RIARIO SANSONI, Raffaele
RIARIO SANSONI, Raffaele (Raffaello). – Nacque a Savona il 3 maggio 1460 da Antonio Sansoni e da Violante Riario.
La madre, dalla quale trasse il cognome, era nipote del cardinale Francesco della Rovere, eletto papa nel 1471 con il nome di Sisto IV. Alla protezione del potente prozio e del nipote di questi Girolamo Riario, signore di Imola e comandante generale dello Stato pontificio, si deve la sua precoce ascesa ai vertici delle gerarchie curiali. Già protonotario apostolico (così lo ritrasse Melozzo da Forlì, accanto al pontefice, al Platina e ad altri parenti in un celebre affresco del 1476-77), appena diciassettenne venne creato cardinale sotto il titolo diaconale di S. Giorgio al Velabro (10 dicembre 1477). Successe così nel ruolo di porporato ‘di famiglia’ a Pietro Riario, fratello di Girolamo, morto nel 1474.
Alla nomina cardinalizia seguì, il 19 gennaio 1478, quella a legato per l’Umbria, dove Perugia e altri centri minori, sostenuti da Lorenzo de’ Medici, si erano ribellati al pontefice. Riario, allora studente di diritto canonico a Pisa, dove ebbe come precettore l’umanista antimediceo Iacopo di Poggio Bracciolini, si trovò catapultato al centro della grande politica in un frangente particolarmente delicato dei rapporti tra la Repubblica di Firenze e Sisto IV, il quale, in funzione antimedicea, sosteneva la candidatura alla sede arcivescovile di Pisa da parte di Francesco Salviati, collaboratore di Pietro Riario e cugino di Jacopo de’ Pazzi. Proprio negli ambienti legati ai Pazzi, nel 1474-75 venne definito, con l’avallo dello stesso papa e del re di Napoli, Ferrante d’Aragona, un piano per estromettere i Medici dal governo di Firenze. L’occasione per l’attuazione della cospirazione nota come congiura dei Pazzi venne offerta dal viaggio che Riario doveva compiere per prendere possesso della legazione umbra. Il passaggio per Firenze del cardinale si rivelò infatti «un vero e proprio cavallo di Troia» (Fubini, 1984, p. 47), permettendo ai congiurati di eludere il sistema di sicurezza predisposto dai Medici e di porre in atto la congiura, che portò al ferimento di Lorenzo e all’uccisione del fratello di questi, Giuliano, senza tuttavia riuscire nell’intento di rovesciare il regime mediceo. L’aggressione avvenne il 26 aprile 1478 in duomo nel corso di una celebrazione presieduta proprio da Riario, il quale venne arrestato (scampando così al linciaggio popolare) e tenuto in ostaggio, a differenza di Salviati, di Francesco Pazzi e altri congiurati, che furono giustiziati. In risposta, Sisto IV scagliò l’interdetto su Firenze, scomunicando Lorenzo de’ Medici. L’offensiva spirituale e propagandistica del pontefice era finalizzata, tra l’altro, alla liberazione di Riario, che fu ottenuta il 12 giugno 1478. La storiografia non è riuscita a definire il suo reale grado di coinvolgimento, ma è probabile, come già scrisse Francesco Guicciardini, che l’ancora inesperto neocardinale fosse stato «non conscio per la età» delle trame dei suoi familiari e alleati (Storie fiorentine, a cura di E. Lugnani Scarano, 2010, p. 93).
Legato a queste vicende è l’avvio dei rapporti con Marsilio Ficino. Ai primi del 1478 l’umanista fece infatti pervenire a Riario una lettera gratulatoria, accompagnata da un opuscolo intitolato Veritas de institutione principis ad Raphaelem Riarium cardinalem. Alcune allusioni allegoriche dello scritto, unitamente a una seconda missiva elogiativa di Riario inviata da Ficino «a nome dei fiorentini e dei pisani» al fiduciario del re di Napoli, hanno indotto a ipotizzare che egli fosse consapevole dell’imminente congiura. Fallita quest’ultima, a ogni modo, l’umanista si riavvicinò ai Medici, rifiutando – forse per prudenza – l’offerta che Riario gli aveva fatto di seguirlo a Roma.
