OJETTI, Raffaello
OJETTI, Raffaello (Raffaele). – Nacque a Roma il 7 febbraio 1845 da Benedetto e da Maria Boncompagni Ludovisi.
Compiuti gli studi classici presso il collegio dei padri benedettini di Subiaco, fu apprendista dell’architetto Luigi Poletti a Roma (Crifò, 2004, pp. 19 s.). Nel 1870 entrò a far parte dell’Associazione artistica internazionale, un’alternativa alla Società degli amatori e cultori, fortemente sostenuta da un suo amico, il principe Baldassarre Odescalchi, nell’ambito della quale ricoprì varie cariche negli anni seguenti, intervenendo in questioni cruciali dell’architettura: la formazione tecnica, l’istruzione, la divulgazione, la tutela e gli aspetti amministrativi (ibid., pp. 37-39, 75).
Da luglio 1871 a giugno dell’anno successivo, fu direttore della rivista Roma artistica (ibid., p. 49; Majolo Molinari, 1963, pp. 838-840), scrivendo articoli, che talvolta firmava, e redigendo personalmente le biografie (che siglava regolarmente) di vari pittori e scultori dell’Ottocento, tutti di formazione classicista, viventi o scomparsi da poco tempo. Dedicava molta attenzione alle arti applicate, soprattutto all’ebanisteria e all’oreficeria, ma non fornì quasi mai un taglio critico sugli argomenti trattati ed ebbe toni elogiativi sulla quasi totalità delle opere descritte (Crifò, 2004, pp. 27 s., 49). In quel periodo propugnava una concezione dell’architettura derivata da Francesco Milizia, asserendo la necessità della corrispondenza fra estetica e funzione nell’ambito del complesso architettonico: l’esterno doveva esprimere, in ogni parte, la distribuzione interna e lo scopo per il quale era stato realizzato (ibid., p. 29).
Nel 1874 fece parte di un patronato amministrativo, nominato dal Comune, per l’istituendo Museo artistico industriale. Intorno agli anni Settanta è databile un suo progetto per il completamento della facciata della chiesa di S. Silvestro a Bevagna e una tavola dei dettagli, nella quale disegnò varie aggiunte di sua invenzione in stile neomedievale (ibid., pp. 115, 117). Nel 1875 fondò il settimanale Roma. Vita artistica, il cui primo numero uscì il 25 aprile, e alla quale collaborò fino al 1881, tra difficoltà economiche e interruzioni (ibid., p. 32).
Negli anni Ottanta fu molto attento al dibattito sul restauro architettonico che investiva le figure degli architetti e degli ingegneri, argomenti di cui si occupò a lungo anche il figlio Ugo, rivelando posizioni in sintonia con Camillo Boito: privilegiava il consolidamento e condannava il rifacimento all’antica, a meno che non fosse eseguibile partendo da un dettagliato progetto originale e con materiali differenti, in modo da rendere facilmente riconoscibili le parti nuove da quelle originali. Tuttavia in quegli anni, spesso non applicò i precetti boitiani, preferendo quasi sempre optare per il rifacimento in stile sulla base di una precisa conoscenza storica degli edifici (ibid., pp. 32, 110).
Nel 1881 venne incaricato da Giuseppe Fiorelli, della Direzione generale per le antichità e le belle arti, di restaurare l’abbazia di Fossanova, per la quale iniziò uno studio approfondito sul Gotico, elaborando confronti stilistici fra monumenti analoghi, progettando ricostruzioni e rifacimenti abbastanza misurati rispetto al contesto dell’epoca. Nello stesso anno, avendo ricevuto da Fiorelli l’incarico di redigere una relazione per ultimare rapidamente i restauri del pavimento cosmatesco della cattedrale di Anagni, pensò di limitare le ricostruzioni, evitando arbitri, a eccezione della proposta di realizzare due scale per l’accesso al presbiterio, tali da alterare l’intera impostazione dell’interno della chiesa, e riutilizzando in situ i materiali antichi (ibid., pp. 85-89). Nel 1884 gli fu commissionato il restauro del campanile del duomo di Viterbo, danneggiato da un fulmine l’anno precedente (ibid., pp. 92-96).
Per l’Esposizione nazionale di Torino del 1884, ideò e curò la Mostra della città di Roma (Bertini Calosso, 1925, pp. 264 s.; Crifò, 2004, p. 55), nell’ambito della quale si occupò soprattutto delle sezioni su Roma antica e medievale, contribuendo, con vari saggi all’interno del volume Mostra della città di Roma (Roma 1884), a gettare luce sulle arti cosiddette minori e su aspetti architettonici poco studiati, affrontando la complessa questione della sistemazione michelangiolesca del Campidoglio e di quella del complesso dell’Aracoeli, sulla base dell’esame della documentazione esistente, con lo studio diretto dei materiali e con raffronti stilistici (Crifó, 2004, pp. 55-58).
Nel 1885, in seguito all’aumento dei fondi, fu nominato direttore delle scuole del Museo artistico industriale, che vennero orientate alla creazione di maestranze specializzate nelle arti applicate, attraverso lo studio dal vero di validi esempi delle epoche passate e l’organizzazione di mostre sull’ebanisteria e sulla produzione di oggetti in metallo (ibid., pp. 43 s.). Tuttavia, al di là delle intenzioni teoriche, le fotografie dell’epoca mostrano una produzione fortemente orientata al classicismo e alla realizzazione di copie in stile, solo debolmente influenzata dalle innovazioni liberty (ibid., p. 44).
