RAFFAELLO del Colle, detto Raffaellino
RAFFAELLO del Colle, detto Raffaellino. – Raffaello di Michelangelo di Francesco nacque quasi certamente a Colle di Borgo Sansepolcro (Arezzo), in una data compresa tra il 1494 e il 1497, ma non precisabile con esattezza, poiché il suo nome non compare nei locali registri dei battesimi, dove sono invece menzionati i suoi fratelli e sorelle. Tra il 1478 e il 1493 furono battezzati a Sansepolcro sei figli di Michelangelo del Colle e un altro nel 1500. Nei manoscritti vi è una lacuna dal 1494 al 1497 e in tali anni è probabilmente da collocare la nascita di Raffaello. Il nome della madre non è noto.
A Sansepolcro l’indicazione ‘del Colle’ divenne un cognome per il pittore e i suoi, mentre altrove egli venne quasi sempre detto ‘dal Borgo’. Il diminutivo Raffaellino fu usato per la prima volta nel Seicento in un testo nel quale era citato anche Raffaello Sanzio, con lo scopo di distinguere i due artisti, e il cognome Sabelli, talvolta riferitogli, derivò dall’errata lettura di un documento (Franklin, 1990, p. 154).
Compiuta la prima formazione con Giovanni di Pietro, detto lo Spagna, forse a Perugia, Raffaellino è documentato come «maestro» autonomo già nel biennio 1518-19, quando decorò un perduto tabernacolo per la Misericordia di Sansepolcro. Poco dopo si spostò a Roma, forse con il tramite dei parenti del cardinale Bernardo Dovizi da Bibbiena, che abitavano a Sansepolcro (Facchielli, 1998, p. 37), ed entrò nella bottega di Raffaello. Alla morte di Sanzio divenne collaboratore di Giulio Romano, partecipando alla decorazione della Sala di Costantino in Vaticano (1523-24) ed eseguendo opere su suoi cartoni (Vasari, 1568, 1906, V, p. 533), oggi perdute. Il 12 agosto 1522 a Sansepolcro gli venne commissionata la decorazione della cappella dei Ss. Egidio e Arcano in cattedrale, ma poiché si trovava a Roma, all’atto presenziò suo fratello Giovanni Maria (Franklin, 1990, p. 157). Il 29 aprile 1524 Giulio Romano, facendo testamento in procinto di lasciare l’Urbe per Mantova, gli affidò gli strumenti di bottega, le opere incompiute, disegni e cartoni, tra i quali quello della Pala Fugger di S. Maria dell’Anima a Roma, alla cui esecuzione Raffaellino aveva partecipato.
Egli utilizzò i disegni del maestro per molte opere e li conservò gelosamente fino alla morte, dopodiché i suoi eredi li cedettero (alcuni passarono ai pittori della famiglia Alberti di Sansepolcro). L’affidamento di disegni e strumenti presuppone che Giulio non intendesse condurre Raffaellino con sé a Mantova, ma nonostante ciò Giorgio Vasari (1568, 1906, VI, p. 213) riferisce che Raffaellino partecipò al cantiere di Palazzo Te, dove però l’intervento del pittore di Colle di Sansepolcro non è documentato né riconoscibile.
Raffaellino rientrò invece a Sansepolcro, dove dipinse la Resurrezione per la cappella dei Ss. Egidio e Arcano in cattedrale, e il 25 aprile 1525 ricevette l’incarico di completarla con lunetta, predella e altre decorazioni (Franklin, 1990, p. 158).
La cappella, dedicata ai due pellegrini che secondo la tradizione portarono nella cittadina le reliquie del Santo Sepolcro, fu distrutta nel 1859. La Resurrezione, derivata da disegni di Raffaello e Giulio, sembra esserne l’unica parte superstite poiché la lunetta con il Padreterno e angeli, che le viene accostata appare di altra mano.
All’estate del 1525 è documentata la committenza di una Deposizione per la Confraternita della Croce a Sansepolcro, ma nel settembre del 1527 l’allogazione fu passata a Giovan Battista di Jacopo, detto il Rosso Fiorentino, giunto in zona dopo il sacco di Roma (Franklin, 1989). Raffaellino cedette volentieri l’incarico al Rosso, che ospitava in casa propria, riservandosi di eseguire la lunetta con il Padreterno e angeli, oggi con la pala in S. Lorenzo a Sansepolcro e derivante da un disegno della Pierpont Morgan Library di New York ritenuto talvolta autografo (Wolk Simon, 1991). Nel novembre del 1526 entrò a far parte della Compagnia della Madonna delle Grazie di Sansepolcro, della quale fu membro per tutta la vita ricoprendovi spesso incarichi di prestigio. Tra le opere del periodo spicca l’Annunciazione per l’altare della famiglia Sellari in S. Domenico a Città di Castello (Perugia), ora nella locale Pinacoteca.