Liberato, questi rientrò a Roma passando per Siena. Dal 26 giugno al 15 ottobre 1478 ebbe luogo la legazione a Perugia, al ritorno dalla quale Sisto IV lo nominò arcivescovo di Pisa (settembre 1479), carica trasferita nel 1499 al congiunto Cesare, figlio di Girolamo Riario e Caterina Sforza. Riario fu poi legato in Ungheria (agosto 1480) e nella Marca anconetana (novembre 1480-novembre 1481), dove frequentò la corte urbinate del parente Federico da Montefeltro. La consacrazione ai vertici della gerarchia pontificia avvenne nel settembre-ottobre del 1483, quando ricevette la concessione in perpetuo della commenda di S. Lorenzo in Damaso e, soprattutto, la carica di camerlengo, che implicava il controllo del sistema urbanistico e delle finanze pontificie.
Furono questi i principali tra gli innumerevoli benefici che Riario collezionò grazie al favore di Sisto IV e dei successori: fu nell’ordine cardinale diacono di S. Giorgio al Velabro (dic. 1477-maggio 1480), cardinale presbitero di S. Lorenzo in Damaso (maggio 1480-nov. 1503), cardinale vescovo di Albano (nov. 1503-ag. 1507), S. Sabina (sett. 1507-sett. 1508), Porto-S. Rufina (sett. 1508-genn. 1511) e Ostia-Velletri (genn. 1511-luglio 1521); detenne inoltre l’arcivescovato di Pisa (sett. 1479-giugno 1499) e i vescovati di Cuenca (ag. 1479-luglio 1482, maggio 1493-apr. 1518), Tréguier (ag. 1480-maggio 1483), Salamanca (luglio 1482-genn. 1483), Osma (genn. 1483-maggio 1493), Viterbo (ag. 1498-sett. 1506), Arezzo (luglio 1508-nov. 1511), Savona (dic. 1511-apr. 1516), Lucca (marzo-nov. 1517) e Malaga (apr.-sett. 1518), oltre a pensioni varie e commende, tra le quali quelle di S. Mercuriale e S. Maria di Fumana (Forlì), S. Donnino (Pisa), S. Bartolomeo (Genova); fu infine protettore dell’Ordine agostiniano.
L’accumulo e la gestione personalistica di titoli e prebende hanno concorso a fare di Riario la paradigmatica incarnazione della figura del cardinale-principe caratteristica del primo Rinascimento. Grazie anche alle sue abilità politiche, fu in grado di tessere una rete di rapporti e di acquisire un’autorevolezza tali da attraversare indenne i difficili frangenti seguiti alla morte dei suoi protettori, Sisto IV (1484) e Girolamo Riario (1488), mantenendo una posizione in Curia anche sotto i pontificati seguenti, a partire da quello di Innocenzo VIII (29 agosto 1484), che contribuì a far eleggere. In occasione di questo e dei successivi conclavi il suo nome figurò costantemente tra quello dei papabili.
Manifestazione eloquente delle ambizioni temporali di Riario fu la costruzione nel centro di Roma di una dimora principesca, che rappresentò per anni «l’unica costruzione […] che potesse veramente rivaleggiare con il Pantheon» (Frommel, 1989b, p. 30).
Il palazzo sorse sul sito della chiesa paleocristiana di S. Lorenzo in Damaso, che fu demolita per essere ricostruita e incorporata nel nuovo complesso. Considerato «l’esito conclusivo […] dell’architettura italiana del Quattrocento» (Bruschi, 2004, p. 3), il palazzo, detto poi della Cancelleria, fu edificato tra il 1487 e il 1495 circa (con rifiniture nel 1502-03 e nel 1511) grazie al contributo di diversi architetti, tra i quali Baccio Pontelli, Andrea Bregno, Antonio e Giuliano da Sangallo. Realizzato secondo le istanze del nuovo stile vitruviano condivise da Riario, promotore dell’Accademia Pomponiana e dedicatario della editio princeps del De architectura curata da Giovanni Sulpizio (1487/1488), il palazzo si caratterizza per la facciata dall’inusuale lunghezza, per il cortile monumentale che si adattava al gusto del committente per le rappresentazioni, per gli avancorpi (o torri) laterali e per l’articolazione su tre piani, decorati con opus isodomum e ordini di paraste a ‘trovata ritmica’: elementi che conferivano all’edificio un aspetto classicheggiante, inusuale per i grandi palazzi romani tardomedievali, più simili a fortezze che al modello di reggia principesca, teorizzato in quegli anni nel De cardinalatu di Paolo Cortesi.
