Pian di Carpine, sul Trasimeno, il 25 febbr. 1810. A dodici anni entrò nel seminario di Perugia e il il 21 sett. 1833 ricevette l'ordinazione sacerdotale per mano del vescovo C.F. Cittadini.
Subito iniziò l'insegnamento della retorica nel seminario dove - forse per reazione alle rigide regole che mons. Cittadini, vescovo di Perugia dal 1818 al 1845, aveva introdotto nella disciplina e nel piano degli studi - si impegnò per una riforma dell'insegnamento delle discipline letterarie volta a favorire un confronto tra le moderne correnti del pensiero letterario e la tradizionale istruzione ecclesiastica. Nel 1839, a causa di tali sue aperture, venne allontanato dall'insegnamento e iniziò una collaborazione con il Giornale scientifico letterario di Perugia, una rivista che, oltre a informare i lettori sulle principali novità bibliografiche italiane, si occupava dei temi più diversi: dalla chirurgia all'archeologia, dalla chimica alla letteratura, dalla storia dell'arte alla teologia.
Erede della tradizione erudita settecentesca, ma affascinato dalle nuove idee, il M. ebbe contatti con P. Giordani, con P. Contrucci e con L. Tosti; conobbe il movimento pedagogico toscano di R. Lambruschini e N. Tommaseo e fu apprezzato studioso di letteratura latina e di storia locale, dando alle stampe nel 1842 una memoria su F. Villani, umanista e storico fiorentino del Trecento, segretario del libero Comune di Perugia. Spesso presente nei salotti culturali delle nobildonne perugine, offrì il suo contributo allo spirito del tempo attraverso una serie di prose, epigrafi, elogi, componimenti poetici, necrologi, ma partecipò assiduamente pure alle riunioni dell'Accademia dei Filedoni, centro del giobertismo perugino.
Nel 1842 ottenne la cattedra di umane lettere nel locale ginnasio e anche in tale ambito portò avanti un progetto di riforma degli studi, delineato in un Discorso letto al termine dell'anno scolastico 1844-45.
Dal Discorso emerge una severa critica ai programmi di studio, giudicati troppo pedanti e pervasi di formalismo, poco finalizzati a educare al ragionamento e all'approfondimento. Erano anni in cui la tradizionale presenza di sacerdoti in ambito scolastico, anche a Perugia, si stava ridimensionando e il M. era uno dei due membri del clero su otto maestri e professori che insegnavano nelle scuole cittadine; tuttavia, già all'inizio del 1844 era considerato dal vescovo un sacerdote poco disciplinato e ambizioso. Infatti, in una lettera diretta alla congregazione degli Studi del 19 genn. 1844, Cittadini scriveva di lui: "non ha mai profittato delle mie esortazioni dirette a migliorare la sua condotta ecclesiastica" (Lupi, Il clero a Perugia…, p. 78); e per questo lo faceva sorvegliare da un altro ecclesiastico, specialmente nella sua attività di insegnamento nelle scuole pubbliche.
Intorno al 1846 il M. fondò le scuole notturne per giovani artigiani e operai, sul modello di quelle romane che già vantavano una tradizione venticinquennale; nell'arco di due anni ne furono istituite quattro, dislocate nei rioni cittadini sotto la sua direzione; lo stesso M. redasse un Regolamento, approvato dalla congregazione degli Studi il 4 sett. 1846.
L'iniziativa, a sfondo prevalentemente sociale, era un tentativo di coniugare l'istruzione religiosa, civile e morale, ed esaltava il ruolo dell'ecclesiastico come educatore del popolo, per arginare i processi di incipiente secolarizzazione.
Il progetto prevedeva l'apertura di scuole notturne anche nelle campagne, e lo stesso M., nel marzo-aprile 1848, con un discorso diretto ai parroci (Della necessità di promuovere l'istruzione del popolo massime nelle campagne), sollecitò lo sviluppo di tali istituzioni sebbene, a quanto pare, con scarso successo. Nella dissertazione il M. non solo proclamava l'istruzione per i poveri in completa armonia con il Vangelo, ma sottolineava anche la perfetta sintonia tra religione e progresso, tra cristianesimo e libertà civili, palesando un totale adeguamento al clima di entusiasmo che le riforme di Pio IX avevano destato.
Al M. si deve, probabilmente, il Grido a Pio IX, uscito anonimo ne L'Osservatore del Trasimeno del 28 ag. 1847, un articolo in cui invitava il papa a dichiarare guerra all'Austria; la sua adesione agli ideali patriottici continuò anche dopo l'allocuzione con cui Pio IX il 29 apr. 1848 prendeva le distanze dalla guerra d'indipendenza. Insieme con A. Rossi, anche lui sacerdote e insegnante nelle scuole pubbliche, partì come cappellano del gruppo di volontari perugini: dopo la battaglia di Cornuda (8-9 maggio) - nella quale la pattuglia dei giovani perugini venne decimata e dispersa - tornò a Perugia. Qui il vescovo (dal gennaio 1846 Gioacchino Pecci) lo inviò presso un convento di cappuccini, costringendolo ad abbandonare l'insegnamento. Il M., anche a nome di A. Rossi, presentò al vescovo un memoriale difensivo per dimostrare la correttezza del loro operato: difese sia la loro attività di cappellani presso l'ospedale di Treviso, sia la legittimità del ritorno in città, in seguito alla dispersione dei volontari perugini. Pecci benevolmente, incoraggiato anche da Roma, riconobbe la non colpevolezza dei due sacerdoti permettendo loro di riprendere l'insegnamento nelle pubbliche scuole.
