RUBATTINO, Raffaele
– Nacque a Genova il 18 ottobre 1810 da Pietro (1785-1829) e da Giovanna Gavino (1785-1831), che gli imposero il nome di Dominique Raphael Joseph.
Di famiglia piuttosto agiata (il padre era commerciante), frequentò il Collegio reale della Superba, dove acquisì una formazione umanistica che non poté tuttavia mettere a frutto in quanto, ventenne, perse in breve tempo entrambi i genitori e la sorella maggiore, Anna Amelia. Si vide quindi costretto a procurarsi da vivere, trovando un aiuto prezioso negli zii Giovan Battista Gavino e Lazzaro Rebizzo, attivi nel commercio e nella finanza. Si trasferì quindi a palazzo Doria, dove Rebizzo risiedeva insieme alla moglie, Bianca De Simoni, con la quale intrecciò una lunga relazione sentimentale. Lo stesso Rebizzo lo introdusse negli ambienti dell’opposizione politica genovese e lombardo-veneta: nella sua casa ebbe modo di incontrare, fra gli altri, Nino Bixio, Goffredo Mameli e Cavour, giovane ufficiale dell’esercito sabaudo. In questa fase coltivò simpatie mazziniane, iscrivendosi alla Giovine Italia.
Debuttò sulla scena degli affari cittadini come noleggiatore e assicuratore, prima gestendo uno ‘scagno’ (ufficio) in vico Dogana, poi costituendo, nel settembre 1837, la Compagnia lombarda di assicurazioni marittime (d’ora in poi Lombarda). Fondata insieme a Gavino, Rebizzo e Gaetano De Luchi, la Lombarda contò fra i suoi soci anche Carlo Cattaneo e Federico Confalonieri: presto si aprì al cabotaggio, impiegando sulla rotta Genova-Livorno il piroscafo di seconda mano Dante, cui egli affiancò il Virgilio, realizzato dal cantiere livornese di Gustavo Capanna. All’ingresso nel settore armatoriale affiancò la scelta, innovativa per la Genova dell’epoca, di puntare con decisione sul vapore anziché sulla vela. Nel 1840 la Lombarda si trasformò in De Luchi, Rubattino & C. per la navigazione a vapore sul Mediterraneo e, due anni più tardi, divenne De Luchi, Rubattino & C. per la navigazione a vapore sul Mediterraneo dei bastimenti sardi, Castore, Virgilio e Dante. Questo secondo passaggio fu conseguenza dell’incidente occorso al piroscafo Polluce, acquistato in Francia insieme con il gemello Castore per svolgere servizi di trasporto tra Marsiglia e Napoli: il 17 giugno 1841 il Polluce affondò, dopo essere stato speronato al largo dell’isola d’Elba dalla nave napoletana Mongibello. Poiché il piroscafo non era assicurato, la compagnia vide il proprio patrimonio dimezzarsi: Rubattino chiese allora soccorso ai banchieri Giuseppe Tealdo, Marco Massone, Nicola e Giuseppe Oneto, già suoi soci, che fornirono le risorse finanziarie per la ricostituzione dell’impresa. Questa nel 1844, morto De Luchi, assunse il nome definitivo di Raffaele Rubattino & C. Attraverso un’audace politica di investimenti e la stipulazione di accordi di cartello, già negli anni Quaranta Rubattino acquisì il primato nei servizi di armamento che facevano capo alla sua città. Si dedicò, inoltre, a due ulteriori progetti imprenditoriali. Il primo fu il Servizio di omnibus a cavalli approntato nel luglio 1841 in società con il finanziere Ignazio Centurini, per collegare Sampierdarena e Ponte Pila; con il secondo, intrapreso nell’agosto del 1842 insieme a Gavino, diede vita alla Regia vettura corriera fra Genova e Milano, servizio postale giornaliero a cavalli coordinato sia con i collegamenti terrestri con Nizza e la Toscana, sia con i piroscafi della sua stessa compagnia di navigazione diretti a Napoli e Marsiglia.
