MATTIOLI, Raffaele
– Nacque il 20 marzo 1895 a Vasto, nell’Abruzzo meridionale, secondo dei tre figli di Cesario, commerciante, e Angiolina Tessitore, originaria di Gissi.
Dopo aver frequentato la locale scuola media, il M. fu allievo dell’istituto tecnico commerciale F. Galiani a Chieti; nell’autunno 1912 si iscrisse all’istituto superiore di studi commerciali di Genova.
Un’influenza decisiva esercitò su di lui A. Cabiati, maestro di dottrina economica, di analisi empiriche e di impegno politico e civile: editorialista economico nei quotidiani Il Secolo e La Stampa, Cabiati proveniva dal laboratorio di economia S. Cognetti de Martiis di Torino – fucina di economisti, raccolti intorno a L. Einaudi – e collaborava alla rivista La Riforma sociale, con un’evidente inclinazione liberalsocialista.
Allo scoppio della prima guerra mondiale il M. si arruolò come volontario in fanteria. Ferito nel novembre 1916 e poi nel maggio 1917, trascorse vari mesi di convalescenza a Napoli e Ischia; là conobbe esponenti della vita professionale, culturale e politica napoletana, e completò la lettura dei classici del pensiero economico (V. Pareto, M. Pantaleoni e A. Marshall in primis). Tornato al fronte, partecipò con la 22ª armata alle controffensive del Montello nel giugno 1918 e del «medio Piave» fino al termine del conflitto; fu insignito di decorazioni al valor militare.
Dell’esperienza al fronte sicuramente il M. conservò impressioni indelebili, traendone una serie di insegnamenti: l’esercizio della responsabilità e della solidarietà, la necessità dell’organizzazione, dell’«abito interiore» alla disciplina e alla coesione per il perseguimento di obiettivi comuni. La guerra, inoltre, gli aveva fornito una conoscenza non letteraria della società italiana: da una parte il «popolo», che sopportava con coraggio e rassegnazione il peso della vita al fronte ma rimaneva profondamente distaccato dallo Stato e dalle sue istituzioni; dall’altra la classe dirigente, che si andava rivelando retorica, inetta e imprevidente.
Nell’agosto 1919 il M. prestava ancora servizio nell’ufficio politico-militare del corpo d’occupazione interalleato di Fiume. Dopo la «marcia di Ronchi» (12 sett. 1919), si aggregò – come osservatore, senza arruolarsi – alle legioni di G. D’Annunzio, e per lui svolse mansioni di addetto all’ufficio stampa frequentando ufficiali, giornalisti e intellettuali, con molti dei quali in seguito sarebbe tornato in contatto. Lasciò definitivamente Fiume e l’esercito il 24 genn. 1920; a Trieste si era legato a Emilia Tami, morta prematuramente nel 1923, che gli aveva dato nel luglio 1920 il primo figlio, Giuliano.
A richiamare il M. agli studi fu Cabiati, sotto la cui direzione scientifica egli si laureò nel dicembre 1920 a Genova, con la tesi «Note storico-critiche intorno al progetto Fisher per la “stabilizzazione” della moneta», che presentava in anteprima in Italia le proposte dell’economista americano I. Fisher. Ma ben prima della laurea Cabiati gli aveva affidato la redazione della Rivista bancaria, organo della nascente Associazione bancaria italiana (ABI).
Il periodico, nato nel marzo 1920 con il titolo di Bollettino economico finanziario, a cadenza mensile, era uno strumento per aggiornare i banchieri sui problemi «dominanti» del momento, allo scopo di orientarne la cultura e la «condotta» (l’etica professionale); accanto ad articoli di affermati economisti, la parte redazionale si componeva di corrispondenze fittizie dall’estero, traduzioni di articoli, rassegna delle riviste straniere e recensioni. Per la rivista il M. realizzò un «quadro di partenza» statistico e scrisse oltre duecento contributi, quasi sempre anonimi (identificati in F. Pino, Note sulla cultura bancaria a Milano nei primi anni ’20: Cabiati, M. e la «Rivista bancaria», in Riv. di storia economica, febbraio 1995, pp. 1-55 e in Id., R. M. tra economia e bibliografia, 1922-1925, in Il Pensiero economico italiano, 2000, n. 1, pp. 34-103). Fra i temi trattati prevale l’attenzione alla moneta e ai cambi, seguita dallo studio dei sistemi bancari in diversi Paesi con alcuni approfondimenti sull’organizzazione del lavoro bancario e la misurazione dei costi. Il M. insisteva fin da allora sull’utilità di introdurre gli investment trusts, istituzioni finanziarie non ancora sviluppate in Italia, come anello di congiunzione tra l’emissione dei titoli azionari e il collocamento degli stessi nei portafogli dei privati. Altri importanti temi, trattati soprattutto da Cabiati, furono l’auspicio di una Lega europea delle nazioni, la gestione dell’economia di guerra e la necessità di regolare l’intervento dello Stato nell’economia, ritenuto ormai ineluttabile.
All’Università Bocconi di Milano il M. fu assistente volontario di Cabiati e aiutobibliotecario per incarico del rettore Angelo Sraffa. In quegli anni la biblioteca raddoppiò il patrimonio con importanti acquisizioni e divenne il centro di una vivace attività seminariale, ispirata all’esperienza del laboratorio Cognetti de Martiis. Negli anni accademici compresi tra 1922-23 e 1924-25 il M. fu assistente stipendiato dell’istituto di economia politica, diretto da Einaudi, ed ebbe l’opportunità di conversare con quest’ultimo di «libri sicuri» e di testi classici del pensiero economico; sarebbero stati mantenuti nel tempo il dialogo e l’amichevole concorrenza tra bibliofili, cui partecipava anche Piero Sraffa.
Già nel 1921-22 fu avviato presso la Bocconi, anche su proposta del M., il progetto di una «Bibliografia di scienze economiche»; l’iniziativa trovò sbocco negli Annali di economia dello stesso ateneo e poi nella Bibliografia economica italiana, edita dal 1928 sotto la direzione di G. Mortara e allegata al Giornale degli economisti (sul modello tedesco della Bibliographie der Staatswissenschaften e con uno schema che verrà rielaborato dalla Società delle nazioni per una serie internazionale).
Alla Bocconi il manuale di base per l’economia politica era costituito dai Principî di economia di Marshall, che anche P. Sraffa adottò all’Università di Perugia nel 1923. È attestata la compartecipazione del M. alla stesura di alcune parti del celebre saggio di Sraffa, pubblicato nel 1925, Sulle relazioni fra costo e quantità prodotta, con il quale si propugnava un rinnovamento teorico in grado di spiegare «fatti economici» come la concorrenza imperfetta e l’esistenza di monopoli e oligopoli. Nello stesso anno il M. divenne socio a vita della Royal Economic Society e nel 1937 si sarebbe iscritto all’American Economic Association.
