MEDICI, Raffaello
de’. – Nacque a Firenze il 15 marzo 1543 da Francesco di Raffaello di Giuliano, del ramo di Giovenco di Averardo, e da Maddalena di Giuliano Capponi.
Perso il padre in tenera età, nel 1546, il M. crebbe molto probabilmente con il nonno Raffaello, legatissimo al duca Cosimo I de’ Medici, che ne apprezzava la fedeltà alle sorti del casato, di cui il M. fu uno dei più decisi sostenitori negli anni critici del passaggio di Firenze dal regime repubblicano al principato. La notizia fornita da Manni, che attribuisce al M. la qualifica dottorale non trova conferma nelle fonti. Di sicuro, grazie al nonno egli poté contare su solidi appoggi presso il principe e nella sua cerchia. Nel 1565 presentò le sue prove di nobiltà per essere ammesso all’Ordine di S. Stefano, fondato da Cosimo nel 1562. Le sue qualità nobiliari furono attestate dal senatore Agostino di Piero Del Nero, all’epoca luogotenente di Cosimo, da Giovanni di Gismondo Conti, segretario di Cosimo, e da Bernardo di Giovanni Buongirolami. Il 28 maggio 1565 vestì l’abito di cavaliere.
Contestualmente fondò una commenda di padronato, con il titolo di baliato di Firenze, vincolando alcuni poderi situati nelle campagne di Santa Maria dell’Antella, presso Firenze, e altri in località Borro, nel Valdarno, oltre tre botteghe in città. Il baliato doveva garantire 500 scudi di entrata annua al titolare. A distanza di un anno, però, egli non aveva ancora soddisfatto gli impegni assunti nel contratto di fondazione e il baliato gli fu effettivamente conferito solo nel 1570, con una rendita annua di soli 200 scudi. Il nuovo granduca Francesco I, a conferma del favore di cui il M. godeva a corte, arricchì il capitale del baliato con 1400 scudi. Il 7 febbr. 1591 il baliato fu annullato per volontà del M. medesimo, che non solo recuperò alla sua piena proprietà i beni vincolati, ma mantenne nella sua disponibilità anche i 1400 scudi donati da Francesco, depositati sul Monte di pietà di Firenze all’Ordine di S. Stefano.
Fino al 1567 il M., ottemperando agli obblighi statutari dell’Ordine, risiedette a Pisa nel palazzo della Carovana. Ai primi del 1568 fece parte del Consiglio dei cavalieri e, quale balì di Firenze, capeggiò i cavalieri mandati a rafforzare il presidio di Malta. Nel 1569 fu nominato tra i Sedici capitolanti, cioè i cavalieri che dovevano assicurare lo svolgimento dei lavori del capitolo generale di quell’anno. Uscì dal capitolo con il grado di ammiraglio, che mantenne per un triennio.
Contrariamente a quanto affermato da vari autori (Cini, Marchesi, Litta, Giorgetti, Manfroni), il M. non fu affatto protagonista di grandi imprese, né tantomeno di smaglianti vittorie durante il suo ammiragliato. A conclusione della sua carica, nell’estate del 1572 gli fu data l’incombenza di provvedere al pagamento dell’indennità prevista per i cavalieri imbarcati sulle galere. Ricevette 800 scudi per far fronte alle spese, ma dopo oltre due anni il Consiglio dell’Ordine si vide costretto a scrivere al M. lettere sempre più pressanti per invitarlo a restituire i denari non spesi, 250 scudi, e a presentare scritture contabili convincenti, minacciando di informare direttamente il granduca dell’incresciosa situazione. Il M. non solo tenne bravamente e arrogantemente testa alle richieste del Consiglio, ma passò al contrattacco, reclamando in suo favore, alla fine del 1575, il pagamento di quanto gli era dovuto per il vitto suo e di due servitori durante i mesi di crociera del 1572.
Questo episodio non sembra aver intaccato il solido legame che univa il M. al sovrano. Nel marzo 1574 Francesco gli conferì la procura di acquistare per conto dell’Ordine di S. Stefano le quattro galere che costituivano la squadra stefaniana e che erano a carico delle casse del granduca. Nel 1577 Francesco I, come gran maestro dell’Ordine, assegnò al M. una commenda di grazia che gli assicurò una rendita annua vitalizia di 180 scudi. Nel 1593 il M. ricevette anche una commenda di anzianità di 100 scudi di entrata annua. Negli anni seguenti permutò la commenda di anzianità di cui era titolare per altre di rendita più elevata fino a conseguire, nel 1623, una commenda di ben 400 scudi d’entrata annua.