Fu anche grazie alla risonanza di queste iniziative, cui aggiunse una vivace presenza nel Consiglio comunale e in quello della Camera di commercio genovesi, che all’inizio degli anni Cinquanta divenne partner dello Stato sabaudo, con cui nel 1851 sottoscrisse una convenzione per gestire il servizio postale per la Sardegna, dal 1853 prolungato fino a Tunisi. L’apertura a istanze liberiste sostenuta allora, su tutti, da Cavour offrì lo scenario adatto per l’accordo, antefatto del saldo legame tra le principali compagnie di navigazione private e l’operatore pubblico che, fra Otto e Novecento, avrebbe marcato il Regno d’Italia. Questa intesa, inoltre, sollecitò un processo di integrazione industriale che vide Rubattino acquisire partecipazioni in varie imprese dell’isola, fra cui la Compagnia delle saline di Sardegna, fondata nel 1852 con Giacomo Filippo Penco. Nello stesso anno si lasciò coinvolgere in un progetto imprenditoriale promosso dal capitano Giovanni Pittaluga e sostenuto dal governo piemontese. All’iniziativa aderirono vari industriali e finanzieri, tra cui Penco e Carlo Bombrini (direttore generale della Banca nazionale degli Stati sardi), i quali l’anno seguente, insieme allo stesso Rubattino e a Giovanni Ansaldo, costituirono la Gio. Ansaldo & C., che – superate gravi difficoltà iniziali – sarebbe diventata la maggiore azienda meccanica italiana. Il progetto di Pittaluga prevedeva la nascita di un’impresa armatoriale dotata di piroscafi per il trasporto di merci e passeggeri nelle Americhe. Fino ad allora, nessuna società italiana o straniera aveva mai utilizzato vapori su linee transoceaniche regolari. Nata nell’ottobre 1852, la Compagnia transatlantica (d’ora in poi Transatlantica) beneficiò di un sussidio statale per predisporre, con sette navi di nuova costruzione, viaggi mensili sulle rotte Genova-Montevideo e Genova-New York. Inizialmente affidata a Penco, alla morte di questi la sua direzione passò a Rubattino (maggio 1854), da poco nominato dal re cavaliere dell’Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro. A dispetto dei favorevoli auspici, errate scelte strategiche trasformarono un ardito esperimento armatoriale in una rovinosa parabola, che nel 1857 portò la Transatlantica al fallimento.
Alla vigilia dell’unificazione nazionale la stella di Rubattino pareva tramontata. Ai rovesci della Transatlantica si aggiungeva, infatti, il dissesto della compagnia armatoriale che portava il suo nome. Le pesanti passività di bilancio accusate da quest’ultima si spiegano in parte alla luce di fenomeni esogeni, come la carestia e il colera che a metà degli anni Cinquanta avevano ridotto il numero dei passeggeri, in parte alla luce di un’improvvida gestione aziendale che nel dicembre 1856 aveva consentito il ripetersi, con il piroscafo Castore, di quanto accaduto tre lustri prima con il Polluce. Inoltre, l’impegno ad ammodernare la flotta, preteso dal governo sabaudo per la cura dei servizi con la Sardegna, aveva comportato una sensibile ascesa dell’indebitamento presso gli istituti di credito.
Con l’appoggio di Bombrini (Banca nazionale) e di Domenico Balduino (Cassa del commercio e dell’industria di Torino, poi Credito mobiliare), Rubattino aveva provato a giocare la carta della fusione, accorpando la propria compagnia alla Transatlantica e all’Ansaldo. Il progetto di fare di tre imprese malate una società sana non era però andato in porto, né era riuscita la successiva tentata vendita dei piroscafi alla Cassa del commercio e dell’industria. Così, nel 1858 la Rubattino & C. venne liquidata, per essere immediatamente ricostituita con i medesimi capitale, navi e debiti. Non si trattò, tuttavia, di un semplice maquillage aziendale. Regista dell’operazione fu Bombrini che, per risanare l’impresa, costrinse Rubattino a rimettere l’amministrazione della società nelle mani di Giovanni Battista Fauché, uomo di fiducia della Banca nazionale. Più tardi, l’armatore si vide addirittura precluso l’accesso agli uffici: per qualche tempo visse con un sussidio riconosciutogli dalla sua stessa compagnia e con i proventi dell’attività di assicuratore marittimo che era tornato a svolgere.