Gli amici e colleghi più vicini al M., nel periodo bocconiano, furono P. Vita-Finzi, A. Lanzillo, C. Rosselli, P. Sraffa e N. Levi, docente di diritto amministrativo e avvocato di successo, di fede socialista. Tra questi ultimi si svolgevano nottetempo appassionate discussioni sulle politiche bancarie e monetarie, soprattutto nei loro pesanti effetti redistributivi e nelle ripercussioni sull’occupazione; fu oggetto di speciale approfondimento l’organizzazione sindacale dei lavoratori sul modello inglese, con l’apporto di personaggi provenienti dalla Società umanitaria, come il bibliotecario F. Pagliari e A. Schiavi. Vi erano inoltre contatti con i gruppi politico-intellettuali gravitanti intorno ad A. Gramsci e P. Gobetti, che sarebbero rimasti attivi fino alla Resistenza.
Parallelamente, tra il 1922 e il 1925, il M. fu segretario generale della Camera di commercio di Milano di cui era presidente l’industriale A. Salmoiraghi, proprietario de La Filotecnica (apparecchi di precisione) e figura di spicco nell’ambiente magnatizio degli imprenditori milanesi. In quel triennio la Camera di commercio elaborò uno Schema di legge per l’ordinamento delle borse (1923), operazione che consentì al M. di maturare una raffinata conoscenza tecnica delle contrattazioni in borsa e fuori mercato. Fu ventilata anche la proposta di costituire un ente nazionale unico, dai lineamenti privatistici, per curare l’espansione commerciale italiana all’estero.
Tra le varie questioni affrontate si ricordano l’acquisto del palazzo della Borsa, l’istituzione della Borsa dei cereali, le convenzioni per l’insegnamento professionale, la fondazione dell’Università degli studi di Milano e il sostegno agli atenei milanesi; sul versante della gestione interna, il miglioramento amministrativo. Come già alla Bocconi, per impulso del M. la Biblioteca della Camera di commercio venne potenziata, con raccolte di documentazione economica complementari a quelle possedute da altri istituti cittadini, e ne fu pubblicato il catalogo a stampa. Grande successo ebbe, infine, l’elaborazione dei numeri-indici del commercio all’ingrosso e delle correlate statistiche sul potere d’acquisto della lira. Venne aggiornato il «paniere» dei beni, per mostrare – attraverso eleganti grafici e tabelle – la fortissima disparità nei rincari delle varie derrate e merci (agricole e industriali), e fu realizzato un regolare scambio di numeri-indici settimanali con Stati Uniti, Gran Bretagna e Germania.
Non stupisce quindi che l’operato del M. avesse richiamato l’attenzione dell’amministratore delegato della Banca commerciale italiana (Comit), G. Toeplitz, che lo assunse come proprio segretario di gabinetto il 26 ag. 1925 (con inizio effettivo nel novembre e il grado di condirettore addetto).
L’assunzione segnò un netto cambiamento nella vita del M., che sposò in seconde nozze Lucia Monti (dal matrimonio nacquero Maurizio, Letizia e Stefano) e nel 1928 si trasferì in via Bigli 15, incaricando l’architetto G. De Finetti della ristrutturazione dell’appartamento.
Il M. collaborò alla stesura delle relazioni annuali della Comit fin dall’esercizio 1925; in esse si affaccia la logica dell’economista accanto a quella dell’operatore economico e affiora un ruolo propositivo, sul modello degli Annual reports di alcune banche inglesi e americane, da lui più volte riassunti e tradotti per la Rivista bancaria.
Cruciale è l’attenzione dedicata al quadro strutturale del sistema bancario italiano: l’alto grado dell’«accentramento» bancario in Italia, la scarsità di capitali di rischio e quindi l’inevitabilità della banca mista, con la sua funzione propulsiva nel processo di sviluppo industriale ancora da completare, e, non ultimo, lo studio della psicologia del pubblico, ovvero delle basi della fiducia di depositanti e investitori. Nella parte propositiva delle relazioni spicca su tutto il tema della riforma monetaria. Alla vigilia della drastica manovra deflattiva nota come «quota 90», la Comit usò anche un mezzo di pressione più diretto, facendo recapitare il 14 nov. 1926 a B. Mussolini – per il tramite di G. Paulucci de’ Calboli, capo di gabinetto al ministero degli Esteri – un memoriale steso dal M. (Appunti sulla situazione monetaria). L’esposto conteneva una sintesi delle riflessioni già apparse negli scritti di P. Sraffa e di J.M. Keynes; di quest’ultimo era stata pubblicata in italiano proprio nel 1925 La riforma monetaria (Milano) nella traduzione di Sraffa, per mettere in guardia le autorità dai danni certi del processo deflattivo e suggerire, al contrario, la «stabilizzazione» della moneta, abbandonando il miraggio della riconquista della parità aurea. Nell’entourage della Comit, dove i rapporti con Sraffa e gli economisti di Cambridge erano intrattenuti anche tramite la filiale di Londra, fu preparata la versione italiana del Trattato della moneta di Keynes (I-II, Milano 1932-34), a cura di E. Radaeli, funzionario della banca, e furono attivati interventi per sostenere Gramsci in carcere, soprattutto fornendogli i libri da lui richiesti per poter continuare i suoi studi.
Dal 1926 la Comit si trovava in una preoccupante situazione di immobilizzo dei crediti industriali, mentre la crisi delle borse rendeva impossibile il ricorso al mercato finanziario interno; Toeplitz decise pertanto di percorrere la strada dei prestiti esteri, trattando con organismi finanziari inglesi, olandesi e soprattutto americani. Nelle relazioni di bilancio il M. rassicurava il pubblico circa la temuta perdita del controllo tecnico e dell’indipendenza amministrativa di alcuni settori dell’apparato produttivo italiano; per evitare questo pericolo si collocarono obbligazioni rappresentative di pacchetti azionari di gruppi di imprese, anziché titoli di singole aziende. Per le società elettriche, per esempio, venne costituita a Dover (Delaware) un’apposita holding, la Italian Superpower Corporation, coinvolgendo anche alcune aziende facenti capo al Credito italiano e al Credito industriale di Venezia (gruppo Volpi - Sade). A rappresentare la Comit nella Superpower furono M. Facconi e il M., i due futuri capi della banca. Il passo successivo fu un viaggio di Toeplitz negli Stati Uniti nel maggio 1928, con il M. e G. Malagodi, per rinsaldare i rapporti della Comit con il mondo finanziario americano e tentare il collocamento di American shares della Banca commerciale. Il M. fu promosso direttore addetto il 27 ott. 1928 e direttore centrale il 28 marzo 1931.
In seguito alle perturbazioni internazionali dovute alla «grande crisi» e alla svalutazione della sterlina, la Comit fu costretta a chiedere l’intervento dello Stato, per risanare una gravissima situazione di tesoreria.
