PETTAZZONI, Raffaele
PETTAZZONI, Raffaele. – Nacque a San Giovanni in Persiceto (Bologna) il 3 febbraio 1883 da Cesare e Maria Luigia Minezzi.
Intorno ai diciott’anni abbandonò la fede cattolica a cui era stato educato ed entrò nel Partito socialista, svolgendo attività politica nel suo paese natale. Nel 1901 si iscrisse alla facoltà di lettere dell’Università di Bologna, dove acquisì una preparazione storica e archeologica, mentre cominciava a interessarsi di temi etnologici, tradizioni popolari e mitologia comparata indoeuropea e a compiere, autonomamente, letture di storia religiosa e di psicologia della religione. In Giosue Carducci, che considerava suo maestro, trovò un modello di ricerca fondato sull’aderenza scrupolosa ai documenti e un impegno morale che si esplicava nel contesto di una religiosità laica e patriottica. Sul piano più propriamente storico e archeologico si formò in un ambiente culturale positivista ed evoluzionista, alla scuola di Vittorio Puntoni, Edoardo Brizio, Francesco Lorenzo Pullè, Alfredo Trombetti. Ben presto lesse Benedetto Croce, del quale si percepisce l’influsso sia nelle categorie che impiegò per i suoi discorsi metodologici, sia nelle problematiche di riferimento. Nella tesi di laurea, Le Origini dei Kabiri nelle isole del Mar Tracio (diretta da Puntoni e discussa nel 1905), che non impiegava ancora i metodi del comparativismo storico-religioso, cercò di stabilire, attraverso una comparazione con le culture limitrofe a quella greca, una periodizzazione della storia dei Kabiri, individuando una triplice stratificazione (tracia, fenicia e greca).
Fu massone dal 1907 e nel 1914 si dimise dalla Loggia cui apparteneva. Tra il 1906 e il 1909 frequentò la Scuola italiana di archeologia, dove conobbe Luigi Pigorini, che presentò il suo lavoro di tesi, riveduto, all’Accademia dei Lincei per la pubblicazione (Memorie della classe di scienze morali, storiche e filologiche, s. 5, XII (1906-1908), pp. 635-740). Grazie al diploma della Scuola ottenne il primo impiego (dal 1909 al 1914) come ispettore presso il Museo preistorico etnografico di Roma. Nella biblioteca del museo approfondì le sue conoscenze nel campo della preistoria, dell’etnologia e dell’etnografia e preparò le due prime monografie, entrambe dedicate al tema degli esseri supremi, argomento che in quell’epoca era al centro del dibattito internazionale in ragione della diffusione delle idee di Andrew Lang e Wilhelm Schmidt sul monoteismo primordiale. Una missione in Sardegna, svolta nel 1909, gli fornì il materiale per La religione primitiva in Sardegna (Piacenza 1912), un lavoro, come è precisato nell’introduzione, di «scienza delle religioni». Facendo ricorso alla comparazione etnologica, Pettazzoni proponeva un’interpretazione della religione protosarda nella quale insisteva in particolar modo sulla figura del Sardus Pater, delineata contraddicendo le idee di Lang e Schmidt. La seconda monografia redatta in questo periodo è Dio: formazione e sviluppo del monoteismo nella storia delle religioni, che vedrà la luce solo nel 1922. Pensato come primo volume di una trilogia (il sottotitolo è: I. L’essere celeste nelle credenze dei popoli primitivi), il lavoro si presenta come un’ampia raccolta di materiali, il cui esame indusse Pettazzoni ad affinare la sua critica alla teoria del monoteismo primordiale: gli dei unici di cui parlavano i suoi colleghi erano, per lui, esseri supremi di natura uranica, la credenza nei quali, lungi dall’essere conseguenza di una rivelazione, nasce da un’esperienza emozionale che, con un’espressione tratta dagli studi psicologici di Wilhelm Wundt e impiegata tenendo conto della lezione di Giambattista Vico, è definita «appercezione personificatrice» del cielo.
Nel 1912 Pettazzoni partecipò, a Leida, al suo primo congresso internazionale di storia delle religioni: prenderà poi parte a tutti i successivi, fino a quello di Tokyo del 1958. Conseguita la libera docenza in storia delle religioni nel 1913, ottenne l’incarico della materia all’Università di Bologna (dal 1914 al 1923). Tra il 1916 e il 1918 prestò servizio a Lamia e Patrasso come ufficiale di fanteria (sottotenente e in seguito tenente).
Terminata la guerra creò, nel quadro di un più generale programma di promozione degli interessi storico-religiosi in Italia, la collana Storia delle religioni (Zanichelli, 1920-40), inaugurandola con La religione di Zarathustra nella storia religiosa dell’Iran.