A permettergli una gloriosa resurrezione fu l’Unità nazionale. Nel neonato Regno d’Italia fece subito appello all’antica amicizia con Cavour e Balduino, quindi rivendicò il ruolo rivestito in tre passaggi fondamentali del Risorgimento: la prima guerra d’indipendenza, la disfatta di Sapri e la spedizione dei Mille. Nel 1847 era stato tenente nella sesta compagnia della Milizia nazionale, comandata da Rebizzo, a fianco del quale, inoltre, aveva promosso a Genova il Comitato dell’ordine, influente organismo politico. Il 31 marzo 1848 il Virgilio aveva trasportato nel capoluogo ligure circa duecento volontari napoletani reclutati dalla principessa Cristina di Belgiojoso per sostenere la rivolta di Milano e nel luglio del 1849 un’altra sua nave, il Lombardo, vi aveva condotto un centinaio di reduci della Repubblica Romana. Il 25 giugno 1857 Carlo Pisacane e i suoi compagni si erano imbarcati su un vapore della Rubattino diretto a Tunisi (il Cagliari), lo avevano dirottato verso Ponza da dove, liberati oltre trecento detenuti, avevano mosso per Sapri. Il Cagliari aveva poi tentato di riprendere la via per Genova, ma era stato sequestrato dal governo di Napoli e restituito nel giugno del 1858, non prima di avere sollevato un caso diplomatico con la Gran Bretagna, poiché a bordo ospitava anche due cittadini inglesi.
Più complessa da interpretare è la partecipazione di Rubattino all’impresa garibaldina. Fra il 4 e il 5 maggio 1860 i piroscafi Lombardo e Piemonte erano stati prelevati da Bixio e dai suoi nel porto di Genova, quindi condotti a Quarto, infine fatti salpare la notte seguente alla volta di Marsala.
Alcune fonti suggeriscono che egli fosse all’oscuro dell’iniziativa, ma questa tesi pare poco credibile: Rubattino non poteva non sapere della spedizione, di cui nei giorni precedenti si era parlato diffusamente a Genova e della quale è lecito supporre avesse ricevuto quantomeno delle anticipazioni da Bixio, o da Agostino Bertani, o dallo stesso Garibaldi, cui lo legavano da tempo amicizia e condivisione delle idee. In ogni caso, fu pronto a cogliere l’occasione che gli si offriva, presentandosi al nascente Stato unitario come colui che aveva fornito i vapori ai Mille.
Dopo avere licenziato Fauché e incassato le lodi di Garibaldi per il suo spirito patriottico, oltreché il cospicuo rimborso (1.200.000 lire) per le navi perdute in occasione della spedizione siciliana e nello sfortunato tentativo di Pisacane, riprese il pieno controllo della propria compagnia. Interpellò poi Cavour affinché si rinnovasse nel Regno d’Italia la prassi sabauda delle sovvenzioni pubbliche. All’inizio degli anni Sessanta, considerate le pessime condizioni in cui versavano le strade e la scarsa articolazione della rete ferroviaria, il trasporto della posta, delle merci, delle truppe e dei funzionari pubblici poteva avvenire soltanto via mare. Per questi servizi, dapprima il governo accarezzò l’ipotesi di affidarsi a imprese straniere, ma poi si orientò verso società nazionali, attivando nel 1862 delle convenzioni grazie alle quali Rubattino ottenne le linee per la Sardegna, con prolungamento verso Marsiglia, Napoli, Palermo e Tunisi, cui sommò alcuni collegamenti minori. Al contributo di 21 lire per lega marina percorsa, lo Stato aggiunse un prestito di 1.800.000 lire, senza interessi, volto al potenziamento della sua flotta. L’obsolescenza della navalmeccanica italiana, ancorata alle tradizionali produzioni in legno e a vela, costrinse Rubattino a rivolgersi a stabilimenti inglesi e lo sollecitò a costituire nel 1864 la Società delle costruzioni navali, cui associò imprese armatoriali, meccaniche, creditizie, metallurgiche e minerarie, anche francesi, nel vano tentativo di realizzare un grande gruppo integrato, capace di costruire e riparare navi in ferro.