Il M. scrisse, a nome di Toeplitz, il memoriale per Mussolini Per la regolamentazione dell’economia italiana, consegnato l’11 sett. 1931, nel quale proponeva di affidare i pacchetti azionari industriali posseduti dalle banche miste e il coordinamento della politica industriale a un ente di natura tecnica, che fu poi l’Istituto per la ricostruzione industriale (IRI), creato nel gennaio 1933 e presieduto da A. Beneduce. Il 31 ott. 1931 fu stipulata la convenzione per il salvataggio della Comit, con lo scorporo delle partecipazioni industriali tramite la società finanziaria di smobilizzo Sofindit (di cui il M. fu nominato tra i consiglieri a fine dicembre 1932). La fase di smobilizzo fu estremamente incerta, in quanto nessun soggetto economico era preparato ad assumersi la funzione finanziaria fin lì esercitata dalle banche miste; nell’autunno 1933 emersero due radicali proposte di riforma: la prima, del 16 ottobre, concerneva il risanamento della Comit (di Facconi e del M.), e la seconda, del 5 dicembre, il risanamento dell’intero sistema bancario (di D. Menichella, entrato nell’aprile 1933 all’IRI e divenutone l’anno seguente direttore generale). Nel marzo 1934 la proprietà della Banca commerciale passò dal Consorzio mobiliare finanziario (controllato dalla banca stessa) all’IRI, e le azioni della banca in mano ai privati rimasero una trascurabile minoranza.
Toeplitz fu costretto a lasciare la guida della banca e nell’assemblea del 25 marzo 1933 gli subentrarono Facconi e il M., che aveva soltanto 38 anni; come conseguenza, nell’aprile successivo il M. dovette iscriversi al Partito nazionale fascista (PNF). Perduravano irrisolte le conseguenze del salvataggio, tra cui un credito verso l’IRI, che aveva sostituito i precedenti crediti finanziari della Comit nei confronti delle imprese e assorbiva la maggioranza degli impieghi; tuttavia Facconi e il M., per tutelare l’autonomia della Commerciale da ingerenze esterne, si impegnarono a realizzare in tempi brevi un sostanziale riequilibrio del bilancio e una rapida riforma dell’organizzazione interna.
I modelli organizzativi furono messi a punto con un’esigua squadra di stretti collaboratori (tra cui Malagodi in primo luogo), combinando la matrice tedesca delle origini con l’adattamento delle più avanzate soluzioni organizzative americane al clima italiano. In particolare si segnalano: la semplificazione dei servizi funzionali della direzione centrale e l’abolizione delle gerarchie intermedie di funzionari; la collegialità delle decisioni; l’avvio di nuove routines per migliorare i dati di controllo direzionale, l’erogazione dei crediti e l’attività di sviluppo commerciale; la meccanizzazione della contabilità e la conseguente riduzione del personale; la precoce selezione e la cura delle risorse umane, vero fattore critico nella competizione tra le banche. I sacrifici, inevitabili, colpirono sia i dirigenti e i funzionari di grado più elevato, di cui furono diminuiti il numero e lo stipendio, sia il personale impiegatizio, che tra il 1932 e il 1936 fu ridotto del 30%, con il consenso dei sindacati fascisti dei lavoratori.
Particolarmente innovativo fu il decentramento amministrativo, con il completo trasferimento di autonomia e responsabilità ai direttori delle filiali, in anticipo su altre grandi aziende italiane che iniziavano allora a studiarne l’introduzione.
Per la prima volta fu condotto un esame organico della redditività di ciascuna filiale; seguì un’analisi organizzativa da parte di Malagodi, che nell’ottobre 1934 propose una radicale riorganizzazione dei «servizi di direzione» di filiale. Furono predefiniti il mansionario dei dirigenti di filiale, con suddivisione fissa dei compiti, e i nuovi metodi di lavoro. Le procedure furono pubblicate in monografie, o testi unici, che sono tra gli esempi più significativi di letteratura organizzativa in Italia. Per rivitalizzare il know-how maturato dalle segreterie tecnico-finanziarie e industriali della vecchia Comit fu messo a punto un questionario-guida per le valutazioni del merito di credito, noto come Modulo 253, che nel secondo dopoguerra verrà imitato dagli altri istituti di credito. Una task force viaggiante per le filiali fu incaricata di istruire i quadri nelle nuove procedure, vincendo le non poche resistenze opposte dai dirigenti più anziani.
Sul piano dei rapporti con le autorità finanziarie, il M. difese strenuamente due tradizionali punti di forza della Comit: la capacità di collocamento dei titoli presso la clientela, «delicato amalgama di buona organizzazione, di fiducia goduta, di esperienza e di autorevolezza», e la rete estera, minacciata dalla tensione politica internazionale, dalle restrizioni commerciali che si accompagnavano al controllo dei cambi e da progetti di ridimensionamento accarezzati dall’azionista di maggioranza, l’IRI, fino alla pericolosa ipotesi di un’unica banca statale per il commercio estero. Altra cruciale battaglia del M., a seguito delle sanzioni decretate dalla Società delle nazioni per la guerra di Etiopia nel 1935, fu di sventare le «controsanzioni» (una moratoria dei pagamenti verso i Paesi sanzionisti).
Il M. aveva larghe visioni circa l’ordinamento complessivo del sistema bancario italiano e partecipò attivamente al concepimento della nuova legge bancaria del 12 marzo 1936, come ascoltato consigliere di Beneduce (si veda il promemoria sulla «riforma» bancaria, 9 apr. 1935, in G. Rodano, Il credito all’economia. R. M. alla Banca commerciale italiana, Milano-Napoli 1984, pp. 103-111).
Significativa la premessa del memoriale: se tutte le banche fossero state definitivamente statizzate (pericolo ancora incombente) sarebbe bastato varare un regolamento o decreto ministeriale; il M. prospettava invece come seconda soluzione, che poi fu scelta, quella di lasciare agli istituti bancari la natura di soggetti privati, con «quel minimo di poteri, di autonomia e di rapporti diretti con l’ambiente economico». La legge bancaria doveva dunque «regolare rapporti e ripartire competenze» tra i diversi istituti creditizi. Il M. consigliò con fermezza la liquidazione di ben tre banche: la Banca nazionale del lavoro (BNL), il Banco di Roma e il Credito marittimo, ma solo quest’ultimo fu sciolto.
Anche in seguito il M. produsse densi memoriali sull’organizzazione funzionale e territoriale delle banche, pochi dei quali sono stati pubblicati. Nel 1937 si batté per mantenere la «separatezza» del credito finanziario da quello a breve termine, come pure per ridurre i privilegi goduti dalle banche di diritto pubblico sia per l’apertura di nuovi sportelli sia per aggiudicarsi i servizi bancari degli enti pubblici. Nel 1937 Banca commerciale italiana, Credito italiano e Banco di Roma furono qualificati come banche di interesse nazionale, in considerazione della loro presenza sull’intero territorio del Paese; per tutte e tre lo Stato restò per circa un sessantennio l’azionista di maggioranza attraverso l’IRI.