Nel 1886 il principe Odescalchi lo incaricò di realizzare il suo palazzo in via del Corso a Roma, sul modello dei palazzi fiorentini del Quattrocento, in particolare di palazzo Medici-Riccardi (ibid., pp. 128-141; Bertini Calosso, 1925, p. 366). A partire dal 1888 e fino ai primi anni Venti sviluppò, sempre per il principe Odescalchi, il progetto di lottizzazione di Santa Marinella, mirante a realizzare ville per l’aristocrazia e l’alta borghesia (Crifò, 2004, pp. 205-222), impostate su un linguaggio di base ancora fortemente neoclassico negli edifici migliori e decisamente eclettico con prevalenze medievali nelle palazzine più modeste, raggiungendo esiti sempre apprezzati dalla committenza (Francocci, 1990, p. 49).
Nel 1890 per il principe Odescalchi iniziò a lavorare al restauro e all’ampliamento del castello di Bracciano, opera che continuò per diversi anni e che ebbe una grande risonanza sulla stampa dell’epoca (Crifò, 2004, pp. 109-111).
Cercò di eliminare gli interventi di trasformazione fatti eseguire dai Torlonia, precedenti proprietari, per ristabilire l’aspetto originario: rifece alcune parti in stile, basando il cantiere, come di consueto, sul riuso dei materiali, e soprattutto ripristinò l’elegante loggiato a due ordini della corte d’onore che era stato murato nell’Ottocento, riportò alla luce il soffitto a cassettoni quattrocentesco nella camera da letto della principessa e riprese la decorazione a tempera (ibid., pp. 101-104).
Nel 1890 fondò, insieme a molti altri architetti attivi nei restauri urbani, l’Associazione artistica fra i cultori di architettura, volta a incrementare la tutela del patrimonio esistente, compresa l’edilizia minore dei singoli rioni romani. Capisaldi erano lo studio dell’architettura come arte principale e la promozione di scuole di arte applicata all’industria, concepite come complemento necessario alle scuole di architettura, la riforma dell’ordinamento legislativo delle professioni degli ingegneri e degli architetti e la promozione di esposizioni, pubblicazioni e borse di studio (ibid., pp. 40 s.).
Nel 1890 partecipò all’organizzazione della Prima mostra della città di Roma, come ideatore della sezione industriale e incaricato dell’organizzazione della sezione architettura, nell’ambito della quale, insieme a Pio Piacentini, autore del palazzo delle Belle arti, sede della manifestazione, selezionò una documentazione sui progetti di trasformazione urbanistica di Roma dell’ultimo ventennio, soffermandosi su tematiche di forte interesse civico e nazionale, quali gli edifici scolastici, i giardini pubblici e i restauri della Roma post-unitaria (Majolo Molinari, 1963, pp. 846 s.). L’importante manifestazione fu un precedente essenziale per l’organizzazione della mostra allestita in occasione del cinquantenario dell’Unità d’Italia del 1911, alla quale prese parte anche il figlio Ugo (Crifò, 2004, pp. 34, 50).
A partire dagli anni Novanta venne scemando la sua attività di divulgazione artistica, tesa a promuovere l’arte ufficiale umbro-laziale e i pittori impegnati sotto Pio IX: la sua firma comparve sempre più raramente nelle riviste dell’epoca, mentre si faceva strada quella, destinata a divenire più famosa, di Ugo (ibid., p. 34).
Nel 1892 fece parte della Commissione per lo studio e la tutela della basilica di S. Maria in Cosmedin e l’anno seguente della Commissione per la torre degli Anguillara al Lungotevere (1893-95), presieduta da Francesco Azzurri. Nel 1898, alla morte di Raffaele Erculei, Ojetti, già direttore delle scuole del Museo artistico industriale, come si è detto, assunse anche la direzione del Museo, che tenne fino al 1905 (ibid., p. 44).
Nel 1909 venne nominato accademico di merito residente dall’Accademia di S. Luca, l’anno seguente conservatore dei disegni di architettura dell’archivio e nel 1911 sovrintendente alle gallerie accademiche per l’architettura. Si applicò strenuamente ad accrescere il prestigio e le disponibilità finanziarie di questa istituzione, dalla quale ricevette molti altri incarichi e nomine, snellendone anche l’apparato burocratico.
Morì a Roma il 26 marzo 1924.
Studioso attento e animatore culturale, come la maggior parte degli architetti italiani della sua epoca, per usare le parole del figlio Ugo, Ojetti fu vittima di un secolo «senza stile» nelle cui architetture si deformarono tutti gli stili passati (ibid., p. 229). Fra gli altri interventi e progetti romani si segnalano il palazzo Odescalchi, poi Simonetti (1886-89) in via Vittoria Colonna; il progetto per il Monumento per gli Italiani periti nel naufragio del “Sud America” a Las Palmas, dalle influenze a tratti piranesiane e valadieriane (1990; collezione privata, ripr. ibid., p. 112); il restauro e il riadattamento del romano convento di S. Crisogono (1890-1925), con la sua elegante facciata; i restauri e la ricostruzione dell’ospizio di S. Galla (1886) e la casina dei Pierleoni (1909), sulla quale effettuò una radicale trasformazione, nonostante fosse sottoposta a tutela storico-artistica (entrambi demoliti nel 1936-37); il rifacimento radicale del cinquecentesco palazzo Primoli in via Zanardelli (ibid., p. 180).
Fonti e Bibl.: A. Bertini Calosso, R. O., in Roma, III (1925), 8, pp. 357-368; O. Majolo Molinari, La stampa periodica romana dell’Otto-cento, II, Roma 1963, pp. 838-840, 846 s.; M. Francocci, La stazione balneare di Santa Mari-nella: arhitettura e urbanistica, 1887-1940, Roma 1990; S. Crifò, R. O. architetto nei primi cinquant’anni di Roma capitale, Firenze 2004 (con bibliografia); Primoli e gli Ojetti: il conte, l’architetto, il letterato, a cura di S. Crifò, Roma 2005.