Dopo una prima revisione nel 1872, le convenzioni marittime vennero rinnovate nel 1877, quando prese forma un duopolio dominato dalla società di navigazione Florio (Palermo) e dalla compagnia genovese. Quest’ultima si trovò a gestire un’elevata concentrazione di linee (Sardegna, arcipelago toscano, Egitto, Indie, Singapore, Batavia), risultato cui certo concorse l’azione di lobbying esercitata da Rubattino che, pur di tutelare i propri interessi presso i centri del potere politico, aprì un ufficio di rappresentanza accanto alla Camera dei deputati, dove peraltro fu eletto nel 1876.
Per conseguire i suoi obiettivi imprenditoriali utilizzò a più riprese anche la tattica della ‘fuga in avanti’. Emblematica, in questo senso, è la vicenda della linea quindicinale per Alessandria d’Egitto e Port Said, inaugurata nel luglio del 1868 in modo da costringere il governo ad accordare un sussidio una volta aperto il canale di Suez. La convenzione, infine firmata nel giugno del 1869, previde un contributo per la navigazione e un nuovo prestito statale senza interessi (quattro milioni di lire) da impiegare per l’irrobustimento della flotta. Accogliendo la logica dello scambio politico, Rubattino non esitò a sua volta a farsi strumento dello Stato, così come accadde per la baia di Assab. Il 15 novembre 1869, all’indomani dell’apertura del canale di Suez, l’esploratore ed ex padre lazzarista Giuseppe Sapeto firmò, per conto del governo italiano, il contratto preliminare per l’acquisto di 36 chilometri quadrati sulle coste del Mar Rosso. A dirigere l’operazione fu il primo ministro Luigi Federico Menabrea, il quale convinse Rubattino ad assumere la proprietà della baia, éscamotage che avrebbe dovuto preservare l’Italia dalle reazioni internazionali. Il tricolore e la baracca issati nel marzo del 1870 sul promontorio di Buia, però, furono presto distrutti dai soldati del kedivè e negli anni seguenti il governo di Roma sembrò dimenticarsi di quella striscia di sabbia. Solo dopo il Congresso di Berlino del 1878, che aprì ufficialmente la stagione dell’imperialismo europeo, l’Italia si scoprì di nuovo interessata alle terre africane. Lo stesso Rubattino contribuì ad alimentare questo ritorno di fiamma finanziando, sul tema, un libro di Sapeto (Assab e i suoi critici, Genova 1879) e avviando una linea di collegamento con il Mar Rosso, per beneficiare sia dell’intenso traffico di pellegrini diretti alla Mecca, sia dei crescenti scambi commerciali con l’Egitto, sia infine delle sovvenzioni che sperava, una volta di più, di ottenere. Le sue aspettative andarono però deluse e la linea, in forte perdita, venne sospesa due anni più tardi. Nondimeno, tra il 1879 e il 1881 il governo Cairoli riprese il controllo della baia manu militari, estendendolo ben oltre i precedenti confini. Formalmente ancora proprietà della Compagnia Rubattino & C., Assab venne acquistata dallo Stato italiano e trasformata in colonia nel marzo del 1882, alcuni mesi dopo la scomparsa dell’imprenditore ligure.