Negli anni Trenta, e poi anche nel secondo dopoguerra, il più brillante centro di elaborazione delle analisi economiche fu l’ufficio studi della Comit, affidato ad A. Gerbi e posto alle dirette dipendenze degli amministratori delegati.
L’ufficio studi Comit condusse, in collaborazione con quello della Banca d’Italia e con Mortara, la ricerca su L’economia italiana nel sessennio 1931-1936 (I-III, Roma 1938), volta a colmare l’assenza di statistiche aggiornate e di moderno impianto. Lo studio comparato dei sistemi bancari di vari Paesi esteri ricevette impulso particolare, allo scopo di confrontare modalità ed eventuale persistenza dell’intervento dello Stato nelle banche dopo la grande crisi. Dal 1937 Gerbi fu esponente di spicco, a fianco di W. Crick della Midland Bank, nel circuito degli economisti di banca (International Conference of commercial bank economists). Trovarono spazio, inoltre, i dibattiti su crisi del capitalismo ed economia pianificata, l’analisi del New Deal e delle large corporations americane; sotto la direzione di U. La Malfa (subentrato nel 1939 a Gerbi, trasferito in Perù in conseguenza delle leggi razziali), l’ufficio studi divenne anche un centro di organizzazione politica per il Partito d’azione (Pd’A). Dopo la guerra l’ufficio fu un duttile strumento per tutte le attività della Banca commerciale, e Gerbi cooperò nella preparazione di alcuni affari esteri e nelle analisi di politica monetaria, rappresentando spesso la Comit nelle riunioni presso la Banca d’Italia e l’ABI.
L’ascesa del prestigio professionale del M., dovuta al successo conseguito nel risanamento e nella riconversione organizzativa della Banca commerciale, gli consentì di essere rispettato dal regime, pur essendo stati segnalati più volte alla polizia i suoi sentimenti politici antifascisti. L’Università cattolica di Milano, per iniziativa di M. Boldrini (allora preside della facoltà di scienze politiche) e di padre A. Gemelli, lo invitò a tenere un corso di tecnica bancaria, tra il 1939-40 e il 1943-44, con l’aiuto di D. Boffito (attivo nella Resistenza come membro del Pd’A e del Comitato di liberazione nazionale Alta Italia [CLNAI]) e di A. Ferrari (passato poi alla Banca dei regolamenti internazionali e successivamente ai vertici della BNL); le dispense, Appunti di tecnica bancaria (Milano 1941 e 1942) sono state ripubblicate nel 2006 (Lanciano).
Fin dal 1933 le banche erano state inserite coattivamente nella corporazione della Previdenza e del Credito; per non disperdere il know-how tecnico-bancario e legislativo dell’ABI fu creata l’Associazione tecnica bancaria italiana, che rimase a Milano con funzioni di ufficio studi e consulenza; nel 1937, con l’ausilio di N. Levi, il M. progettò l’Istituto di cultura bancaria, di diritto privato, garantendo la continuazione della Rivista bancaria - Minerva bancaria, con le pregevoli rassegne redazionali delle riviste italiane e straniere.
Nei primi anni Quaranta, il M. assunse un ruolo defilato nelle riunioni confederali, tirando «i remi in barca» anche nelle concessioni di credito alle industrie belliche. Evitò, soprattutto, di collaborare a progetti espansionistici nei Paesi balcanici, al seguito dell’occupazione militare tedesca e italiana; in questo si scontrò con il secondo amministratore delegato, A. D’Agostino, il quale nel 1942 lasciò la Comit e divenne direttore generale della BNL. Il M. perseguì un dialogo sempre più stretto con il Credito italiano, dapprima concordando i memoriali inoltrati alle autorità e poi cooperando – sia insieme sia disgiuntamente – alla Resistenza. Nel dopoguerra la collaborazione fu sviluppata anche sul versante sindacale: il M. propugnò la separazione di questa materia dall’ABI, favorendo la costituzione di un apposito organo, l’Assicredito, del quale seguì personalmente i lavori.
Negli anni del regime fascista, il M. partecipò alla fondazione della rivista La Fiera letteraria, diretta da U. Fracchia, fin dal dicembre 1925, con un contributo di 50.000 lire dato all’amico abruzzese G. Titta Rosa, segretario di redazione. Ben più sostanzioso fu l’intervento per sostenere, dalla fine del 1929 al 1933, La Cultura, mensile di letteratura comparata fondato da C. De Lollis, trasformato nel 1932 in trimestrale, di cui furono condirettori responsabili dapprima G. Scarpa (1930), poi G. Pasquali (1931-32) e quindi S. Solmi (1933), critico e letterato, che sarebbe diventato capo dell’ufficio legale della Comit.
La decisiva azione di sostegno al periodico giocata dal M. era nota solo a una cerchia ristretta di collaboratori, che si ritrovavano il lunedì sera nella sua casa in via Bigli (cfr. R. Bacchelli, Le notti di via Bigli, in Un augurio a R. M., Firenze 1970, pp. 3-44). La liberalità privata rimaneva nell’ombra, per cautela politica, per la necessità di non coinvolgere in alcun modo la Comit e anche per una radicata avversione del M. nei confronti di ogni tipo di esternazione in pubblico.
A tenere le fila della redazione era di fatto A. Cajumi, giornalista e cultore di francesistica, che accentuò il carattere militante e pugnace della rivista. A questa venne mantenuto l’indirizzo di De Lollis: multidisciplinarità, osmosi tra accademici di professione e uomini di cultura, divulgazione della produzione letteraria europea e di quella locale, attenzione al contesto storico-morale e culturale in cui si erano formati gli scrittori, recensioni a opere di giovani autori (firmate da critici illustri), problemi della scuola, commenti e polemiche.
Tra i collaboratori sono da annoverare alcuni tra i migliori studiosi emergenti o già affermati (tra gli altri: B. Migliorini, M. Praz, P.P. Trompeo, L. Ginzburg, C. Pavese, M. Mila, N. Sapegno, G. Devoto, A. Zottoli, E. Cecchi, A. Banfi, E. Colorni, L. Salvatorelli, A. Pincherle, A. Momigliano). A fine 1933 La Cultura, unitamente al logo dello struzzo (e al suo motto: Spiritus durissima coquit), passò alla nascente casa editrice Einaudi; già nel maggio 1935 la rivista fu chiusa e alcuni redattori vennero arrestati. Nella collana di libri che affiancava la rivista uscirono importanti saggi di L. Ambrosini, Gerbi, Praz, De Lollis e altri. Da ricordare è anche la pubblicazione, a Milano nel 1934 e 1935, di due raffinati volumi, editi sul modello della «Pléiade» francese, delle Opere di G. Leopardi e di A. Manzoni, a cura di Bacchelli e Scarpa.
Durante il periodo bellico il M. intensificò la promozione della ricerca storica, impostando dal 1941 con F. Chabod la collana «Studi e ricerche di storia economica italiana nell’età del Risorgimento», destinata a celebrare il cinquantenario della Banca commerciale italiana (1944).