Al proprio interno, il palazzo ospitava numerose opere d’arte e antiche statue. A una di esse è collegata la prima venuta di Michelangelo a Roma. Tra il 1495 e il 1496, infatti, Riario aveva acquistato tramite un intermediario la statua di un Cupido dormiente ritenuta antica, che invece era stata realizzata dal giovane artista. Accortosi della truffa, il cardinale inviò a Firenze un agente per rintracciare l’autore dell’opera, il quale, all’oscuro del raggiro, si recò a Roma per recuperare la statua. Fu così che Michelangelo entrò in contatto con Riario, il quale gli mostrò la sua collezione di statue (tra le quali spiccavano due marmi raffiguranti Giunone e la musa Melpomene) e gli commissionò la realizzazione di un Bacco, oggi perduto, che tuttavia non piacque al cardinale e finì per essere acquisito dall’ospite romano del Buonarroti, Jacopo Gallo.
In questi anni Riario fu uno dei più popolari protagonisti della vita pubblica romana: i diari e le cronache lo ritraggono al centro di eventi mondani e aneddoti riguardanti la caccia, il gioco e la politica accanto ad altri influenti cardinali, quali Ascanio Sforza, Rodrigo Borgia e Franceschetto Cibo, al quale pare vinse in una notte ben 14.000 ducati, poi impiegati per finanziare il cantiere del suo palazzo. Alieno da interessi spirituali e più a suo agio nelle vesti di munifico mecenate, favorì umanisti come Antonio Flamini, fu dedicatario dell’edizione romana del Manilii Astronomicon (1484), corrispose con Erasmo da Rotterdam e «accordò al teatro favori da principe» (Pastor, 1908-1912, III, p. 91), finanziando rappresentazioni di grande impatto scenico, come quella del 1492 per la riconquista di Granada, o quella del 1486 che vide l’allestimento dell’Hyppolitus di Seneca. Sovrintese inoltre alla realizzazione della nuova via Alessandrina in vista del giubileo del 1500, ma non gli fu possibile presenziare all’inaugurazione, in quanto costretto a lasciare Roma nel novembre del 1499 a causa di contrasti insorti con i Borgia.
I rapporti con Alessandro VI, che in conclave si era guadagnato il suo favore con promesse, furono inizialmente positivi. Nella primavera del 1495 Riario riparò con il pontefice a Orvieto al passaggio delle truppe di Carlo VIII; poi, nel giugno del 1497, venne nominato tra i sei cardinali che stilarono la mai pubblicata bolla di riforma della Curia, effimero frutto della breve stagione moralizzatrice inaugurata da Borgia dopo la morte del figlio Giovanni. Negli anni seguenti, tuttavia, quando Borgia sostenne l’ambizioso piano del figlio Cesare per la creazione di un ducato in Romagna a scapito dei signori locali, quali i Riario Sforza che persero Forlì e Imola (dicembre 1499-gennaio 1500), Riario dovette abbandonare Roma, rifugiandosi in Francia presso Luigi XII. Con questi fece ritorno nella penisola nell’agosto del 1502, rientrando tuttavia nell’Urbe solo alla morte di Alessandro VI, nel settembre del 1503.