Dopo gli anni trascorsi al servizio dell’Ordine di S. Stefano il M. fu impiegato nell’attività diplomatica. Nel dicembre 1586 fu inviato a Ferrara per condolersi della morte del cardinale Luigi d’Este e, soprattutto, per accompagnare Virginia de’ Medici, figlia di Cosimo I e di Camilla Martelli, destinata in sposa a Cesare d’Este, cugino del duca Alfonso II. A Ferrara il M. rimase come ambasciatore residente dal gennaio 1586 al 1589, salvo un’assenza di alcune settimane nel 1588, quando si trasferì a Venezia per informare il governo della Repubblica del matrimonio del nuovo granduca di Toscana Ferdinando I con Cristina di Lorena. A Ferrara il M., coadiuvato dai segretari Michele Della Rocca, Cosimo Cicognini e, soprattutto, Orazio Della Rena, che funse anche da reggente, si occupò sostanzialmente di tre questioni di rilievo. In primo luogo perorò l’investitura del Ducato di Modena e Reggio a Cesare d’Este. Seguì inoltre i delicati rapporti di confine tra il Ducato di Toscana e gli Stati estensi e infine il problema dei banditi che trovavano rifugio nelle terre del Ducato di Ferrara dopo le loro azioni in Toscana. Inoltre, il M. seguiva con attenzione i contatti e le trame che Alfonso II intesseva con il duca Carlo Emanuele di Savoia, politica che preoccupava non poco il governo mediceo; e al contempo ragguagliava Firenze sugli sviluppi della situazione nella Francia dilaniata dalle guerre di religione.
Il M. dette buona prova delle sue qualità di diplomatico se, appena rientrato a Firenze nel marzo 1590, gli fu affidata una missione di indubbio rilievo. La granduchessa Cristina lo inviò presso il duca Carlo di Lorena per indurlo ad accordarsi con Enrico di Borbone, re di Navarra, in procinto di riconciliarsi con la Chiesa di Roma e ormai avviato a salire sul trono di Francia, e ad abbandonare il sostegno alla Lega cattolica e a Filippo II di Spagna. Il M. riuscì a portare a buon fine la sua missione, contribuendo al successo della nuova linea politica imbastita da Ferdinando I, che mirava a favorire Enrico di Borbone e a riavvicinare il Granducato di Toscana alla Francia.
Rientrato a Firenze, nel 1594 il M. fu nominato membro del Senato e l’anno successivo andò commissario a Pistoia. Nel 1598 ottenne come soprannumerario la carica di commissario delle Bande dei descritti, la milizia medicea, per diventare più tardi commissario generale, carica che, alla sua morte, passò al figlio Lorenzo. Come commissario generale delle Bande il M. prese parte alla spedizione toscana in soccorso di Mantova, durante la prima guerra del Monferrato (1615). Nell’esercizio di questa carica si dimostrò sempre molto attento alle sue prerogative e a quelle dei «descritti», sostenendole con determinazione non solo nei confronti di titolari di feudi che rivendicavano sui membri della milizia diritti superiori di autorità, ma anche nei confronti degli stessi rappresentanti del governo fiorentino, con i quali il M. non esitò a ingaggiare duri scontri, come avvenne nel 1618 con Iacopo Nerli, vicario a Pescia, contesa nella quale però il M. ebbe la peggio. Nel 1612 giunse ai vertici del governo granducale con la nomina da parte di Cosimo II a membro del Consiglio della pratica segreta. Nel 1615 divenne uno dei consiglieri dell’arte della Seta e contemporaneamente fu designato per un triennio degli Ufficiali del Monte di pietà.
Dal matrimonio con Costanza di Pietro Alemanni ebbe tredici figli: dieci maschi, Giuliano, Ferdinando, Francesco, Pietro, Lorenzo, Giulio, Averardo, Ippolito, Giovanni, Alessandro, e tre femmine. Le figlie – Margherita, Caterina e Maddalena –furono tutte maritate, rispettivamente con Bernardino da Sommaia, Sebastiano Ximenes e Niccolò Capponi. Molti dei figli ebbero cariche di rilievo al servizio dei Medici o del re di Spagna o dell’imperatore. Nei figli il M. vide una risorsa per assicurare alla sua casa destini luminosi e duraturi. Solo così si spiega una lunga lettera che l’8 marzo 1613 indirizzò ad Andrea Cioli, segretario di Cosimo II, per scongiurarlo di fare tutto il possibile onde evitare che venisse accolta l’eventuale richiesta da parte di qualche figlio di partecipare a una progettata impresa in Levante. I suoi figli, scriveva tra l’altro il M., avrebbero potuto servire meglio il principe in altre mansioni piuttosto che sulle galere: un’argomentazione sorprendente, a prima vista, da parte di chi alcuni decenni prima si era fregiato del grado di ammiraglio dell’Ordine di S. Stefano. In realtà essa era consona non solo ai sentimenti di un padre che nel 1613 lamentava già la perdita di tre figli, ma anche alla strategia complessiva concepita dal M., che prefigurava l’ascesa della famiglia in virtù degli uffici ricoperti con efficienza e devozione nell’apparato politico e diplomatico dello Stato mediceo. Come infatti avvenne il 17 marzo 1629, quando il granduca Ferdinando II firmò il diploma con cui faceva della Comunità di Castellina, nel Pisano, un marchesato da concedere in feudo al M., defunto da meno di un mese, e al suo successore, il figlio Lorenzo.
Il M. morì a Firenze il 19 febbr. 1629 e fu sepolto il 21 nella basilica di S. Lorenzo.
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F. Angiolini