Le ricerche partivano dal Settecento per arrestarsi alla prima guerra mondiale, ultimo drammatico atto, secondo il M., nel processo di costruzione dello Stato unitario italiano. L’opera inaugurale, commissionata al decano degli studi di storia economica G. Luzzatto, privato della cattedra universitaria, vide la luce soltanto nel 1963, e la collana (di complessivi 31 volumi) è proseguita sotto la guida di V. La Colla e P. Norsa, dell’ufficio studi, e sotto la supervisione di F. Venturi e L. Valiani fino al 1997.
Negli anni di guerra il M. esplicò un’azione personale volta al coordinamento dei vari raggruppamenti antifascisti. Nel suo studio presso la rappresentanza di Roma della Banca commerciale – dove si era trasferito dopo il 25 luglio 1943, creando una direzione centrale distaccata, con il consenso della Banca d’Italia – transitarono, ricevendo aiuti e consigli, non solo gli esponenti del Pd’A (La Malfa, Salvatorelli e A. Tino, con i quali il M. ebbe frequenti colloqui, partecipando tra l’altro al lancio del giornale L’Italia libera), ma anche cattolici di varia estrazione, liberali, monarchici, socialisti e comunisti. Tale attività è testimoniata, tra gli altri, da Giuliana Benzoni («aristocratica ribelle» vicina a G. Salvemini, che prima della destituzione di Mussolini aveva stimolato il M. a incontrare la principessa Maria José di Savoia), da Giorgio Amendola e dal marchese M. Majnoni, capo della rappresentanza di Roma della Comit, nei suoi diari ancora inediti.
Nei primi anni Quaranta il M. aveva iniziato a coordinare la preparazione al dopoguerra di giornalisti e intellettuali: tra i più intimi vanno ricordati i componenti di un gruppo informale di lavoro, soprannominato da Majnoni «il quadrumvirato», composto da C. Antoni, G. De Ruggiero, U. Morra di Lavriano e P. Pancrazi, e al quale presto si aggiunse Salvatorelli. Dal gennaio 1943 furono progettate una rivista settimanale di attualità e una collana di traduzioni e opere originali, da stampare con «le macchine e la carta» di Rizzoli a Roma; l’iniziativa, sollecitata ancora dal M. a Rizzoli nel dicembre 1943, non andò in porto ma costituì la gestazione della rivista settimanale di politica e cultura La Nuova Europa, diretta da Salvatorelli (e di fatto, senza che vi apponesse il suo nome, dallo stesso Mattioli). La rivista, pubblicata dal 10 dic. 1944 al marzo 1946, riuscì a essere organo di formazione oltre che di informazione ed ebbe prestigiosi collaboratori; in quanto periodico di leadership democratica, è stato riconosciuto come l’antecedente de Il Mondo di M. Pannunzio.
Una parallela gestazione fu quella della raccolta di saggi Cinquant’anni di vita intellettuale italiana, l’unica opera (I-II, Napoli 1951; 2ª ed., ibid. 1966) curata ufficialmente dal M. con Antoni, concepita come omaggio per gli ottant’anni di B. Croce: un consuntivo e un dibattito critico sul suo ruolo determinante nel rinnovamento del costume culturale italiano. Il M. intendeva farne un quadro di partenza per tracciare delle «direttive per lo sviluppo» del Paese in campo culturale: come già nell’esperienza de La Cultura, l’attività intellettuale era intesa come terreno e sforzo comuni (e non come una somma di orticelli individualmente coltivati).
Fin dal 1938, in modo non appariscente, il M. aveva rilevato la casa editrice Riccardo Ricciardi, di Napoli, il cui precedente proprietario, divenuto parente in seguito al matrimonio della propria figlia con un cugino del M., partecipò spesso agli incontri romani e napoletani con vari intellettuali, finché durò la guerra, e anche in seguito continuò a occuparsi attivamente della casa editrice.
Nel periodo bellico furono stampate presso la Ricciardi varie e significative opere di Croce. Coraggiosa fu la pubblicazione nel 1942, sotto lo pseudonimo di G. Fornaseri, de La Santa Romana Repubblica di G. Falco, ristampata con il nome dell’autore nel 1944. Oltre alla traduzione di E. Fueter, Storia della storiografia, a cura di A. Spinelli (I-II, 1943), si segnalano in particolare la Storia del Partito comunista (bolscevico) dell’URSS, di Stalin e altri autori (1944), e il primo quaderno della fortunata rivista di letteratura Botteghe oscure (1948), che passò subito ad altri editori. Il M. utilizzò in misura crescente (ma non esclusiva) la Stamperia Valdonega di Verona diretta da G. Mardersteig, a partire dal volume, del 1949, J.H. Jung-Stilling, Giovinezza di Enrico Stilling (tradotto da O. Ferrari) e dalla traduzione di F.S. Oliver, Elogio dell’uomo politico (The endless adventure), a cura di M. Praz (1950); seguirono la collana «La Letteratura italiana. Storia e testi», inaugurata nel 1951 dalla silloge di B. Croce, Filosofia, poesia, storia, a cura di A. Gerbi, dove comparve per la prima volta il logo con i due delfini e la citazione dantesca «Quinci si va chi vuol andar per pace». La collana, diretta da Pancrazi, A. Schiaffini e dal M., era nata per riproporre «la gran corrente di poesia e d’arte che dà unità alla nostra storia e una ragione alla nostra vita» (cfr. R. Mattioli, Pancrazi laureato, in Il Ponte, aprile 1953, pp. 475-477). Intorno alla ripresentazione dei testi maturarono la critica, l’analisi storica e l’esegesi filologica. Di forte originalità e impegno restano i volumi collettanei di autori di scritti politici, economici e civili e le sillogi di critici e di storici. Rispetto al piano iniziale di 75 volumi di testi e 7 di storia letteraria, a causa della suddivisione in più tomi o parti ne sono complessivamente usciti 88 di testi e 1 di storia letteraria. Continuarono a essere composti a Napoli alcuni saggi di storia e cultura partenopea (di Gino Doria e altri). Tra le altre collane Ricciardi si ricordano: i «Documenti di filologia» (serie diretta da Schiaffini e G. Contini), le «Opere di cultura storica e letteraria», i «Sine titulo» (raccolte di scritti di autori italiani contemporanei) e la rivista Metrica.
Gli anni 1944-45 furono contraddistinti dalla compresenza di eventi bellici e di un singolare fervore politico in vista del dopoguerra. Il M. fu sospeso dalla carica di amministratore delegato il 23 ag. 1944, perché non era di fatto rientrato a Milano (come avrebbe preteso l’IRI, trasferitosi al Nord); preziosa fu l’opera del secondo amministratore delegato della Banca commerciale, A. Rossi, del segretario del consiglio E. Brusa e del direttore centrale C. Franzi.