Essi, tuttavia, non cessarono di manifestare il loro spirito patriottico aderendo non solo al Circolo popolare, nato in città nell'agosto del 1848, ma partecipando attivamente alle vicende del periodo rivoluzionario. Proclamata infatti la Repubblica Romana, il M. prestò il giuramento di fedeltà al nuovo governo e fece parte della Commissione d'istruzione popolare, che nel gennaio 1849 approvò l'iniziativa delle scuole festive per il popolo. Con la restaurazione del governo pontificio il M. dovette subire una dura repressione: sospeso dall'insegnamento, fu anche destituito dall'incarico di bibliotecario dell'Università, mansione che ricopriva dal 1843. Da allora condusse vita privata, dedicandosi esclusivamente agli studi letterari ed eruditi; del resto, la svolta autoritaria e conservatrice di Pio IX segnò, anche a Perugia, la fine delle speranze neoguelfe e delle iniziative culturali più aperte (le scuole notturne, per esempio, furono sospese).
Il M. fu comunque tra i pochi sacerdoti che si mantennero in rapporto con i circoli colti perugini, cercando una mediazione con le nuove tendenze culturali: pubblicò un volume di Studi sopra i libri della Repubblica di M. Tullio Cicerone (Prato 1853), accompagnato da un lungo saggio di Osservazioni sopra alcuni luoghi dei libri della Repubblica di M. Tullio Cicerone, nel quale faceva ampi riferimenti alle dottrine politiche non solo dei classici, ma anche di Ch.-L. Secondat de Montesquieu, G. Filangieri, C. Beccaria, M. Pagano, fino a V. Gioberti e T. Mamiani, dimostrando la sua propensione politica per i regimi costituzionali. Il fatto di aver citato numerosi autori condannati dalla Chiesa senza rilevarne gli errori gli attirò le critiche della Civiltà cattolica. Furono probabilmente i suoi meriti culturali, insieme con il silenzio sui temi politici più infuocati, a determinare una, anche se parziale, riabilitazione: nel 1854 venne infatti nominato deputato per le scuole pubbliche di Magione e nel 1859, con l'appoggio e la garanzia dello stesso vescovo Pecci, chiese e ottenne la cattedra di eloquenza sublime nell'Università di Perugia.
Verso il processo di unificazione il M. adottò un atteggiamento defilato: non partecipò alla votazione del plebiscito, né prese contro il potere temporale le posizioni abbracciate da altri preti perugini, tra cui il suo vecchio compagno A. Rossi, che lasciò il sacerdozio. Dopo l'Unità insegnò lettere nel locale ginnasio, divenne membro del consiglio direttivo della scuola normale femminile e direttore delle scuole serali, eredi delle scuole notturne preunitarie.
Continuò a collaborare ad alcune iniziative culturali cittadine, come il Giornale scientifico-letterario-agrario che uscì fino al 1867, ma si inserì anche nei circuiti culturali di più ampia portata collaborando all'Archivio storico italiano e alla Deputazione di storia patria per la Toscana e l'Umbria. Fu l'unico esponente del cosiddetto clero liberale che riuscì a conciliare la missione sacerdotale e l'obbedienza al vescovo con l'impegno di insegnante e di studioso.
Il M. morì a Perugia l'8 luglio 1871.
Fonti e Bibl.: A. Rossi, Biografia del prof. ab. R. M., seguita dal catalogo de' suoi scritti, Perugia 1872; M. Mencarelli, L'abate R. M. (1810-1871). I tempi. La vita. L'opera, Padova 1965; S. Mastellone, Il neoguelfismo a Perugia e l'Accademia dei Filedoni al tempo del vescovo Pecci, in Boll. della Deputazione di storia patria per l'Umbria, LXIV (1967), pp. 185-200; F. Bracco - E. Irace, La memoria e l'immagine. Aspetti della cultura umbra tra Otto e Novecento, in Storia d'Italia (Einaudi), Le regioni dall'Unità a oggi, L'Umbria, a cura di R. Covino - G. Gallo, Torino 1989, pp. 626 s.; M. Lupi, La cultura ecclesiastica a Perugia nell'Ottocento, in Erudizione e antiquaria a Perugia nell'Ottocento, a cura di L. Polverini, Napoli 1998, pp. 291-300; Id., Il clero a Perugia durante l'episcopato di Gioacchino Pecci (1846-1878) tra Stato pontificio e Stato unitario, Roma 1998, ad indicem.