In qualità di camerlengo, resse la sede vacante e amministrò i conclavi dai quali uscirono eletti prima Pio III (22 settembre 1503) e poi Giulio II Della Rovere (1° novembre 1503), suo parente. Nei primi mesi, questi lo tenne «in grande considerazione» (Shaw, 1995, pp. 39, 149). Le iniziali aperture, tuttavia, non valsero l’appoggio del pontefice alla restaurazione del regime dei Riario a Forlì e Imola, che la Chiesa aveva recuperato in seguito alla caduta del Valentino. Ordinato sacerdote nell’aprile del 1504, Riario mantenne a ogni modo un ruolo centrale nel S. Collegio, ottenendo nel marzo del 1506 la legazione di Roma durante l’assenza del papa, impegnato nella campagna per Bologna e Perugia. Nel settembre successivo, siglò l’accordo per la sottomissione di Giampaolo Baglioni, che permise l’ingresso del pontefice a Perugia.
In seguito, celebrò con un discorso in Concistoro le imprese del ‘papa guerriero’, volte a suo giudizio non a favorire l’interesse personale, ma a consolidare lo Stato della Chiesa. A sua volta, alla vigilia della morte, Giulio II raccomandò i propri parenti a Riario. A questo periodo risale il noto affresco del Miracolo di Bolsena (1512), eseguito da Raffaello che vi ritrasse il papa circondato da familiari, tra i quali Riario (un terzo ritratto si conserva nel suo monumento funebre). Un anno prima (20 gennaio 1511), Riario aveva assunto il titolo di cardinale di Ostia, con il quale prese parte al Concilio Lateranense V (1512-15), celebrandovi la messa inaugurale (3 maggio 1512). In questi anni commissionò a Jacopo Ripanda un ciclo di affreschi per il palazzo dell’Episcopio ostiense, ristrutturato da Baldassarre Peruzzi.
Come decano e favorito del partito spagnolo, alla morte di Giulio II prese parte al conclave che, anche grazie alla sua rinuncia e alla decisione di dirottare le preferenze dei suoi sostenitori sul Medici, determinò l’elezione del figlio di Lorenzo il Magnifico, Giovanni (11 marzo 1513). Nel dicembre del 1514, presenziò all’incontro di Bologna tra Leone X e il re di Francia Francesco I, reduce dalla riconquista di Milano, e vi tenne un breve discorso in latino (cfr. Pastor, 1908-1912, IV, 1, p. 87).
Il pontificato del Medici coincise, tuttavia, con la fase crepuscolare della lunga parabola curiale di Riario, la quale, così come aveva preso avvio, si concluse nel segno di una congiura dai contorni ambigui. Delusi dalla contraddittoria condotta di Leone X, nel 1517 alcuni cardinali ‘giovani’ architettarono infatti un piano volto all’eliminazione del papa e alla sua sostituzione, secondo alcuni, proprio con Riario. La presunta congiura fu tuttavia scoperta, offrendo al pontefice il pretesto per procedere all’incriminazione dei suoi più temibili avversari. Il 19 maggio vennero arrestati i cardinali Bandinello Sauli e Alfonso Petrucci, quest’ultimo giustiziato ai primi di luglio. Il 29 maggio fu poi la volta di Riario, il quale venne rinchiuso in Castel S. Angelo e privato del titolo cardinalizio oltre che di numerosi benefici. Dalla confessione estortagli emerse la complicità di altri due porporati, Francesco Soderini e Adriano Castellesi, che furono perdonati, ma condannati all’esilio. Anche Riario venne infine graziato, ma dovette sottomettersi al pontefice (17 luglio 1517) e pagare l’ingente somma di 150.000 ducati per la liberazione. Il 24 luglio incontrò Leone X in Vaticano, ottenne la restituzione al cardinalato e poté recuperare diversi benefici, a esclusione del titolo di S. Lorenzo in Damaso, già conferito a Giulio de’ Medici. Gli fu tuttavia consentito di mantenere la dignità (non le funzioni) di camerlengo e di dimorare presso il palazzo che aveva costruito a proprie spese, la cui proprietà aveva perso essendo legata al titolo.
Il 20 maggio 1520 firmò il decreto con il quale Leone X intimava al duca Federico di Sassonia di costringere Lutero a ritrattare le sue tesi. Nell’autunno, ammalatosi, ottenne di trasferirsi prima a Caprarola, poi a Napoli, dove fu ospite del gran conestabile Prospero Colonna. Si ammalò nuovamente nella primavera del 1521. Superata la crisi, il 3 luglio dettò, alla presenza dei fratelli Giuliano e Giovan Battista Galli, il proprio testamento, di cui nominò coesecutori Giulio de’ Medici e il nipote Cesare Riario.