Al netto del suo fallimento, la linea del Mar Rosso confermò l’accentuata propensione internazionale che Rubattino aveva messo in evidenza sin dai tempi del Regno sabaudo, quando aveva prolungato verso Tunisi il servizio per la Sardegna. Più tardi, peraltro, la città berbera era tornata a essere oggetto dei suoi interessi. Nel 1874, approfittando di un momentaneo allentamento del controllo francese in quell’area, infatti, aveva aperto la linea marittima settimanale Tunisi-Susa-Monastir-Sfax e aveva preso parte all’affaire della ferrovia Tunisi-La Goletta, per molti versi analogo alla vicenda della baia di Assab. Nel luglio del 1880 Rubattino aveva acquistato questa tratta dall’inglese Tunisian Railway’s Company, che l’aveva a sua volta comprata dal bey nel 1864: come contropartita, il governo aveva presentato in Parlamento un disegno di legge per la sovvenzione sia della stessa strada ferrata, sia del servizio di cabotaggio avviato sei anni prima. L’iniziativa era stata infine frenata dal Trattato di Bardo (12 maggio 1881), con il quale la Tunisia era divenuta protettorato francese.
Alla grande attenzione prestata per il Mediterraneo, il Levante e l’Estremo Oriente, Rubattino non fece corrispondere pari interesse verso le Americhe. Così, nel 1867 rispose con un diniego alla proposta di organizzare un servizio di linea per gli Stati Uniti avanzata, per voce di Balduino, dal ministro della Marina, Federico Pescetto. Ancora nel 1881, alla vigilia della fusione con la Florio, da cui avrebbe preso vita la Navigazione generale italiana (NGI), si premurò di tranquillizzare i colleghi genovesi impegnati nel Sudamerica, confermando la sua indifferenza per quelle rotte.
A una tale miopia non deve essere stato estraneo il fallimento della Transatlantica, il cui triste ricordo gli impedì di intuire la straordinaria occasione offerta dai flussi migratori verso il Nuovo Mondo. Inoltre, a distrarlo dalla via atlantica concorse probabilmente l’ostinata volontà di accompagnare, quando non di precedere, i tentativi di penetrazione politica ed economica italiana all’estero, tentativi che negli anni Sessanta e Settanta si rivolsero verso l’Europa, l’Asia, l’Africa, non verso le Americhe. Vale la pena di ricordare che, per paradosso, tra la fine dell’Ottocento e il primo dopoguerra il trasporto transoceanico degli emigranti sarebbe stato assolto, in posizione di quasi monopolio, dalla NGI, erede diretta della sua compagnia.
Le origini della NGI affondano nella Grande depressione economica esplosa negli anni Settanta e nel conseguente crollo dei noli marittimi che colpì in particolare tre grandi società armatoriali nate all’indomani dell’apertura del canale di Suez: la Gio. Batta Lavarello e C. (Genova), il Lloyd Italiano (Genova) e la Trinacria (Palermo). A questo si aggiunse la caduta della Peirano e Danovaro (ex Accossato e Peirano, Genova), spiazzata dalla decisione governativa di non finanziare più, a partire dal 1872, le linee di navigazione parallele alle ferrovie, le cui principali arterie nazionali erano state ormai completate.
In realtà, neppure Rubattino si sottrasse alla crisi economica, al punto che nel 1873-74 dovette ricorrere a un sindacato bancario per proseguire la propria attività e nel 1875 affidò a Rodolfo Hofer – giovane banchiere svizzero trasferitosi a Genova nel 1864 e marito di Selene Gavino (figlia di Giovan Battista) – la direzione finanziaria e amministrativa della compagnia. Nondimeno, continuò a potenziare la sua flotta, acquistando le navi delle società concorrenti in liquidazione e commissionando nuovi vapori. Si indebitò così con gli istituti di credito, con i sottoscrittori di un prestito obbligazionario offerto anche su piazze europee e con i cantieri inglesi cui aveva ordinato la costruzione di alcuni piroscafi. Il 10 luglio 1880, spinto da Hofer, ma più ancora da Bombrini e Balduino, accettò obtorto collo di trasformare la sua impresa da accomandita semplice in società per azioni.