Anch’essa ispirata a un prototipo di Giulio Romano, la tavola è databile verso il 1528 perché tale anno era inciso nell’epigrafe sotto l’altare, e Raffaellino ne replicò la composizione anche in due coevi pannelli di predella. Appartengono allo stesso momento l’affresco staccato con S. Leone Magno del Museo civico di Sansepolcro e una S. Caterina d’Alessandria di collezione privata, altre due opere ispirate ai modelli di Raffaello, di Michelangelo e di Giulio studiati nell’Urbe.
La pala Sellari inaugurò un lungo impegno tra Umbria e Marche, alternato a temporanei rientri a Sansepolcro. Del 1530 era una dispersa Immacolata Concezione in S. Maria in Val d’Abisso a Piobbico (Pesaro e Urbino), ed entro il 1532 è databile un altare a sportelli con l’Assunta e santi nella stessa chiesa (Dal Poggetto, 2004, pp. 314 s.). Ai colori abbacinanti di quest’opera e alle sue forme allungate di ispirazione rossesca si avvicina strettamente la pala con l’Incoronazione della Vergine, commissionatagli il 10 marzo 1526 per l’altare maggiore di S. Maria della Neve dei minori osservanti a Sansepolcro e oggi nel Museo civico, ma che sembra spettare invece ai primi anni Trenta, così come il Redentore con ss. e angeli di S. Francesco a Citerna (Perugia), variamente datato dalla critica (cfr. Pazzagli, 1983, p. 87). Le committenze per Piobbico si collocano in parallelo all’inizio dell’impresa decorativa della Villa Imperiale di Pesaro, alla quale Raffaellino partecipò nel gruppo di pittori convocati da Girolamo Genga su commissione di Francesco Maria I della Rovere e sua moglie Eleonora Gonzaga. Oltre a Raffaellino, Genga si fece affiancare stabilmente da Francesco Menzocchi e dal paesaggista Camillo Mantovano, mentre Dosso e Battista Dossi, Bronzino, Pierantonio Palmerini (e altri) parteciparono soltanto ad alcune fasi. La decorazione a fresco e olio su muro prende spunto dalle vicende politiche di Francesco Maria I della Rovere e si sviluppa in otto sale al piano nobile del nucleo più antico dell’edificio. Le notizie dirette sul ciclo sono scarse, essendo perduti i registri con i pagamenti ai pittori, ma è possibile circoscriverne la cronologia tra il 1530 e il 1535 in base alla corrispondenza di Genga con i Della Rovere e ai documenti sulla presenza degli artisti nei loro luoghi di origine (Nesi, 2004, pp. 65-104). Essi infatti si trattennero all’Imperiale per brevi periodi, alternando i soggiorni con lunghi rimpatri per gestire i propri affari. Per circoscrivere le trasferte di Raffaellino risultano per esempio utili i ricordi degli incarichi che ricevette dalla Compagnia delle Grazie di Sansepolcro negli autunni e inverni del 1531, 1532 e 1533, stagioni inadatte per dipingere a fresco.
La mano di Raffaellino è ravvisabile nelle sale dette del Giuramento di Sermide (1530-31), dei Semibusti (1531-32), dello Studiolo e delle Fatiche di Ercole (1533 circa) e della Calunnia (1534-35). Entro il 1538, quando la morte di Francesco Maria della Rovere interruppe i lavori, fu decorata anche l’Imperiale Nuova costruita da Genga, ma questi altri cicli di pitture e stucchi sono perduti.
Nel corso del decennio Raffaellino, Menzocchi e Camillo collaborarono in ulteriori imprese decorative nel Ducato di Urbino, tra le quali sopravvive la loggia dell’armeria in palazzo ducale a Pesaro. In quest’ultimo ciclo è prevalente il contributo di Camillo, e a Raffaellino spetta soltanto un’Allegoria della fama nel soffitto. In buona parte autografa è invece la decorazione dell’oratorio del Corpus Domini a Urbania (Pesaro e Urbino), composta da lunette a fresco con Profeti e Sibille, una pala d’altare a fresco con una derivazione della Sacra Famiglia di Francesco I di Raffaello, e due tele con l’Adorazione del Bambino e il Cristo risorto, forse facce di uno stendardo. Nelle Marche Raffaellino realizzò anche disegni per ceramiche (cfr. Fontana, 1983; Paolinelli, 2008).