Il volume, che presenta una sintesi storica generale sulla religione iranica, riprende il tema degli esseri supremi in una delle sue implicazioni più significative: quella dell’origine dei monoteismi. Lo zoroastrismo, considerato come un monoteismo d’ispirazione ebraica, è per Pettazzoni conseguenza di una riforma radicale nei confronti del politeismo anteriore. L’idea dell’origine del monoteismo per «rivoluzione», e non per «evoluzione» rispetto a un preesistente politeismo, che sarà sviluppata in pubblicazioni successive, si oppone sia rispetto alla concezione evoluzionista dell’antropologia classica sia a quella schmidtiana.
Pettazzoni tornò quindi a occuparsi del mondo classico con La religione nella Grecia antica fino ad Alessandro, pubblicata nel 1921 sempre all’interno della collezione zanichelliana.
Qui la religione greca è studiata in rapporto con gli altri valori (politici, morali, economici) della civiltà ellenica. La chiave di lettura per la sua interpretazione è individuata nelle due fonti – mediterranea e indoeuropea – dalla cui fusione essa scaturisce. Il tema è letto alla luce di un’opposizione tra misterico e olimpico che a sua volta rimanda a una distinzione fra culti agrari dei misteri e religione «della polis» e «della patria».
Le pubblicazioni, la partecipazione a incontri internazionali e al dibattito europeo, le iniziative editoriali, l’insegnamento a Bologna (ripreso tra il 1920 e il 1923) accreditarono Pettazzoni quale esponente di spicco della storia delle religioni italiana. Quando, nel 1923, venne creata a Roma la prima cattedra di ruolo della materia, Pettazzoni ne risultò vincitore.
La prolusione che tenne all’inaugurazione del primo corso, il 17 gennaio 1924, costituisce una sorta di manifesto della sua metodologia: lo studioso presenta la disciplina che pratica come una sintesi della tradizione antropologica e di quella della filologia indoeuropea, da cui scaturisce una metodologia comparativa storicamente fondata (volta a trovare le differenze tra i fatti e tra gli svolgimenti religiosi), nel rispetto dell’autonomia e delle peculiarità della religione. L’aspetto storico, che nel caso dell’antropologia è riconosciuto principalmente nell’impostazione della scuola storico-culturale, costituisce il minimo comune denominatore dei due approcci. Il discorso non mancò di provocare le critiche di Croce, che, non ritenendo il metodo comparativo adeguato agli studi storici e non considerando quella del religioso come una categoria spirituale autonoma, riconosceva alla storia delle religioni esclusivamente il compito di esercitare un «collezionismo bibliografico ed erudito» (B. Croce, rec. a S. Minocchi, La religione come scienza storica, Firenze 1923, e R. Pettazzoni, Svolgimento e carattere della storia delle religioni, in La Critica, 22 (1924), 5, pp. 312-313).
La cattedra costituì il punto di partenza per la diffusione e il potenziamento della disciplina, intrapresi attraverso la creazione, con Ernesto Buonaiuti, della Scuola di studi storico-religiosi – cui erano legate una biblioteca e la rivista Studi e materiali di storia delle religioni (SMSR), fondata con Carlo Formichi e Giuseppe Tucci nel 1925 – e la prosecuzione delle attività di promozione culturale ed editoriale (è del 1929 l’inaugurazione, con La mitologia giapponese secondo il primo libro del Kojiki, della collana Testi e documenti per la storia delle religioni, destinata alla divulgazione dei classici, sempre presso Zanichelli).
Contestualmente, Pettazzoni riprese uno dei suoi argomenti d’elezione fin dalla tesi di laurea, quello dei misteri, per farne oggetto di uno studio monografico: I misteri: saggio di una teoria storico-religiosa (Bologna 1924).
Il contributo più originale del libro consiste nella maniera d’impostare il problema delle religioni misteriche (aggettivo, questo, introdotto nel vocabolario italiano dallo stesso Pettazzoni): la comparazione non conduce soltanto alla costruzione di categorie (la morfologia statica), ma anche al rinvenimento di linee di sviluppo comuni agli oggetti osservati (morfologia dinamica). I misteri presentano un modello di sviluppo unico e le differenze fra di essi si spiegano, oltre che in ragione delle diversità storiche e culturali, in considerazione della fase nella quale tale sviluppo si è, volta per volta, arrestato. Sulle loro origini e sul loro carattere (anticamente agrario) getta luce la comparazione etnologica, che Pettazzoni svolse soprattutto riprendendo una serie di studi sul «rombo» già iniziata fin dal 1911.