Dall’autunno 1944 il M. fu chiamato a testimoniare sull’operato di personalità divenute oggetto dei processi di epurazione (primo tra tutti Menichella); si batté con forza, in questo clima surriscaldato, per non alimentare nuove divisioni settarie. Come già avvenuto in precedenza a favore di molti ebrei aiutati a espatriare tempestivamente, innumerevoli furono i profughi che trovarono aiuti e ricovero da parte del M. a Roma, a Nozzole (la tenuta di famiglia nel Chianti, dove restò nascosto per esempio L. Russo) e in varie altre località. Nel periodo più difficile dell’occupazione tedesca la Comit cooperava con la rete di interventi di solidarietà posta in essere tra il Vaticano, la Croce rossa e la Svizzera (ove un terminale attivo era l’affiliata Banca della Svizzera italiana, con il suo direttore A. Lory).
Nel quadro dei progetti per la ricostruzione spicca la gestazione di Mediobanca, a partire dall’agosto 1944. Il M. riprese un’idea, lungamente coltivata, di completare la Comit con un organismo a sé stante per l’erogazione del credito a medio termine, dopo aver sperimentato come insoddisfacente la collaborazione con l’Istituto mobiliare italiano (IMI) e nel desiderio di giungere al «distacco del finanziamento industriale dalla firma dello Stato».
Il progetto iniziale fu trasformato dalle autorità bancarie e monetarie unendo alla Comit le altre due banche di interesse nazionale (Banco di Roma e Credito italiano); occorsero ben diciotto mesi per vincere resistenze e obiezioni, fino al 10 apr. 1946. La guida del nuovo istituto fu affidata a E. Cuccia, che era stato condirettore centrale della Comit per il settore estero e stretto collaboratore del M. a Roma tra il 1943 e il 1945. L’integrazione funzionale tra Comit e Mediobanca permise alla prima di servire i fabbisogni di credito finanziario delle imprese clienti e alla seconda di provvedere alla raccolta, tramite collocamento dei certificati di deposito vincolati e dei titoli emessi da Mediobanca. Lo sviluppo di Mediobanca quale unica banca privata di investimento, con orizzonti internazionali, fu molto soddisfacente e redditizio, in termini patrimoniali e operativi, per le tre banche di interesse nazionale. Cuccia ottenne dal M. piena indipendenza di valutazione sugli affari che gli venivano presentati. Dagli anni Settanta Mediobanca si ritrovò arbitra degli equilibri tra le grandi famiglie del capitalismo italiano, un ruolo che il M. non aveva previsto, in quanto storicamente diffidava del capitalismo «finanziario», mentre sempre più avrebbe voluto curare «il lato più debole della nostra struttura economica», sopperendo al problema antico della «deficienza di mezzi propri che affligge tante nostre imprese, le obbliga […] a puntare spasmodicamente sull’autofinanziamento e a rinviare i piani di rinnovamento tecnico e commerciale, perdendo così poco alla volta la loro capacità di concorrenza […]». La via maestra restava quella di «instaurare, o restaurare, nella struttura finanziaria dell’impresa, l’equilibrio tra mezzi propri e mezzi di terzi»; il M. proponeva in sostanza di assistere le imprese nei delicati passaggi successori e nella crescita dei loro affari con forme di private equity, fino all’auspicabile quotazione in borsa (cfr. Relazione di bilancio Comit, 1964).
Sempre nel 1944 il M. fu designato a fare parte della missione economica italiana negli Stati Uniti diretta da Q. Quintieri (novembre 1944 - marzo 1945), per le sue virtù di mediazione, la sua credibilità internazionale e il sostegno del Pd’A.
Si trattava di un mandato debole: non essendo l’Italia ancora liberata, la delegazione rappresentava un Paese occupato e prostrato dalla guerra sul proprio territorio e non raggiunse risultati concreti di rilievo. Poté essere quantificato l’ammontare delle amlire emesse dal governo militare alleato, restituendo alla Banca d’Italia l’unicità dell’emissione; venne affrontato anche il problema dei beni requisiti agli Italiani al momento dello scoppio della guerra. Si trattò poi del ripristino su basi paritetiche degli scambi commerciali e delle relazioni finanziarie internazionali e di forme di aiuto all’economia che non pregiudicassero l’autonomia del Paese. Il M., accompagnato da Cuccia nella missione, era la personalità più adatta per dimostrare come l’Italia fosse in grado di dialogare alla pari con gli altri Paesi su temi di cooperazione economica, finanziaria e monetaria internazionale. Le filiali della Banca commerciale a Londra e a New York non furono riaperte, ma la continuità delle relazioni d’affari sulle piazze citate venne garantita da due rappresentanze.
Il M. era già stato proposto, nel giugno 1944, come governatore della Banca d’Italia (o direttore generale del Tesoro, o ministro degli Esteri). Il 12 maggio 1945 fu nominato commissario straordinario della Comit per le filiali dell’Italia settentrionale, e poi reintegrato nella carica di amministratore delegato. Dal maggio 1945 in avanti venne invitato a far parte di commissioni su programmi politico-economici per la ricostruzione (commissione di studio per le conferenze internazionali del ministero degli Affari esteri, comitato interministeriale per la ricostruzione) ed entrò a far parte del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione. Il contributo specifico del M. può riassumersi nel suo convogliare la riflessione dei vari movimenti politici sui non pochi e persistenti problemi di arretratezza storica dell’Italia, da affrontare con priorità e da risolvere con spirito unitario.
Sull’intervento dello Stato nell’economia, e nelle banche in particolare, il confronto si fece serrato presso la commissione economica dell’Assemblea costituente.
Nell’audizione a lui riservata (1946) il M. si dichiarò a favore del mantenimento dell’IRI come socio di riferimento per le banche di interesse nazionale, essendo conscio della carenza di investitori privati stabili in Italia e dei guasti causati dalle scalate di industriali o da forme indirette di possesso del capitale proprio da parte delle banche; insistette per l’osservanza dello spirito della legge bancaria e del cartello sui tassi attivi e passivi applicati dalle banche.
Risale al 1944 la progettazione dell’Istituto italiano per gli studi storici, presso l’abitazione e la biblioteca di Croce a Napoli, inaugurato il 16 febbr. 1947.
L’Istituto era concepito come una scuola di alti studi post lauream con borse conferite a giovani ricercatori italiani e stranieri, per la quale il M. aveva effettuato una raccolta di fondi presso banchieri e imprenditori; la scelta del direttore, declinate varie candidature, cadde su Chabod. Alla morte di Croce, il M. subentrò nella presidenza (1952) e anni più tardi accettò di ripubblicare tre interventi e prolusioni in Fedeltà a Croce (Milano 1966). L’Istituto formò un’intera generazione di eminenti storici a livello nazionale e internazionale, allenati al dibattito culturale e filosofico, in cui convivevano la teoria della storiografia, la storia delle idee e la storia politica ed economica (cfr. L’Istituto italiano per gli studi storici nei suoi primi cinquant’anni, a cura di M. Herling, Napoli 1996).