Durante i rientri a Sansepolcro Raffaellino eseguì altre opere significative, come la Resurrezione per la Compagnia del Crocifisso (oggi in S. Rocco), replica di quella della cattedrale e databile al 1532, quando suo fratello Bartolomeo fu priore della confraternita. Al 1534-35 è documentato il grande Cenacolo a fresco nel refettorio di S. Maria del Sasso a Bibbiena (Arezzo). Il 12 dicembre 1533 sposò a Sansepolcro Orsina Bartolini, dalla quale ebbe il figlio Michelangelo e alcuni altri, morti fanciulli. Tra i testimoni al contratto di nozze vi fu l’allievo Cristofano Gherardi, detto il Doceno (Nesi, 2004, p. 85), in seguito collaboratore di Vasari. Nell’aprile del 1536, dopo aver terminato la Purificazione della Vergine per l’altare Roberti nella chiesa degli Osservanti di Sansepolcro (oggi al Museo civico), Raffaellino giunse a Firenze insieme al Doceno per coadiuvare Vasari negli apparati effimeri per l’ingresso in città dell’imperatore Carlo V (Vasari, 1568, 1906, VI, p. 217).
La Purificazione inaugura una nuova fase nella produzione di Raffaellino, in cui le precedenti tensioni manieristiche lasciano il posto a un classicismo statico e monumentale, ancor più evidente nella decorazione della quinta cappella destra nella chiesa olivetana di S. Pietro a Gubbio (Perugia), pagatagli nel 1539 e datata 1540, e comprendente la pala con la Natività e affreschi con Storie dei ss. Benedetto, Mauro e Placido. Obbedisce a tali coordinate anche la Sacra conversazione dell’altare De Blasi in S. Francesco a Cagli (Pesaro e Urbino), realizzata tra il 1537 e il 1541 (Droghini, 2001, pp. 104 s.), mentre la pala dello stesso soggetto datata 1543 per l’altare Graziani nella chiesa dei Servi a Sant’Angelo in Vado (Pesaro e Urbino) recupera il modello autorevole della Pala Fugger.
Tra il 1543 e il 1544 si spostò a Perugia, dove decorò con Lattanzio Pagani, Doceno, Dono Doni e Tommaso Bernabei, detto il Papacello la cappella e l’appartamento del castellano nella Rocca Paolina, distrutta nel XIX secolo. Il 28 giugno 1544 il nipote Giovan Paolo, figlio del fratello Francesco e anch’egli pittore, lo nominò suo procuratore, probabilmente in vista dell’imminente partenza per Napoli, dove i due soggiornarono tra il 1545 e il 1546 affiancando Vasari nella decorazione a fresco del refettorio del monastero di Monteoliveto. Passarono poi a Roma nel 1546, coadiuvando l’aretino nella sala dei Cento giorni in palazzo della Cancelleria. Nel 1548 Agnolo Bronzino, già compagno di lavoro di Raffaellino all’Imperiale, lo convocò a Firenze perché lo aiutasse nella realizzazione dei cartoni per gli arazzi con Storie di Giuseppe destinati al salone dei Dugento in Palazzo Vecchio.
Raffaellino fu chiamato per allontanare dall’impresa Benedetto Pagni, suo antico condiscepolo presso Giulio Romano ma non gradito al Bronzino, e il suo contributo risulta evidente nelle scene raffiguranti Giuseppe che si fa riconoscere dai fratelli e l’Incontro tra Giacobbe e Giuseppe in Egitto.
A Firenze studiò la Deposizione che Francesco Salviati stava dipingendo per la basilica di S. Croce, della quale diede una trascrizione personale nella pala dello stesso soggetto per la cappella Albizini in S. Maria delle Grazie a Città di Castello (1552).
L’opera inaugurò una fruttuosa collaborazione con l’architetto e intagliatore Berto Alberti, suo conterraneo e autore della carpenteria di questo e altri suoi dipinti successivi. Dal Diario dell’Alberti (pubblicato in Degli Azzi Vitelleschi, 1914), si ricava, oppure talvolta viene confermata la cronologia di molti lavori tardi, come la decorazione della cappella della Madonna in S. Chiara a Sansepolcro (1553; Giannotti, 1994-1995), e due monumentali pale d’altare per Città di Castello: l’Annunciazione per l’altare Libelli in S. Domenico e l’Assunzione per quello Albizini in S. Francesco (entrambe del 1560, si trovano oggi nella Pinacoteca comunale della cittadina umbra, mentre la cornice della prima si trova nella chiesa di S. Maria delle Grazie). Di poco precedente (1555) è la piccola Madonna delle Grazie eseguita per l’omonima confraternita di Sansepolcro, della quale Raffaellino fu membro. Le ultime opere documentate sono la lunetta con il Padreterno e angeli in S. Antonio a Sansepolcro, del 1561 (Facchielli, 1998), e due dipinti per Perugia: la Sacra Famiglia col Battista per l’altare Scotti in S. Agostino (1560), oggi nella Pinacoteca nazionale, e la Madonna in gloria e santi tuttora in loco nella confraternita di S. Agostino (1563).
Raffaellino fece testamento il 21 ottobre 1564 a Sansepolcro, dove morì il 17 novembre 1566, venendo sepolto nella chiesa di S. Giovanni (Corazzini, 1874).
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