Ricevuta l’estrema unzione, morì a Napoli il 9 luglio 1521. Dopo la cerimonia funebre officiata presso la chiesa di S. Agostino, il corpo venne condotto a Roma, ove ricevette solenne sepoltura nella basilica di S. Lorenzo in Damaso, per essere poi trasferito presso i Ss. Apostoli, dove oggi riposa nel monumento funebre a lui dedicato.
Fonti e Bibl.: Cospicui i riferimenti all’attività di Riario contenuti nei fondi dell’Archivio segreto Vaticano (in partic. Archivio Concistoriale, Acta miscellanea), della Biblioteca apostolica Vaticana (per es., Barb. Lat., 4400; Borg. Lat., 36, cc. 226r-228v; 257, p. 166; Vat. Lat., 13568, cc. 35r-37r; 13701, cc. 1r-28v) e degli Archivi di Stato di Firenze (per es., Carte Strozziane, ser. I, III; Mediceo avanti il principato, XXXIV, 275) e di Perugia (Comune, Editti e bandi, 2, cc. 97v-98r). Cfr. inoltre Roma, Archivio del Capitolo di S. Lorenzo in Damaso, [G. Bitozzi], Notizie storiche della Basilica Collegiata Insigne di S. Lorenzo in Damaso… (1797), I-II ms.; F. Albertini, Opusculum de mirabilius [...] urbis Rome…, Romae, per Iac. Mazochium, 1510, Lib. III, De domibus cardinalium, c.n.n.; P. Cortese, De Cardinalatu libri tres, II, in Castro Cortesii, Symeon Nicolai Nardi impr., 1510, c. 2; Le lettere di m. Pietro Aretino…, in Vinegia, per G. Padovano, 1538, c. 155r; M. Ficino, Opera omnia, I, Basilae, ex officina Henricpetrina, 1576, pp. 795-798, 802; A. Ciacconio, Historiae Pontificum [...] et [...] Cardinalium, III, Romae 1677, coll. 70 ss.; M. Sanudo, I Diarii (Venezia 1496-1533), I-LVIII, Bologna 1969-1979, XXIX-XXXI, ad ind.; S. Infessura, Diario della città di Roma, a cura di O. Tomassini, Roma 1890, ad ind.; J. Burchard, Liber notarum, a cura di E. Celani, in RIS2, XXXII, 2, Città di Castello 1913, ad ind.; Supplementum ficinianum, a cura di P.O. Kristeller, I, Florentiae 1937, pp. 32, 49, 122; A. Poliziano, Della congiura dei Pazzi, a cura di A. Perosa, Padova 1958, ad ind. (cfr. ora l’ed. a cura di M. Simonetta - G. Fortunato, Napoli 2012); N. Machiavelli, Istorie fiorentine, a cura di F. Gaeta, Milano 1962, ad ind.; G. Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori…, I-VI, a cura di R. Bettarini - P. Barocchi, Firenze 1966-1987, ad ind.; L. de’ Medici, Lettere, II, a cura di R. Fubini, Firenze 1977, ad ind.; A. Condivi, Vita di Michelangelo Buonarroti, a cura di G. Nencioni, Firenze 1998, ad ind.; N. Machiavelli, Lettere private, a cura di C. Vivanti, in Id., Opere, II, Torino 1999, p. 144; N. Machiavelli, Legazioni. Commissarie. Scritti di governo, Edizione nazionale delle Opere, V, t. III, 1503-1504, a cura di J.-J. Marchand - M. Melera - Morettini, Roma 2005, pp. 293, 301, 305, 314 s., 324, 350, 365, 390 s., 461, 463 (si veda anche l’ed. a cura di S. Bertelli, Milano 1964, ad ind.); F. Guicciardini, Storie fiorentine, in Id., Opere, a cura di E. Lugnani Scarano, Torino 2010, pp. 93 ss.; N. Machiavelli, Il Principe, a cura di G. Inglese, Roma 2013, VII, 46.
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