Inoltre, il M. sostenne i primi studiosi di storia della banca, da A. Gerschenkron a R. Webster ad A. Confalonieri. Nel 1967 affidò il progetto per la costituzione dell’Archivio storico della Banca commerciale italiana a B. Vigezzi, G. Rumi ed E. Decleva. L’ultima proposta in campo storiografico fu l’Associazione per lo studio della formazione della classe dirigente nell’Italia unita, per la quale stese la Premessa e lo Statuto (1972).
In questi anni è anche da ricordare la frequentazione del gruppo della sinistra cristiana (cattolici comunisti) e di F. Rodano in particolare. Dal 1947, la crisi del Pd’A e la crescente delusione politica avvicinarono il M. al Partito comunista italiano (PCI), in una posizione di aperto dialogo, testimoniata dalla sua lettera a P. Togliatti del 28 maggio 1947, stesa con la collaborazione di Malagodi e Rodano. Di Togliatti il M. apprezzava il programma «gramsciano» di educazione delle masse, per rendere possibile la loro partecipazione responsabile al governo del Paese. Si è tramandato (in una testimonianza di Nilde Iotti) che il M. ebbe un ruolo nel conservare i Quaderni di Gramsci, dopo la sua morte, nella cassaforte della Banca commerciale a Roma; non esiste, tuttavia, una prova scritta o una versione univocamente accettata di tale intervento.
Anche come banchiere il M. guardava con interesse ai Paesi del blocco comunista, sui quali riceveva rapporti e commenti da vari osservatori e informatori. Nella primavera del 1947, fu prescelto per guidare la delegazione economica inviata a Belgrado per stipulare un trattato commerciale con la Iugoslavia. Una delle riviste sostenute dal M., Lo Spettatore italiano (1948-56), pubblicava editoriali sulla necessità di mantenere rapporti con l’Est europeo e di formare quadri per le relazioni internazionali, di ampliare la documentazione e gli studi sui problemi internazionali, di incrementare i contatti con gli enti di cooperazione internazionale e di curare gli aspetti, anche remoti, dell’educazione al «civismo» internazionale.
Nello Spettatore italiano, periodico dal titolo di chiara ispirazione anglosassone, sorto intorno a Elena Croce e R. Craveri, confluirono varie correnti: collaborarono, tra gli altri, alcuni ex azionisti ed esponenti della sinistra cristiana, per cui la rivista approdò a un «liberalismo quasi rivoluzionario» (G. De Rosa, L’avventura politica dello «Spettatore italiano», in Studium, XCVII [2001], 4, pp. 575-590). La rivista proponeva un superamento delle crescenti barriere ideologiche, al fine di costruire un solido fronte riformista e un «partito dell’opinione», che, pur rimanendo fedele all’atlantismo, non escludesse il dialogo culturale e commerciale con l’Europa orientale.
Per queste posizioni il M. era oggetto di speciale vigilanza da parte dei servizi d’informazione statunitensi, che più volte segnalarono la sua vicinanza al «fronte comunista», fino a un tentativo, fallito, di defenestrarlo dal vertice della banca, avvenuto nel 1954, al tempo del governo presieduto da M. Scelba. Questi invitò, infatti, l’IRI a non ricandidare il M., considerandolo filocomunista. Il presidente della Comit, C. Giussani, scrisse allora a Scelba che l’allontanamento del M. sarebbe stato nocivo non solo per la banca, ma anche per la reputazione internazionale dell’Italia; tra i difensori del M. intervenne anche il presidente della Repubblica, Einaudi.
Il dinamismo della Comit fu del resto continuamente frenato dall’IRI, che negò gli aumenti di capitale richiesti con insistenza dal M. per riadeguare i mezzi propri della banca dopo l’inflazione di guerra e garantirle un adeguato sviluppo. A sua volta la banca centrale, nell’accordare i permessi di apertura di nuovi sportelli, assecondava più volentieri la crescita delle banche regionali e locali e promuoveva gli istituti di credito speciale e il credito agevolato, moltiplicando le poltrone e spingendo il lavoro bancario verso una routine burocratica. La crescita del potere delle banche centrali era vista dal M. come un fenomeno comune ai paesi dell’Europa occidentale, nei quali l’istituto di emissione spiccava come organo «centralizzatore» e si andava trasformando da organo di disciplina e controllo, da moderatore della liquidità e da «banca al servizio delle banche» in arbitro dell’intero sistema; mentre, d’altro canto, rischiava la riduzione a strumento tecnico posto al servizio della politica economica (cfr. la premessa del M. ad A. Gerbi, La banque en Italie, in Institutions et mécanismes bancaires dans les pays de la Communauté économique européenne, a cura di O. Moreau-Neret, Paris 1969, p. 298).
Pur nelle restrizioni costantemente imposte, il credito all’economia rimase uno dei meriti distintivi della lunga gestione del M., divenuto nel 1960 presidente della Comit: aiutare le imprese a pensare in grande, a compiere salti di qualità e dimensione, ricorrendo possibilmente al mercato finanziario. Il M. era tra i più consapevoli propugnatori di politiche del credito anticicliche e su questi temi fu un carismatico interlocutore delle autorità monetarie centrali. I dati sul credito erogato erano illustrati e commentati nelle relazioni annuali di bilancio della Comit, un appuntamento atteso non solo nell’ambito degli osservatori finanziari.
Nelle relazioni ricorrono preziose definizioni sul valore e la funzione dei bilanci (nelle sue parole opere di poesia in quanto raffigurazioni intenzionali e non specchi dell’attività bancaria), sulla natura dei crediti e sulla liquidità bancaria, sul cartello (di cui il M. fu attivo sostenitore). Preziose sono le indicazioni sull’andamento dei prezzi e sull’inflazione nel secondo dopoguerra, sui tassi d’interesse e sulle interconnessioni tra mercato monetario e finanziario.
Impossibile sarebbe elencare le imprese decollate con l’aiuto decisivo del M. (si è soliti ricordare la fiducia accordata a E. Mattei per evitare la liquidazione dell’Azienda generale italiana petroli [AGIP] e per sostenere l’Ente nazionale idrocarburi [ENI]). Per esperienza diretta il M. diffidava degli industriali italiani, poco propensi al rischio imprenditoriale e pronti a cercare i favori dello Stato; espose con coraggio questi pensieri in un dibattito alla televisione sulla nazionalizzazione delle imprese elettriche (cfr. Mondo economico, XVII [1962], 29, pp. 29-35). A livello internazionale, il M. aveva salvato negli anni di guerra la Sudameris, banca italo-francese diffusa in tutto il continente sudamericano, mediante un accordo di «neutralizzazione» (creando una direzione separata dall’Europa che fu affidata a Malagodi) e con il decisivo aiuto del Vaticano (che detenne una quota importante del capitale azionario); il M. ne fu vicepresidente dal 1936 al 1972. Analoga continuità di presenza si riscontra nella Banca della Svizzera italiana.
Più in generale, il M. intrattenne contatti diretti con banchieri esteri fin dagli anni Venti.