Le ricerche del decennio seguente furono soprattutto dedicate ai rituali di confessione dei diversi contesti religiosi. Ne La confessione dei peccati, pubblicata in tre tomi (che non ne esaurirono il progetto) nel 1929, 1935, 1936, Pettazzoni riconduceva il significato della confessione alla volontà di eliminare i peccati compiuti attraverso una catarsi attuata tramite la magia della parola. Dopo l’uscita del terzo tomo spiegò il metodo adottato: alla raccolta e alla critica del materiale seguono l’«analisi morfologica» e la «classificazione tipologica», sulle quali si fonda l’interpretazione, che consente di cogliere il «senso fondamentale» dell’oggetto d’analisi. È infine la volta della «costruzione genetica», che, nel caso specifico, porta a collegare la confessione a un particolare tipo di civiltà, quella matriarcale (La confessione dei peccati: metodo e risultati, in Scientia, 31 (1937), 61, pp. 226-232, 228-229).
Negli stessi anni Pettazzoni collaborò all’Enciclopedia Italiana con una lunga serie di articoli. Dopo il Premio reale dell’Accademia dei Lincei per le scienze storiche, del 1927, il 20 aprile del 1933 raggiunse l’apice della notorietà con la nomina ad accademico d’Italia. Del 1937 è l’incarico per l’insegnamento di etnologia all’Università di Roma – il primo in Italia – seguito dalla fondazione dell’Istituto per le civiltà primitive (1942) e dalla Scuola di perfezionamento in scienze etnologiche (1947).
Durante la seconda guerra mondiale le pubblicazioni, per ovvi motivi, si diradarono, mentre continuarono le attività accademiche e la vita familiare presentò una svolta, segnata nel 1943 dal matrimonio con Adele Savonuzzi.
Nel periodo immediatamente successivo al conflitto lo studioso pubblicò i Saggi di storia delle religioni e di mitologia (Roma 1946) e il primo volume di Miti e leggende (Torino 1948; i successivi furono pubblicati nel 1953, nel 1959, nel 1963), un’antologia di testi etnologici ordinati geograficamente. Nella prefazione introdusse un tema che tratterà poi in diverse occasioni, quello della «verità del mito»: sottratto al carattere metastorico che gli riconoscevano alcune correnti di studio (in primis quelle fenomenologiche), il mito è considerato vero nella misura in cui un certo gruppo sociale individua in esso la tavola di fondazione del proprio mondo.
Sempre presente in posizione di primo piano nel dibattito internazionale, Pettazzoni contribuì alla creazione della International Association for the study of the history of religions (IASHR, poi IAHR), che vide la luce al congresso di Amsterdam del 4-9 settembre 1950. Alla scomparsa del primo presidente, Gerardus van der Leeuw, avvenuta il 18 novembre dello stesso anno, Pettazzoni accettò la presidenza. Il 18 aprile 1951 fondò la Società italiana di storia delle religioni, che presiedette, come la IAHR, fino alla morte. Assunse la direzione dell’organo della IAHR, Numen, a partire dal suo primo numero (del gennaio 1954), mentre in seguito al pensionamento, avvenuto nel 1953, il 31 dicembre 1954 abbandonò il ruolo di direttore di SMSR. Dottore honoris causa all’Università di Strasburgo nel 1950 e all’università di Bruxelles nel 1954, nel 1955 organizzò e presiedette – superando difficoltà e resistenze di ordine politico – l’ottavo Congresso internazionale di storia delle religioni, che ebbe luogo a Roma. Continuavano intanto le sue attività editoriali e nel 1951 venne inaugurata una nuova collana, I Classici delle religioni (Firenze, Sansoni). Nel 1958 (anno dell’emeritato di Pettazzoni) si svolse il concorso per la cattedra che era stata sua e che si concluse con l’affermazione della terna composta da Angelo Brelich (erede effettivo della cattedra), Ernesto de Martino e Ugo Bianchi. I tre studiosi avrebbero portato avanti, ciascuno a suo modo, alcuni aspetti degli insegnamenti del maestro, sicché si può dire che la storia delle religioni italiana successiva, nella misura in cui si è ispirata a loro, abbia mantenuto un’impronta pettazzoniana.
Tra il 1952 e il 1955 videro la luce quattro volumi nei quali sono ripresi i filoni principali delle ricerche degli anni precedenti. Nella raccolta di saggi Italia religiosa (Bari 1952) Pettazzoni riconosce nel fattore religioso un filo conduttore essenziale per la comprensione delle vicende della storia patria (dilatata fino alla preistoria) usando, quale chiave interpretativa, la dialettica fra religione dell’Uomo (finalizzata alla salvezza individuale) e religione dello Stato (volta alla salvezza della comunità) già introdotta negli studi sulla religione greca. Con il volume, come con altri contributi degli stessi anni, Pettazzoni intendeva prendere nuovamente parte al dibattito politico (dopo il periodo fascista, durante il quale aveva assunto quello che potremmo definire una sorta di atteggiamento nicodemitico) attraverso la proposta di una forma di religione il cui oggetto e il cui scopo fossero la promozione di una «fede laica» per il benessere dello Stato.