La Grande depressione sollecitò il disegno governativo di unire le due maggiori compagnie armatoriali del Paese – la Rubattino e la Florio – in una grande società, capace non solo di gestire i principali servizi di collegamento nazionali, ma anche di competere con i più robusti rivali europei, meglio ancora se ostacolando la politica espansionistica francese nel Mediterraneo meridionale. Già Agostino Depretis, nel discorso elettorale di Stradella dell’8 ottobre 1876, aveva indicato nella fusione fra l’impresa ligure e quella siciliana un obiettivo primario della Sinistra. La Navigazione generale italiana-Società riunite Florio e Rubattino nacque il 4 settembre 1881, forte di 81 navi e cento milioni di capitale. Quattro quinti delle sue azioni furono equamente ripartiti fra l’armatore genovese e quello palermitano, il resto andò al Credito mobiliare di Balduino, che salì alla presidenza del Consiglio di amministrazione.
Rubattino non ebbe il tempo per apprezzare questo colosso dell’armamento italiano, la sua ultima creatura. Morì infatti nella propria villa ad Albaro (Genova) il 2 novembre 1881, lasciando erede universale dei suoi beni la cugina Selene Gavino. Fu sepolto nella cappella di famiglia del cimitero di Staglieno, vicino a Bianca De Simoni.
Opere. Sulle corrispondenze marittime fra la Sardegna e la Terraferma. Osservazioni in proposito del bilancio della R. Marina, Genova 1850; Lettera di Raffaele Rubattino al generale Nino Bixio deputato al parlamento, Torino 1861.
Fonti e Bibl.: L’Istituto mazziniano di Genova conserva le Carte Rubattino, in particolare la corrispondenza in entrata dell’armatore genovese e i copialettere di quella in uscita. Rubattino è stato oggetto di quattro ampie ricostruzioni biografiche: G. Chiesi, R. R. Cenni biografici, Genova 1882; A. Codignola, R., Bologna 1938; G. Doria, Debiti e navi. La compagnia di R., 1839-1881, Genova 1990; R. R. Un armatore genovese e l’Unità d’Italia (catal., Genova), Cinisello Balsamo 2010. Tra gli opuscoli, le memorie e gli epistolari utili per ricostruire la sua figura si rinvia a: Giambattista Fauché e la spedizione dei Mille. Memorie documentate, a cura di P. Fauché, Roma-Milano 1905, pp. 15-61, 99-101; F. Crispi, I Mille (da documenti dell’archivio Crispi), Milano 1911, pp. 113-116; Epistolario di Giuseppe Garibaldi, I-XIII, Roma 1973-2008, ad ind.; G. Garibaldi, Memorie, a cura di D. Ponchiroli, Torino 1975, pp. 311 s. Si vedano, inoltre: G. Doria, Investimenti e sviluppo economico a Genova alla vigilia della prima guerra mondiale, I, Le premesse (1815-1882), Milano 1969, ad ind.; G. Giacchero, Genova e Liguria in età contemporanea, I, La rivoluzione industriale. 1815-1900, Genova 1970, pp. 338-341, 364-368; R.A. Webster, L’imperialismo industriale italiano, 1908-1915. Studio sul prefascismo, Torino 1974, pp. 291-293, 295-299; F. Ogliari - L. Radogna, Storia dei trasporti italiani. Trasporti marittimi di linea, I, Dal Ferdinando I oltre l’Oceano, Milano 1975, pp. 143-150, 179-193, 203-227; A. Del Boca, Gli italiani in Africa orientale. Dall’Unità alla marcia su Roma, Roma-Bari 1976, ad ind.; S. Candela, I Florio, Palermo 1986, ad ind.; M. Doria, Ansaldo. L’impresa e lo Stato, Milano 1989, pp. 25-27, 33 s.; Storia dell’Ansaldo, I, Le origini: 1853-1882, a cura di V. Castronovo, Roma-Bari 1994, ad ind.; Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità a oggi. La Liguria, a cura di A. Gibelli - P. Rugafiori, Torino 1994, ad indicem.