Era fortemente stimato dai Rockefeller, da D. Lilienthal e da altri banchieri, i quali, rassicurati dalla sua insistenza nel difendere l’iniziativa privata, restavano affascinati dalla sua capacità di occuparsi di iniziative «other than business»: erano apprezzate le sue idee sullo sviluppo economico e civile, sul Mezzogiorno e sulla «motivazione umana» (tanto che il miglior contributo allo sviluppo restava il talent scouting e l’incoraggiamento dato a ogni forma di vocazione e di imprenditorialità).
Nel 1963 il M. fu nominato adviser al fianco dei maggiori banchieri del mondo (Abs, Rothschild, ecc.) nell’International Finance Corporation, braccio operativo della World Bank per catalizzare gli investimenti privati verso i paesi in via di sviluppo e per tentare di favorire negli stessi, tramite emissioni di titoli, la nascita o la crescita dei mercati finanziari. Già alla fine del 1959 il M. era stato candidato alla presidenza di una commissione tra le associazioni bancarie dei paesi del Mercato comune europeo (MEC) e aveva scritto un programma di lavoro Sur l’aide aux pays sous-développés, nel quale, anziché soffermarsi su questioni procedurali di carattere tecnico-finanziario, proponeva uno studio integrato dei problemi dell’economia e della civilizzazione mondiale, a partire dagli squilibri causati nei paesi progrediti dal troppo rapido sviluppo tecnologico-industriale. La proposta, che non ebbe successo, fu pubblicata in italiano con una dedica alla memoria di V. Valletta (estr. da Atti e rassegna tecnica degli ingegneri e degli architetti in Torino, dicembre 1967).
La storia circostanziata delle innumerevoli iniziative della Comit a sostegno delle imprese italiane all’estero, della fitta rete di relazioni internazionali e della reputazione del nome «BCI» nella comunità bancaria globale è ancora da scrivere. Nel campo degli studi il M. sostenne l’International Summer School organizzata dal britannico Institute of bankers e la Fédération européenne d’études bancaires. Riuscì a vedere l’avvio della ricostituzione di una rete estera di filiali, affiliate e rappresentanze della Banca commerciale italiana, a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta.
Tra le iniziative culturali del M., infine, spiccano il varo della Fondazione Longhi per la storia dell’arte, della quale fu presidente dal 1971 al 1973, e il vitale sostegno all’Accademia della Crusca, a Firenze; i numerosi interventi a favore di case editrici in difficoltà (le Edizioni di storia e letteratura di don G. De Luca, le case editrici Einaudi, Sansoni, Il Saggiatore e altre); l’impulso dato alle edizioni di opere complete di economisti, sociologi e storici (C. Cattaneo, F. Ferrara, Pareto, Salvemini); l’aiuto per l’acquisto da parte del Comune di Milano della Pietà Rondanini (1949-52) e del fondo stendhaliano Bucci (1970), nonché la promozione del catalogo dei codici arabi della Biblioteca Ambrosiana e della monumentale catalogazione dei Musei milanesi, iniziative portate a compimento dalla Banca commerciale nel corso di un trentennio; infine, si può menzionare il piano innovativo di fund-raising (con emissione di titoli) per la salvaguardia di Venezia, concepito insieme con l’ambasciatore inglese in Italia sir Ashley Clarke. Ininterrotti furono gli interventi a favore di singoli libri e singoli studiosi, spesso con atti di liberalità privata.
Nell’aprile 1972, dietro forti pressioni politiche, il M. non venne rinnovato dall’IRI alla presidenza della Banca commerciale; gli fu negata la facoltà di designare un successore interno, sintomo del prevalere della partitocrazia nelle nomine ai vertici di imprese ed enti pubblici.
Il M. rifuggì dai riconoscimenti onorifici e non ebbe il tempo di completare i molti progetti che aveva in animo. Morì, infatti, a Roma il 27 luglio 1973 e fu sepolto a Milano, nell’abbazia cistercense di Chiaravalle.
Del M., oltre alle opere già citate, si ricordano ancora: I problemi attuali del credito, lezione tenuta a Venezia (Ca’ Foscari) il 7 dic. 1961, edito in Bancaria, dicembre 1961, pp. 1315-1322; commemorazioni a stampa di A. Casati (Napoli 1956), C. Giussani (Milano 1960), F. Chabod (Napoli 1960), L. Einaudi (letta il 30 ott. 1964 ed edita in Annali della Fondazione Einaudi, IX [1975], pp. 33-35), F. Nicolini (in Riv. stor. italiana, LXXVII [1965], pp. 760 s.), F. Migliorisi (foglio edito s.l. 1966) e del fratello Enrico Mattioli (Verona 1965). Il volume di G. Rodano, Il credito all’economia, cit., contiene un’ampia silloge di scritti bancari del Mattioli. Fondamentali sono le Relazioni di bilancio della BCI, soprattutto dal 1945 al 1971, per le quali fu redatto un indice per materia da A. Gerbi.
Fonti e Bibl.: Milano, Arch. stor. di Intesa Sanpaolo, Patrimonio BCI, Carte Mattioli, 1925-1972, a struttura alfabetica per corrispondenti o società (oltre 3700 nominativi), e piccola miscellanea di Carte private (tra gli scritti inediti del M. si segnalano promemoria per le autorità, commemorazioni e discorsi ufficiali, comunicazioni ai collaboratori sull’andamento della Banca, talvolta più ricche ed esplicite delle relazioni di bilancio); gli archivi privati e le carte di lavoro dei più stretti collaboratori del M. forniscono un indispensabile complemento per le ricerche. Si vedano ancora: Milano, Centro Apice dell’Università degli studi, Carte della Casa editrice Ricciardi, in corso di inventariazione; Ibid., Fondazione Raffaele Mattioli, Biblioteca di economia politica, e nucleo di manoscritti diversi (cfr. Catalogo della Biblioteca, a cura di C. Tremolada, Milano 2006). In assenza di una ricostruzione scientifica completa della figura del M.: G. Malagodi, Profilo di R. M., Milano-Napoli 1984 e S. Gerbi, R. M. e il filosofo domato, Torino 2002. Per le testimonianze e gli articoli pubblicati dopo la sua scomparsa: R. M. 27 luglio - 27 ag. 1973, Milano 1973 e vari volumi collettanei, tra cui La figura e l’opera di R. M., Milano-Napoli 1999 (convegni di Vasto, 1980 e 1996). Sulla riorganizzazione della Comit dopo il salvataggio: F. Pino, Introduzione all’inventario Segreteria degli amministratori delegati Facconi e M., 1925-1972, Milano 2000, pp. VII-LXXIX. Sulla casa editrice Ricciardi: G. Doria, I primi quarantacinque anni della casa editrice Ricciardi, Milano-Napoli 1951, passim; D. Isella, Per una collezione di classici. La letteratura italiana. Storia e testi, Milano-Napoli 1982, ad indicem.