La religione della Grecia antica fu riedita nel 1953 con una nuova premessa nella quale Pettazzoni ricollegava il suo lavoro di trent’anni prima ad alcuni temi che ora gli premevano particolarmente: l’approccio storico fondato sulla ricerca del genómenon e la relatività delle costruzioni religiose al contesto culturale ed economico. Nel 1954 pubblicò una raccolta di saggi, i più rappresentativi dei suoi interessi, in versione inglese: Essays on the history of religions (Leiden, Brill). Del 1955 è L’onniscienza di Dio (Torino, Einaudi), una sintesi della quale comparve nel 1957 presso lo stesso editore con il titolo L’essere supremo nelle religioni primitive. Dopo i lavori degli anni Venti Pettazzoni aveva continuato, con una serie di saggi che preludono ai due volumi degli anni Cinquanta, a occuparsi del tema degli esseri supremi indirizzando sempre più la sua attenzione agli attributi che sono loro propri. La differenza e la varietà di tali attributi lo aveva indotto ad abbandonare l’idea dell’uniformità degli esseri supremi (basata sul loro carattere celeste). L’essere supremo è presentato ora come colui che risponde alle esigenze esistenziali dell’uomo: la Terra Madre nelle civiltà agricole, il Padre celeste in quelle pastorali, il Signore degli animali in quelle di caccia. Pettazzoni curò infine l’antologia Letture religiose (Firenze 1959).
La riflessione sul metodo, intanto, giunse a risultati nuovi. La difficoltà di dare una giustificazione epistemologica della comparazione e dell’autonomia e peculiarità del religioso muovendosi all’interno di un’impostazione storicista che prendeva a prestito le sue categorie dalla filosofia di Croce aveva indotto il professore a guardare con particolare interesse agli altri approcci storico-religiosi e, in particolare, a quello fenomenologico. Se nei primi anni Cinquanta la natura storica della disciplina fu riaffermata con forza e comparve la formula – che la compendia – secondo cui «ogni phainómenon è un genómenon» (Introduzione alla storia della religione greca, in Studi e materiali di storia delle religioni, XXIII (1951-52), pp. 20-33, 21), nell’Aperçu introductif del primo numero di Numen, del 1954, e poi ancora, con qualche variazione, nelle pagine della stessa rivista, nel 1959, si trova la proposta di un’integrazione delle due prospettive di analisi che erano allora protagoniste del dibattito: quella generalmente storica (e più specialmente storicista) e, appunto, quella fenomenologica. La prima dà alla storia delle religioni la sua attenzione ai fatti, alla loro genesi, al loro contesto; la seconda le conferisce la sensibilità alla specificità del religioso e alla comparazione. L’attenzione alla fenomenologia non comportava tuttavia adesione alle sue premesse di metodo, che – senza entrare nel dettaglio delle diverse prospettive, tutt’altro che omogenee, che ne definiscono il panorama – si può dire insistano sugli elementi metastorici dei fenomeni religiosi (non, dunque, sulla loro natura di genómena). Questo indusse Pettazzoni, nelle ultime annotazioni della sua vita, a prendere nettamente le distanze dal più noto fenomenologo allora vivente, Mircea Eliade (Gli ultimi appunti di Raffaele Pettazzoni, a cura di A. Brelich, in Studi e materiali di storia delle religioni, XXXI (1960), pp. 23-55).
Morì a Roma l’8 dicembre 1959.
Fonti e Bibl.: Il principale centro propulsore degli studi su Pettazzoni è la biblioteca Giulio Cesare Croce di San Giovanni in Persiceto, che custodisce, per disposizione testamentaria, gran parte della biblioteca e gli archivi dello studioso.
Tra il 1989 e il 2009 Mario Gandini ha pubblicato, sulla rivista Strada maestra, i dettagliatissimi Materiali per una biografia di Pettazzoni, ora disponibili in rete all’indirizzo www.raffaele
pettazzoni.it. La bibliografia completa di Pettazzoni si trova in M. Gandini, R.P.. Materiali per una biografia. Indice generale – Indice dei nomi di persona – Bibliografia degli scritti, Bologna-San Giovanni in Persiceto 2009, pp. 181-255; quella su Pettazzoni (fino al 2009) in M. Gandini, Cinquant’anni di studi su R.P., in Storia, antropologia e scienze del linguaggio, XXV (2009), 3, pp. 47-94.